3. Le testimonianze rese da Coe e da De Angelis.

L'intervista era stata effettuata il 30 ottobre precedente in un circolo sportivo della città del Texas ove Coe al tempo risiedeva.

Coe, riferisce sempre De Angelis, non s'è limitato a rispondere alle domande dell'intervista, ma ha anche parlato, fuori della ripresa, di altre circostanze sempre relative alla questione di Ustica. Ha indicato quali fossero gli ufficiali dell'Aeronautica Militare italiana, con i quali egli aveva avuto rapporti per le ricerche conseguenti il disastro. Costoro erano Adriano Piccioni e Claudio Coltelli, entrambi capitani in servizio al SIOS, ovvero al 2° reparto dello SMA. Ha escluso che egli potesse parlare in genere direttamente con Tascio, giacché questi era a lui superiore in grado. Con Tascio aveva rapporti Biankino, l'Addetto aeronautico, cognato di esso Coe e morto per infarto nel 90. Proprio in virtù del rapporto di affinità, era messo al corrente da Biankino, di quei particolari della vicenda di Ustica di cui non veniva a conoscenza direttamente.

Coe gli ha riferito anche i nomi degli ufficiali americani che avevano lavorato con lui nel gruppo costituito per le indagini sul disastro di Ustica. Per la Navy c'era il comandante William Mc Bride, per i Marines tal William Mac Donnell, per la CIA tal Clarridge, capo stazione a Roma al tempo. Sulle modalità traverso cui l'Ambasciata era stata informata del fatto, non ricordava se avesse fatto da ponte l'ufficiale di guardia o se egli stesso avesse preso la telefonata dell'Aeronautica Militare italiana.

Ricordava infine che l'Ambasciatore aveva disposto, sempre nell'ambito dell'inchiesta ordinata, una check-list di tutti i missili di cui erano dotate le forze americane in Italia. Aggiungeva come commento alla vicenda che se la Francia fosse stata coinvolta nell'evento di Ustica, sarebbe stata capace di mantenere il segreto sull'affare. Rispondeva, sulla possibilità della Marina degli Stati Uniti di procedere a ricognizione fotografica del relitto del DC9, che un'operazione del genere sarebbe stata possibile - prescindendo dalla possibilità tecnica, ovviamente data per scontata - in virtù degli ottimi rapporti esistenti tra il suo Paese e l'Italia. (v. esame De Angelis Massimo, GI 15.11.91).

Dall'intervista e da quanto riferito in aggiunta ad essa emergono chiarissime le seguenti circostanze. Coe la notte del 27 giugno 80, ha ricevuto una telefonata con la quale gli si chiedeva se c'erano in volo velivoli americani su Ustica o comunque nel Mediterraneo, ovviamente all'ora dell'incidente e nei tempi circostanti. Egli s'è informato a Ramstein, ovvero al Comando Generale per l'Aeronautica degli Stati Uniti in Europa e da qui ha ricevuto risposta che non v'era nessun aereo in volo nel Mediterraneo. Ha chiamato poi il Comando Generale per la Marina a Bagnoli. E quindi le diverse basi americane, sia dell'Aeronautica che della Marina in Italia: Aviano, Decimomannu, Napoli, Sigonella. L'indomani, 28 giugno 80 sabato, l'Ambasciatore, cioè il capo della legazione in persona, ha formato un gruppo composto da rappresentanti di tutti gli uffici dell'Ambasciata. L'indagine è durata per giorni e ha preso in considerazione anche l'ipotesi di lancio di un missile, aria-aria e superficie- aria. Il gruppo ha avuto rapporti con il 4° ufficio del SIOS; rapporti quotidiani, ed ogni giorno molteplici, quasi ogni ora. Nel corso di questi rapporti da parte italiana s'è chiesto anche di indagare sull'ipotesi dell'abbattimento per missile.

L'intervista si svolse in italiano, lingua che Coe conosce molto bene al punto da parlarla correntemente; durò un'ora. La visita nel circolo, secondo De Angelis, prese circa due ore. In questo nuovo esame il teste ribadisce che i nominativi di Coltelli e Piccioni gli erano stati dati da Coe fuori dell'intervista durante il commento ed egli li aveva trascritti sull'agenda che usava in quell'anno. (v. esame De Angelis Massimo, GI 23.10.92).

A distanza di pochi giorni De Angelis ha rinvenuto l'agenda del 91 e così s'è potuto constatare - acquisendo altresì agli atti la copia di quella pagina - che sotto il giorno 30 ottobre, in corrispondenza del tempo in cui il giornalista si trovava negli Stati Uniti per l'intervista in questione, sono riportati, oltre il nome di Dick Coe e Mckinney - che è la città di residenza di quest'ultimo, ove s'è svolta l'intervista - i nomi dei capitani Adriano Piccioni e Claudio Coltelli e quindi per la Navy William Mc Bride e per i Marines William Mac Donnell (v. esame De Angelis Massimo, GI 18.11.92 e documenti allegati).

Piccioni e Coltelli indicati da Gatti e da De Angelis, negheranno ogni rapporto per Ustica con gli Americani, come si vedrà in seguito. Diverso l'atteggiamento dell'ufficiale americano Mc Bride indicato sullo stesso foglio d'agenda (insieme all'ufficiale dei Marines Mac Donnel, non escusso), ma su questo infra.

Coe più volte esaminato, modificherà in alcuni punti la sua versione dei fatti rispetto al testo dell'intervista e rilascerà per telefono dichiarazioni a Piccioni, registrate ed esibite a questo Ufficio, in contrasto con le dichiarazioni di De Angelis. Chiamato quindi a confronto con De Angelis, negli Stati Uniti nel corso della esecuzione di commissione rogatoria, fu impedito a comparire da avverse condizioni meteorologiche. Disposto nuovo confronto con modalità telematiche, stando il teste statunitense a Dallas e quello italiano a Roma, questi ha consentito all'atto, mentre il primo ha rifiutato. Su tutta l'evoluzione del comportamento di Coe si ritornerà, approfondendo, nel prossimo paragrafo.

Qui, a chiusura di quello di De Angelis, giova ripetere che questo testimone ha sempre confermato la sua versione dei fatti; versione peraltro coincidente con quella di Gatti e con quella dello stesso Coe quale appare dal filmato dell'intervista, filmato consegnato dallo stesso De Angelis e in cui risultano sia i tempi morti che le ripetizioni delle scene sbagliate; e confortata dallo scritto sull'agenda. Testimone, il De Angelis, che s'è sempre dimostrato disposto a sostenere il confronto con Coe, comparendo sia a Washington il 10 dicembre 92 nella sede del Dipartimento di Giustizia che a Roma il 22 febbraio 93 nella sede di questo Ufficio. (v. confronto De Angelis-Coe, GI 22.02.93).

Coe escusso una prima volta, già alla prima domanda, quella di semplice conferma del contenuto delle sue dichiarazioni a De Angelis, inizia un uso del modo condizionale che connoterà tutti i suoi esami. Questa è la sua risposta "confermerei quello che ho detto. Non sono sicuro di cosa fu riportato all'ultimo quando venne presentato alla televisione italiana - quale parte fu tagliata e quale mostrata, così... sì, parlai con lui comunque". Quindi sulle modalità del contatto "...in qualche modo ricevemmo una telefonata dal Governo italiano o dalla Marina italiana o dall'Aeronautica italiana e non ricordo chi abbia chiamato l'Ambasciata..." Non ricorda quando fu ricevuta la telefonata; riferisce però che quando l'Ambasciata è chiusa c'è un solo ufficiale "on duty" per tutti gli Addetti militari ed egli quella sera non era "on duty". Afferma, poi che al mattino successivo "chiamammo la NATO da parte dell'Aeronautica attraverso Ramstein. Mc Bride da parte sua, chiamò un assistente (inc.) alla 6ª Flotta". Come si nota anche qui la risposta è data al plurale, mentre appare che ciascun ufficiale chiama la Forza di appartenenza e quindi a rigore egli avrebbe dovuto usare il singolare, come lo ha usato per Mc Bride.

Alla risposta successiva già abbandona il caso specifico e riferisce una sorta di regola generale "quando succede una cosa in genere, noi all'Ambasciata, cioè l'Ambasciatore decide di organizzare un gruppo piccolo - due o tre persone - per lavorare e scoprire cosa è successo...". Quindi inizia la trasformazione delle sue risposte, avviene la metamorfosi del suo discorso in ipotetico "... e questo è ciò che dissi a Massimo - De Angelis nde; - quando mi chiese "cosa facesti con le informazioni?", normalmente se qualcosa come questa fosse stata domandata anche attraverso il Dipartimento di Stato, il Dipartimento di Stato avrebbe formato un gruppo di persone per preparare una relazione in merito all'interno dell'Ambasciata. Normalmente se avesse avuto a che fare con le forze militari, sarebbe stata la sezione degli affari politico-militari a presiedere il gruppo...". Poi continua "normalmente ciò che noi faremmo, se arrivasse una domanda dall'Ambasciata nel suo insieme sarebbe di formare un piccolo gruppo di lavoro...".

Segue un'alternanza tra il modo indicativo e quello condizionale "... ero l'addetto aeronautico aggiunto e parlai con l'Aeronautica degli Stati Uniti". "Normalmente passavamo le informazioni o a colui che era il responsabile del gruppo, che in questo caso penso fosse Steve May...". Alla domanda, precisa. su chi contattò oltre Ramstein, in particolare per avere l'informazione che non c'era in volo nessun aeroplano dell'USAF, risponde "normalmente avrei chiamato Ramstein" e dopo aver preso tempo "non posso dirvi con esattezza chi chiamai" e così di seguito. Alla domanda su quando fu costituito il gruppo, dapprima la risposta netta, poi la "sfumatura": "il giorno dopo. Penso fosse il giorno dopo". Alla domanda su quanto durò il lavoro di questo gruppo dapprima una risposta incerta, poi in via ipotetica la riduzione al minimo "non ho nessun appunto che mi dica per quanto tempo andò avanti. Penserei per uno o due giorni fino a quando non avemmo una risposta completa, e poi se ci avessero fatto ulteriori domande, noi saremmo tornati a riunirci nuovamente".

Ammesso che il gruppo s'è costituito in conseguenza di una richiesta proveniente dalle Autorità italiane, non sa dire con esattezza chi formulò la richiesta. Accolla la responsabilità dei contatti a Steve May, ma non sa dire quali fossero i suoi referenti italiani, gli uffici che ponevano le "domande", se cioè fosse il Ministero degli Affari Esteri o quello della Difesa o altro Ente. Alla precisa domanda se vi fosse un rapporto diretto tra l'Attachè aeronautico e l'Aeronautica Militare italiana, Coe tocca una delle punte più alte della sua capacità di eludere risposte similmente precise, al punto tale da provocare la reazione del magistrato statunitense esecutore della commissione rogatoria.

Vale la pena di riportare integralmente l'evoluzione dell'interrogatorio: "Sì, c'erano diversi contatti con loro per scambio di informazioni. Dopo il 1980 chiamavamo meno spesso per ottenere i permessi aerei..." e così via per una decina di righe sulle procedure di atterraggio nel nostro Paese. A domanda specifica sui rapporti per il disastro di Ustica "non posso essere esattamente sicuro, ma penso comunque che normalmente avremmo parlato con una voce sola tramite colui che dirigeva il gruppo, probabilmente Steve May. Noi avremmo risposto a delle domande direttamente attraverso un ufficio solo, l'ufficio di Steve May". A questo punto la reazione del Magistrato statunitense "solo al fine che le cose siano chiare, mi scusi, devo soltanto chiarire qualcosa, perché io continuo a notare che lei usa molto il tempo condizionale "che noi avremmo fatto questo", "sarebbe Steve May". La mia domanda è: in questo caso particolare, ci fu un gruppo? Il capo del gruppo era Steve May e lei inviò comunicazioni attraverso Steve May?; non "quella sarebbe la normale situazione?", ma in questa particolare situazione c'era o non c'era o non ricorda?". La risposta di Coe palesa il suo imbarazzo "non posso darle una risposta esatta ... la risposta è che non glielo posso dire con esattezza".

A contestazione del fatto che a volte il teste continua l'uso dell'indicativo, riportando fatti storicamente accaduti come quando afferma che il gruppo fu costituito e non che sarebbe stato costituito, il Magistrato statunitense puntualizza esclamando "e questo è il problema... e allora io volevo che fosse chiarito". Coe ribadisce più volte di non ricordare, di non ricordare in particolare di aver parlato con qualcuno del Ministero della Difesa italiano, e conclude testualmente affermando "Presumo che ci fu un gruppo di lavoro e che il gruppo di lavoro passò le informazioni a qualcuno del Governo italiano".

Richiesto, in considerazione del fatto che egli fa riferimenti sempre non a situazioni specifiche ma a situazioni generiche, a chi facesse capo normalmente presso l'Aeronautica italiana, menziona "diversi marescialli... penso che il capitano Piccioni stesse là all'epoca. Penso che il capitano Coltelli stesse nell'ufficio all'epoca". Questi erano nel 4° Ufficio, il Foreign Laison Office, di cui però non ricorda il capo. Nega, poi, che sia stata fatta nel gruppo di lavoro l'ipotesi dell'abbattimento a mezzo missile. A contestazione del fatto che egli aveva riferito al giornalista italiano che era stato compiuto, su disposizione dell'Ambasciatore, un check dei missili, risponde che la domanda dell'intervistatore era stata formulata in via ipotetica "se fosse stato chiesto, sareste andati direttamente a controllare se vi fossero missili dispersi?". A domanda di tal sorta eguale risposta.

Anche il lavoro del gruppo viene smentito. Non più un vero e proprio lavoro di gruppo, bensì lavoro normale nel senso che ciascuno faceva il lavoro normale nel proprio ufficio e rispondeva a qualsiasi domanda di colui che era il responsabile del gruppo. A specifica domanda sui nastri radar della Saratoga, afferma che non ne ha nemmeno sentito parlare. Egli si è interessato soltanto degli aerei dell'Aeronautica e qui ammette di aver chiamato le basi dell'USAF. Dei risultati delle ricerche dell'Addetto per la Marina asserisce non si discusse nel team. Sul MiG23 lo stesso atteggiamento di cui prima "... se qualcuno avesse accennato...avremmo discusso...".

Ammette di aver parlato con altri addetti europei e di aver ricevuto anche da loro risposte totalmente negative, e cioè che nessun aereo delle proprie aeronautiche era in volo quella sera. A domanda se queste ricerche concernessero particolari tipi di aereo, come quelli armati, risponde che furono condotte senza specificazioni, comprendendo cioè non solo caccia armati ma anche aerei da carico e da trasporto, e che la risposta fu negativa per tutti i tipi.

Quanto alle modalità dei rapporti sia con l'Aeronautica italiana che con altri enti statunitensi, afferma che furono tutti orali, nel senso che non vide mai alcuno scritto e che richieste e risposte furono fatte attraverso telefono. Per queste ragioni non gli consta l'esistenza di documentazione del gruppo.

A contestazione dell'anomalia della richiesta in sé e cioè una richiesta dell'Aeronautica Militare Italiana all'Ambasciata degli Stati Uniti, non sa dare una risposta e si trincera entro l'ambito dell'attività da lui svolta.

Contestatogli il testo dell'intervista - attraverso la visione della relativa video-cassetta - ammette che quelle registrate sono le sue risposte. Ma abilmente specifica: queste sono le risposte date da un certo momento in poi. All'inizio dell'intervista davo, asserisce, risposte eguali a quelle di oggi. Il giornalista però mi chiese di dare risposte più "definitive" - il teste usa il termine inglese "definitive" - e così ho dato le risposte che risultano nella registrazione... dopo aver fatto l'intervista ho scoperto quello che succedeva in Italia e ho recuperato degli appunti".

Questo è il succo di questa sorta di discolpa. Gli appunti però non sono stati mai mostrati, nè si sa cosa esattamente contenessero. L'unica parte credibile di queste dichiarazioni è quella che concerne la percezione delle conseguenze "italiane" della trasmissione. Subito dopo si confonde e dà risposte "definitive" su alcuni temi come quello della costituzione del gruppo e quello della estensione dell'indagine sulla eventualità di un missile. Su quest'ultimo argomento mentre prima aveva risposto di non aver mai sentito ipotesi di abbattimento a mezzo missile, qui risponde "penso di sì, sì".

Asserisce poi che l'intervista durò cinque ore, e alla domanda se si rendesse conto che dava risposte con significato preciso, risponde che se ne rendeva conto. Alla domanda conseguente, cioè se si comportasse così solo per compiacere l'intervistatore, dà una risposta altrettanto strana, che vale la pena riportare per intero: "in parte sì, cerchi di capire che per lei questa investigazione importante va avanti da molto tempo. Per me, quando il sig. De Angelis mi ha contattato non sapevo che un'indagine di questa portata si svolgesse in Italia. La mia partecipazione all'intervista era solamente per fare un favore al sig. Gatti...". Conseguente l'amara constatazione del Pubblico Ministero "il problema è che quello che lei dice nell'intervista è più corrispondente a quello che risulta a noi rispetto a quello che ci ha detto oggi".

Il teste continua con una serie di risposte ripetitive e in cui a volte è difficile rintracciare il filo del discorso. A proposito della domanda specifica (di De Angelis) se fossero stati presi in considerazione tutti gli altri aerei, commenta, all'esame testimoniale "c'erano Intelligence Aircrafts (aerei che registrano voci e segnali) che volavano su e giù per il Mediterraneo e i libici ne erano consapevoli. I libici pensavano che stavano per intercettare quell'aereo ed invece si trattava di un aereo civile. Di nuovo non sono in grado di dire quando ciò avvenne, posso sbagliarmi per quanto riguarda ciò che è successo, potrebbe essere prima o dopo l'incidente. Ma il Military degli Stati Uniti e dell'Italia si erano preoccupati per una possibile intercettazione da parte dei libici nella zona. C'è stato un tentativo di intercettazione. C'era il tentativo di intercettare ed era finito con l'intercettazione di un aereo civile. Non so esattamente quando è successo. Tentativo di intercettazione vuol dire che non si sono affiancati all'aereo per identificarlo, non si sono avvicinati abbastanza per poter agire... . Una intercettazione potrebbe essere di due tipi - di poter identificare l'aereo e di accompagnarlo fuori dal proprio spazio aereo, o di distruggerlo. In quel periodo i libici avevano aumentato il proprio spazio aereo; ma non mi ricordo della distanza precisa, ma l'avevano aumentato di parecchio nel Mediterraneo fino al punto di tagliare alcune rotte alle compagnie aeree... Non sono in grado di dare informazioni precise (sulla nazionalità e sul luogo in cui avvenne il tentativo d'intercettazione; nde)... (l'aereo civile; nde) ha continuato la sua rotta. Non sono in grado di dire se (aerei del tipo sopra specificato; nde.) c'erano o se non c'erano in quel momento, le rotte costituivano materia molto classificata... Non avevo accesso ad esse (alle rotte classificate; nde) ma non perché erano classificate per me, soltanto non avevo bisogno di sapere queste cose".

Di fronte a queste risposte si può solo dire che un teste di tal fatta, se fosse stato animato da reale volontà di collaborare all'inchiesta, avrebbe potuto apportare contributi eccezionali. Ma egli mostra invece confusione ed ingenera confusione. E' sufficiente riportare la sua risposta al quesito su come fosse entrato in possesso delle informazioni sulle tracce dei radar italiani. Egli afferma "Da Claudio Gatti. E ora ho ricevuto informazione che non è vero; apparentemente qualcuno ha un tracciato radar che io non ho mai visto". Ricorda infine di aver seguito la vicenda dei "C130 libici in lavorazione" presso le Officine Aeronavali di Venezia, ove s'era recato di persona. Ma su questo punto in altro capitolo. (v. esame Coe Richard, GI Washington, 10.03.92).

Esaminato nuovamente l'indomani, alla domanda se avesse avuto dopo l'intervista rilasciata a De Angelis, contatti con personaggi dell'Aeronautica italiana, risponde di aver ricevuto - ma non precisa quando - una chiamata proprio da De Angelis con la quale questi gli comunicava che i generali Tascio, Bartolucci, Pisano ed altri, così come i colonnelli Piccioni e Coltelli ed altri ufficiali inferiori erano stati messi sotto processo da questo Ufficio. Per questa ragione aveva tentato di mettersi in collegamento con il Ministero della Difesa-Aeronautica, ma con esito negativo. Stesso esito nel tentativo verso l'Ambasciata USA, nella persona di tal signora Mancini, negli uffici degli Addetti. Aveva chiamato infine casa Piccioni, ma il colloquio sia con l'indiziato che con sua moglie, era stato freddo. Con il primo poche battute sul processo: se fosse vero quello che si diceva, che probabilmente si sarebbero incontrati negli Stati Uniti, infine espressioni di dispiacere per la sua posizione. Con la moglie solo convenevoli di circostanza.

Questa telefonata ovviamente deve collocarsi dopo la emissione delle comunicazioni giudiziarie, che è del 30 dicembre 91, ovvero dopo la diffusione delle richieste del PM ad opera del GR1, che è del 18 gennaio 92 - il 23 immediatamente successivo Piccioni viene convocato per l'interrogatorio - e prima dell'esame di Coe, che è dell'11 marzo 92.

Dopo la conversazione con i coniugi Piccioni, Coe, riferisce, non ha più chiamato nessuno. Ha letto però sulla stampa italiana una notizia che non è riuscito a spiegare bene, e cioè una sorta di rinvio dell'attività a dopo le elezioni dell'aprile 92. Ricorda infine una telefonata di Gatti in cui costui gli chiedeva del MiG23, e tale telefonata dovrebbe essere avvenuta nella seconda o terza settimana di febbraio (esame Coe Richard, GI Washington 11.03.92).

Un'altra telefonata che coinvolge Piccioni avverrà il 23 settembre 92, l'indomani dell'interrogatorio di Piccioni - quello svoltosi il 22 settembre - a seguito della risoluzione della questione, sollevata nel primo, di difetto di giurisdizione di questo Ufficio e conseguente nullità di ogni atto.

Il testo di questa telefonata è stato depositato il 2 ottobre 92 dal difensore di Piccioni. Secondo quanto si legge nella produzione difensiva la comunicazione sarebbe avvenuta alle ore 01.10 a.m. (ovviamente ora italiana) del 23 settembre, e quindi alle 06.10 p.m. del giorno precedente per Dallas, Texas.

In essa Piccioni esordisce dicendo a Coe "... guarda che io ti ho telefonato perché stamattina, che oggi è il 22 se non sbaglio, sono andato dal giudice Priore che mi ha convocato e gli ho detto che tu mi avevi detto di aver rilasciato un'intervista ad un tale Gatti, non mi ricordo se dell'Europeo o dell'Espresso e ad un'altra persona; che l'int... quello che tu avevi detto era stato distorto, quasi manipolato... che nel corso dell'intervista non hai mai detto di aver parlato... che noi abbiamo parlato del problema Ustica; quindi io ho confermato che tra me e te, durante quel periodo, noi non abbiamo mai parlato del problema Ustica. Nè in avanti nè indietro. ... Ecco! E questo tu me lo confermi?". A questa domanda finale Coe risponde "Questa è la verità e la confermo".

Alle altre, quelle precedenti, aveva risposto in coincidenza con le sospensioni del discorso di Piccioni già con quattro "sì". Subito dopo il "confermo" di Coe, Piccioni esclama "oh! meno male. Perché qui si sta scatenando l'ira di Dio, si sta scatenando. Comunque questa è una cosa. Io non so come ringraziarti...".

Piccioni gli dice poi un'altra frase di rilievo "tu lo sai che noi siamo stati cortocircuitati" ed anche a questa Coe dà una risposta affermativa "sì, è esatto, io ho parlato con quelli dell'altro ufficio". Seguono richieste di conferme e conseguenti assicurazioni. Piccioni "... senti eventualmente tu quello che mi hai detto adesso saresti disposto a scriverlo?" - Coe: "sì" - Piccioni "perfetto!" - Coe "se è necessario scrivo quello che vuoi" - Piccioni "perfetto!" - Coe "e se devo venire a Roma..." - Piccioni "... preferisci che ti scriva o che ti telefoni?" - Coe "non importa nulla per me è uguale".

Questa telefonata - predisposta e concertata, come chiarissimamente emerge dalla registrazione, per la consapevolezza di essa da parte di Coe (lo riferirà nell'esame del 22 febbraio 93), per il contenuto e per le modalità sia delle domande che delle risposte - come il tenore di tutte le deposizioni di Coe, hanno imposto un nuovo esame dell'ex ufficiale americano, avvenuto come detto nel febbraio del 93.

In questo atto Coe non chiarifica assolutamente la sue contraddittorie risposte ai precedenti esami, anzi per più versi accresce le difformità tra le posizioni assunte nel tempo e si oppone a ogni progresso della ricerca della verità.

In primo luogo riconosce le differenze tra le risposte dell'intervista a De Angelis dell'ottobre 91 e l'esame in rogatoria del marzo 92. Né vale dire a giustificazione come egli fa, che dinanzi all'Ufficio egli era sotto giuramento, così come non vale che egli possa usare il modo della certezza o quello ipotetico a seconda dell'interrogante o degli inviti che costui gli rivolge, come egli fa nel prosieguo della risposta. A quella successiva ribadisce che s'era indotto ad usare gli indicativi perché De Angelis lo aveva invitato ad essere più definitivo. Non sa dire se le prime risposte, quelle al condizionale, furono registrate, perché non è in possesso della registrazione - ma De Angelis ha depositato l'intera ripresa ed in essa non si ravvisano assolutamente risposte al condizionale nè ripensamenti nè inviti in tal senso. Anche sulla durata dell'intervista v'è contraddizione, giacchè egli insiste che durò quattro ore, contrariamente a quanto affermato - lo si è già detto - da De Angelis. E questo sarebbe stato un altro punto su cui il confronto avrebbe potuto essere d'utilità nella risoluzione dei contrasti nelle versioni, ma Coe non ha voluto, lo si ripete, sostenerlo.

Sulla telefonata con Piccioni del settembre 92, dichiara che era consapevole della registrazione, ma quasi mettendo le mani avanti per evitare le trappole che egli presume possano essergli tese, dichiara "la conversazione durò più della registrazione".

Sulla "cortocircuitazione" non è chiaro: ma dall'insieme del testo potrebbe desumersi che il passaggio dell'informazione era accentrato dal livello politico militare. Deduzione che potrebbe essere comprovata dalla risposta che egli dà a proposito dell'altro ufficio, con il quale, esso Coe, avrebbe parlato durante le ricerche per l'evento in questione. Al contrario di quella che poteva apparire l'interpretazione più ovvia, e cioè che altro ufficio fosse un ufficio dell'Aeronautica Militare italiana, egli sostiene che l'altro ufficio era l'ufficio politico - militare dell'Ambasciata americana.

E così si persiste nel giudizio già dato su questo testimone. Coe avrebbe potuto essere un teste chiave dell'inchiesta. Era stato avvisato sin dalle prime ore delle richieste dell'Aeronautica Militare Italiana; era stato inserito nel working-group costituito dall'Ambasciatore statunitense; aveva compiuto numerosi atti di ricerca presso l'Aeronautica degli Stati Uniti; aveva tenuto i rapporti quotidiani con gli uffici dell'AM. Avrebbe potuto rendere un gran servigio ed invece ha reso dichiarazioni contraddittorie, inattendibili, quasi tormentate.

Probabilmente permane tuttora nella società anglosassone una consuetudine di sincerità nelle deposizioni testimoniali, ma tale propensione è stata di certo contrastata da sentimenti di solidarietà che sussistono negli ufficiali di un'alleanza militare pluridecennale, come forse anche inquinata da interventi e colloqui con ambienti italiani. Ne è derivato quell'insieme di asserzioni contorte, ingarbugliate, palesemente inattendibili; tanto più inattendibili se poste a confronto con le risposte secche, decise, date a De Angelis, sulle quali v'è addirittura la ripresa filmata che non mostra mai dubbi, perplessità, sfumature al condizionale. Versione questa confermata dalla narrazione di Gatti e dall'intero contesto delle altre circostanze sulle vicende del working-group.

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