7. Boe acustiche recuperate nell'area di caduta del DC9.

Le campagne di ricerca e recupero dei rottami del velivolo - a prescindere da critiche e polemiche sollevate soprattutto in ordine all'affidabilità delle imprese commissionarie (basti ricordare le supposizioni apparse anche sulla stampa sull'inaffidabilità della società francese Ifremer che ha condotto la prima campagna di recupero, quella del 1987/88) - si sono poi rivelate efficaci e decisive, non solo per la più completa ed organica ricostruzione del relitto del DC9 Itavia sul quale si sono concentrati i diversi collegi peritali, ma anche in relazione al "ripescaggio" di reperti assolutamente non attribuibili a quell'aeromobile e rinvenuti nella zona del disastro ed in quelle adiacenti.

L'interrogativo connesso al recupero degli oggetti dai fondali è evidente: alcuni di questi, come già ufficiosamente affrontato dall'Aeronautica Militare in relazione ai sopralluoghi svolti da personale dello SMA presso l'aeroporto di Boccadifalco ove erano stati concentrati i primi reperti, potevano essere riconducibili a parti di aerei o imbarcazioni o comunque strumentazioni militari delle forze aeronavali degli USA.

Infatti occorre rilevare che in ordine agli oggetti recuperati un primo dato importante era già emerso nei giorni immediatamente successivi al 27 giugno del 1980: più reperti indicavano, pur se in modo incerto, la presenza di altri velivoli militari tanto che negli ambienti dell'Aeronautica, contrariamente a quanto da essa sostenuto, si ventilava l'ipotesi del coinvolgimento di altre forze aeree.

Vale a tal proposito accennare alla missione congiunta svolta, in data 4 luglio 80, dal tenente colonnello Argiolas e dal colonnello Bomprezzi, rispettivamente del 3° e 2° Reparto SMA, presso l'aeroporto di Boccadifalco. Sul punto Bomprezzi riferiva che il collega Argiolas aveva riconosciuto, tra l'altro, "una radio-sonda meteorologica che non aveva nulla a che fare con il velivolo precipitato". Circostanza quest'ultima ricordata anche dal maresciallo Zecchini, il sottufficiale dei CC incaricato di accompagnare i due ufficiali nel corso della ricognizione presso l'hangar di Boccadifalco (v. esami Bomprezzi Bruno, GI 11.03.91 e Zecchini Cesare, GI 11.03.91).

Rispetto a quanto dichiarato dal Bomprezzi in ordine alle operazioni svolte nel corso di quella missione del 4 luglio, questo Ufficio, nell'ottobre del 91, ha acquisito dal 2° Reparto/SIOS elementi documentali particolarmente significativi che confermano il grado di attenzione da parte dello Stato Maggiore dell'epoca. Si apprendeva così che il 2° Reparto, con nota riservata del 9 agosto 80 diretta oltre che al Gabinetto della Difesa al S.I.S.MI, trasmetteva un appunto informativo ove si riferiva l'esito di quella missione svolta a Boccadifalco. In particolare, al punto 2.c. di detto appunto si riporta un elenco del materiale "non facente parte sicuramente del velivolo"; vi appaiono, tra le altre, le descrizioni di "un contenitore in materiale plastico", di "una sonda meteorologica con antenna ad ombrello" e di "due contenitori tubolari in materiale fibroso per boe sonore".

Certamente quegli stessi reperti furono visionati dalla Commissione Luzzatti, che testualmente riferiva: "per quanto concerne gli oggetti recuperati immediatamente dopo l'incidente di Ustica, ricordo che essi furono visionati da alcuni membri della mia Commissione". In particolare Luzzatti confermava che vi erano "degli oggetti che provenivano dall'azione di ricerca in mare nella zona di caduta dell'aereo e che non appartenevano al velivolo". Per sua stessa ammissione, gli oggetti non appartenenti all'aereo non furono presi in considerazione dalla Commissione, tant'è che infatti non vennero menzionati dalla Relazione finale, né nelle analisi allegate (v. esame Luzzatti Carlo, GI 24.05.91).

Lo stesso Blasi, che presiedette l'omonima Commissione disposta da questo Ufficio nel novembre dell'84, ha ricordato che tra i diversi reperti, trasferiti all'aeroporto militare di Capodichino, vi erano dei contenitori tubolari, in particolare uno ottagonale ed un altro cilindrico.

L'attività svolta dalle campagne di recupero, che lo si ricorda, si sono svolte nei bienni 1987/88 e 1991/92, si è rivelata prolifica nel riportare alla luce dalle profondità marine una discreta quantità di oggetti, in particolare, altre parti del DC9, per una quantità pari all'85% della sua superficie bagnata, nuovi "cilindri", simili a quelli recuperati nell'immediatezza.

Proprio con riguardo a questo tipo di oggetti rinvenuti nel corso della campagna di recupero dell'Ifremer (1987/88), questo Ufficio convocava alcuni tecnici della Tecnospamec, società che era stata interessata alla parte più propriamente operativa, al fine di acquisire ulteriori elementi informativi in ordine a tali oggetti così come raffigurati da alcune fotografie tratte dai relativi rilievi eseguiti il 29.08.90 presso l'Aeroporto Militare di Capodichino, all'interno della baracca nr.124.

Bottiani Antonio, dopo aver preso visione della fotografia nr.3, riferiva che l'oggetto avrebbe potuto essere "una boa idrofonica del tipo impiegato in operazioni antisommergibile dagli aerei del pattugliamento marittimo (per esempio Breguet Atlantic della MM)", escludendo che potesse trattarsi di un trasponder simile a quelli utilizzati durante la campagna di ricerca dell'Ifremer e precisando, tra l'altro, che questo tipo di boe è in genere di tipo americano (v. esame testimoniale Bottiani Antonio, GI 28.09.90).

Sul punto la testimonianza resa da Lovaglio Galileo era più diretta: in particolare, ha ricordato di aver rinvenuto "due cilindri lunghi sui 70-80 cm e di circa 15cm di diametro. Erano di colore arancione. C'erano delle corde e un brandello di stoffa. Pensammo con i francesi che si trattasse di oggetti militari per la caccia antisom, lanciati da aerei. Pensammo anche che si trattasse di quelli che in genere vengono lanciati dagli Atlantic - Breguet. Ne prendemmo uno solo; l'altro fu lasciato sul fondo" (v. esame Lovaglio Galileo, GI 20.12.90).

In occasione della seconda campagna di recupero fu riportato alla luce un certo numero di oggetti di forma oblunga, di tipo cilindrico, sui quali veniva disposta una serie di accertamenti. In tale ambito appare illuminante il contributo offerto dal capitano di corvetta Piero Chiossi, in servizio presso lo Stato Maggiore della Marina, per l'identificazione dei reperti. Già nel corso di una visita svolta il 5.08.91 presso l'hangar Buttler di Pratica di Mare, Chiossi prendeva visione dei reperti, unitamente a nr.27 fotografie, dichiarando che trattavasi di carichette da segnalazione subacquea, di produzione USA, utilizzate non solo da queste stesse forze armate ma anche da quelle olandesi. Redigeva altresì un primo promemoria, datato 5.08.91, nel quale si illustravano l'utilizzazione e le modalità di impiego nonché le caratteristiche di tali carichette.

In particolare, le carichette venivano impiegate da mezzi navali ed aeromobili sia per segnalazioni subacquee con i sommergibili, sia come sorgente sonora per la localizzazione di sommergibili. Quali mezzi di segnalazione da parte di navi ed aeromobili, venivano utilizzate in alternativa ai sistemi principali (telefono subacqueo, sonar) valutati inefficaci. Invece quali mezzi di localizzazione da parte di aeromobili venivano impiegate unitamente a boe acustiche passive in grado di ricevere i segnali corrispondenti all'onda acustica prodotta dall'esplosione subacquea. Lo scritto precisava che comunque l'utilizzo di queste carichette da parte di unità sommergibili venne scomparendo dalla fine degli anni 70 e gradualmente superato dall'introduzione, a partire dall'inizio degli anni 80, di apparecchiature più avanzate di tipo elettroacustico. Secondo quanto noto allo stesso Chiossi, le boe individuate nel corso dell'esame dei reperti - le SUS MK 64 MOD 0 e le F/SUS MK 64 - "risultano in servizio solo presso la US Navy". Il 7 luglio 92, Chiossi svolgeva un altro sopralluogo a Pratica di Mare tenuto conto che si era disposta l'esibizione al teste "di tutti i reperti consistenti in boe sonore, carichette esplosive, S.U.S. e similari recuperati nelle ultime operazioni del maggio-giugno 92". Anche in questo caso, Chiossi illustrò dettagliatamente i reperti ed indicò le loro caratteristiche (v. promemoria dell'11.08.92). In particolare, venivano individuate quattro boe acustiche passive (del tipo AN/SSQ 41/A e AN/SSQ 23/A, omnidirezionali, impiegate dagli aeromobili per la scoperta dei sommergibili attraverso segnali acustici ricevuti dalle stesse); e ne venivano identificati i costruttori, cioè la ditta americana "Sparton" e quella canadese "Hermes". Altri reperti venivano identificati quali componenti e contenitori per il trasporto di boe sonore nonché carichette da segnalazione, queste ultime già individuate nel precedente promemoria.

Il 7 luglio 92 analogo sopralluogo veniva svolto da esperti appartenenti alla Marina Militare italiana, il cui Stato Maggiore con relazione del 16 successivo riferiva l'esito dello studio effettuato su reperti diversi da quelli su cui aveva riferito Chiossi. In sintesi, risultava trattarsi di boe sonore di costruzione sovietica utilizzate da velivoli, anch'essi di fabbricazione sovietica, per lo svolgimento di attività addestrative in alcune aree del Mediterraneo: Golfo di Hammamet, Canale di Sicilia, Sud di Malta, Sud di Creta e basso Tirreno.

In relazione alle boe sonore, lo stesso Stato Maggiore della Marina già si era espresso con nota del 5 maggio 92 diretta allo Stato Maggiore della Difesa: in particolare veniva segnalato che la ditta "Hermes LTD" era la produttrice di varie tipologie di boe che utilizzano una certa gamma di frequenze (normalmente sono frequenze standard NATO, comuni a tutti i tipi di boe, suddivisi in 31 canali che coprono la banda da 162,250 a 173,125MHZ con Step di 0,725; pertanto la frequenza indicata nel riferimento deve intendersi pari a 167,500MHZ, corrisponde cioè al canale 8 e non a 167,5MHZ.T.) ed impiegate dagli aerei pattugliatori marittimi delle FF.AA. dei Paesi appartenenti alla NATO per la lotta antisommergibili.

La Marina Militare italiana tra tali tipi di boe aveva in dotazione, a partire dal dicembre 1979, boe del solo tipo AN/SSQ 36. Detto modello non ha la capacità di effettuare la localizzazione, ma è solo impiegabile per rilevare la temperatura dell'acqua di mare in funzione della quota e di trasmettere i relativi dati ad un aereo del pattugliamento marittimo su uno dei canali radio sopraccennati.

Ma, come già in precedenza accennato, l'acquisizione dell'ottobre del 91 presso il 2° Reparto/SIOS svelava situazioni meritevoli di maggior approfondimento che andavano verificate anche alla luce dei recuperi svolti nelle ultime campagne di ricerca (soprattutto per il malcelato interesse dell'Aeronautica su quei reperti che fin dall'inizio non erano certamente attribuibili al DC9 Itavia).

Quindi su una parte di quelle stesse foto (nr.12), relative ad oggetti recuperati nelle ore immediatamente successive alla caduta del DC9, scattate in occasione del sopralluogo del 4 luglio 80 a Boccadifalco (il cui esito verrà reso noto al S.I.S.MI con lettera dello SMA/SIOS del 9 agosto successivo), nel febbraio del 92 vengono richiesti accertamenti all'Interpol sull'origine e sulla provenienza del materiale ritratto in quelle foto.

L'esito di una missione svolta dall'Interpol negli USA (gli stessi funzionari recatisi presso la sede della Mc Donnell-Douglas a Los Angeles e presso il Comando Generale della U.S. Coast Guard a Washington - v. rapporto del 21.11.92), appariva immediatamente interessante: in particolare, Allan R. Cronk, ingegnere capo aerodinamico della Douglas, dopo un accurata visione delle 12 fotografie esibite dal funzionario, "dichiarava di non essere in grado di identificare gli oggetti raffigurati nelle fotografie ma, nello stesso tempo, escludeva che potessero far parte delle dotazioni interne dell'aeromobile fornite al momento della vendita".

Il Comando della Coast Guard riferiva sulle fotografie contraddistinte dai nr.5,6,7 e 8 che esse rappresentavano una boa acustica di localizzazione subacquea di tipo militare, boe che venivano normalmente lanciate da un elicottero o da un altro velivolo al fine di segnalare un determinato punto nell'acqua. E' un tipo di boa che può essere utilizzato nelle operazioni di soccorso, ad esempio per indicare la zona in cui è affondata una nave, oppure nel corso di operazioni militari. Il galleggiante raffigurato nelle foto era stato prodotto dalla "Hermes Electronics LTD", in Canada. Per quanto concerneva inoltre l'oggetto raffigurato nella fotografia nr.22 veniva rappresentato che non si era stati in grado di identificarlo, anche se M. Hyde della Sezione Sistemi di Soccorso ed Emergenza, ufficio servizi, Divisione Ricerche e Soccorso, riteneva potesse trattarsi di una parte del sedile di pilotaggio, probabilmente provvisto di paracadute, appartenente ad un velivolo militare.

Questo Ufficio, preso atto delle risultanze emerse nel corso degli accertamenti comunicati dall'Interpol, dava ulteriore incarico di svolgere ogni utile indagine presso la sede della "Hermes Electronics LTD", in Canada produttrice della boa acustica di localizzazione subacquea di tipo militare di cui è cenno nel precedente rapporto.

L'esito degli accertamenti svolti, comunicato a questo Ufficio con rapporto del 28.05.92, comprendeva le ricerche eseguite presso gli archivi dell'impresa canadese: in particolare, attraverso le informazioni già rese disponibili e previo esame delle fotografie esibite dall'Interpol, i responsabili della Hermes Electronics rappresentavano che le boe raffigurate nelle foto si riferivano ad una fornitura di boe sonore tipo "AN/SSQ 41A" alla Marina degli Stati Uniti dalla società "Magnavox Electronic System CO." Fort Waine, Indiana.

La società canadese aveva inoltre fornito ulteriori elementi informativi in ordine agli oggetti raffigurati nelle fotografie nr.5,6,7 e 8: sostanzialmente si trattava di contenitori per boe sonore.

Per quanto concerne infine le altre fotografie a colori esibite nel corso degli incontri con i responsabili della società canadese, era stato accertato che l'indicazione "AN/SSQ-23A" rappresentava il codice di fabbricazione della ditta "Sparton Electronics", con sede in Florida.

Riguardo a queste ultime notizie, questo Ufficio riteneva però necessario svolgere una verifica diretta presso le società segnalate dalla Hermes, e più precisamente: la "Magnavox Government and Industrial Electronics Company" e la "Sparton Corporation"; le quali entrambe confermavano di aver effettuato forniture negli anni 62 e 72 alla Marina Militare degli Stati Uniti d'America, specificando però di non possedere ulteriori elementi contributivi per le indagini in corso.

Dietro