6. Il serbatoio eiettabile rinvenuto nel maggio 92,
in zona D.

Nel mese di maggio 92, com'è noto, nel corso della campagna di ricerche e recuperi sottomarini del relitto del DC9 Itavia, precisamente il giorno 10, veniva avvistato nella zona D un serbatoio eiettabile supplementare per carburante o "droppable tank", recuperato a partire dal 18 successivo. Il serbatoio presentava i seguenti dati identificativi: "Pastushin Industries inc. pressurized 300 gal fuel tank installation diagram plate 225-48008 plate 2662835".

Considerati questi elementi, già quel maggio 92 questo Ufficio inviava lettere rogatorie alla competente autorità degli Stati Uniti; e quindi direttamente una missione Interpol in USA nel seguente luglio. Le numerose rogatorie, inviate sino al 3.01.94, avevano di mira l'accertamento della ditta costruttrice, dell'ente acquirente, e della occasione in cui quel serbatoio era stato eiettato; ed inoltre l'acquisizione della documentazione sui tests eseguiti su quel tipo di serbatoio, per caduta in terra ed in mare nonché per simulazione di altri danni. In particolare veniva richiesta la trasmissione di dati sulle modalità di sganciamento dal corpo del velivolo, sulle traiettorie compiute dal serbatoio dopo lo sganciamento, sia pieno che vuoto, sugli effetti sul serbatoio a seconda dei differenti tipi di impatto su terra e su acqua, pieno o vuoto.

Nell'agosto 92 perveniva una prima risposta negativa dal Dipartimento della Giustizia degli Stati Uniti, del seguente tenore: "con il passare di tanto tempo non esiste più alcuna documentazione che ci consenta di fornire le informazioni richieste". La nota proseguiva precisando che qualora il serbatoio fosse stato, all'epoca della sua eiezione, di proprietà della Marina statunitense, la stessa Marina non avrebbe avuto più alcuna documentazione indicativa del tempo e delle circostanze in cui esso era stato eliminato od eiettato. Successivamente a seguito di reiterate richieste, dal Dipartimento della Difesa USA giungeva nell'aprile 93 una risposta positiva contenente elementi informativi sul serbatoio, ma già nel luglio 92, questo Ufficio disponeva di informazioni di dettaglio su quell'oggetto, ad opera dell'Interpol (v. rapporto 28.07.92, accertamenti espletati negli Stati Uniti, richiesta GI 06.06.92). In effetti ad Huntington, località californiana nei pressi di Los Angeles, nella sede della "P.AV.CO. Industries Inc." i funzionari delegati in apposita riunione avevano sottoposto agli esperti della società le foto del serbatoio ed il vice presidente Victor F. Pastushin aveva confermato che il serbatoio esterno per carburante tipo Aero D da 300 galloni, nr. di serie 272-48000, era stato prodotto dalla società per la Marina americana; la Pastushin Aviation Company aveva fornito quei serbatoi alla U.S. Navy dal 1950 al 1963. Anche sulle modalità di collaudo di quel genere di serbatoi la Pastushin dava dettagliate indicazioni sulle varie ipotesi di caduta e in ordine alla tenuta del telaio in collaudi di pressione, tiratura, ed altri - caduta di serbatoio vuoto in mare, pieno di carburante in mare, vuoto su terraferma, pieno su terraferma. Specificatamente quella società affermava che, per quanto concerneva i collaudi di caduta di serbatoio vuoto e pieno in mare, tali prove avevano accertato che il contenitore normalmente rimaneva intatto salvo leggere ammaccature, mentre i collaudi di caduta del serbatoio vuoto su terraferma avevano appurato che il contenitore presentava ingenti ammaccature ma nella maggioranza dei casi rimaneva intatto, mentre i collaudi di caduta del serbatoio pieno su terraferma avevano acclarato che in alcuni casi il telaio del serbatoio aveva ceduto. I collaudi di tenuta o resistenza invece avevano accertato che non si erano mai verificati inconvenienti. Sempre in quella riunione il vice presidente della P.AV.CO. aveva tenuto a precisare che "le condizioni del serbatoio raffigurato nelle foto erano verosimilmente dovute ad un impatto avvenuto precedentemente alla caduta in mare" (v. rapporto Interpol, 20.07.92).

Nell'aprile dell'anno seguente la Difesa americana, come si è detto, confermava gli stessi elementi informativi già acquisiti e cioè che si trattava di un Aero-1D da 300 galloni, cioè un comune serbatoio di carburante sganciabile, aggiungendo queste ulteriori specifiche: "fabbricato per la prima volta nei primi anni 60, ed utilizzato sugli aerei A-4, S-3A, A-7, A-6, EA-6 e F/A-18, l'ultimo dei quali non era in servizio al momento dell'incidente di Ustica. Altre nazioni, oltre agli Stati Uniti, usano questi aerei che possono montare anche l'Aero-1". La società P.AV.CO. era stata uno dei cinque fornitori di circa 100.000 serbatoi sganciabili Aero-1 alla Marina degli Stati Uniti. "Attualmente risultano ancora in funzione circa 2.790 serbatoi del genere nell'inventario della Marina. A giudicare dalla apparente configurazione della struttura alettata di sganciamento, questo serbatoio può essere stato usato su un aereo A-6, EA-6 o S-3A. L'A-6, conosciuto come "Intruder", è un aereo di attacco di superficie e propriamente non ha missili aria-aria. L'EA-6 è una versione per la guerra elettronica dello stesso aereo, e non monta missili aria-aria. L'S-3A, conosciuto come "Viking", è un aereo da ricerca e non è armato". Nonostante queste informazioni pertinenti la costruzione, la fornitura e l'uso di serbatoi del genere - anche se non vengono fornite notizie su eventuali collaudi -, le Autorità americane danno una risposta evasiva sull'effettivo impiego dello specifico serbatoio, poiché affermano che tali serbatoi non sono soggetti ad un "controllo di inventario così rigoroso e quindi non sono identificabili da numeri di serie. I serbatoi vengono utilizzati in maniera intercambiabile, ed ogni singolo serbatoio non rappresenta un particolare interesse, e non comparirebbe normalmente in un archivio che fosse ancora disponibile". Sul punto determinante l'autorità americana si chiude, deludendo le aspettative dell'inchiesta; infatti da questa risposta deriva l'impossibilità di determinare l'esatto tipo di aereo, la data della eiezione e le sue circostanze; addirittura non si può sapere se il serbatoio provenga da un aereo statunitense.

Infine, dopo ulteriori richieste, nel dicembre 93 il Dipartimento della Giustizia USA confermava soltanto quanto già comunicato dalla Difesa americana, trincerandosi dietro la considerazione fondamentale che "i serbatoi non sono pezzi controllabili" e che le Autorità competenti non avevano "nessun modo di controllare da quale tipo di velivoli il serbatoio potesse derivare", né accertare se il contenitore fosse americano; in ogni caso l'ente americano si premurava di comunicare che da informazioni di archivio non risultava che alcun tipo di velivolo statunitense, recante quel genere di serbatoio fosse in volo sul Mediterraneo il 27 giugno 80.

A maggio del 94 lo stesso Dipartimento della Giustizia USA, richiamando una risposta del Dipartimento della Difesa considerava del tutto esaurita ogni possibilità di successiva indagine sul serbatoio ritrovato, negando perciò la disponibilità ad ulteriori accertamenti.

Ma recentemente, l'8.07.98, il Dipartimento della Giustizia USA, in seguito ad una richiesta di questo ufficio del 10.12.97, ha comunicato nuove informazioni dopo ulteriori ricerche svolte dalla Marina americana. E' da notare che la Marina USA ha sviluppato queste ricerche solo dopo che questo GI aveva fornito riferimenti sul rinvenimento della carenatura dell'estremità piano orizzontale di un velivolo A-6E, avvenuto nei pressi di Capo Carbonara in Sardegna dopo l'80.

In sostanza con questi nuovi dati la Difesa americana ha individuato un incidente occorso ad un A-6E il 6.07.81: il velivolo era caduto a causa di un guasto al motore e l'equipaggio si era lanciato. L'incidente era avvenuto alle coordinate 39°29'N-14°09'E e dal momento che il serbatoio era stato rinvenuto il 12.05.92 alle coordinate 39°44'N-13°10'E, la distanza tra i luoghi individuati poteva dare adito, secondo il Pentagono, all'ipotesi che il serbatoio fosse quello dell'A-6E caduto nel luglio 81. La data dell'incidente era tratta dai tabulati del Naval Safety Center, presso il quale era registrato quell'evento. Dai risultati della ricerca datata 20.05.98 presso il Naval Safety Center (Database Aviazione NSIRS periodo 01.01.80-01.12.97), si traggono i cinque casi di caduta in mare di A-6E. Nel relativo prospetto non viene però indicato il luogo di caduta dei velivoli.

E' stata acquisita agli atti anche copia delle risultanze di una ricerca presso l'archivio della notissima rivista di aviazione britannica, la "Flight international" del 9.01.82, che annualmente pubblica l'elenco degli incidenti militari nel mondo. Ed invero in questa lista al 6 luglio di quell'anno, cioè l'81, risultano precipitati soltanto due velivoli ma di tipo diverso dall'A-6E, un F104 Starfighter a Mulfinger in Germania e un F-14A Tomcat al largo di Long Island negli Stati Uniti. In questa rassegna non appare alcuna caduta di velivoli del tipo A-6E. Gli incidenti accaduti in Italia registrativi riguardano i seguenti velivoli: un CH-53C Sea Stallion statunitense al largo della Sardegna il 17.09.81 per "mid-air-collision"; un A10A Thunderbolt II statunitense il 22.09.81 presso Firenze; un MB326 italiano il 22.09.81 a Pratica di Mare; un F104G Starfighter italiano il 5.10.81 a Pordenone; un S-3A Viking statunitense il 17.11.81 in mare a Nord-Ovest della Sardegna; un A7E Corsair II statunitense il 22.11.81 in mare a 120MN a Nord-Ovest della Sardegna; questi ultimi velivoli entrambi decollati dalla portaerei Nimitz.

Comunque va osservato che il serbatoio rinvenuto nelle campagne sottomarine di recupero a maggio 92, alle coordinate 39°44'N-13°10'E, era stato localizzato a diverse decine di miglia - precisamente: a circa 60 NM- di distanza dal luogo di quell'incidente del 6 luglio 81; e che a prescindere dall'intento della risposta americana di collegare il serbatoio Pastushin a questo A-6E precipitato diversi mesi dopo il disastro di Ustica, l'esito dell'accertamento USA avrebbe avuto maggior valore, se avesse riferito la rotta del velivolo, ricostruendone le operazioni volative dalle testimonianze dell'equipaggio.

Nella ricerca di ogni utile riferimento sull'impiego di questo serbatoio, si volgevano domande in merito anche all'ammiraglio Flatley. Costui ha affermato che in queste occasioni venivano effettuati controlli proprio sul punto in cui era stato sganciato il serbatoio, e che il pilota al rientro era tenuto a compilare il registro di volo comprensivo delle informazioni sull'operazione di sgancio (v. esame Flatley James, in rogatoria USA 10.12.92). In effetti Flatley dichiarava che la perdita di un serbatoio veniva registrata tramite il relativo numero di serie, soprattutto per consentirne la sostituzione; ma sulla conservazione dei documenti concernenti queste registrazioni l'ammiraglio ha avanzato forti dubbi, considerata la non eccessiva rilevanza di questo genere di documenti e la conseguente probabile distruzione dopo alcuni anni.

L'ammiraglio Flatley aveva avuto contatti, come s'è visto, con il giornalista Claudio Gatti ed avevano parlato anche di questo serbatoio. Gatti riferisce che l'ammiraglio gli aveva detto che il serbatoio era ridotto molto male ed "aveva avuto l'impressione che i danni subiti non fossero danni da semplice sganciamento. Inoltre Gatti ricorda di aver interpellato il costruttore, Victor Pastushin, che gli aveva riferito che il serbatoio da 300 galloni era universale e adattabile a qualsiasi aereo. I numeri di serie che appaiono sui singoli esemplari di serbatoio non sono impressi dalla ditta costruttrice bensì dalla Navy (v. esame Gatti Claudio, GI 11.12.92).

Il responsabile del reparto manutenzione velivoli dell'aeroporto di Grosseto, il tenente colonnello Lops Vincenzo, riferiva, in base alla sua esperienza di conduzione del Reparto, che in tempo di pace i serbatoi supplementari non vengono sganciati dopo l'utilizzo, anche perché sono molto costosi. Solo nelle emergenze, quali avarie al sistema di travaso del carburante e simili, ne è invece previsto lo sgancio. Lo specialista aveva sottolineato che l'eiezione delle taniche è di prassi vietata per motivi di sicurezza, giacchè una volta sganciate esse possono arrecare danni a persone o cose. Diverso è in tempo di guerra allorché i serbatoi utilizzati sono del tipo "monouso" o Fletcher, costruiti apposta per la dispersione, di minor complessità e di minor costo; e questi sono di prassi sganciati ad esaurimento del carburante.

Nello stesso ambito testimoniale il Lops non aveva nascosto l'evidente vantaggio, in casi di necessità, dello sgancio del serbatoio; infatti il velivolo che eietta la tanica, con la diminuzione di peso e di resistenza, acquista in maneggevolezza. Comunque, prosegue l'ufficiale AM, lo sgancio dei serbatoi ausiliari è vietato anche in esercitazione. Lops non ha ricordato alcun velivolo decollato con i serbatoi supplementari ed atterrato privo delle taniche ausiliarie. Infine ricorda che ogni serbatoio reca un numero di fabbricazione, e viene registrato e preso in carico. La vita dei serbatoi viene seguita, dato che gli apparati sono soggetti a controlli periodici ed hanno un limite massimo di vita operativa.

Quindi ufficiali di Forza Armata, esperti nel settore, attestano che tali serbatoi seguono la procedura ordinariamente adottata per le forniture militari e l'inventariazione d'armamento. Come d'altronde riscontrato nella ricerca condotta dall'ing. Armando Jorno, consulente di parte Itavia, che aveva attinto notizie su questo serbatoio, interrogando una banca dati sull'impiego di tanks su velivoli operanti nel 1980 nell'area del Mediterraneo. I risultati di quella ricerca si mostrarono di sicuro interesse per l'istruttoria, principalmente per la tempestività dell'informazione ottenuta già ai primi di giugno del 92 - si ricordi che il recupero del serbatoio supplementare era avvenuto a maggio di quell'anno ed il 5.06.92 l'ing. Jorno trasmetteva i seguenti dati: "tipo serbatoio "Aero D"; capacità "300 US Gallons -1135 litri- "; utilizzo "Aumento di autonomia"; costruttori "Diversi"; montato "Normalmente in dotazione al velivolo Vougth A-/E FLIR Corsair 2"; forze aeree "US Navy-Grecia"; portaerei e modo di utilizzo velivolo con serbatoio. Nel 1980 era imbarcato sulla Saratoga in 24 esemplari -VA/81 VA/83- ed utilizzato dalla stessa, fra le altre, in operazioni di protezione portaerei -BARCAP-. Può decollare senza uso della catapulta; colore serbatoio "Era utilizzato con colorazione ad alta visibilità bianca e rossa o mimetica a seconda del tipo di operazione".

Fondamentalmente diversa è invece l'attestazione secondo cui "i serbatoi non sono pezzi controllabili", come affermato dalla Difesa americana, in considerazione anche delle dichiarazioni di un comandante di portaerei, ammiraglio della Marina statunitense, con la massima esperienza in queste materie, che non ha alcuna difficoltà ad affermare che le operazioni di sganciamento di serbatoi supplementari sono sempre precisamente censite e memorizzate. E in effetti non potrebbe essere stato altrimenti, se solo si tiene in conto che tale oggetto non ha un valore indifferente, costando già all'epoca una somma di dollari pari a diverse decine di milioni di lire.

Da ultimo non deve dimenticarsi che il serbatoio subalare del velivolo americano venne rinvenuto nelle ricerche effettuate sulla zona "D" in seguito ad attività e studi peritali di cui si deve fornire breve riepilogo. In effetti la ricerca delle diverse parti mancanti era stata preceduta da un accurato studio preliminare, finalizzato a ricostruire le possibili traiettorie di oggetti staccatisi in volo dalla fusoliera del DC9. Gli studi si erano basati essenzialmente sui "ritorni primari", rilevati dai radar di Fiumicino-Ciampino successivamente al disastro. Alcuni di questi echi, pur oggetto sin dall'origine di diverse interpretazioni, apparivano correlabili in una sequenza compatibile per posizione e velocità con la traiettoria di un aereo intersecante la rotta del DC9; alcuni di essi potevano poi ricollegarsi ai noti plots -17 e -12. Pertanto, gli studi preliminari diretti alla possibile localizzazione di parti del DC9 si ponevano come finalità anche la verifica di ipotesi diverse. La effettuazione delle nuove ricerche ed il conseguente abbandono della zona "C", furono essenzialmente dovuti all'analisi della traiettoria dei relitti prospettata da Taylor e verificata da Casarosa, che appunto avevano identificato nei plots in questione frammenti separatisi dal velivolo. Deve ricordarsi anche che sulla base di questa prospezione, l'ausiliario Protheroe identificò un'area (successivamente definita "D") nella quale ricercare i pezzi mancanti dalla fusoliera. Infatti il Collegio peritale sviluppò il contributo dell'ausiliario e giunse alla determinazione di esplorare questa "area D", che si trovava ad Est dell'area "A" ed era attraversata dalla proiezione della linea di caduta dei relitti secondo le ipotesi appena prospettate.

Dunque tale area costituiva la zona ove terminava la sequenza di plots che il Collegio peritale interpretava come echi generati da uno o più oggetti separatisi dal DC9 al momento dell'evento. Questa quindi la genesi della decisione di effettuare una campagna di ricerca nell'area "D": recuperate le ulteriori parti del relitto si sarebbe così ottenuta la verifica dell'ipotesi della riferibilità degli echi in sequenza a parti del DC9. Ma il 15.05.92, proprio nell'area "D", in una zona posta a circa 6MN ad Est del punto dell'incidente non furono trovati gli ipotizzati frammenti del velivolo Itavia, ma parti di quel serbatoio di carburante subalare di tipo sganciabile in volo, sicuramente appartenente ad un aereo militare americano, diviso in più parti, ma la cui integrità era sostanzialmente ricostruibile. E quando questo oggetto fu rinvenuto quel Collegio Misiti inopinatamente decideva di abbandonare la zona per dedicarsi ad altre aree. Da quel momento, come s'è visto, questo ufficio oltre a richiedere che il Collegio peritale effettuasse ulteriori e approfonditi controlli - onde valutare l'ipotesi che la possibile traccia individuata attraverso i predetti plots potesse essere relativa al velivolo di appartenenza del serbatoio e dal quale il serbatoio stesso poteva essere stato sganciato - disponeva nuove indagini sull'oggetto. Dagli esami tecnici e dall'attenta visione del relitto del serbatoio si è determinato, da parte del collegio Misiti, che quel contenitore aveva subito un'intensa azione di schiacciamento sul piano orizzontale, frammentandosi in vari pezzi, dei quali otto sono stati recuperati; che alcuni frammenti presentavano una vistosa deformazione verso l'esterno determinata da un probabile elevato aumento di pressione verificatosi all'interno del serbatoio al momento dell'impatto.

Queste deformazioni sono maggiormente comprensibili se si presume che all'interno del serbatoio, al momento dell'impatto, vi fosse ancora una non trascurabile quantità di carburante. In sintesi, in esito all'analisi frattografica, si è appurato che i frammenti recuperati non evidenziano tracce di possibili impatti del serbatoio con altri oggetti e che pertanto le rotture osservate possono ritenersi congruenti con un impatto del serbatoio con la superficie del mare in corrispondenza della zona ventrale e, molto probabilmente, con ancora notevole quantità di carburante nel suo interno. A completamento di questa disamina, e prima di trattare la questione delle tracce di colore rilevate sul serbatoio, occorre puntualizzare che il serbatoio durante la caduta può essere stato caratterizzato da un assetto fortemente "picchiato", tale da non giustificare un impatto ventrale. Valgono a questo proposito due possibili ipotesi. La prima è che il serbatoio, durante la caduta, essendo instabile nel piano latero-direzionale, sia andato soggetto a complessi moti di tombolamento e quindi il suo impatto con il ventre sia stato del tutto casuale. La seconda è che il serbatoio sia stato sganciato a bassa quota e l'impatto si sia verificato prima che il serbatoio stesso si fosse stabilizzato sulla traiettoria di discesa.

Sul serbatoio recuperato nella zona D sono evidenti alcune striature rosse che sono state oggetto di specifiche analisi chimiche onde rilevarne la genesi e la provenienza. Ma alle analisi chimiche tali striature sono risultate costituite da vernice diversa da quella impiegata sul velivolo Itavia. Nella Relazione peritale del collegio chimico datata 26.02.94, superata una apparente somiglianza tra la vernice rossa prelevata dal serbatoio e quella della nave che aveva recuperato il serbatoio, si conclude: "si può affermare con sicurezza che non esistono relazioni tra la vernice rossa dell'aereo ed il rosso depositato o di cui è sporca la vernice bianca del serbatoio ausiliario. Le stesse analisi hanno mostrato altresì che la vernice della nave (nde cioè l'imbarcazione impegnata nel recupero) non può essere messa in relazione con quella del serbatoio".

Sul serbatoio anche la scritta "one" incisa a mano con qualche sorta di punteruolo, che chiaramente dimostra che quell'oggetto era in uso presso militari anglofoni.

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