5.2. Casco rinvenuto nelle acque di Capaci.

Un altro casco recuperato nell'estate dell'80, precisamente il 10 agosto di quell'anno su di una spiaggia siciliana nelle vicinanze di Palermo (acque antistanti Capaci, in località Trabia), è stato a lungo oggetto di attenzione prima dell'Aeronautica Militare e poi di questa inchiesta.

Il casco era stato consegnato alla Capitaneria di porto di Palermo, ove risulta registrato in una comunicazione di ritrovamento, datata 12.08.80, diretta a Marisicilia, ed era stato esaminato dal colonnello Bomprezzi del SIOS Aeronautica giunto appositamente a Palermo il 12.08.80 su incarico del Sottocapo di SM generale Ferri. All'aeroporto di Palermo Boccadifalco Bomprezzi si era accorto che non si trattava di un casco di volo bensì di esemplare in uso al personale tecnico "di quelli che operavano sul ponte di una portaerei". Il vice Capo del 2° Reparto aveva anche notato su quel casco l'indicazione della ditta costruttrice. Nella relazione su quella missione aveva pure specificato che era attribuibile ad operatore di bordo di una portaerei e quindi era da escludersi che si trattasse di materiale di volo (v. interrogatorio Bomprezzi Bruno, GI 06.10.95).

Riguardo alle successive vicende di questo casco occorre sottolineare che, pur risultando trasmesso dalla Sicilia allo SMA già il 20.08.80, non appare mai pervenuto formalmente al 2° Reparto dello Stato Maggiore né è stata "rinvenuta traccia di come sia arrivato allo SMA". Sta di fatto che esso è invece documentato e viene trovato tra i materiali e le parti del MiG23 libico, trattenuti per esigenze informative, "conservati in contenitori di legno muniti di coperchio presso locali dello SMA-SIOS trasferiti a Pratica di Mare presumibilmente nel 1987" (v. nota SMA/225/702/1143 del 3 luglio 92 da Capo del 2° Reparto a Capo di Stato Maggiore).

Il casco è di colore verde, di fibra con una parte interna spugnosa, con visiera, e reca all'interno la seguente scritta: "helmets, flight deck crewman's, impact resistant size 7-1/4 mil- h - 81735 (AS) - 4- DSA100 - 77 - C - 0529 DEC - 77 Kings Point MFG. CO., INC / /7 8415 - 00- 071 - 8/86".

Accanto agli accertamenti tendenti a chiarire le circostanze di rinvenimento e l'insolito "percorso" del casco di Capaci, questo Ufficio ha promosso alcune commissioni rogatorie inviate, dal 14 maggio 92 al febbraio 93, al Dipartimento della Giustizia USA al fine di appurare le circostanze in cui il casco era stato perso e ad assumere informazioni testimoniali dall'eventuale utente. Nè si tralasciava di richiedere se forniture di caschi dello stesso tipo fossero state effettuate alla Jamahirija Araba Socialista di Libia dal dicembre 77 al giugno 80, sulla base del fatto che quel reperto si trovava tra quelli del MiG libico.

In esito alle ripetute richieste, corredate dalle cognizioni in possesso di questo ufficio, il Dipartimento della Giustizia USA, sentiti i Dipartimenti per il Commercio e la Difesa, nel novembre 92 rispondeva che quel casco per equipaggio di ponte di volo, prodotto dalla "Kings Point MFG. Co, di Fayetteville, NC, faceva parte di una partita di 7450 caschi forniti nel 77/78 alla Marina Militare USA, alla "Coast Guard" degli Stati Uniti e ad un non meglio specificato ente militare spagnolo.

Nella ricerca di ulteriori ed utili notizie sulle circostanze relative allo smarrimento di caschi in dotazione alla Navy statunitense, questo ufficio assumeva informazioni anche da soggetti diversi, tra cui l'ammiraglio James H. Flatley. Il comandante della Saratoga, pur non essendo al corrente di fatti specifici relativi allo smarrimento di caschi, suggeriva di fornire i dati in possesso all'ufficio preposto e ricordava che, quando un aereo cade in mare "non si recupera nulla, le salme sono perse per sempre, ma, inevitabilmente, il casco viene a galla e viene ritrovato" (v. esame J. Flatley in rogatoria USA, GI 10.12.92).

Quanto controversa e di difficile lettura sia la vicenda di questo casco, lo si deduce dalla testimonianza di Bomprezzi del giugno 92, che esordisce con un ricordo piuttosto confuso. Questo il primo passaggio testimoniale: "il casco del pilota credo di averlo visto in fotografia. Non credo di averlo visto materialmente. Ricordo che c'era una scritta riproducente un nome arabo, non completamente leggibile. Ricordo di aver visto un solo casco, sempre in fotografia". Nonostante questa solo apparente sicurezza mnemonica il vice capo del 2° Reparto, dopo aver ricevuto in visione il reperto in questione (rep. n.80 acquisizione n.15 del 10.11.90), si smentisce asserendo che quel casco non faceva parte dei reperti di Castelsilano e lui lo aveva visionato a Boccadifalco su specifica richiesta del generale Ferri; sulla circostanza Bomprezzi ha confermato che si trattava di "un casco di operatore di bordo di una portaerei e che non era materiale di volo"; l'ufficiale ha aggiunto che, considerata la non diretta attinenza ad operazioni volative, non aveva compiuto altre indagini e aveva considerato l'argomento chiuso. Non ha saputo però spiegare per quali ragioni si preferì lasciare il casco sul posto, in considerazione del fatto che esso era privo d'interesse, non trattandosi di dotazione da pilota. A questo punto però il ricordo si fa nuovamente confuso. Infatti Bomprezzi, riferendosi a quell'unica missione siciliana per il rinvenimento del casco, ha affermato che "nelle fotografie da me fatte sulle scale del circolo ufficiali di Boccadifalco si leggeva forse il nome Drake". Sottolinea di associare il nome John Drake al casco in questione e prendendo atto che il colonnello Lippolis aveva dichiarato di aver visto il casco Drake verso i primi di luglio, il Bomprezzi ha ipotizzato di aver svolto quella missione ancor prima di quella con Argiolas avvenuta pure nel mese di luglio, ma ha escluso che si trattasse della stessa missione, perché ha ricordato con certezza "di aver fatto due viaggi e uno di questi fu compiuto esclusivamente per il casco" (v. esame Bomprezzi Bruno, GI 22.06.92). Ma l'esitazione mnemonica del colonnello Bomprezzi sul periodo preciso di quella missione siciliana è stata risolta dagli accertamenti dell'inchiesta, da cui è risultato un viaggio svolto il 12 agosto 80 con Sidoti, di cui lo stesso Bomprezzi in una successiva testimonianza ha ricordato con maggiore precisione il periodo e cioè ad agosto, quando aveva sostituito il generale Tascio assente per ferie. In questo nuovo apporto testimoniale Bomprezzi aggiunge che sul casco c'era il nome della ditta costruttrice "o forse del nome del tecnico, dello specialista che aveva impiegato il casco" (v. interrogatorio Bomprezzi Bruno, GI 06.10.95). Infine non si può non ricordare che concludendo il primo esame reso a questo Ufficio nel giugno 92 il colonnello Bomprezzi, pur avendo associato il casco al nome Drake, ha affermato di non riuscire a capire "come Lippolis possa affermare che si trattava di un casco da volo". Egli infatti stimava, e qui tale confusione può apparire voluta, che il casco in oggetto non fosse assolutamente da volo.

E quindi ben si può concludere che tra i mesi di luglio e agosto dell'80 vengono rinvenuti due caschi in dotazione alla Navy statunitense, rispettivamente associati ai relitti del DC9 Itavia e a quelli del MiG23 libico. Ma anche che gli accertamenti condotti in quei mesi dall'Aeronautica Militare si manifestano alquanto lacunosi, come permane controversa la ricostruzione delle indagini svolte dalla Forza Armata; che, pur intervenuta tempestivamente sul posto con i suoi tecnici migliori, disperde quegli importanti reperti, già oggetto d'interesse da parte dell'AG procedente, fino a confonderli sia nel ricordo degli ufficiali operanti, sia nei fatti, sia nella documentazione esibita a questo ufficio, specchio di una confusa e fuorviante istruttoria di quella Forza. Tale percorso, attentamente analizzato dall'inchiesta, conduce alla conclusione che quei reperti, proprio perché di provenienza militare non potevano, o non dovevano, essere associati all'incidente Itavia; dovevano cioè essere in qualche modo "dimenticati", rendendo difficile o impossibile la spiegazione della reale provenienza.

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