3. L'attività volativa.

Contrariamente a quanto affermato nell'ormai famoso documento Cincusnaveur, emesso nell'immediatezza, con ogni probabilità su sollecitazione del Working Group e del 2° Reparto che a contatto di gomito lavorava con esso - e cioè che quella sera all'ora dell'incidente la 6a Flotta non aveva alcuna nave nè aereo operanti nel Mar Tirreno; e che per di più non vi era stata alcuna perdita di aerei da portaerei della stessa Flotta o basati a terra - sono emerse più attività di volo prima durante e dopo l'incidente nel Tirreno e in particolare in aree prossime a quella dell'evento. Attività riconducibili a volte chiaramente alla Forza Aerea e all'Aviazione di Marina degli Stati Uniti; altre presumibilmente a velivoli libici; altre ancora non identificate, poiché prive di SIF, ma con caratteristiche di volo da piattaforme in mare, con ogni probabilità americane o francesi. Quanto a quelle individuate si devono separare, sulla scorta di una distinzione formulata in risposta alle rogatorie verso gli USA, una volta esclusi i civili e presi in considerazione solo i velivoli militari, quelli armati da quelli non armati. Per quelli non individuati si può soltanto dire che siano con funzioni belliche, in ispecie di caccia, quelli che volano a velocità molto alte, come si può dire con sufficiente certezza che siano imbarcati quelli che la detezione radar vede alzarsi od abbassarsi in aree di alto mare.

A parte quelli non armati da carico o supporto tutti i restanti individuati o la cui presenza è certa o probabile, devono ritenersi armati; come quelli in esercitazione in concomitanza dell'evento; quelli di scorta ai C141 Starlifter e ai C5 Galaxy, che arrivano il 28 successivo al disastro al Cairo, i giganteschi aerei da trasporto che precedono il trasferimento di quelli da guerra e trasportano il materiale necessario alla costruzione della base e al funzionamento autonomo di un aerodromo militare; quelli che secondo Coe pattugliavano continuativamente il Tirreno per impedire le penetrazioni libiche - macchine libiche e piloti del Patto di Varsavia - in quel mare; quelli che dovevano continuamente far caccia antisommergibile alle unità subacquee sovietiche, che in quel periodo erano quattro: una della classe Victor nel Mediterraneo occidentale; una della classe Echo 2° nello Ionio - Canale di Sicilia; una della classe Tango nel canale di Sardegna; una della classe Foxtrot nel canale di Creta.

Un'attività quindi a dir poco intensa e gravosa, propria di una Potenza che s'è fatta carico della tutela dell'intera area mediterranea; attività di certo che rende inattendibile il messaggio in questione, secondo cui ogni attività era cessata sin dal primo pomeriggio, dimenticando quella, sempre militare riservata o segreta, di certo armata e quella di routine, che ben poteva essere di esercitazione non armata, ma doveva esserlo se di osservazione ed eventuale contrasto di attività di forze armate ostili. Come rende inattendibile la nota Atwood del 15 maggio 89 ove si esclude che vi fossero aerei dell'USAF in volo al momento dell'incidente di Ustica, e si sottolinea che non vi è disponibilità di registrazioni radar relative al traffico aereo nel Tirreno per il 27.06.80. Precludendo così ogni possibilità di accertare voli che avevano toccato quell'area del Tirreno comprensiva della zona del disastro, a mezzo specialmente del monitoraggio radar della portaerei o del suo picchetto, osservatorio primario su quel cielo. Nota con la quale si dà meticolosamente conto dell'attività degli aerei imbarcati sulla Saratoga, che però dopo ventuno sortite dalla base aeronavale di Sigonella nel giorno 27.06.80, alle 16.18 avrebbero cessato ogni operazione.

Riguardo al trasporto e impiego di missili aria-aria - continua la Atwood -, i registri primari della Marina USA documentano che non vi è stata "nessuna prova su banco (captive test) né alcuno sparo da parte degli squadroni aerei della USS Saratoga né da parte di nessun altro squadrone della 6a Flotta nei giorni tra il 26 ed il 28.06.80". In tal senso anche i registri del 7555° "Squadrone di addestramento tattico" di Decimomannu; che infatti attestano che non ci sono stati voli di aerei appartenenti alla Marina USA da questa base sarda né è stato fatto alcun uso del poligono di tiro per missili aria-aria di Capofrasca in quel 27 giugno. Le registrazioni indicano anche che le operazioni giornaliere di volo da parte di elementi del Quartier Generale dell'Aeronautica USA in Europa (USAFE) a Decimomannu erano state portate a termine per le 17.00L. In conclusione i velivoli operativi statunitensi sul Tirreno dalle 17.00L in poi erano tutti fermi a terra nelle varie basi.

Questa conclusione di non operatività si pone in un certo senso in contrasto con quelle prime dichiarazioni rilasciate proprio dall'ammiraglio James H. Flatley comandante della Saratoga, che nel luglio 90 aveva affermato che gli addetti ai radar della portaerei la notte del 27.06.80 avevano notato "un traffico aereo molto sostenuto nell'area di Napoli, soprattutto in quella meridionale; sul radar abbiamo visto passare moltissimi aerei".

Ma la nota della Difesa USA del maggio 89 attesta perentoriamente che "nessuna registrazione verbale o radar riguardo a traffico aereo nel mar Tirreno per il pomeriggio sera del 27.06.80 è attualmente disponibile. Le procedure in uso al tempo richiedevano che registrazioni di questa natura venissero conservate solo per 24 ore, a meno che circostanze inusuali richiedessero un periodo più lungo. L'assenza dei registri indica che non era stato rilevato nulla di anormale. Le navi in porto sono obbligate a spengere il sistema radar; quindi, la maggior parte delle navi della 6a Flotta non erano in grado di monitorare il traffico nelle zone in cui erano attraccate.

A quest'ultimo proposito, ossia sulla indisponibilità e pertanto sulla irrilevanza delle registrazioni radar della portaerei USA a Napoli, non si comprende allora quale fosse l'interesse dei superiori gerarchici del comandante della Saratoga ad acquisire i nastri di registrazione radar della portaerei nei giorni successivi all'incidente di Ustica, come venne testimoniato proprio dall'ammiraglio Flatley "ci limitammo a riesumare i nastri con le registrazioni radar e li trasmettemmo ai superiori ... mi è stato detto che i miei superiori erano interessati all'esame delle registrazioni radar da noi effettuate quella notte".

Né si possono comprendere, a meno che non si ritengano strumentali, le indicazioni della nota del 15.05.89 che attesta che al tempo le registrazioni venivano sì compiute, ma conservate solo per ventiquattro ore, a meno che circostanze insolite non rendessero necessario un periodo più lungo, e che le navi in porto sono obbligate a tener chiusi i loro sistemi radar. (v. nota Donald J. Atwood 15.05.89).

Appaiono perciò evidenti contraddizioni tra la prima e le successive dichiarazioni di Flatley, così come tra queste ultime e la nota del Dipartimento della Difesa, su registrazioni e conservazioni ed esibizione delle stesse.

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