10. I lavori USA dopo il fatto.

10.1. Il Working Group.

La notizia, o l'insieme di notizie concernenti la presenza di intenso traffico militare americano al tempo e nella zona dell'incidente, traffico dalle connotazioni tali da dedurne presenza di portaerei ed attività di esercitazione, questo insieme di notizie sottoposto, a livello interno, alle verifiche secondo le modalità descritte, nell'ambito di breve tempo, pochissime ore, sembra scomparire. Tantomeno determina, almeno a quanto è sempre ufficialmente risultato e sempre sostenuto, indagini nei giorni successivi.

Non sono formulate ipotesi, non si costituiscono gruppi di lavoro, il fatto è un incidente di traffico civile del quale gli enti militari non si occupano, come moltissimi testi riferiscono, apparendo più che sufficiente la competenza su di esso del Ministero dei Trasporti. Nonostante la circolazione della notizia descritta nei capitoli precedenti, diviene, come si dice con terminologia d'origine americana, un non-evento; così come lo definirà l'Agenzia d'"intelligence" statunitense, che invece definirà evento la caduta del MiG23 in agro di Castelsilano, e ad esso perciò si interesserà.

Unica traccia - però sapientemente oscurata nei dati essenziali - di un'attività di indagine il noto messaggio Cincusnaveur da Londra all'Ambasciata americana, allegato alla nota dello SMA 2° Reparto del 23 dicembre 80, all'AG di Roma, documento sul quale più volte ci si è soffermati e si dovrà ritornare. L'interesse infatti sembrerà emergere solo in quel dicembre 80 dopo che i mezzi di informazione avranno formulato ipotesi di strage; allora sorgeranno e si sosterranno tesi che di certo avranno comportato studi e ricerche. Ma su questo infra.

Quella notizia, ovvero il fatto di caduta del DC9, determina invece ben diverse conseguenze nelle istituzioni di altri Paesi. In primo luogo presso le Autorità statunitensi direttamente chiamate in causa - ma non solo; anche altrove, come in seguito si vedrà.

Di quanto successo negli Stati Uniti si viene a conoscenza solo nell'estate del 91 a seguito della pubblicazione in quel giugno del libro "Rimanga tra noi" scritto dal giornalista Claudio Gatti, corrispondente di periodici italiani residente negli Stati Uniti. In questo volume, che ha per oggetto i rapporti tra l'Italia e gli Stati Uniti nel dopoguerra, al capitolo "Il PCI e l'operazione Soluzione finale" si riprende il filo che aveva intempestivamente, a dir poco, spezzato Massari con il suo ordine di prelievo e sigillatura dei nastri del traffico di Ciampino. Lì, come si ricorderà, ci si era fermati al tentativo da parte dell'ACC di entrare in contatto con l'Addetto militare. Il centralino della Legazione stava per impegnarsi, dal momento che all'interno non rispondeva nessuno, a ricercare qualcuno a casa - "I have to reach somebody at home" - ad ore 20.41. La parte del libro relativa a questa vicenda così comincia: "Dell'incidente sopra Ustica viene avvertita l'Ambasciata americana. Ricevemmo una telefonata la sera stessa dell'incidente. A rispondere fu uno degli assistenti dell'Addetto militare che come ogni notte stava di guardia" spiega Richard Coe, allora assistente dell'Addetto militare per l'aeronautica. "Raccogliemmo tutte le informazioni possibili e la mattina dopo informammo il nostro superiore. Poi, per saperne di più telefonammo all'ufficiale di collegamento del 2° Reparto aereo e al Comando della 6ª Flotta".

La preoccupazione degli Americani è che in qualche modo sia coinvolta nell'incidente una unità navale americana o della NATO. "Sia io sia il mio superiore passammo intere giornate al telefono con gli ufficiali di collegamento italiani e con le varie basi dell'U.S. Air Force e della Navy per informarci sull'eventuale presenza di nostre unità nell'area dell'incidente" dice Coe.

Di ogni sviluppo l'addetto militare informa immediatamente sia l'Ambasciatore sia la Difesa. Nonostante che l'incidente poco interessi a Washington, i funzionari del Pentagono ci tengono ad assicurarsi dell'estraneità di ogni unità militare americana. "Nel giro di pochi giorni dal gruppo della Saratoga e da tutte le altre basi ci fu comunicato che si doveva escludere il coinvolgimento di un nostro velivolo o di una nostra unità navale e successivamente ci fu confermato che non mancava nessun missile ai nostri arsenali" chiarisce Coe.

Questo Coe, che renderà anche un'intervista televisiva sull'argomento al giornalista della RAI Massimo De Angelis, come ben si nota sin dal 91 affermava con precisione le seguenti circostanze di fatto. La sera stessa dell'incidente fu avvisato dall'assistente dell'Addetto militare di turno - che poteva appartenere a ciascuna delle quattro armi statunitensi rappresentate a Roma. La sera o nella notte fu informato anche lui, giacchè parla al plurale sulle attività compiute in quella notte e riferite l'indomani mattina al suo superiore. Questo avveniva di sabato, giorno tradizionalmente di riposo per i dipendenti della Legazione americana.

In seguito, quel sabato e successivamente, si chiamò per telefono, oltre che la 6ª Flotta, il 2° Reparto Aereo, che altro non può essere che il Reparto SIOS dello SMA. Di ogni sviluppo fu informato con immediatezza non solo l'Ambasciatore, ovviamente americano, ma anche il Ministero della Difesa, ovviamente italiano perchè quello americano si chiama Dipartimento e in gergo, come poco più oltre usato dalla forma dell'edificio che lo ospita, Pentagono. Sia esso Coe che il suo superiore, che si apprenderà in seguito chiamarsi Richard Biankino, quotidianamente e per l'intero arco del giorno chiamarono sempre per telefono, oltre le varie basi della Marina e dell'Aviazione degli Stati Uniti, gli ufficiali di collegamento italiani. Da queste circostanze di fatto emerge che quanto meno di riflesso furono investiti dall'attivismo americano il Ministero della Difesa, lo SMA, il 2° Reparto, e che gli ufficiali di collegamento rimasero in contatto con gli Americani sin dall'immediatezza del fatto, continuativamente e per più giorni, sull'incidente e sulla ricerca delle sue cause. Di tutta questa attività, come s'accerterà, non v'è traccia nè in relazioni, note od altri scritti; anzi essa non è ammessa, di più negata da tutti coloro che l'hanno posta in essere come da coloro che in ragione della loro posizione avrebbero dovuto esserne a conoscenza.

Gatti esaminato da questo Ufficio, ha confermato il suo scritto ed in particolare che la fonte delle notizie sopra descritte era stato Richard Coe, conosciuto nel 90, ufficiale dell'Aeronautica militare statunitense, assistente, all'epoca del disastro di Ustica, dell'Addetto militare aeronautico in carica Richard Biankino. Questo Coe era stato da lui interpellato, tra la notifica della sua citazione e la partenza per l'Italia, e l'ufficiale - ora in congedo e pilota civile di aerolinee americane ( aveva confermato la citazione del libro, precisando di non essere stato testimone diretto della telefonata, ma di esserne certo, giacchè per eventi del genere era previsto un avviso di routine all'Addetto militare degli Stati Uniti. Questa telefonata, a sua detta, però sarebbe dovuta intercorrere tra l'Air Staff del 2° Reparto e l'Ambasciata. Per Air Staff egli intendeva gli ufficiali del 2° Reparto dell'Aeronautica Militare. I suoi interfaccia in questo Air Staff erano i capitani Adriano Piccioni e Claudio Coltelli - Gatti ha male inteso, si vedrà in seguito, giacchè la persona cui Coe voleva riferirsi è Claudio Coltelli e non Claudio Cottelli - che avevano funzione di collegamento con l'Attaché dell'U.S. Air Force. Il giorno successivo all'incidente, il 28 giugno 80, esso Coe e gli altri del suo ufficio s'erano messi in contatto, oltre che con enti americani, con questo 2° Reparto dell'Aeronautica militare italiana.

Anche da queste dichiarazioni emergono precise circostanze di fatto. Era previsto un avviso di routine per l'Addetto militare aeronautico presso l'Ambasciata. Questo avviso era formulato dall'Air Staff del 2° Reparto ovvero il SIOS dello SMA. Questo avviso di certo non era di routine per ogni incidente aereo che accade in Italia, giacchè un'interpretazione del genere sarebbe esageratamente estensiva ed assolutamente non credibile, bensì solo per quegli incidenti per cui c'erano prove o indizi di coinvolgimenti militari americani. Questo Air Staff dello SMA fu poi contattato il 28 mattina. I contatti avvennero di sabato nonostante questo giorno della settimana fosse di riposo - oltre che per gli Americani - anche per il Ministero della Difesa in quel periodo estivo. L'interfaccia di Coe erano Piccioni e Coltelli, e tale affermazione viene fatta in tempo di certo non sospetto, di certo nel 91 se non nel 90.

Il 5 novembre di quello stesso anno, il supplemento del TG1 "Linea Notte" manda in onda un'intervista a questo Coe, del giornalista Massimo De Angelis. L'ex ufficiale americano risponde a numerose domande sia sulla caduta del DC9 che su quella del MiG23. Le sue risposte sono di rilevante interesse e non è inopportuno riportare per intero il testo di quell'intervista:

"Questo signore è Dick Coe, ex addetto militare presso l'Ambasciata degli Stati Uniti a Roma nel 1980, anno del disastro di Ustica, proprio la notte dell'incidente, un ufficiale dell'aeronautica italiana, propose di telefonare all'Ambasciata, temeva una responsabilità degli americani.

Abbiamo incontrato il colonnello Coe, un veterano del Vietnam, nel Texas, dopo che il suo nome in merito alla vicenda Ustica era stato fatto in questo libro di Claudio Gatti.

d. Sig. Coe, nell'80 era uno degli addetti aeronautici dell'Ambasciata americana a Roma. Che cosa accadde la notte dell'incidente al DC9?

r. Io avevo ricevuto una telefonata, non mi ricordo da chi ma ho ricevuto una telefonata forse dall'Aeronautica italiana; mi hanno chiesto se c'era un aereo americano vicino ad Ustica o nel Mediterraneo in volo. Io ho cominciato ad informarmi: ho telefonato al centro comando generale a Ramstein, nella Germania. Loro sanno tutto del militare americano nel Mediterraneo. Poi mi hanno detto che non c'era, veramente non c'era un aereo in volo nel Mediterraneo.

d. Vi chiesero anche se c'erano delle portaerei americane?

r. Sì, ho chiesto anche questo; mi hanno detto che c'era la "Saratoga" a Napoli. A quel punto non ricordo sicuramente, ma ho parlato col comando della Marina americana a Bagnoli, oppure ho telefonato all'addetto della Marina degli Stati Uniti; e poi lui ha chiamato a Bagnoli per sapere se c'era un aereo americano in volo. E la risposta era sempre no; nessun aereo americano. Poi ho telefonato anche a tutte le basi americane nell'Italia; Aviano, Decimomannu, Sigonella e poi a Napoli. E la risposta è stata sempre no.

d. La vostra indagine ci fu soltanto la notte dell'incidente o proseguì nei giorni successivi?

r. Anche i giorni successivi. Il giorno dopo l'ambasciatore ha fatto un gruppo, dal nostro ufficio anche a tutti gli uffici dell'Ambasciata, per cominciare un'indagine su tutto quanto; cioè: sulla Marina, navi eccetera. E poi per qualche giorno noi abbiamo fatto una ricerca; abbiamo telefonato alla Marina negli Stati Uniti, in Germania, poi con tutti i nostri amici per sapere se c'era qualche nave o aereo in volo.

d. Chi partecipava a questo gruppo di lavoro?

r. C'era l'ufficio degli Addetti militari, fra cui anche l'ufficio politico militare, poi anche la CIA.

d. E anche da quel canale nessuna novità, nessuna notizia sulla presenza di aerei?

r. Niente, niente. Noi abbiamo fatto un'indagine completa su tutto quanto. Abbiamo parlato con tutti per sapere se c'era un aereo, una nave, un missile che è stato lanciato aereo-aereo, oppure da terra, oppure da una nave.

d. Perchè avete chiesto se c'era stato un missile? Chi vi aveva chiesto di indagare su un missile?

r. Io penso che sia stato l'ambasciatore che voleva sapere tutto, cioè un quadro completo.

d. E l'Aeronautica italiana vi ha mai manifestato il timore che potesse essere stato un missile ad abbattere l'aereo?

r. No, perché... forse sì; non ricordo esattamente, perchè noi abbiamo parlato sempre con loro, con il quarto ufficio del SIOS su questo argomento, sugli aerei che stavano in volo e poi tutto quanto, così non sono sicuro che siano stati loro oppure è stato l'ambasciatore che ha chiesto prima.

d. Comunque parlavate di missili anche con l'aeronautica?

r. Sì, ogni giorno abbiamo parlato insieme, perchè quando c'era una risposta nostra c'era sempre un'altra domanda dell'aeronautica: su questo argomento, su questo voi avete un aereo, un missile, eccetera, eccetera, c'era sempre uno scambio di informazioni tra noi.

d. E quanto durò questa inchiesta, questa ricerca?

r. Qualche giorno; forse una settimana.

d. Nel corso delle vostre indagini avete contattato o sospettato il coinvolgimento di altri paesi?

r. Senza dubbio; al centro comando dell'USA a Ramstein, lì è stato ed è ancora il Comando centrale della NATO, per l'Aeronautica; poi abbiamo parlato con la Danimarca, la Germania, tutti quanti, perchè c'era una base anche a Decimomannu; facevamo il combattimento aereo e volevamo sapere se forse qualcuno della Germania eccetera. Per essere sicuri noi abbiamo contattato francesi, inglesi, la Germania, tutti della NATO. Cioè attraverso il collegamento del Comando centrale a Ramstein, penso anche direttamente anche all'Ambasciata vicino. Perchè io ho parlato, per esempio, con l'addetto aeronautico della Francia, un generale di brigata, Sapin.

d. Avete sospettato dei libici?

r. Sì anche, abbiamo visto che Libia. Libia aveva i MiG23 e a quel punto che potevano forse arrivare vicino a Ustica.

d. E che esito hanno dato queste indagini?

r. Abbiamo... cioè non c'era una traccia sul radar, così questa è un'ipotesi, così... come ... solo per noi per fare un quadro completo per l'ambasciatore.

d. Lei ha parlato di traccia sul radar. Ma su quale radar?

r. E su quello italiano, perchè c'era solamente per noi cioè nell'Ambasciata il radar italiano.

d. Ma gli Italiani vi avevano mai detto che sui propri radar avevano visto qualcosa di strano, di anormale?

r. No, a noi no.

d. E quando, venti giorni più tardi cadde un MiG libico sulla Sila, voi foste contattati dall'Aeronautica italiana?

r. No, noi no. Nel nostro ufficio dell'Aeronautica americana no.

d. Però lei sa che la CIA intervenne.

r. Sì, lo so, ma la CIA nell'Ambasciata americana fa sempre delle cose a parte, cioè l'intervento normale dell'Ambasciata. C'era un collegamento diverso.

d. Lei seppe di un'offerta della Marina americana di fare una ricognizione fotografica del relitto del DC9?

r. No.

d. Come mai non consegnaste alle Autorità italiane i nastri radar della Saratoga?

r. Noi nell'Ambasciata non abbiamo visto mai i nastri.

d. Voi avete creato un gruppo di lavoro nell'Ambasciata.

r. Sì.

d. Sapete che la Saratoga aveva dei nastri radar e non ve li siete fatti dare?

r. No, no, no non sapevamo dei nastri.

d. Ma il comandante Flatley, il comandante della Saratoga, appunto, ha detto che lui li ha consegnati a qualcuno, a qualche superiore, a chi allora?

r. Forse, questi nastri sono andati al Comando della sesta Flotta.

d. E non vi ha neanche comunicato che cosa c'era su questi radar, su questi nastri.

r. No. forse hanno detto che non c'era un aereo americano in volo, solo questo, ma sull'altro niente.

d. C'era qualche aereo radar, qualche Awacs in volo quella sera?

r. No, non c'erano.

d. Per anni gli Stati Uniti hanno sempre risposto che non c'erano velivoli in volo nella zona dell'incidente. Invece adesso abbiamo scoperto che c'era un aereo che sorvolava Lamezia Terme e un secondo aereo americano da Sigonella partì mezz'ora dopo l'incidente al DC9.

r. Sì.

d. Ecco, come mai questa disinformazione?

r. Perchè noi abbiamo fatto l'indagine solamente sull'argomento di un aereo da combattimento che poteva abbattere questo aereo italiano. Non su quello di passeggeri eccetera.

d. Ecco, ma perchè questo dubbio, questo sospetto che il DC9 fosse stato abbattuto da un aereo?

r. Non c'erano dubbi, era solamente perchè voi... cioè gli italiani hanno chiesto a noi se c'era un aereo che poteva abbattere questo aereo italiano e noi abbiamo fatto la ricerca per sapere se c'era.

d. Ma questo tipo di richiesta da parte dei militari italiani è stata ripetuta anche nei giorni successivi o era soltanto la richiesta della prima notte dell'incidente?

r. No, no, no anche nei giorni successivi, perchè abbiamo parlato ogni giorno, quasi ogni ora con loro a sapere noi abbiamo scoperto questo o no, o sì, abbiamo parlato con loro.

d. E l'Aeronautica italiana vi ha mai chiesto di indagare su un missile?

r. Io penso, penso di sì.

L'intervista era stata effettuata il 30 ottobre precedente in un circolo sportivo della città del Texas ove Coe al tempo risiedeva.

Coe, riferisce sempre De Angelis, non s'è limitato a rispondere alle domande dell'intervista, ma ha anche parlato fuori della ripresa di altre circostanze sempre relative alla questione di Ustica. Ha indicato quali fossero gli ufficiali dell'Aeronautica militare italiana, con i quali egli aveva avuto rapporti per le ricerche conseguenti il disastro. Costoro erano Adriano Piccioni e Claudio Coltelli, entrambi capitani in servizio al SIOS, ovvero al 2° Reparto dello SMA. Ha escluso che egli potesse parlare in genere direttamente con Tascio, giacchè questi era a lui superiore in grado. Con Tascio aveva rapporti Biankino, l'Addetto aeronautico, cognato di esso Coe e morto per infarto nel 90. Proprio in virtù del rapporto di affinità, egli era messo al corrente da Biankino di quei particolari della vicenda di Ustica di cui non veniva a conoscenza direttamente.

Coe gli ha riferito anche i nomi degli ufficiali americani che avevano lavorato con lui nel gruppo costituito per le indagini sul disastro di Ustica. Per la Navy c'era il comandante William Mc Bride, per i Marines tal William Mc Donnell, per la CIA tal Clarridge, capo stazione a Roma al tempo. Sulle modalità traverso cui l'Ambasciata era stata informata del fatto, non ricordava se avesse fatto da ponte l'ufficiale di guardia o se egli stesso avesse preso la telefonata dell'Aeronautica militare italiana.

Ricordava infine che l'Ambasciatore aveva disposto, sempre nell'ambito dell'inchiesta ordinata, un check-list di tutti i missili di cui erano dotate le forze americane in Italia. Aggiungeva, come commento alla vicenda, che se la Francia fosse stata coinvolta nell'evento di Ustica, sarebbe stata capace di mantenere il segreto sull'affare. Rispondeva, sulla possibilità della Marina degli Stati Uniti di procedere a ricognizione fotografica del relitto del DC9, che un'operazione del genere sarebbe stata possibile - prescindendo dalla possibilità tecnica, ovviamente data per scontata - in virtù degli ottimi rapporti esistenti tra il suo Paese e l'Italia (v. esame De Angelis Massimo, GI 23.10.92).

Dall'intervista e da quanto riferito in aggiunta ad essa emergono chiarissime le seguenti circostanze. Coe la notte del 27 giugno 80, ha ricevuto una telefonata con la quale gli si chiedeva se c'erano in volo velivoli americani su Ustica o comunque nel Mediterraneo, ovviamente all'ora dell'incidente e nei tempi circostanti. Egli s'è informato a Ramstein, ovvero al Comando Generale per l'Aeronautica degli Stati Uniti in Europa e da qui ha ricevuto risposta che non v'era nessun aereo in volo nel Mediterraneo. Ha chiamato poi il Comando Generale per la Marina a Bagnoli. E quindi le diverse basi americane, sia dell'Aeronautica che della Marina in Italia: Aviano, Decimomannu, Napoli, Sigonella. L'indomani, 28 giugno 80 sabato, l'Ambasciatore, cioè il capo della Legazione in persona, ha formato un gruppo composto da rappresentanti di tutti gli uffici dell'Ambasciata. L'indagine è durata per giorni e ha preso in considerazione anche l'ipotesi di lancio di un missile, aria-aria e superficie-aria. Il gruppo ha avuto rapporti con il 4° ufficio del SIOS; rapporti quotidiani, ed ogni giorno molteplici, quasi ogni ora. Nel corso di questi rapporti da parte italiana s'è chiesto di indagare anche sull'ipotesi dell'abbattimento per missile.

L'intervista si svolse in italiano, lingua che Coe conosce molto bene al punto da parlarla correntemente. Durò un'ora. La visita nel circolo, secondo De Angelis, prese circa due ore. In questo nuovo esame il teste ribadisce che i nominativi di Coltelli e Piccioni gli erano stati dati da Coe fuori dell'intervista durante il commento ed egli li aveva trascritti sull'agenda che usava in quell'anno (v. esame De Angelis Massimo, GI 23.10.92). A distanza di pochi giorni De Angelis ha rinvenuto l'agenda del 91 e così s'è potuto constatare - acquisendo altresì agli atti la copia di quella pagina - che sotto il giorno 30 ottobre, in corrispondenza del tempo in cui il giornalista si trovava negli Stati Uniti per l'intervista in questione, sono riportati, oltre il nome di Dick Coe e Mckinney, che è la città di residenza di quest'ultimo, ove s'è svolta l'intervista, i nomi dei capitani Adriano Piccioni e Claudio Coltelli e quindi per la Navy William Mc Bride e per i Marines William Mc Donnell (v. esame De Angelis Massimo, GI 18.11.92).

Piccioni e Coltelli indicati da Gatti e da De Angelis, negheranno ogni rapporto per Ustica con gli americani, come si vedrà in seguito. Diverso l'atteggiamento dell'ufficiale americano Mc Bride indicato sullo stesso foglio d'agenda (insieme all'ufficiale dei Marines Mc Donald, non escusso), ma su questo infra.

Coe esaminato più volte, modificherà in alcuni punti la sua versione dei fatti rispetto al testo dell'intervista e rilascerà per telefono dichiarazioni a Piccioni, registrate ed esibite a questo ufficio, in contrasto con le dichiarazioni di De Angelis. Chiamato quindi a confronto con De Angelis, negli Stati Uniti nel corso della esecuzione di commissione rogatoria, fu impedito a comparire da avverse condizioni meteorologiche. Disposto nuovo confronto con modalità telematiche, stando il teste statunitense a Dallas e quello italiano a Roma, questi ha consentito all'atto, mentre il primo ha rifiutato. Su tutta l'evoluzione del comportamento di Coe si ritornerà, approfondendo, nel prossimo paragrafo.

Qui a chiusura di quello su De Angelis, giova ripetere che questo testimone ha sempre confermato la sua versione dei fatti, versione peraltro coincidente con quella di Gatti e con quella dello stesso Coe quale appare dal filmato dell'intervista trasmessa; sostenuta da quella del filmato dell'intera ripresa - entrambi consegnati dallo stesso De Angelis - filmato questo secondo, in cui appaiono sia i tempi morti che le ripetizioni delle scene sbagliate; confortata dallo scritto sulla sua agenda. Testimone, il De Angelis, che s'è sempre dimostrato disposto a sostenere il confronto con Coe, comparendo sia a Washington il 10 dicembre 92 nella sede del Dipartimento di Giustizia, che a Roma il 22 febbraio 93 nella sede di questo ufficio (v. confronto De Angelis-Coe, GI 10.12.92 e 22.02.93).

Coe escusso una prima volta, già alla prima domanda, quella di semplice conferma del contenuto delle sue dichiarazioni a De Angelis, inizia un uso del modo condizionale che connoterà tutti i suoi esami. Questa è la sua risposta "confermerei quello che ho detto. Non sono sicuro di cosa fu riportato all'ultimo quando venne presentato alla televisione italiana - quale parte fu tagliata e quale mostrata, così... sì, parlai con lui comunque". Quindi sulle modalità del contatto "...in qualche modo ricevemmo una telefonata dal Governo italiano o dalla Marina italiana o dall'Aeronautica italiana e non ricordo chi abbia chiamato l'Ambasciata...". Non ricorda quando fu ricevuta la telefonata; riferisce però che quando l'Ambasciata è chiusa c'è un solo ufficiale "on duty" per tutti gli addetti militari ed egli quella sera non era "on duty". Afferma poi che al mattino successivo "chiamammo la NATO da parte dell'Aeronautica attraverso Ramstein. Mc Bride da parte sua, chiamò un assistente (inc.) alla 6ª Flotta". Come si nota anche qui la risposta è data al plurale, mentre appare che ciascun ufficiale chiama la Forza di appartenenza e quindi a rigore egli avrebbe dovuto usare il singolare come lo ha usato per Mc Bride.

Alla risposta successiva già abbandona il caso specifico e riferisce una sorta di regola generale "quando succede una cosa in genere, noi all'Ambasciata, cioè l'Ambasciatore decide di organizzare un gruppo piccolo - due o tre persone - per lavorare e scoprire cosa è successo...". Quindi inizia la trasformazione delle sue risposte, avviene la metamorfosi del suo discorso in ipotetico "...e questo è ciò che dissi a Massimo - De Angelis nde - quando mi chiese "cosa facesti con le informazioni?", normalmente se qualcosa come questa fosse stata domandata anche attraverso il Dipartimento di Stato, il Dipartimento di Stato avrebbe formato un gruppo di persone per preparare una relazione in merito all'interno dell'Ambasciata. Normalmente se avesse avuto a che fare con le forze militari, sarebbe stata la sezione degli affari politico-militari a presiedere il gruppo...". Poi continua "normalmente ciò che noi faremmo, se arrivasse una domanda dall'Ambasciata nel suo insieme sarebbe di formare un piccolo gruppo di lavoro...".

Segue un'alternanza tra il modo indicativo e quello condizionale "...ero l'addetto aeronautico aggiunto e parlai con l'Aeronautica degli Stati Uniti". "Normalmente passavamo le informazioni a colui che era il responsabile del gruppo, che in questo caso penso fosse Steve May...". Alla domanda, precisa, su chi contattò oltre Ramstein, in particolare per avere l'informazione che non c'era in volo nessun aeroplano dell'USAF risponde "normalmente avrei chiamato Ramstein" e dopo aver preso tempo "non posso dirvi con esattezza chi chiamai" e così di seguito. Alla domanda su quando fu costituito il gruppo, dapprima la risposta netta, poi la "sfumatura": "il giorno dopo. Penso fosse il giorno dopo". Alla domanda su quanto durò il lavoro di questo gruppo dapprima una risposta incerta, poi in via ipotetica la riduzione al minimo "non ho nessun appunto che mi dica per quanto tempo andò avanti. Penserei per uno o due giorni fino a quando non avemmo una risposta completa, e poi se ci avessero fatto ulteriori domande, noi saremmo tornati a riunirci nuovamente".

Ammesso che il gruppo s'è costituito in conseguenza di una richiesta proveniente dalle Autorità italiane, non sa dire con esattezza chi formulò la richiesta. Accolla la responsabilità dei contatti a Steve May, ma non sa dire quali fossero i suoi referenti italiani, gli uffici che ponevano le "domande", se cioè fosse il Ministero degli Affari Esteri o quello della Difesa o altro Ente. Alla precisa domanda se vi fosse un rapporto diretto tra l'Attaché aeronautico e l'Aeronautica militare italiana, Coe tocca una delle punte più alte della sua capacità di eludere risposte similmente precise, al punto tale da provocare la reazione del magistrato statunitense esecutore della commissione rogatoria.

Vale riportare integralmente l'evoluzione dell'interrogatorio. "Sì, c'erano diversi contatti con loro per scambio di informazioni. Dopo il 1980 chiamavamo meno spesso per ottenere i permessi aerei..." e così via per una decina di righe sulle procedure di atterraggio nel nostro Paese. A domanda specifica sui rapporti per il disastro di Ustica "non posso essere esattamente sicuro, ma penso comunque che normalmente avremmo parlato con una voce sola tramite colui che dirigeva il gruppo, probabilmente Steve May. Noi avremmo risposto a delle domande direttamente attraverso un ufficio solo, l'ufficio di Steve May". A questo punto la reazione del magistrato statunitense "solo al fine che le cose siano chiare, mi scusi, devo soltanto chiarire qualcosa, perchè io continuo a notare che lei usa molto il tempo condizionale "che noi avremmo fatto questo", "sarebbe Steve May". La mia domanda è: in questo caso particolare, ci fu un gruppo? Il capo del gruppo era Steve May e lei inviò comunicazioni attraverso Steve May?; non "quella sarebbe la normale situazione?" ma in questa particolare situazione c'era o non c'era o non ricorda?". La risposta di Coe palesa il suo imbarazzo "non posso darle una risposta esatta... la risposta è che non glielo posso dire con esattezza".

A contestazione del fatto che a volte il teste continua l'uso dell'indicativo, riportando fatti storicamente accaduti come quando afferma che il gruppo fu costituito e non che sarebbe stato costituito, il magistrato statunitense puntualizza esclamando "e questo è il problema... e allora io volevo che fosse chiarito". Coe ribadisce più volte di non ricordare, di non ricordare in particolare di aver parlato con qualcuno del Ministero della Difesa italiano, e conclude testualmente affermando "Presumo che ci fu un gruppo di lavoro e che il gruppo di lavoro passò le informazioni a qualcuno del Governo italiano".

Richiesto, in considerazione del fatto che egli fa riferimenti sempre non a situazioni specifiche ma a situazioni generiche, a chi facesse capo normalmente presso l'Ambasciata italiana, menziona "diversi marescialli... penso che il capitano Piccioni stesse là all'epoca. Penso che il capitano Coltelli stesse nell'ufficio all'epoca". Questi erano nel 4° ufficio, il Foreign Liaison Office, di cui però non ricorda il capo. Nega, poi, che sia stata fatta nel gruppo di lavoro l'ipotesi dell'abbattimento a mezzo missile. A contestazione del fatto che egli aveva riferito al giornalista italiano che era stato compiuto, su disposizione dell'Ambasciatore un check dei missili, risponde che la domanda dell'intervistatore era stata formulata in via ipotetica "se fosse stato chiesto, sareste andati direttamente a controllare se vi fossero missili dispersi?". A domanda di tal sorta, altrettale risposta.

Anche il lavoro del gruppo viene smentito. Non più un vero e proprio lavoro di gruppo, bensì lavoro normale nel senso che ciascuno faceva il lavoro normale nel proprio ufficio e rispondeva a qualsiasi domanda di colui che era il responsabile del gruppo. A specifica domanda sui nastri radar della Saratoga, afferma che non ne ha nemmeno sentito parlare. Egli si è interessato soltanto degli aerei dell'Aeronautica e qui ammette di aver chiamato le basi dell'USAF. Dei risultati delle ricerche dell'Addetto per la Marina asserisce non si discusse nel team. Sul MiG23 lo stesso atteggiamento di cui prima "...se qualcuno avesse accennato...avremmo discusso...".

Ammette di aver parlato con altri addetti europei e di aver ricevuto anche da loro risposte totalmente negative, e cioè che nessun aereo delle proprie aeronautiche era in volo, quella sera. A domanda se queste ricerche concernessero particolari tipi di aereo, come quelli armati, risponde che furono condotte senza specificazioni, comprendendo cioè non solo caccia armati ma anche aerei da carico e da trasporto, e che la risposta fu negativa per tutti i tipi.

Quanto alle modalità dei rapporti sia con l'Aeronautica italiana che con altri enti statunitensi afferma che furono tutti orali, nel senso che non vide mai alcuno scritto e che richieste e risposte furono fatte attraverso telefono. Per queste ragioni non gli consta l'esistenza di documentazione del gruppo.

A contestazione dell'anomalia della richiesta in sè e cioè una richiesta dell'Aeronautica militare italiana all'Ambasciata degli Stati Uniti, non sa dare una risposta e si trincera entro l'ambito dell'attività da lui svolta.

Contestatogli il testo dell'intervista - attraverso la visione della relativa video-cassetta - ammette che quelle registrate sono le sue risposte. Ma abilmente specifica: queste sono le risposte date da un certo momento in poi. All'inizio dell'intervista davo, asserisce, risposte eguali a quelle di oggi. Il giornalista però mi chiese di dare risposte più "definitive" - il teste usa il termine inglese "definitive" - e così ho dato le risposte che risultano nella registrazione ... dopo aver fatto l'intervista ho scoperto quello che succedeva in Italia e ho recuperato degli appunti".

Questo è il succo di questa sorta di discolpa. Gli appunti però non sono stati mai mostrati, nè si sa cosa esattamente contenessero. L'unica parte credibile di queste dichiarazioni è quella che concerne la percezione delle conseguenze "italiane" della trasmissione. Subito dopo si confonde e dà risposte "definitive" su alcuni temi come quello della costituzione del gruppo e quello della estensione dell'indagine sulla eventualità di un missile. Su quest'ultimo argomento mentre prima aveva risposto di non aver mai sentito di ipotesi di abbattimento a mezzo missile, qui risponde "penso di sì, sì".

Asserisce poi che l'intervista durò cinque ore, e alla domanda se si rendesse conto che dava risposte con significato preciso, risponde che se ne rendeva conto. Alla domanda conseguente cioè se si comportasse così solo per compiacere l'intervistatore, dà una risposta altrettanto strana, che vale la pena riportare per intiero: "in parte sì, cerchi di capire che per Lei questa investigazione importante va avanti da molto tempo. Per me, quando il sig. De Angelis mi ha contattato non sapevo che un'indagine di questa portata si svolgesse in Italia. La mia partecipazione all'intervista era solamente per fare un favore al sig. Gatti...". Conseguente l'amara constatazione del Pubblico Ministero "il problema è che quello che lei dice nell'intervista è più corrispondente a quello che risulta a noi rispetto a quello che ci ha detto oggi".

Il teste continua con una serie di risposte ripetitive e in cui a volte è difficile rintracciare il filo del discorso. A proposito della domanda specifica (di De Angelis) se fossero stati presi in considerazione tutti gli altri aerei, commenta, all'esame testimoniale "c'erano Intelligence Aircraft (aerei che registrano voci e segnali) che volavano su e giù per il Mediterraneo e i libici ne erano consapevoli. I libici pensavano che stavano per intercettare quell'aereo ed invece si trattava di un aereo civile. Di nuovo non sono in grado di dire quando ciò avvenne, posso sbagliarmi per quanto riguarda ciò che è successo, potrebbe essere prima o dopo l'incidente. Ma il Military degli Stati Uniti e dell'Italia si erano preoccupati per una possibile intercettazione da parte dei libici nella zona. C'è stato un tentativo di intercettazione. C'era il tentativo di intercettare ed era finito con l'intercettazione di un aereo civile. Non so esattamente quando è successo. Tentativo di intercettazione vuol dire che non si sono affiancati all'aereo per identificarlo, non si sono avvicinati abbastanza per poter agire... . Una intercettazione potrebbe essere di due tipi - di poter identificare l'aereo e di accompagnarlo fuori dal proprio spazio aereo, o di distruggerlo. In quel periodo i libici avevano aumentato il proprio spazio aereo; ma non mi ricordo della distanza precisa, ma l'avevano aumentato di parecchio nel Mediterraneo fino al punto di tagliare alcune rotte alle compagnie aeree... . Non sono in grado di dare informazioni precise (sulla nazionalità e sul luogo in cui avvenne il tentativo d'intercettazione; nde) ... (l'aereo civile; nde) ha continuato la sua rotta. Non sono in grado di dire se (aerei del tipo sopraspecificato; nde) c'erano o se non c'erano in quel momento, le rotte costituivano materia molto classificata... . Non avevo accesso ad esse (alle rotte classificate; nde), ma non perchè erano classificate per me, soltanto non avevo bisogno di sapere queste cose".

Di fronte a queste risposte si può solo dire che un teste di tal fatta, se fosse stato animato da reale volontà di collaborare all'inchiesta, avrebbe potuto apportare contributi eccezionali. Ma egli mostra invece confusione ed ingenera confusione. E' sufficiente riportare la sua risposta al quesito su come fosse entrato in possesso dell'informazione sulle tracce dei radar italiani. Egli afferma "Da Claudio Gatti. E ora ho ricevuto informazione che non è vero; apparentemente qualcuno ha un tracciato radar che io non ho mai visto". Ricorda infine di aver seguito la vicenda dei "C130 libici in lavorazione" presso le Officine Aeronavali di Venezia, ove s'era recato di persona. Ma su questo punto in altro capitolo (v. esame Coe Richard, in rogatoria USA 10.03.92).

Esaminato nuovamente l'indomani, alla domanda se avesse avuto dopo l'intervista rilasciata a De Angelis, contatti con personaggi dell'Aeronautica italiana, risponde di aver ricevuto - ma non precisa quando - una chiamata proprio da De Angelis, con la quale questi gli comunicava che i generali Tascio, Bartolucci, Pisano ed altri, così come i colonnelli Piccioni e Coltelli ed altri ufficiali inferiori erano stati messi sotto processo da questo ufficio. Per questa ragione aveva tentato di mettersi in collegamento con il Ministero della Difesa-Aeronautica, ma con esito negativo. Stesso esito nel tentativo verso l'Ambasciata USA, nella persona di tal signora Mancini, negli uffici degli Addetti. Aveva chiamato infine casa Piccioni, ma il colloquio sia con l'indiziato che con sua moglie, era stato freddo. Con il primo poche battute sul processo: se fosse vero quello che si diceva, che probabilmente si sarebbero incontrati negli Stati Uniti, infine espressioni di dispiacere per la sua posizione. Con la moglie solo convenevoli di circostanza.

Questa telefonata ovviamente deve collocarsi dopo la emissione delle comunicazioni giudiziarie, che è del 30 dicembre 91, ovvero dopo la diffusione delle richieste del PM ad opera del GR1, che è del 18 gennaio 92 - il 23 immediatamente successivo Piccioni viene convocato per l'interrogatorio - e l'esame di Coe, che è dell'11 marzo 92.

Dopo la conversazione con i coniugi Piccioni Coe, riferisce, non ha più chiamato nessuno. Ha letto però sulla stampa italiana una notizia che non è riuscito a spiegar bene, e cioè una sorta di rinvio dell'attività a dopo le elezioni dell'aprile 92. Ricorda infine una telefonata di Gatti in cui costui gli chiedeva del MiG23, e tale telefonata dovrebbe essere avvenuta nella seconda o terza settimana di febbraio (v. esame Coe Richard, in rogatoria USA, 11.03.92).

Un'altra telefonata che coinvolge Piccioni avverrà il 23 settembre 92, l'indomani dell'interrogatorio di Piccioni - quello svoltosi il 22 settembre - a seguito della risoluzione della questione, sollevata nel primo, di difetto di giurisdizione di questo ufficio e conseguente nullità di ogni atto. Il testo di questa telefonata è stato depositato il 2 ottobre 92 dal difensore di Piccioni. Secondo quanto si legge nella produzione difensiva la comunicazione sarebbe avvenuta alle ore 01.10a.m. (ovviamente ora italiana) del 23 settembre, e quindi alle 06.10p.m. del giorno precedente per Dallas, Texas.

In essa Piccioni esordisce dicendo a Coe "...guarda che io ti ho telefonato perchè stamattina, che oggi è il 22 se non sbaglio, sono andato dal Giudice Priore che mi ha convocato e gli ho detto che tu mi avevi detto di aver rilasciato un'intervista ad un tale Gatti, non mi ricordo se dell'Europeo o dell'Espresso e ad un'altra persona; che l'int... quello che tu avevi detto era stato distorto, quasi manipolato... che nel corso dell'intervista non hai mai detto di aver parlato... che noi abbiamo parlato del problema Ustica; quindi io ho confermato che tra me e te, durante quel periodo, noi non abbiamo mai parlato del problema Ustica. Nè in avanti nè indietro. ...Ecco! E questo tu me lo confermi?". A questa domanda finale Coe risponde "Questa è la verità e la confermo". Alle altre, quelle precedenti, aveva risposto in coincidenza con le sospensioni del discorso di Piccioni già con quattro "sì". Subito dopo il "confermo" di Coe, Piccioni esclama "oh! meno male. Perchè qui si sta scatenando l'ira di Dio, si sta scatenando. Comunque questa è una cosa. Io non so come ringraziarti...".

Piccioni gli dice poi un'altra frase di rilievo "tu lo sai che noi siamo stati cortocircuitati" ed anche a questa Coe dà una risposta affermativa "sì, è esatto, io ho parlato con quelli dell'altro ufficio". Seguono richieste di conferme e conseguenti assicurazioni. Piccioni "...senti eventualmente tu quello che mi hai detto adesso saresti disposto a scriverlo?" - Coe: "sì" - Piccioni "perfetto!" - Coe "se è necessario scrivo quello che vuoi" - Piccioni "perfetto!" - Coe "e se devo venire a Roma..." - Piccioni "... preferisci che ti scriva o che ti telefoni?" - Coe "non importa nulla, per me è uguale".

Questa telefonata - predisposta e concertata, come chiarissimamente emerge dalla registrazione, per la consapevolezza di essa da parte di Coe (lo riferirà nell'esame del 22.02.93) per il contenuto e per le modalità sia delle domande che delle risposte - come il tenore di tutte le deposizioni di Coe, hanno imposto un nuovo esame dell'ex ufficiale americano, avvenuto come detto nel febbraio del 93.

In questo atto Coe non chiarifica assolutamente la sue contraddittorie risposte ai precedenti esami, anzi per più versi accresce le difformità tra le posizioni assunte nel tempo e impedisce apporti alla ricerca della verità.

In primo luogo riconosce le differenze tra le risposte dell'intervista a De Angelis dell'ottobre 91 e l'esame in rogatoria del marzo 92. Nè vale dire a giustificazione, come egli fa, che dinanzi all'ufficio egli era sotto giuramento, così come non vale che egli possa usare il modo della certezza o quello ipotetico a seconda dell'interrogante o degli inviti che costui gli rivolge, come egli fa nel prosieguo della risposta. A quella successiva ribadisce che s'era indotto ad usare gli indicativi perchè De Angelis lo aveva invitato ad essere più definitivo. Non sa dire se le prime risposte, quelle al condizionale, furono registrate, perchè non è in possesso della registrazione - ma De Angelis ha depositato l'intera ripresa ed in essa non si ravvisano assolutamente risposte al condizionale nè ripensamenti nè inviti in tal senso. Anche sulla durata dell'intervista v'è contraddizione, giacchè egli insiste che durò quattro ore, contrariamente a quanto affermato - lo si è già detto - da De Angelis. E questo sarebbe stato un altro punto su cui il confronto avrebbe potuto esser d'utilità nella risoluzione dei contrasti nelle versioni, ma Coe non ha voluto, lo di ripete, sostenerlo.

Sulla telefonata con Piccioni del settembre 92, dichiara che era consapevole della registrazione, ma quasi mettendo le mani avanti per evitare le trappole che egli presume possano essergli tese, dichiara "la conversazione durò più della registrazione".

Sulla "cortocircuitazione" non è chiaro: ma dall'insieme del testo potrebbe desumersi che il passaggio dell'informazione era accentrato dal livello politico militare. Deduzione che potrebbe essere comprovata dalla risposta che egli dà a proposito dell'altro ufficio con il quale, esso Coe, avrebbe parlato durante le ricerche per l'evento in questione. Al contrario di quella che poteva apparire l'interpretazione più ovvia, e cioè che altro ufficio fosse un ufficio dell'Aeronautica militare italiana, egli sostiene che l'altro ufficio era l'ufficio politico-militare dell'Ambasciata americana.

E così si persiste nel giudizio già dato su questo testimone. Coe avrebbe potuto essere un teste chiave dell'inchiesta, era stato avvisato sin dalle prime ore delle richieste dell'Aeronautica militare italiana; era stato inserito nel working-group costituito dall'Ambasciatore statunitense; aveva compiuto numerosi atti di ricerca presso l'Aeronautica degli Stati Uniti; aveva tenuto i rapporti quotidiani con gli uffici dell'AM. Avrebbe potuto rendere un gran servigio ed invece ha reso dichiarazioni contraddittorie, inattendibili, quasi tormentate.

Probabilmente permane tuttora nella società anglosassone una consuetudine di sincerità nelle deposizioni testimoniali, ma tale propensione è stata di certo contrastata da sentimenti di solidarietà che sussistono negli ufficiali di un'Alleanza militare pluridecennale; come anche forse inquinata da interventi e colloqui con ambienti italiani. Ne è derivato quell'insieme di asserzioni contorte, ingarbugliate, palesemente inattendibili; tanto più inattendibili se poste a confronto con le risposte secche asciutte decise date a De Angelis, sulle quali v'è addirittura la ripresa filmata che non mostra mai dubbi, perplessità, sfumature al condizionale. Versione questa confermata dalla narrazione di Gatti e dall'intero contesto delle altre circostanze sulle vicende del working-group.

Sulla base di quanto riferito dal maggiore Coe sul gruppo di lavoro fu a suo tempo rimessa commissione rogatoria alle Autorità statunitensi per l'escussione dei componenti, secondo le indicazioni dello stesso Coe, di quel gruppo. Come si ricorderà, ne facevano parte Steven May per il politico-militare, William Mc Bride per la Marina, William Mac Donnel per la Marina, Dewey o Duane Clarridge per la CIA (v. commissione rogatoria verso gli USA, GI 20.01.92).

Clarridge nella missione del marzo 92 non si è presentato, pur citato dalla magistratura americana, avvalendosi della facoltà concessagli da quell'ordinamento in quanto sotto processo federale ("under federal indictment) nel caso Iran-Contra. Si presenterà, una volta "amnistiato" dal Presidente degli Stati Uniti Bush, in una successiva missione negli Stati Uniti (v. commissione rogatoria verso gli USA, GI 04.03.94) e delle sue dichiarazioni si parlerà infra.

Mc Bride al contrario s'è presentato nella prima esecuzione delle richieste rogatorie e ha reso ampia testimonianza. Nel giugno dell'80 era assistente dell'Addetto navale. Non ricorda che il gruppo di lavoro per l'incidente di Ustica fosse un gruppo ufficiale. Ricorda comunque che furono avvisati della caduta dell'aereo e che sentirono delle voci secondo cui poteva essere stato un missile. Perciò egli immediatamente chiamò le operazioni aeree della 6ª Flotta per accertare se vi fossero aerei in volo e quali fossero. Gli fu risposto per telefono, che la portaerei era in porto e che al momento dell'incidente non c'erano aerei in volo. Di conseguenza inviarono un messaggio al comandante della Marina statunitense in Europa ovvero Cincusnaveur a Londra per accertare in primo luogo se fossero a conoscenza di aerei in volo ed in secondo luogo se ci fossero stati "collection assests" ovvero aerei di raccolta informazioni, in volo. Anche in questo caso ricevettero risposta negativa. Non ricorda Mc Bride però quando trasmise questa richiesta. E' incerto tra il venerdì notte e il sabato, pur dando più probabile quest'ultima ipotesi. E' comunque certo che ritornò in ufficio, nonostante fosse festivo, quel sabato, perchè probabilmente era l'ufficiale in turno. In quel tempo era sua abitudine andare il fine settimana in montagna e quel sabato, ricorda, non poté raggiungere il luogo di villeggiatura a causa di quell'incidente aereo. Ricorda di aver trovato, quel sabato, Coe già in ufficio con il quale discusse del disastro.

Non ricorda come e quando abbia ricevuto la prima notizia dell'incidente. Si rammenta però di aver informato, dopo le richieste di informazione telefoniche, il suo superiore, cioè l'Addetto navale capitano Hardy Rose. Presso gli americani la memoria è più forte e sincera, ed immediatamente emerge il meccanismo di rapporto a livelli superiori. Anche sulle modalità di richieste di informazione Mc Bride è preciso; quelle alla 6ª Flotta furono fatte per via telefonica e furono rivolte al duty officer di quella Flotta, di stanza a Gaeta; quella a Cincusnaveur per telex sempre quel sabato. La risposta da Londra pervenne - in seguito si rileverà l'importanza di questa risposta a proposito del documento già citato, quello del 21 dicembre 80 all'AG da parte di Tascio per il 2° Reparto SMA, documento cui quella risposta fu allegata, con soppressioni e contraffazioni - non immediatamente, ma dopo qualche giorno. L'interpello di Cincusnaveur concerneva velivoli in generale, afferma Mc Bride, e analogamente la risposta.

Contestatogli che al tempo del disastro qualche aeroplano americano era, contrariamente a quanto affermato da Cincusnaveur, in volo, risponde che forse a un certo punto le ricerche si focalizzarono su velivoli armati. Non è a conoscenza della vicenda dei nastri di registrazione radar della portaerei Saratoga.

Quanto ai rapporti del gruppo dell'Ambasciata con le Autorità italiane ricorda che erano quasi giornalieri e che comunque riferì alla Marina italiana i risultati della telefonata a Gaeta, nell'immediatezza e per telefono. La sua interfaccia alla Marina era il comandante De Michelis del SIOS di quell'Arma. Non è sicuro, invece, sul destinatario della seconda risposta, quella di Cincusnaveur, giacchè quando essa pervenne s'era giunti già alla convinzione che l'incidente era non militare, ragion per cui egli stima che quella risposta potrebbe essere stata trasmessa al Dipartimento di Stato e cioè non direttamente all'interfaccia del SIOS Marina.

Quanto alle modalità di funzionamento del gruppo di lavoro, testualmente risponde: "poichè (sul testo della trascrizione c'è scritto perché; nde) la mia funzione era in rapporto con la 6ª Flotta, io avevo un interesse. Anche Richard Coe era una delle persone dell'Aviazione. E penso che probabilmente (inc.) l'addetto Rose partecipò marginalmente, supervisionando. Avremo coinvolto l'addetto politico militare del Dipartimento di Stato, Steve May...".

Quanto a Jim Mc Donnell, l'altro interrogato nel corso della commissione rogatoria eseguita a marzo 92, Mc Bride dichiara che anche lui fu coinvolto e che lavorarono insieme giacchè costui stava per sostituirlo come assistente. Non ritiene che al termine del lavoro sia stato redatto un rapporto scritto. Le modalità di lavoro, aggiunge, furono comunque molto informali dal momento che nell'ambito di breve tempo si raggiunse la conclusione che non v'era coinvolgimento di militari. Non ricorda se fu compiuto un check dei missili. Per quanto concerne i rapporti con la Marina italiana essi erano tenuti dal sostituto dell'ammiraglio Gerace comandante Gallo e dal maresciallo Fusco.

Sulle prime informazioni ricevute ricorda che da Coe seppe - la cui fonte potrebbe essere stata il Dipartimento di Stato - che su un giornale si sarebbe parlato di missile statunitense. Il lavoro di ricerca proseguì per due o tre giorni e il gruppo di lavoro non assunse mai la dignità di commissione di inchiesta, cioè non ci furono comunicazioni scritte, elenchi di persone convocate, assegnazione di precisi incarichi; il gruppo compì le indagini nell'ambito delle specializzazioni di ciascuno (v. esame Mc Bride William, in esecuzione rogatoria USA, GI 11.03.92).

Mc Donnell James Laurence Jr. non era tra le persone indicate da Coe come facente parte del gruppo di lavoro. Coe aveva indicato persona con cognome similare, Mc Donald dei Marines. Questa persona non era stata inclusa nella richiesta rogatoria dal momento che per la sua competenza specifica con ogni probabilità aveva svolto indagini limitate. Nell'elenco delle persone citate dall'AG americana è invece incluso questo Mc Donnell, il quale al tempo di Ustica prestava servizio nell'ufficio degli Addetti navali, ufficio che come egli stesso dichiara era composto da un titolare e tre assistenti. Egli di certo non fece parte del gruppo di lavoro, perchè nulla o poco ne sa. Non è indicato da Coe, come s'è detto, e Mc Bride sembra ridurre al minimo il suo coinvolgimento, perchè appare dalle sue dichiarazioni che gli fu associato, stando egli per lasciare quel servizio. Egli stesso dice che gli altri due ufficiali navali possono aver fatto parte del gruppo, e che uno di questi era sicuramente era Mc Bride, che era l'ufficiale di servizio in ufficio mentre egli era spesso in missione fuori sede. Ricorda di aver sentito gli Addetti aeronautici parlare del disastro di Ustica, ma non sa collocare nel tempo questi episodi. A richiesta di quali fossero le procedure standard nei rapporti con gli enti militari italiani, dichiara che essi intercorrevano con i SIOS d'Arma; che il punto di contatto presso l'Aeronautica era il capitano Piccioni, con il quale ha sempre lavorato; che i rapporti avvenivano tramite messaggi spediti via telex (v. esame in esecuzione rogatoria USA Mc Donnell James Laurence Jr., GI 10.03.92).

Di maggior interesse ai fini della ricostruzione di queste vicende relative al gruppo di lavoro dell'Ambasciata le dichiarazioni di colui che lo presiedette, ovvero Stephen May (e non Steve, come egli stesso precisa), diplomatico.

Questi ammette di aver partecipato a quello che si sarebbe chiamato, afferma, un "working-group"; gruppo di lavoro costituito all'interno dell'Ambasciata americana. Lo scopo di questo gruppo, precisa, non era quello di investigare sulle cause dell'incidente di Ustica, bensì quello di redigere rapporti sulla stampa e sulle controversie politiche originatesi dall'incidente. "Quindi il lavoro del gruppo era quello di stendere i rapporti da inviare al Governo in Washington, all'inizio giornalmente, e poi meno frequentemente". Questo gruppo fu costituito il giorno dopo l'incidente. Egli come costitutore del gruppo più che l'Ambasciatore ricorda il "Deputy Chief of Mission" e cioè il secondo dell'Ambasciata. Nel gruppo c'era sicuramente Coe e probabilmente certo George Resnick, non bene identificato. Egli, che pure era troppo giovane per dirigere formalmente il gruppo, in virtù della sua veste di diplomatico, membro dell'ufficio politico militare, era colui che redigeva i rapporti per Washington. Nell'ambito del gruppo i contatti con le Autorità italiane erano divise secondo le competenze specifiche; gli addetti militari parlavano con le forze armate, il settore politico-militare parlava con il Ministero della Difesa e con quello degli Affari Esteri.

Ribadisce - e poi si vedrà con quale valore - il compito preciso del gruppo, quello cioè di interpretare per Washington la stampa italiana. Non ricorda se nella stessa notte del disastro pervenne all'Ambasciata una telefonata dell'Aeronautica militare italiana. Ritorna sulle ipotesi formulate nell'immediatezza dell'incidente dalla stampa italiana secondo cui veniva insinuato che l'Aeronautica italiana o le forze aeree della NATO fossero coinvolte nella caduta del DC9. Su queste sue dichiarazioni concernenti le notizie nell'immediatezza e nei giorni seguenti si dovrà ritornare, giacchè non sembrano assolutamente corrispondere al vero, non essendo apparse sui mezzi di informazione in quel torno di tempo notizie del genere.

Per la ragione suddetta il gruppo si mise in moto cioè per accertare se forze statunitensi fossero rimaste o meno coinvolte nel disastro. Ricorda in particolare che al tempo l'incidente era apparso a tal punto strano che s'era pensato anche che la causa potesse essere stata una qualche eruzione vulcanica. S'era pensato anche ai libici. Stima che sia stato fatto un check dei missili, ma asserisce che di certo non è stato compiuto nè ordinato dal gruppo di lavoro. Ogni sera si redigeva un rapporto dell'attività del giorno e si mandavano i telegrammi al Dipartimento di Stato. Il gruppo ha lavorato circa tre settimane, ma non esclusivamente, precisa, sul caso Ustica. Non ricorda però se quel gruppo di lavoro esaminò anche il caso del MiG23 caduto nella zona di Castelsilano di Calabria, rinvenuto a tre settimane di distanza dall'evento di Ustica. E' certo di non aver mai visto i nastri della Saratoga.

I rapporti con gli italiani erano orali e nonostante ci fosse molta confusione i contatti erano tenuti "a scadenze quasi regolari", anche se informali, senza antagonismo, le parti essendo accomunate dall'impegno di scoprire le cause dell'incidente. In effetti lo scambio di notizie e di risultati c'è stato, e non solo con le autorità militari, ma anche con quelle civili e cioè con il Ministero degli Affari Esteri, composto da membri del servizio diplomatico. Tra i militari ricorda l'ufficio del Capo di Stato Maggiore della Difesa. Dopo aver narrato le sue incombenze durante la visita di Stato del presidente Carter in Italia - su cui si dovrà tornare quando si prenderà in esame la vicenda dei C130 libici delle Officine Aeronavali di Venezia -, specifica le classificazioni dei suoi rapporti a Washington: alcuni, quelli con notizie di stampa, senza classifica; quelli con commento con la classifica di riservato; quelli che riportavano conversazioni con ufficiali del Governo italiano con la classifica di riservato o addirittura segreto.

Sulla vicenda è stato esaminato, come già detto, anche il Capo della Stazione CIA a Roma in carica all'epoca. Di costui, Dewey Clarridge, detto Duane, si era chiesta l'audizione sin dal 92 (v. commissione rogatoria verso gli USA 20.01.92), ma per lungo tempo, come s'è detto, non era stato possibile compiere l'atto a causa dello stato di imputato assunto dal teste nella procedura statunitense Iran-Contra. Solo quando egli ed altri nella medesima posizione sono stati prosciolti per effetto di decreto del Presidente degli Stati Uniti, si è potuto procedere alla sua escussione, avvenuta nello Stato di California nel 94.

Clarridge ha risposto ad una serie di domande sul disastro di Ustica e sulla rivendicazione Affatigato. Ha confermato di esser stato contattato dal giornalista Gatti più volte per telefono e di averlo incontrato da ultimo nel febbraio del 94 al ristorante italiano Bice - molto caro - di New York. Ha ricordato la campagna di esecuzione compiuta a danni di libici o oppositori del regime gheddafiano in Italia durante il primo semestre dell'80 riconoscendo peraltro che due degli uccisi erano suoi agenti, e che la sua Stazione era divenuta, dopo la chiusura dell'Ambasciata USA in Libia, competente per gli affari libici. Non ha messo però in rapporto questi fatti con la strage di Ustica, così come non ha messo in contatto questa strage con quella immediatamente successiva della stazione di Bologna, giacchè non vi erano né sensazioni né informazioni che l'evento di Ustica fosse stato cagionato da un atto terroristico. Ed in tal senso erano anche le notizie che egli riceveva dei Servizi italiani, sia il S.I.S.MI, ed egli di persona ne aveva principalmente con il Direttore Generale Santovito (v. esame in esecuzione commissione rogatoria Clarridge Dewey, GI 20.05.94).

A dire il vero il Servizio cui esso Clarridge apparteneva e altri Servizi di intelligence statunitensi hanno prodotto - e non poteva essere altrimenti nonostante più volte sia stato affermato che il disastro di Ustica fosse stato un non evento - numerosi documenti.

Questi documenti o parte di essi pervenivano agli atti solo dopo anni, tra la fine del febbraio e gli inizi del marzo 93, attraverso un teste, Incerti Corrado giornalista di "Panorama" che li aveva acquisiti attraverso il Freedom of Information Act, e utilizzati in un articolo del suddetto periodico dal titolo "USA e insabbia"; e attraverso la richiesta rogatoria di questo ufficio alle Autorità statunitensi (v. commissione rogatoria 20.02.92).

Di fronte a tale situazione probatoria i due chiamati in causa, gli indiziati Coltelli e Piccioni, apporranno una recisa negativa. "Non ricordo - afferma Piccioni - se nei giorni successivi (al disastro di Ustica, nde) avemmo contatti con l'Ambasciata degli Stati Uniti, ma sono portato ad escluderli, almeno per quanto riguarda la mia persona. Abbiamo fatto ricerche su carteggi esistenti in ufficio, ma non abbiamo trovato alcuna traccia di documentazione relativa a contatti con l'Ambasciata. Queste ricerche sono state fatte a più riprese a partire dal 90" (v. esame Piccioni Adriano, GI 18.09.91).

"Ritengo - dichiara Coltelli - di non aver chiamato nè ricevuto chiamate dall'Ambasciata americana per il fatto di Ustica...". Esclude di aver parlato con costoro (con Coe e Biankino, nde) di Ustica per ragioni di ufficio (v. esame Coltelli Claudio, GI 18.09.91).

Questo l'atteggiamento che cagionerà le comunicazioni giudiziarie per falsa testimonianza. Più elaborate le discolpe, quando verranno interrogati in tale qualità. Ma su tali atti nella parte relativa alle posizioni degli imputati e degli indiziati. Qui si rileva soltanto la enorme differenza di comportamento tra testi americani e quelli italiani e come la negativa assoluta di questi ultimi appaia, di fronte al complesso delle prove dei fatti che li concernono, tanto pervicace quanto ottusa. Senza nulla dire sull'enorme danno cagionato all'inchiesta da tali atteggiamenti, che per essere di personaggio chiave nella ricostruzione di tanti ambienti dell'AM.

Certo, molto si è appreso su questo Working Group, sulla sua composizione, sulle sue attività e relazioni, ma purtroppo non si è riusciti a sapere quanto sia durato, quali documenti abbia prodotto in verbali e relazioni interlocutorie e finale, se abbia mai preso in considerazione anche la caduta del MiG23, tenuto conto che detta vicenda era ben a conoscenza uno dei suoi membri, cioè il rappresentante CIA ovvero Clarridge. In conclusione considerevole utilità dell'informazione ma non completezza, cosicché non si perviene a comprensione dell'esatto livello della conoscenza statunitense.

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