1. La politica internazionale francese nel 1980.
La riaffermazione del ruolo di grande potenza.

Nel corso di questa istruttoria, più volte l'interesse delle indagini si è volto nei confronti della Francia, su episodi in cui apparivano soggetti od oggetti collegati a questo Paese o comunque a conoscenza delle sue autorità politiche e militari. Tale interesse si è concretizzato in diverse rogatorie internazionali - ben dodici, di cui diverse con più questioni -, che hanno avuto nella maggior parte dei casi risposte evasive o del tutto negative, quando non addirittura alcuna risposta. Ben si può anticipare come la collaborazione richiesta alle autorità francesi sia stata connotata il più delle volte da un assoluto disinteresse o superficialità, fino alla negazione della collaborazione stessa, per motivazioni che in esito si tenderà ad appurare e definire.

Al fine di meglio comprendere, ed eventualmente dare una spiegazione di questi comportamenti, appare opportuno ripercorrere per sommi capi - una descrizione più completa è nel contesto - la politica internazionale di quel tempo. La Francia nel 1980 - sotto la Va Repubblica nata con la costituzione del 4 ottobre 58 - era rappresentata nella più alta carica dello Stato dal presidente Valery Giscard d'Estaing, in carica dal 19 maggio 74 sino al 21 maggio 81. Sul piano nazionale la Francia si trovava ad affrontare non pochi problemi interni, quali il terrorismo nazionale ed internazionale, anche se non ai livelli del nostro Paese, e l'indipendentismo còrso. Sul piano internazionale la Francia, che non aveva mai perso il ruolo di potenza tra le principali, era sempre in primo piano nel grande gioco. Dopo l'invasione sovietica in Afghanistan, pur condannando quella iniziativa, aveva assunto una posizione diversa da quella del Governo di Washington, che aveva invece posto in essere immediate e durissime ritorsioni verso l'Unione Sovietica. Per la Francia era indispensabile salvaguardare il dialogo Est-Ovest. Disaccordo che confermava la politica sempre più autonoma ricercata dal Paese transalpino. Linea, questa, che veniva ribadita da Giscard d'Estaing nel corso del vertice franco-tedesco che si era aperto a Parigi a febbraio, al termine del quale venne ribadita la solidarietà agli USA esprimendo nel contempo una politica di fermezza verso l'URSS, che però non compromettesse la distensione. Veniva inoltre ribadita, nella circostanza, la necessità dei due Paesi di conservare una politica autonoma meno legata alla strategia americana. Pertanto, dialogo ancora aperto con l'URSS. Tanto aperto che il Presidente francese. incontrava a Varsavia il 18 maggio il premier sovietico Leonid Breznev, cagionando forte irritazione alla Casa Bianca.

Di fatto la Francia portava avanti un programma che attribuiva un ruolo di primo piano al Vecchio Continente sui temi di carattere economico e sui rapporti Est-Ovest. Giscard d'Estaing si proponeva un'indipendenza militare che portasse gradualmente l'Europa allo sganciamento dall'ombrello missilistico degli USA. Non si trattava altro che di un altro passo a seguire della decisione, presa a metà degli anni sessanta dal presidente De Gaulle di allentare la propria presenza nella NATO. De Gaulle così motivò tale decisione: liberare la Francia dalla colonizzazione americana che si attuava con l'installazione e il rafforzamento delle basi militari e faceva capo al vasto disegno politico dell'organizzazione del Patto Atlantico, con il fine di pianificare la politica nazionale e soggiogarla alle direttive della Casa Bianca. Il Governo francese difatti aveva da tempo denunciato la violazione degli accordi stipulati da parte degli Stati Uniti. In particolare tra gli anni 50 e 60 gli Stati Uniti avevano effettuato migliaia di voli non autorizzati e non contemplati dagli accordi; ed avevano sorvolato zone della Francia interdette ai voli. Nel 61, ad esempio, gli americani avevano usato la loro base di Chateauroux per inviare le truppe dell'ONU nel Congo, mentre il Governo francese era contrario a tale intervento. Gli Stati Uniti non tennero in alcun conto la protesta francese e nel novembre del 64 si servirono della loro base di Evreux per facilitare il trasporto dei paracadutisti belgi a Stanleyville. Un altro grave incidente che sollevò le proteste del Governo francese fu quello di un aereo americano sorpreso nel 65 in volo di spionaggio mentre sorvolava su territorio francese la zona proibita dell'impianto per la separazione degli isotopi a Pierrelatte nel dipartimento della Drome, dopo avere scattato 175 fotografie dell'impianto atomico.

Pertanto l'autonomia della Francia in seno all'Alleanza ha radici lontane e tale distacco dagli orientamenti di Washington è ancora più palese nel 1980 - ma nel corso del tempo si verificheranno forti riavvicinamenti al punto tale che nell'ultimo vertice per il cinquantennale dell'Alleanza tra il 23 e il 25 aprile scorso, Chirac siederà tra gli attuali 19 membri del Patto. Oltre alle non omogenee vedute sul problema dell'invasione dell'Unione Sovietica in Afghanistan, la Francia si distaccò dagli USA anche su altre questioni di carattere internazionale. La politica giscardiana somigliava sempre di più a quella gollista: ruolo di grande potenza della Francia nel mondo con una politica estera distaccata quindi dagli Stati Uniti. Difatti a marzo del 1980 il presidente Giscard d'Estaing effettuò un viaggio in Medio Oriente, nel corso del quale, durante la prima tappa in Kuwait, firmava un comunicato nel quale riconosceva ai palestinesi il "diritto all'autodeterminazione". Con questo documento si svuotava la risoluzione dell'ONU n.242, che inquadrava il problema palestinese come "problema di profughi" e si scavalcavano gli accordi di Camp David. Le reazioni internazionali all'iniziativa francese furono contrastanti: Israele così come l'Egitto, anche se per motivi diversi, condannarono duramente l'iniziativa francese; la Germania invece la appoggiò; l'Italia prese lo spunto per inserirla nell'agenda del Summit di giugno; per i Paesi del Fronte del Rifiuto essa invece rappresentava una carta nuova per influenzare le trattative di pace.

Nel 1980 la Francia aveva oramai perduto la sua presenza coloniale ovunque in Africa; tuttavia i suoi insediamenti militari nel continente rimasero massicci. Basti pensare che durante il conflitto tra la Libia ed il Ciad, un forte corpo militare francese era presente nel Ciad. Anche se non vi fu alcun intervento militare, almeno ufficiale quell'anno, in favore della fazione antilibica.

A gennaio dopo l'attacco dei fuoriusciti tunisini aiutati dai libici a Gafsa in Tunisia, la Francia provvedeva ad inviare nel Paese nordafricano aerei, elicotteri e navi da guerra, esprimendo così l'appoggio a Bourghiba, leader della Tunisia. Tra l'altro la Francia aveva dislocato nel Mediterraneo, tra il golfo di Gabes e Metin, l'incrociatore Colbert, dotato di sistemi elettronici e radar (ben nove) in grado di monitorare le aree di maggior rilievo della Libia e della Tunisia.

A rendere ancor più tesi i rapporti tra la Francia ed il Nord Africa, in particolare la Libia, intervenivano alcune manifestazioni antifrancesi a Tripoli e Bengasi, causate dall'appoggio dato a Bourghiba. Il 4 febbraio una folla di dimostranti, con la evidente complicità delle autorità, saccheggiò l'Ambasciata francese nella capitale e il consolato nel capoluogo cirenaico. Di conseguenza la Francia richiamava in patria il proprio ambasciatore. Tuttavia il Presidente Giscard d'Estaing, nonostante le accuse e le violenze subite da parte della Libia, definì la vicenda di Gafsa un affare interno tunisino, smentendo peraltro le voci di un intervento dell'esercito francese. Il 23 marzo 80 si verificava il tentativo di abbattimento da parte di due Mirage libici di un aereo francese "Atlantic" in volo al largo delle coste tunisine.

Come s'è detto anche nel Ciad - indipendente dalla Francia dal 60 - la presenza francese, sia militare che economica, nell'80 risultava pesante. Nel Paese a marzo di quell'anno scoppiava un conflitto interno tra due fazioni; l'una capeggiata da Hissène Habrè e l'altra da Gukuni Ueddei; costui appoggiato dal Governo francese, l'altro dalla Libia, che nelle circostanze rivendicava la striscia di Auzou.

La presenza francese nel Ciad risaliva al 68 quando De Gaulle inviava proprie truppe in aiuto del Presidente Tombalbaye a causa di conflitti interni sfociati in guerriglia, provocati dal fronte musulmano Frolinat, che aveva ad obiettivo la presa del potere politico. Rivolta che, comunque, nonostante l'aiuto dei francesi quel Presidente non riesce del tutto a sedare. L'unico risultato è quello di respingere il Frolinat al Tibesti. Ed è proprio qui che il Frolinat trova un nuovo e potente alleato, la Libia di Gheddafi. Ed è da questo momento, intorno al 73, che il Ciad costituirà motivo di frizione tra la Francia e la Libia. Quest'ultimo Paese infatti aveva occupato la striscia di Auzou nel Nord del Ciad. Nel frattempo la situazione politica ciadiana era in continuo fermento. Tombalbaye nel 75 veniva assassinato e Mallum, uomo legato alla Francia prendeva le redini del Paese. Il Frolinat intanto si spaccava in fazioni: una legata ad Hissène Habrè, l'altra a Gukuni Ueddei. Il primo nel 78 è al governo con Mallum; il secondo, invece, assumeva il comando del Frolinat.

Un'interessante ricostruzione di quest'ultimo periodo viene fornita dal Presidente Giscard D'Estaing nel suo libro autobiografico pubblicato in Italia per i tipi della Sperling & Kupfer. Dopo aver ricostruito i contrasti esistenti tra le diverse fazioni del Ciad, il presidente annota che "nell'aprile 1978, i toubbou di Goukouni, attivamente sostenuti da forze libiche, scatenarono l'offensiva verso sud. Le forze del generale Malloud, composte da neri meridionali - quelli che un tempo alimentavano le razzie di schiavi dei toubbou - erano spaesate e impaurite in quell'universo sassoso; le oasi furono conquistate senza resistenza.

Il generale Malloum, che nel 1975 aveva chiesto il ritiro delle truppe francesi, invocò soccorso. I capi degli stati africani occidentali, i presidenti Houphouet-Boigny e Senghor, il generale Eyadema del Togo, mi pregarono telefonicamente di intervenire. Per loro si trattava di una prova di sopravvivenza. Contemporaneamente, l'Unione Sovietica faceva sentire tutto il suo peso in Africa; i suoi aerei militari facevano scalo nel Mali. Il presidente Carter non mosse un dito per impedire l'arrivo in Angola di tecnici sovietici e mercenari cubani. Se avessimo permesso ai libici di avanzare nel Ciad senza reagire, per i capi degli stati francofoni ciò avrebbe significato che la sicurezza esisteva in un solo campo. E mi fecero capire che alcuni di loro erano pronti a trarne le logiche conseguenze.

In aprile decidemmo di organizzare una reazione area, inviando a N'Djamena aerei Jaguar, molto efficaci per gli attacchi al suolo. Il presidente Senghor, con una iniziativa rapida e coraggiosa, ne facilitò il transito per Dakar. Il sostegno venne organizzato. Elementi d'appoggio terrestre partirono dal Gabon. Il presidente Ahidjo del Camerun, Stato confinante con il Ciad, ci consentì di assicurare la logistica delle nostre forze mediante trasporti che avrebbero attraversato la regione settentrionale del suo paese.

Il nostro Stato Maggiore era restio a impegnare reparti di terra nel Ciad. Aveva mal digerito l'espulsione del nostro presidio nel 1975 e in un momento in cui stava riorganizzando le nostre forze convenzionali, preferiva evitare che mezzi ancora troppo ridotti venissero dispersi in un'avventura africana.

Fu deciso l'invio di un gruppo di ufficiali e sottufficiali che provvedessero a un rapido addestramento delle forze del Ciad ormai in pieno crollo psicologico, in un campo situato presso N'Djamena.

Le settimane passarono senza che giungessero notizie incoraggianti. Seguivo sulla carta i progressi della "ribellione", che occupava le piccole oasi a Sud e a Ovest del Tibesti. La colonna si diresse poi verso N'Djamena, s'impadronì di sorpresa dell'oasi di Koro Toro e minacciò quella di Salal.

A metà aprile mi venne richiesto di presiedere urgentemente una riunione dedicata alla situazione militare nel Ciad.

Quando entrai nella sala, trovai un'atmosfera tesa e pesante. I militari erano sull'attenti. Mentre mi chiedevo che cosa mai potessero volere, visto che ritenevo di avere già dato tutte le disposizioni necessarie, sedetti al tavolo. I ministri della Difesa e della Cooperazione presero posto a fianco a me.

Erano presenti il Capo di Stato Maggiore Generale, l'ispettore delle forze d'oltremare, due altri generali che non conoscevo e Renè Journiac, che avrebbe steso la relazione della riunione delle decisioni.

Il ministro della difesa, Yvon Bourges, prese la parola.

"Signor Presidente, abbiamo chiesto una riunione d'urgenza perché la situazione nel Ciad è seria e si sta deteriorando rapidamente. Si deve prendere una decisione. E' meglio che sia il Generale comandante le forze sul posto a descrivervi lo stato delle operazioni."

La sua analisi fu molto chiara. La pressione dei toubbou e dei libici era troppo forte perché potesse essere contenuta. Salal era stata conquistata. L'armamento fornito dai libici era efficace: missili sovietici terra-aria SAM 7 e anticarro; questi ultimi impedivano ai nostri mezzi corazzati di avvicinarsi a distanza di tiro. Era impossibile riconquistare le posizione. Quanto agli elicotteri, la temperatura era tale che poneva dei problemi all'impiego delle turbine e su quel terreno piatto, senza possibilità di defilarsi, costituivano un bersaglio ideale.

Dopo alcuni minuti di discussione sulle varie possibilità d'impiego dei nostri mezzi, cominciai a subodorare qualcosa. Il disagio crebbe.

Chiesi: "Quali mezzi vi occorrono?"

I miei interlocutori decisero di buttarsi. Il Generale Vanbremeersch parlò a nome di tutti: "Signor presidente, siamo arrivati alla conclusione che è impossibile difendere N'Djamena. Le chiediamo l'autorizzazione a ritirare le nostre forze dal Ciad". Dire che rimasi sorpreso è poco. Caddi letteralmente dalle nuvole. Quanto avevo appena udito andava al di là della mia comprensione. I francesi battuti dai libici e dai toubbou? Non potevo ammetterlo. Non riuscivo a capire le ragioni palesi o intime di quell'atteggiamento, ma evitai di reagire precipitosamente. Non potevo ferirli; avevano sofferto più di me per le nostre disavventure coloniali.

Mi rivolsi al Capo di Stato Maggiore generale Mèry: " Mi dica quali mezzi sarebbero necessari per difendere N'Djamena".

"Al punto in cui siamo, mezzi pesanti e migliaia di uomini. E ci vorrà un certo tempo prima che arrivino sul posto. Non sono certo che saranno in grado di fermare l'avanzata".

"Avete reparti disponibili in Bretagna, nella nona divisione fanteria di marina e nella divisione paracadutisti. Potete inviarli nel Ciad?".

"Senz'altro, se darò l'ordine. Sono composti prevalentemente da professionisti, con pochi elementi di leva che, se richiesti, diventano in gran parte volontari. La difficoltà risiede nei trasporti. Disponiamo solo dei Transall, che hanno l'autonomia necessaria. Poi bisognerà pensare ai rifornimenti".

Mentre parlava, io riflettevo. Non era possibile abbandonare N'Djamena; sarebbe stato un trionfo per Gheddafi e il segnale del si salvi chi può per i nostri associati africani. E soprattutto non era un'idea concepibile per la Francia! Il pensiero per le nostre retroguardie che salivano le scalette degli aerei, lasciando dietro di sé materiale alla rinfusa ed i baraccamenti vuoti, mi sembrava ignominioso. E poi non ci credevo; le nostre unità, organizzate e comandate sul posto non sarebbero state sconfitte dai Toubbou! Tutti i presenti mi osservavano, attendevano una decisione ragionevole realista, ma dura da prendere. Mi valutavano per vedere se ne sarei stato capace. Ripresi la parola: "Sono del parere che N'Djamena debba essere difesa. Si impieghino i mezzi necessari, e vengano trasferiti subito i primi reparti per assicurare la nostra base aerea, facendo seguire il più presto possibile le unità più pesanti. Occorreranno senza dubbio vari reggimenti". "Due o tre almeno", precisò il Generale Méry: "più i servizi".

"Le chiedo di provvedere immediatamente. Mi sembra che, data la natura del terreno, sarebbe utile inviare dell'artiglieria". Yvon Bourges prese la parola affermando: "Signor Presidente, metteremo in atto la sua decisione. Mi accorderò con il Capo di Stato Maggiore per far partire i primi reparti. La terrò informata delle disposizioni prese".

La macchina fu avviata e funzionò bene, rapidamente e con efficienza. I Jaguar bloccarono l'avanzata della colonna libica. Conservo ancora copia delle fotografie prese dall'alto in cui si vedono i camion libici abbandonati dai loro occupanti e, sulla sabbia, le ombre proiettate dalle ali dei nostri aerei. Immagini dell'Africa, di una guerra crudele, del successo."

Nel 1980 Gukuni e Habrè saranno entrambi in un governo di unità nazionale; il primo nella carica di Presidente, il secondo in quella di Ministro della Difesa. Ma gli equilibri durano poco. Il 21 marzo riprendono i combattimenti. In maggio il presidente Giscard d'Estaing ritira il proprio personale militare dal Ciad, trasferendo l'Ambasciata francese nel vicino Camerun. A giugno Gukuni firma un trattato di mutua difesa con Gheddafi e questi immediatamente dà l'avvio al potenziamento della sua base militare nella striscia di Auzou per la campagna invernale e la riconquista del Ciad a favore di Gukuni. A ottobre pertanto la Libia sferra un attacco imponente, entrando il successivo 15 dicembre a N'Djamena. Ma la presenza di Gheddafi nel Ciad durerà poco. Le mire di Gheddafi sul Ciad ed il progetto di unificazione tra i due Paesi non piace a Gukuni. Per tale ragione Gukuni chiede aiuto alla Francia di Mitterrand, che, nel frattempo aveva vinto le elezioni ed era subentrato alla guida del Paese. Mitterrand, abile politico, comincia subito a muoversi nella linea di un progetto che vedeva unite le nazioni nord-africane contro Gheddafi, sì da provocare l'isolamento della Libia. Il leader libico il 5 dicembre sarà costretto a lasciare il Ciad.

Tanto si è detto sui reali motivi per i quali la Francia di Giscard d'Estaing lasciò al proprio destino il Ciad. Tra gli altri con molta probabilità la campagna elettorale per l'elezione del nuovo presidente della Francia, che vedeva contrapposti, lo stesso Giscard d'Estaing e Mitterrand. Il Presidente francese non voleva trascinare la Francia in un conflitto nel Nord Africa ed entrare in diretta conflittualità con Gheddafi, che, nonostante gli attriti, le frizioni, le provocazioni, costituiva per la Francia uno tra i principali venditori di petrolio.

Proprio in ragione di queste tensioni nel Nord Africa la presenza delle unità francesi nel Mediterraneo non poteva essere in alcun modo ordinaria o di facciata, bensì pesante ed aggressiva di ogni situazione di favoreggiamento della Libia.

Dietro