2. Le dichiarazioni di Gheddafi
sulla caduta del DC9 dell'Itavia.

Il leader libico, a dir il vero, più volte si è inserito nella vicenda con pubbliche affermazioni con le quali ha lanciato accuse agli Americani di aver attentato alla sua vita ed asserito che da tale contesto non era estranea la caduta del DC9 Itavia. Giungerà anche ad inviare una lettera ufficiale al Capo dello Stato, in cui dopo aver stigmatizzato le manovre NATO nel Mediterraneo alle quali aveva partecipato anche l'Italia, scrive: "tali manovre hanno disperso tutti gli sforzi compiuti dalle forze progressiste ed amanti della pace, per la sicurezza e l'integrità del Mediterraneo. Non avete scordato certamente il delitto e la tragedia occorsa al DC9 dell'Itavia, abbattuto il 27.06.80, in cui hanno perso la vita decine e decine di vittime, a causa della aggressione ed in conseguenza della presenza delle basi e delle flotte militari, nel Mediterraneo, come non avete scordato l'attacco americano alla Jamahirija, che causò la morte di decine e decine di morti fra civili inermi, le nostre donne, bambini e vecchi" (v. missiva Presidenza Consiglio dei Ministri del 24.10.89).

Il Governo libico dal canto suo faceva sapere di avere le prove che il DC9 dell'Itavia sarebbe stato abbattuto dagli Americani e che oltre all'aereo civile, colpito invece di un altro che trasportava una personalità libica, sarebbe andato perduto anche un aereo di nazionalità libica. Chiaro il riferimento al MiG libico caduto sulla Sila. A tal proposito l'Agenzia Jana il 14 ottobre 1989 diffondeva il seguente comunicato "Il Comitato Popolare dell'Ufficio Popolare per il collegamento con l'estero e la cooperazione internazionale ha deciso di costituire un Comitato Supremo d'inchiesta per l'incidente dell'aereo civile italiano DC9 precipitato vicino all'isola di Ustica il 27.06.80. Tale decisione è stata presa dopo che si è intuito che si è trattato di un brutale crimine commesso dagli USA, che hanno lanciato un missile contro l'aereo civile italiano, scambiato per un aereo libico, a bordo del quale viaggiava il leader della rivoluzione colonnello Mohammer Gheddafi. Tale fatto rappresenta un crimine agli occhi dell'umanità che ha evidenziato la vera faccia degli USA, che tentano continuamente di assassinare il fratello leader, tentativi che continueranno finchè l'imperialismo continuerà a usare il terrorismo" (v. atti Stato Maggiore S.I.S.MI - anno 89, decreto esibizione G.I. 20.04.95). Alla richiesta di spiegazione il Governo libico portava a conoscenza delle Autorità italiane di aver nominato una Commissione di inchiesta. Il 10 gennaio 90 una delegazione libica si presentava a questo Ufficio, ma anziché apportare elementi di prova alle ripetute affermazioni di un coinvolgimento americano nel fatto, avanzava richieste di chiarimenti al fine di accertare se la sera del 27.06.80 fosse stata messa in pericolo la sicurezza dello Stato libico. Si giungeva così al paradosso; i Libici dopo aver propalato tante certezze sul fatto chiedevano alle autorità italiane informazioni su quell'evento e non riferivano alcun elemento, più o meno concreto, su di esso.

Sulla vicenda in un'intervista pubblicata sul settimanale "Oggi" del 24.06.87 e ripresa da tutta la stampa nazionale, l'ex Primo Ministro libico Abdel Hamid Bakkush, esule in Egitto e capo della più forte organizzazione anti-gheddafiana, dichiarava invece che era stato il leader libico a dare l'ordine di abbattere il DC9 dell'Itavia; dichiarava inoltre di aver riferito ad alcuni Servizi segreti occidentali, tra i quali anche quelli italiani, che l'esplosione in volo del predetto velivolo sarebbe stata provocata da un missile lanciato da un MiG libico per ritorsione agli arresti operati in territorio italiano di alcuni agenti libici incaricati di "eliminare" dissidenti del regime di Tripoli. Fonti di tali notizie, secondo quanto riferito dal Bakkush, sarebbero stati elementi dei Servizi segreti libici.

L'Ambasciata d'Egitto a Roma, a seguito di rogatoria di quest'Ufficio comunicava, di non potere aderire alla richiesta di esame testimoniale di Bakkush - il quale tra l'altro, aveva fatto sapere di non avere altre informazioni al riguardo oltre quelle fornite alla stampa - in considerazione della qualità di rifugiato politico dell'interessato e per l'assenza di accordi di cooperazione giudiziaria in materia penale tra l'Egitto ed il nostro paese (v. rogatoria verso l'Egitto, 30.06.87).

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