1. Lo Stato Maggiore dell'Esercito.

Lo Stato Maggiore dell'Esercito al tempo in cui si svolsero i fatti di cui è processo era comandato dal generale C.A. Eugenio Rambaldi. Non risulta alcuna attivazione della Forza Armata per effetto dell'evento. L'Esercito, invece, contribuisce con mezzi e uomini alla predisposizione di servizi di vigilanza al relitto del MiG libico caduto sulla Sila, di cui si tratterà più diffusamente infra. Va rilevato, tuttavia, che nell'81 lo SME veniva attivato dal Ministero della Difesa, a seguito della richiesta di risarcimento danni e di riconoscimento di responsabilità dei Ministeri della Difesa, dell'Interno e dei Trasporti avanzata dalla società Itavia. Lo SME, nell'occasione, precisava che "a. l'artiglieria c/a, unica arma dell'Esercito che dispone di missili potenzialmente in grado di causare l'incidente: effettua i propri lanci addestrativi da Capo S. Lorenzo, poligono a mare del Poligono Interforze di Salto di Quirra (Sardegna centro-orientale); potrebbe effettuare lanci operativi reali dai siti di dislocazione dei missili (situati nell'Italia nord-orientale); b. il giorno 27.06.80 non è stato effettuato alcun lancio, né addestrativo, né operativo, reale e neanche accidentale; c. in ogni caso la distanza del luogo dell'incidente dalle basi di dislocazione dei missili (addestrative e operative) è tale da far escludere categoricamente la possibilità di qualsiasi collisione fra il velivolo ed un missile dell'artiglieria c/a." (v. missiva SME del 28.05.81). L'attività svolta dallo SME è sintetizzata nella relazione Pratis che è bene riportare integralmente: "Le unità dell'Esercito, nell'attuazione dei loro normali cicli addestrativi, non interessavano l'area del Tirreno meridionale. Nei poligoni dell'Esercito: Piazza Armerina (Sicilia), Torre Nebbia e Torre Veneri (Puglia), Persano (Campania), Capo Teulada (Sardegna), Monte Romano (Lazio) Monte Ruzza e Monte Sirene (Abruzzo), si svolgono, quando programmati, tiri con armi individuali, di reparto, artiglierie, con portata massima rispettivamente di km 1,3,20. I missili dell'Esercito Hawk (arma SA) e Lance (arma S.S.) che hanno gittata massima rispettivamente di km 40 e 110 vengono lanciati solo nel poligono di Salto di Quirra. La gittata del Lance è molto inferiore alla distanza del luogo dell'incidente da Salto di Quirra. Il giorno 27.06.80 non si sono fatti lanci di missili. I reparti armati di missili Hawk e Lance sono di stanza in Veneto".

Queste sono le risposte che nel tempo risultano fornite. Nel corso dell'istruttoria, tuttavia, emergerà che tra l'88 e l'89 il generale Goffredo Canino, che a quel tempo rivestiva la carica di comandante della Regione militare tosco-emiliana, aveva disposto un esperimento sulla carcassa della carlinga di un aereo, applicandovi all'esterno una carica di esplosivo. Dall'esame della relativa documentazione è stato possibile accertare che scopo della prova di scoppio definita "studio" era quello di "verificare la possibilità di realizzare e porre in opera, un ordigno esplosivo da applicarsi all'esterno di un velivolo DC9, prevedendone il brillamento ad una quota di 27.000fts, dopo un determinato tempo, causando l'interruzione delle comunicazioni e l'abbattimento del velivolo". La carica esplosiva utilizzata per la sperimentazione veniva individuata in considerazione di quattro fattori: la possibilità di brillare a temperature tra i -30° e -40°; una maggiore pressione specifica (forza dell'esplosivo) per consentire l'utilizzo di una quantità limitata di esplosivo; una temperatura dell'esplosione alta così da sopperire alle basse temperature esterne; plasticità dell'esplosivo al fine di facilitare la preparazione dell'ordigno. Tenuto conto di ciò l'esplosivo più adatto allo scopo veniva individuato nel TNT in ragione dell'assoluta inalterabilità alle basse temperature; della possibilità di modellare la carica avendo la certezza dell'omogeneità interna della stessa; della forza di 8200 kg/cm2 inferiore a quello dello NSP/72, ma quasi totalmente compensata dalla maggiore densità di caricamento; infine della temperatura di esplosione di 3.000° C da ritenersi ampiamente sufficiente.

Dopo avere individuato i sistemi di accensione (cronobarometrico), di alimentazione (batterie al nichel-cadmio), di innesco (2 detonatori) e di fissaggio (Loctite 330/738), la relazione così conclude: "Da quanto precede si è del parere che è possibile realizzare, porre in opera e far brillare ad un determinato momento un ordigno esplosivo posto a contatto della fusoliera esterna di un velivolo DC9. Verosimilmente l'esplosione di un ordigno di kg 2 di TNT posizionato sul lato destro, (viene scelto questo lato per evitare che personale di bordo o passeggeri utilizzando per salire a bordo la scaletta che si trova sul lato sinistro, possa notare accidentalmente l'ordigno) della fusoliera dell'aeromobile in volo alla quota di 27.000fts., causerebbe danni a personale, strutture ed apparecchiature, tali da causare l'interruzione delle comunicazioni e l'abbattimento del velivolo. E' inoltre logico ritenere che la rapida espulsione dell'aria di pressurizzazione all'esterno del velivolo, attraverso la breccia provocata dall'esplosione possa provocare una considerevole piegatura verso l'esterno dei lembi della stessa, strutturalmente compromessi dal fenomeno esplosivo. Si conferma la premessa che solo personale particolarmente esperto nel campo degli esplosivi ed a perfetta conoscenza della struttura del velivolo e della dislocazione degli apparati radio, possa essere in grado di realizzare e porre in opera questo tipo di ordigno, con ragionevoli possibilità di successo" (v. provvedimento di sequestro presso lo SME datato 08.07.95).

Il generale Canino ha confermato il compimento di questa prova di scoppio che, secondo quanto da lui affermato, sarebbe nata dall'esigenza di verificare la possibilità che il disastro al DC9 potesse essere stato causato dall'applicazione di una bomba all'esterno del velivolo. Ciò anche in contrapposizione alle voci che cominciavano a circolare insistentemente sull'ipotesi del missile. A tal fine diede incarico al generale Monticoni, comandante del Battaglione paracadutisti "Col Moschin", che eseguì l'esperimento nel poligono militare di Livorno. I risultati della prova furono poi resi noti al generale Nardini nel corso di una riunione del Comitato dei Capi di Stato Maggiore. Aggiunge anche di aver fatto leggere il documento al generale Meloni. Esclude invece di averlo consegnato al generale Tascio. Precisa che l'esperimento non venne formalizzato in quanto una sua intromissione nella vicenda poteva essere strumentalizzata e far pensare ad un depistaggio (v. esame Canino Goffredo, GI 02.11.95).

Va rilevato che il generale Tascio nel corso della conversazione telefonica con il generale Bartolucci dell'11 febbraio 93 riferisce di aver fatto visita a Canino e Corcione. Il generale Canino, afferma Tascio, gli mostrò "uno studio, che aveva fatto vedere a Pisano e che io non avevo inteso nominare, a dire il vero, e lui dice di averlo anche dato a Nardini. Precisa anche che Canino gli disse di aver fatto l'esperimento a seguito delle notizie stampa che riferivano di una esplosione provocata dall'esplosivo TNT di un missile. Su questo punto Tascio testualmente afferma: "Allora lui proprio per dimostrare l'infondatezza di questo assunto, fece questo studio per dire, poteva anche essere un ordigno messo da sopra con un dispositivo cronobarometrico che lui aveva fatto realizzare" (v. rapporto Digos, 12.02.93).

Anche per quanto riguarda il SIOS/E si può affermare che non risulta alcuna attivazione né d'iniziativa, né su richiesta. E' lo stesso generale Benito Gavazza, nel 1980 responsabile del SIOS/E, che riferisce di non essere stato attivato e che non v'era alcun obbligo in tal senso. Precisa che ci fu soltanto un'attivazione a distanza di tempo da parte del SIOS-Aeronautica che chiese informazioni sul reperto rinvenuto presso Messina. Reperto, continua l'ufficiale, esaminato da un Centro specializzato dell'Esercito che stabilì non trattarsi di parte di elicottero (v. audizione Gavazza Benito, Commissione Stragi 20.07.89). L'attivazione cui si riferisce il generale Gavazza concerne il relitto rinvenuto ad Acquedolci, le cui fotografie risultano inviate al SIOS/E con missiva del 7 ottobre 80, con la richiesta di fornire indicazioni sulla possibilità che il rottame fosse di provenienza dell'Esercito. Il SIOS/E con missiva del 17 novembre successivo precisava che il rottame non apparteneva a particolari di aeromobili dell'ALE.

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