12. Il 32° CRAM di Otranto.

Il sito di Otranto (LE), sede del 32° CRAM, non venne interessato alla vicenda della caduta del DC9 Itavia, mentre il suo operato ebbe particolare rilievo in quella relativa al MiG 23 libico caduto sulle montagne della Sila. Il centro, denominato in codice "Volpe", nell'80 era in funzione con il sistema semi-automatizzato, ed era distinto dalla sigla LA o Lima-Alpha nel contesto dei Nato Track Number. Il sito, adibito al controllo dell'area del basso Adriatico, era posizionato in zona San Nicola di Casole (LE) alle coordinate geografiche 40°05'02"N 18°30'04"E, ed integrato nel sistema Nadge, con la dotazione dei sensori AN-FPS 89, radar di quota con una portata teorica di 220NM, e AN-FPS, radar di ricerca. Il 32° CRAM era subordinato gerarchicamente alla 3 Regione Aerea e al centro operativo di settore (SOC) del 3° ROC di Martina Franca (TA), mentre sotto il profilo funzionale, in quanto posto di riporto "slave", al 31° CRAM di Jacotenente, a cui trasmetteva in cross-tell tutto il traffico aereo avvistato. Tale traffico, trattato da Jacotenente per l'identificazione, veniva nuovamente trasmesso "in tempo reale" ad Otranto; quest'ultimo aveva solo il compito di "inizializzare" e "tracciare" le tracce già identificate. Questa procedura d'altra parte caratterizzava i siti "slave", che oltretutto non avevano la possibilità di intervenire sull'identificazione della traccia, poiché non venivano messe a loro disposizione informazioni sui velivoli avvistati.

La sala operativa era organizzata per lo svolgimento delle attività di competenza, come del resto tutte le altre sale operative, divisa in tre sezioni coordinate dal capo controllore di turno, normalmente responsabile oltre che di tutte le operazioni di difesa aerea svolte in sala operativa, anche, in relazione alle esigenze operative, del decollo o meno dei velivoli intercettori. Questa opzione, in quanto Otranto era sito "slave" di Jacotenente, veniva disposta da quest'ultimo CRAM.

Presso il sito, nell'ottobre del 92, vennero eseguiti numerosi provvedimenti di esibizione concernenti l'acquisizione, tra l'altro, dei "dati radar registrati nel mese di giugno 80"; delle "registrazioni delle telefonate intercorse tra il sito di Otranto e qualsiasi altro ente militare e non, tra le 19.00 e le 24.00 del 27.06.80; dei registri di scramble relativi ai mesi giugno-luglio 80; e dei turni di servizio del personale operante in sala operativa nei giorni 27, 28, 29 giugno e 17, 18, 19 luglio 80.

I decreti ebbero esito infruttuoso, ad eccezione di quello relativo ai turni di servizio per i giorni 26-27-28 giugno e 17-18-19 luglio 80. In merito al mancato rinvenimento dei dati radar il comandante interinale del sito, maggiore Motta Alfio, in una dichiarazione resa nel corso delle operazioni, riferiva che il materiale oggetto di decreto, mancando uno specifico vincolo, era stato presumibilmente distrutto "in ottemperanza alle disposizioni in materia".

In relazione al mancato rinvenimento della restante documentazione il comandante del 32° CRAM, tenente Colonnello Vitiello Leopoldo, dichiarava che presumibilmente era stata distrutta in ottemperanza "alle normative vigenti" e, al riguardo delle registrazioni telefoniche, che le relative bobine erano state "verosimilmente smagnetizzate e riutilizzate più volte", anche a causa della sostituzione dell'apparato preposto alla registrazione delle telefonate.

Anche il 3° ROC di Martina Franca venne interessato per la ricerca del materiale; ma sempre senza esito.

Conseguentemente, l'Ufficio, per completezza d'indagini disponeva nel novembre del 93, il sequestro presso il centro radar e presso il 3° ROC di Martina Franca dei verbali di distruzione del materiale menzionato nei suindicati decreti. L'esito dei provvedimenti, anche in questo caso, risultò negativo.

Il tenente colonnello Vitiello a tal proposito dichiarava in merito ai dati radar registrati nel mese di giugno 80 che essi erano "stati verosimilmente distrutti senza compilare alcun verbale di distruzione, in quanto non costituenti documentazione classificata".

Alla fine del 93 l'Ufficio, sulla base dell'ordine di servizio rinvenuto nelle precedenti acquisizioni, convocò il personale di servizio la sera del 27.06. 80 nella sezione operativa del sito di Otranto.

Gli operatori, ai quali vennero rivolte domande atte ad accertare se quella sera il sito radar assunse iniziative o fu contattato da altri Enti per fornire notizie in merito all'incidente o se comunque ricordassero circostanze significative accadute quella stessa sera, dichiararono, per la quasi totalità, di aver appreso del disastro nei giorni successivi dai mezzi di informazione; il centro non era stato interessato né all'avvistamento nè alle ricerche in quanto, come appurato su cartine fornite dall'ITAV all'Ufficio e come dichiarato da alcuni degli escussi, il disastro occorso al DC9 era avvenuto al di fuori della portata radar del sito, la cui copertura arrivava sin quasi alle coste tirreniche.

Unica particolarità riscontrata nel corso degli interrogatori fu lo stato di tensione e turbamento che aveva caratterizzato l'escussione del personale in servizio la sera del 27 giugno 80, che nelle sue dichiarazioni non aveva fornito alcun elemento di utilità per l'inchiesta, ma aveva mostrato atteggiamento di fortissima chiusura. (v. rapporto della DCPP del 21.12.93).

In questo sito la strana morte del maresciallo Parisi. Costui aveva sofferto, nella tornata degli esami del settembre 95 principalmente per l'atteggiamento scelto dai suoi commilitoni e forse anche per "inviti" o "consigli" che gli erano venuti da costoro. Nell'esame egli infatti tiene un comportamento molto chiuso; riferisce in modo reticente e confuso e non dà quel contributo che pure avrebbe potuto offrire.

Le sue mansioni, considerato quanto s'è ricostruito sul funzionamento del radar, di inizializzatore certamente gli consentirono di venire a conoscenza di circostanze relative allo stesso funzionamento del radar, ad eventuali azioni di suoi colleghi, all'identificazione dell'asserita traccia del MiG 23 della Sila.

Per tutto quello che era venuto a sapere, che era capitato sotto i suoi occhi o aveva percepito nei comportamenti dei suoi compagni di sala operativa, e per il fatto di non poter riferire, probabilmente per i contrasti tra il senso del dovere e imposti spiriti di corpo, egli con tutta probabilità era caduto in depressione, come attestato anche da certificazione medica.

Nuovamente citato a deporre, perché con il suo contributo si sarebbe potuto cominciare a districare i contorti fili delle deposizioni false e reticenti del personale operativo di quel sito, il suo stato ha di certo subìto un aggravamento e di qui potrebbe esser derivata la determinazione del suicidio. Sempre che non si tratti di fatto altrui, evidentemente molto più grave, come potrebbe apparire da quegli indizi che erano serviti al Pubblico Ministero del luogo per chiedere una riapertura delle indagini.

Di certo questo episodio presenta delle somiglianze impressionanti con la vicenda di Dettori del sito di Poggio Ballone. Sia nelle cause, che nella decisione, e nei sospetti. Questo con buona pace di coloro, e non sono pochi, che tuttora s'affannano a stimare Ustica un ordinario incidente di volo.

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