«Era il 27 giugno del 1980, un venerdì, ne sono certo. Erano passate da qualche minuto le ventuno, e quello che ho visto non l’ho mai dimenticano né raccontato a un magistrato né, tantomeno, a un giornalista. Mi fu consigliato di non parlare». Siamo in Calabria, precisamente a Sellia Marina, provincia di Catanzaro. Su un terrazzo del villaggio turistico Hotel Triton c’è un imprenditore in vacanza con sua moglie. L’uomo, che oggi vive in Toscana, è di origini calabresi e nel giugno dell’Ottanta aveva trent’anni.
Alle sue spalle svettano le montagne della Sila e proprio di fronte i suoi occhi, il sole bagna, a poco a poco, il mar Ionio. Della tragedia di Ustica, del Dc9 Itavia, precipitato nel Tirreno con i suoi ottantuno passeggeri quella stessa sera e intorno a quello stesso orario (le 20.59), il testimone non sa nulla. Nessuno sa nulla. Nessun telegiornale ha ancora lanciato la notizia. Nessuno ha ancora iniziato le ricerche di quell’aereo che, dopo il tramonto, è scomparso dagli schermi radar.
«Quel giorno io e mia moglie eravamo in Calabria, a Sellia Marina precisamente, e alloggiavamo al Triton».
Comincia così il suo racconto inedito, che ascoltiamo solo trentuno anni dopo quella lunga notte. La stessa che quest’uomo non ha mai dimenticato.
«Prima di andare a cena eravamo sul terrazzo. Guardavamo le montagne della Sila, erano circa le 21 e 05, massimo le 21 e 10». Guardando una cartina ingiallita dell’Igm, piena di appunti e di frecce, l’imprenditore si fa più preciso: «Guardavamo in direzione di Sersale e in lontananza, proprio verso la Sila, si vedevano come dei fuochi d’artificio. La cosa strana era che erano solamente orizzontali: raffiche velocissime che avevano lo stesso colore della luce emessa dalle lampadine a filamento, e quei bagliori sono durati almeno un minuto. Ho guardato meglio, c’era ancora luce, e ho visto che c’erano degli aerei in salita verso Crotone: ho avuto la sensazione che uno rincorresse l’altro sparandogli. Dopo alcuni minuti, forse cinque, ma anche meno, ne ho visti altri due, li ho sentiti arrivare alle mie spalle, potrebbero aver sorvolato Catanzaro, venivano da Sud-Sud-Ovest. Volavano a bassissima quota, a pelo d’acqua e paralleli in direzione di Capo Rizzuto». [Guarda la ricostruzione]
Quell’immagine è, ancora oggi, chiara e ben fissata nei suoi ricordi. Il racconto appare genuino. Sembra non essere stato contaminato da nessun interesse. Il testimone, infatti, è un cittadino qualunque e di caccia e battaglie aeree, fino a quel momento, ne sapeva poco e niente.
«Sì, sono sicuro, quelli sul mare erano dei caccia militari, colore verde mimetico e sotto le ali non avevano coccarde. Negli anni successivi mi sono documentato, ho guardato decine di foto, per me erano due F-16. Poi mi hanno detto che di quel colore li avevano solo gli israeliani». E gli aerei sulla Sila? «Non le so rispondere, erano troppo lontani, ma sono certo che tra loro c’è stato un duello e in quello stesso contesto i due F-16 hanno avuto un ruolo».
L’imprenditore non parla di quel Mig 23 libico, entrato e uscito decine di volte dall’affaire Ustica. Lo tiene fuori dal suo racconto. Non vuole inquinarlo, ma è ben consapevole che per anni se n’è parlato e che proprio sulla Sila, a Colimiti di Castelsilano, in località Timpa delle Magare, si trova il punto dove ne furono rinvenuti i rottami. Quel punto è a circa quaranta chilometri, in linea d’aria, da Sellia Marina.
Cinque minuti prima del passaggio dei due caccia sullo Ionio, guardando la Sila, quest’uomo vide il Mig e il suo inseguitore? E’ probabile. Non a caso quanto afferma combacia e conferma altre testimonianze, già agli atti dell’inchiesta di Ustica.
La nostra Aeronautica Militare ha sostenuto per anni che quel Mig libico finì lì il 18 luglio (tre settimane dopo la strage di Ustica), e che quell’incidente non aveva nulla a che fare con la sorte del Dc9. Di quel Mig sappiamo anche altro ma, per ora, vale la pena tornare alle parole del testimone:
«La mattina seguente, il 28, stavo rientrando in Toscana. Sull’autostrada per Cosenza mi fermai per fare rifornimento di carburante e al bar lessi su un quotidiano che era precipitato un aereo civile vicino all’isola di Ustica».
Il Mig entra nel racconto del nostro testimone tre settimane dopo: «Lo appresi leggendo il giornale. C’era un articolo che raccontava di un caccia libico trovato sulla Sila e allora collegai il fatto a ciò che avevo visto la sera del 27 giugno a Sellia Marina».
Fin qui abbiamo raccontato ciò che l’imprenditore ha visto, ciò che lo trasforma in un testimone oculare. Abbiamo chiesto a quest’uomo di sessant’anni, di cui preferiamo non fare il nome per ovvie ragioni (ma pronti a svelare l’identità qualora richiesta dai magistrati), di scremare il suo racconto. Di attenersi solo a ciò che aveva visto. Di far finta di non sapere di Ustica, di quel Mig e di tutto il resto. Ha fatto un grande sforzo e ha sempre percepito che ciò che riferiva avrebbe potuto avere il sapore del “solito racconto da mitomane”. Perché in questa storia, di personaggi così – falsi testimoni in cerca di notorietà – ce ne sono in ogni angolo.
«Mi creda, non avrei alcun interesse, alla mia età non mi metterei nelle mani di un giornalista. Ho una famiglia, una rispettabile azienda. Controlli pure. Non andrei a infilarmi in un ginepraio come questo solo per finire sui giornali. Non dica chi sono, non scriva dove abito, ma sappia che quello che le ho raccontato sono pronto a metterlo a verbale davanti ad un magistrato. Volevo raccontare quello che ho visto, anche se, a dire il vero l’ho anche fatto sebbene avessi seguito, in parte, il consiglio di un mio amico giudice. Lui, che oggi non c’è più, infatti mi sconsigliò di andare a testimoniare e lo ascoltai: non andai a testimoniare ma… un giorno telefonai al giudice Priore (Rosario, titolare dell’istruttoria sul disastro di Ustica, ndr). Non gli dissi il mio nome, perché avevo paura, erano decedute in modo sospetto delle persone legate a questo fatto».
Perché lo racconta a un giornalista, addirittura trentuno anni dopo? «Mi appassionai a questo fatto. Venni a sapere che il medico che per primo vide il cadavere del pilota del Mig disse che era deceduto da circa venti giorni. Sono calabrese, come quel dottore, e ho saputo, ma non so se è vero, che quel medico fu bastonato a sangue all’aeroporto di Caselle a Torino e poi costretto a cambiare versione e sostenere che quel cadavere non era in avanzato stato di decomposizione. A Sellia Marina, a due passi dall’albergo dove alloggiavo quella sera, in quegli anni c’era una base americana (in uso anche alla Nato, ndr): qualcuno è andato a chiedere se videro qualcosa? Ho appreso anche altro: alcuni militari in servizio in una base della nostra Aeronautica a Milazzo (di cui il testimone afferma di conoscere l’identità, ndr), dopo quella notte, furono trasferiti a Firenze, è vero?».
A questo punto del racconto abbiamo chiesto all’imprenditore di attualizzare la sua testimonianza. Mescolare ciò che aveva visto con ciò che ha successivamente sentito o letto: «Certo una convinzione me la sono fatta ma, ovviamente, è solo la mia opinione. Sicuramente quei caccia che inseguivano il Mig, erano degli F-16 e se non sbaglio gli unici ad avere quel velivolo nel 1980 erano gli israeliani. Perché nessuno li ha tirati in ballo? Non ho mai sentito parlare degli israeliani, sempre dei francesi e degli americani». C’erano anche gli israeliani in volo? Sebbene questa circostanza non ha mai ricevuto conferma da parte di alcun testimone, l’uomo potrebbe avere ragione. Questo, però, resta un sospetto. Dubbio che ha sempre sfiorato le indagini e velato le inchieste giornalistiche.
Le affermazioni di questo nuovo testimone, non sono supposizioni. Lui con la sua verità mnemonica coinvolge Israele, uno dei primi paesi a dotarsi di F-16 A/B Falcon. A ben guardare, i primi 75 con la colorazione mimetica, entrarono in servizio, proprio negli anni ’80 (ma non vi è certezza sul mese) e ad Israele capitò di far a meno delle coccarde per compiere alcune missioni segrete. Una fra tutte, quella contro il reattore nucleare, costruito a Osirak in Iraq, con l’aiuto di tecnici italiani e francesi. Quale poteva essere la missione dei due F-16 avvistati sulla Calabria? Quel che appare certo è che non fosse rivendicabile e, a voler continuare con una congettura, magari proprio per colpire un trasporto di uranio verso l’Iraq o verso la Libia. Ciò che purtroppo, resta (col)legato alla realtà è che il tutto avvenne in un contesto di guerra, attraverso un’azione di cui il Dc9 fu vittima fortuita.
Quel Mig ha a che fare con Ustica e forse il leggendario vaso di Pandora è proprio il suo ruolo: come disse una volta Giovanni Spadolini ai giornalisti «scoprite cosa gli è successo e troverete la chiave per capire la strage di Ustica». L’Aeronautica afferma, da quell’estate dell ’80, che il caccia di Gheddafi cadde la mattina del 18 luglio e che il suo volo, non aveva nulla a che fare con la torbida vicenda del Dc9. Le cause della caduta, secondo l’arma azzurra, sono altrettanto chiare: era rimasto senza carburante. Lo pilotava Ezzedin Fadah El Khalil, 30enne siriano di origine palestinese. Forse ai comandi del Mig c’era lui. Un’altra ipotesi, perché tuttora, qualcuno sospetta invece che quel pilota, fosse italiano (indossava gli stivali e la tuta della nostra Aeronautica militare) e che in realtà stesse cercando di atterrare all’aeroporto di Crotone per rifornirsi. Il corpo di questo pilota viene successivamente trovato in avanzato stato di decomposizione, con evidenti tracce di putrefazione dei tessuti, tanto che ne risultò impossibile il prelievo delle impronte.
I due medici calabresi incaricati di eseguire l’autopsia, in una prima perizia, parlarono di “una morte risalente ad almeno venti giorni prima del 18 luglio”. Dopo, e successivamente alle “chiacchierate” pressioni esercitate sugli specialisti, è forte però il sospetto che (direttamente o indirettamente) furono costretti a scrivere una seconda relazione. Una nuova storia clinica del cadavere tanto da avere conclusioni diverse dalla precedente.
Per l’ordine obiettivo-storico dell’esame necroscopico, infatti, il cadavere, precedentemente in avanzato stato di decomposizione, è adesso “appena deceduto” e il sangue rappreso, liquido.
Quel Mig, vale la pena ricordarlo, aveva qualche buco di troppo sulla carlinga. Buchi, diranno gli esperti, compatibili con le traiettorie dei colpi sparati da un mitragliatore. Per l’Aeronautica (da sempre alle prese con l’incombenza, assai imbarazzante, di dimostrare il contrario), le lamiere del Mig al momento della caduta erano intatte. Strano poi apprendere che furono sottoposte ad alcuni esperimenti atti a verificare la capacità di penetrazione dei proiettili. A oggi, quindi, nessun mistero: a sparare fu l’Aeronautica dopo l’incidente per dei test. Punto.
Quel velivolo libico interessava a molti: alla Cia, ai nostri Servizi (il Sismi e il Sios) e a quelli di tutto l’Occidente; pure ai Carabinieri di Crotone che a fine giugno, lo cercano sulla Sila anche se, per anni, negheranno di essersene interessati. Un Mig che verosimilmente “buca” lo spazio aereo italiano mentre nel basso Mediterraneo è in corso un’imponente esercitazione della Nato denominata “Natinad Demon Jam V”.
La testimonianza di quest’uomo (attesta di aver visto quell’aereo e chi lo inseguiva, lo stesso giorno e alla stessa ora della tragedia di Ustica), si aggiunge a quelle già rese da altri calabresi. Spettatori che, da angolazioni diverse, videro più o meno la stessa cosa. Molti di loro non riuscirono, però, a consegnare agli inquirenti la certezza che quanto avvenne a Castelsilano era realmente legato a ciò che si verificò nei cieli di Ustica. Una mancata consegna da attribuire alla paura, alla scarsa memoria o, semplicemente, all’assenza di nessi.
Del resto, in questa storia, incerta è pure la traiettoria di volo del Mig, perché non sappiamo quanto videro i radar del basso Tirreno né cosa registrarono, da quelle prospettive, le stesse stazioni mentre il Dc9 si scontrava col suo destino.
Una conclusione la dobbiamo però ai periti: “non era possibile considerare congruente la traiettoria del Mig 23” con la traccia del radar di Otranto LJ054 che nella pasticciata relazione della Commissione italo-libica è attribuita al Mig. Quella traccia appare invece piuttosto compatibile con quella di un altro velivolo, diverso dal Mig 23, osservato da un teste oculare in prossimità di Capo Rizzuto. Gli stessi periti chiariranno poi, in un supplemento, anche come non era “comunque possibile addivenire a una risposta certa in ordine all’effettiva data di caduta del Mig”. Gli esperti Casarosa, Delle Mese e Held, incaricati dal giudice Priore di indagare sull’incidente di Castelsilano, concludono, infatti, che la ricostruzione della rotta seguita dal Mig è “incompatibile con la versione ufficiale fornita dai libici”.
Cioè quel caccia, tenuto conto del carburante imbarcato e delle caratteristiche della missione effettuata, non aveva sufficiente autonomia per coprire la tratta Benina (Bengasi)-Castelsilano, e che le caratteristiche della traiettoria di volo poco prima dell’impatto, ipotizzate dalla Commissione italo-libica (velivolo proveniente da Sud, pilota in stato d’incoscienza, motore spento), “non corrispondono a quanto osservato dai numerosi testimoni oculari”.
Ad allargare l’alone di mistero, già fitto intorno alla vicenda, è un biglietto scritto in arabo trovato tra i rottami del Mig. Nel gennaio del 1997 ne parla a Priore un ufficiale dell’Aeronautica in congedo, Enrico Milani. L’uomo visionò negli uffici del Sios quanto rinvenuto a Castelsilano e ciò che palesò, fa tremare i polsi: «riconobbi in una carta dei numeri scritti, stampati in arabo, pertinenti evidentemente alle tabelle di volo. Vidi poi un piccolo pezzo di carta bruciacchiato sito in un pezzo di busta lacerata. Questo pezzo recava delle diciture vergate a mano che recitavano una sorta di dichiarazione: “io sottoscritto pilota… colpevole dell’abbattimento e della morte di tanti…”. Si trattava di una dichiarazione di responsabilità, il nome del pilota, dalla dichiarazione, risultava essere “Khalil”». Ezzedin Fadah El Khalil.
E’ al generale Zeno Tascio, allora a capo del Sios (Servizio Informazioni dell’Aeronautica), che Milani avanza anche un’ipotesi, l’ennesima sul caso ma, come tutte, degna di nota. Quel pilota, secondo l’ex ufficiale, oltre la lingua araba conosceva anche i dettami dell’Islam.
Secondo l’ufficiale, coerentemente ai dettami del Corano e in obbedienza a un ordine impostogli dai vertici del regime del suo Paese, il pilota usò il biglietto per manifestare la volontà di espiare una grande colpa (aver abbattuto un aereo civile?) con un gesto suicida.
Milani dice anche altro: la “matricola” incisa sulla lamiera del velivolo era composta da due numeri, uno in cifre arabe, collocato a destra, e l’altro in cifre occidentali, a sinistra. Gli inquirenti, a questo punto, gli mostrano gli atti in loro possesso. Gli chiedono di confermare l’esatta corrispondenza con quelle che il generale Tascio gli fece vedere negli uffici del Sios. Lui risponde di no: “sono scritte sempre in arabo ma non sono quelle”.
Che fine ha fatto il biglietto scritto dal pilota? Cosa c’era scritto esattamente? Era una prova importante, ma come tutte le prove legate al caso Ustica fece una brutta fine. Ecco quale, dalle conclusioni del giudice Priore: “È difficile poter dire quale fosse l’esatto contenuto di questo scritto. Di certo esso esisteva, ed è stato fatto sparire. Di certo esso conteneva una sorta di invocazione di perdono, e per questo motivo si è temuto che potesse divenire di pubblico dominio. A cosa si riferisse non è però possibile dirlo con certezza. Potrebbe essere una specie di preghiera che ogni buon mussulmano, in particolare se rischia la vita con la sua attività e se tale attività cagiona o ha cagionato morti, porta con sé”.
di Fabrizio Colarieti per Notte Criminale/stragi80.it [Link originale]
Rassegna stampa:
Nuovo testimone, ‘Duello aereo sulla Sila’ – “Ansa”
Il mistero di Ustica, 31 anni dopo – di Angela Gennaro “Il Riformista”
Contro informazione una bella ceppa!
Secondo voi dovrei credere che per un errore del caiser come l’abbattimento di un aereo di linea ne scoppia un caso internazionale con segreti che vanno oltre trent’anni?
Secondo voi devo credere che un MiG ancorchè Libico che si faceva i casi suoi per rientrare a casina sua costituiva un pericolo mortale per i loschi traffici dei soliti cialtroni d’oltreoceano?
Ma per piacere, ma venite anche a parlare di controinformazione? Voi state facendo controinformazione!
Questo si evidenzia dai dati, ripuliti dai “depistaggi”, questo è stato recepito dalle recenti sentenze Civili e sinceramente mi sembra già un gran passo avanti rispetto alla versione ufficiale “Nulla accade in quel cielo vuoto”.
Oggi sappiamo che quel cielo non era “vuoto” ma pieno di aerei militari, che si trasferivano verso l’Egitto, che proteggevano chi si trasferiva, che proteggevano l’ammiraglia della 6°Flotta, la Saratoga, in rada a Napoli, cioè era dispiegato un apparato militare che sarà poi utilizzato 1 mese dopo nell’esercitazione Bright Star ’80 in Egitto per “mostrare i muscoli” a Gheddafi il quale in piena excalation politico-militare stava accumulando forze alla frontiera libico-egiziana generando un innalzamento della temperatura della “Guerra Fredda”.
E’ chiaro che in una situazione di tensione crescente “quando le pistole sono cariche poi sparano da sole”, anche per un solitario “bogey”, ironia del destino, peraltro disarmato, come dimostrato dall’assenza dei “pylons” sul relitto del MiG-23MS trovato sulla Sila (ormai certamente parte dello scenario del 27 Giugno), cioè dei supporti alari per i missili, quindi in chiara configurazione “ferry”.
A questo proposito siamo anche convinti che, se questa faccenda fosse stata fatta gestire dai nostri Piloti, probabilmente questa Tragedia non sarebbe mai avvenuta. Essi avrebbero sicuramente accompagnato l'”intruso” fuori dai confini nazionali e la questione si sarebbe risolta con un incidente diplomatico, presto ricomposto.
Invece la evidente estromissione della nostra Aeronautica, a partire dalle 20,45 e l’intervento irruento dell’Alleato Maggiore cambiò il corso del destino di 81 innocenti.
Li chiamano “Danni Collaterali”, come al “Cermis”…
“Noi Ricordiamo…”
Quello che ipotizzi è plausibile e coerente con fatti e indizi concreti. Quindi, diciamo che è una spiegazione sufficiente da un punto di vista ‘al ribasso’, ovvero volendo complicare le cose il meno possibile senza però subire la verità ufficiale che ci volevano imporre ( cedimenti strutturali,bombe e altre baggianate).
Resta, per me,una perplessità molto forte : anche nell’ ipotesi del bersaglio sbagliato ( il DC9:colpito per errore al posto del MIG) : perché insistere poi a voler coprire l’ incidente a tutti costi ( forse anche i “suicidi”… o Ramstein..)?
Perché non ammettere tutto, visto che ufficialmente l’ intruso era il MIG ed era lecito allontanarlo?
E poi, è davvero possibile che piloti di aerei militari possano commettere errori così clamorosi a distanze tanto ravvicinate? Come era possibile che non riuscissero a sparare al MIG senza colpire il DC9? E se il MIG era un monoposto, che senso aveva abbatterlo sapendo che certo non era Gheddafi a pilotarlo? Rischiare la vita di 81 civili per far fuori un, dico UNO SOLO, pilota libico!?!
Per quanto barbari, prepotenti e superficiali, non posso credere a una simile leggerezza da parte dei militari USA. E certo non potevano credere che sul DC9 ci fosse Gheddafi ( lo avrebbero saputo ben prima) o non potevano aver identificato male il DC9, perché a quell’ ora, a giugno, è ancora giorno e potevano semplicemente vederne insegne e nazionalità a occhio nudo.
Secondo me la spiegazione è più brutta e temo possa comprendere la premeditazione. Opterei per qualcosa di più vicino alle ipotesi si Mario Ciancarella : atto terroristico da attribuire a Gheddafi per giustificare un intervento in Libia e convincere gli italiani , altrimenti reticenti, a partecipare. Francia, USA e Israele, contrariamente a noi italiani, avevano ognuno interessi fortissimi ad attaccare la Libia e le basi italiane sarebbero state logisticamente indispensabili a questo scopo…
Dopotutto si sarebbe trattato di un modo consueto di spingere verso una guerra, una strategia della tensione a livelli militari.
Bah per me puoi credere a ciò che vuoi….qui, io credo si fanno esercizi che non riguardano in senso stretto la “fede”… ovvero non si “crede”.. bensì si legge, si studia e come spesso accade nei processi cognitivi… ci si fa un opinione!! La controinformazione si fa in altri luoghi…
Vorrei solo puntualizzare un paio di note relative alla presunta identificazione di F-16 quali aerei inseguitori del Mig libico ricordandovi che il General Dynamics F-16 Fighting Falcon fece il suo primo volo nel 1976 e che entrò in servizio operativo solo il 1 ottobre 1980 nel 388° Tactical Fighter Wing alla base di Hill (USA). E’quindi molto improbabile che fossero presenti degli F-16 sui cieli italiani il 27 Giugno 1980. Più probabile che gli inseguitori fossero dei Crusader o degli Etendard francesi…
Nel Giugno del 1980 nel Tirreno si trovavano sicuramente F4-Phantom e Crusader/Corsair imbarcati sulla Saratoga o a terra a Napoli, F-5 certamente a Decimomannu assieme a F-15 dell’USAF, tra l’altro F-5 atterrarono anche ad Aviano il 27 Giugno. Ancora F-15 a Sigonella, (a portata di Sila). Giustamente non F-16 che arrivarono qualche anno dopo sul teatro europeo, quindi il testimone, certamente non esperto di aerei, avra’ facilmente confuso sigle e modelli. Per quanto riguarda i francesi come intercettori disponevano di Mirage F-1 basati a Solenzara in Corsica, quindi a portata di “teatro”. Questo per quanto riguarda gli aerei in grado di intercettare un aereo incursore nemico, poi vi erano altri aeromobili ma con caratteristiche diverse adatti al bombardamento o al trasporto.
Per quanto riguarda gli F-14 citati dal maresciallo dello SHAPE NATO (quello che telefonera’ alla RAI, in diretta ) non erano imbarcati a Giugno sulla Saratoga che li prendera’ solo a fine anno, ma, se sono entrati in azione, appartenevano ad un’altra portaerei USA, che participera’ alle esercitazioni Bright Star ’80 in Egitto nell’Agosto ’80 (non ricordo se era l’America, ma basta verificare).
… era la Kennedy, montava gli F-14a gia’ nel 1980. E’ ufficialmente data in arrivo in Egitto a Luglio 1980, ma sugli spostamenti reali di queste Capital ships non c’e’ mai grande certezza per ovvi motivi, quindi non si puo’ escludere la sua presenza nel Mediterrano gia’ a fine Giugno o, quantomeno che fosse stata anticipata almeno da una parte del suo Stormo imbarcato, magari giusto a Sigonella.
F16??? Nell’80 già operativi in Israele???? Mi suona strano.
All’inizio un testimone parlò di avere visto una pianta a delta (Mirage francesi o Kfir israeliani???? Kfir non penso: poca autonomia e nessun dispositivo di rifornimento in volo). A questo punto la butto lì: Phantom israeliani????
Se il pilota caduto sulla Sila era circonciso sicuramente non era libico e di conseguenza l’aereo che pilotava, caduto il 27 giugno 1980, non può essere un MiG-23. Del resto il militare, capo della pattuglia di guardia, sul posto dell’impatto il giorno dopo, il 28, non notava una fisionomia libica seduta nel cockpit, ma europea. Quindi potrebbe essere anche un israeliano per via della circoncisione. La conclusione sembra che il pilota sia stato conservato e poi riportato, mentre l’aereo abbattuto fatto sparire e cambiato, altrimenti sarebbe stato subito chiaro tutto sulla responsabilità dell’accaduto!
Osservazioni corrette ma conclusioni troppo fantasiose. Penso si possano fare ipotesi piu semplici.
La fisionomia del pilota era stata notata dal militare capo pattuglia, dopo la caduta. Gli risultava europea non libica. Ora il corpo del militare non è stato mai chiesto dalla Libia, perchè non era libico il pilota. Lo stato d’Israele non lo poteva richiedere, altrimenti si sarebbe capito tutto, fin da subito. Alla fine è stato sepolto in un cimitero di un piccolo paese calabro.
Il corpo del pilota fu conservato nel bancone frigo del bar dell’aeroporto militare di Gioia del Colle per poi essere riportato in un aereo MiG-23 (che rassomiglia ad un Kfir). Per fare tutto questo l’Aeronautica Militare Italiana ha impiegato un certo tempo (ha dovuto cambiare perfino gli anfibi del pilota).
Gheddafi è stato al gioco perchè sapeva che tutto. L’uranio arricchito era giunto a destinazione in Iraq. Comunque aveva sostenuto il coinvolgimento degli americani, infatti l’esercitazione NATO sorvegliava con un radar su un apposito aereo sull’Appennino tosco-emiliano. La figlia di Gheddafi fu l’avvocato difensore di Saddam-Hussein nel suo processo di condanna a morte.
La circoncisione del pilota era stata notata da un giovane medico in una autopsia del pilota.
Poi, Spadolini forse già sapeva tutto! Forse, come Ministro della Difesa, non voleva lo scontro istituzionale con l’Aeronautica, infatti aveva indirizzato a risolvere il caso dell’aereo precipitato sulla Sila per la comprensione del mistero “caduta DC-9”.
Ma la cosa più grave è che il DC-9 ITAVIA sembra non sia affondato subito e che i passeggeri potevano essere quasi tutti salvati, ma sarebbero diventati testimoni scomodi nei successivi processi di giustizia. Il DC-9 potrebbe essere stato affondato successivamente con cariche esplosive esterne. Per questo Giovanardi insiste con l’esplosivo.
I due Piloti italiani, morti in Germania durante l’esibizione, l’hanno pagata cara, perchè hanno lanciato un’allarme (intelligente) di intrusione aerea e successivamente a causa di questo particolare allarme uno dei 2 aerei intrusi è stato abbattuto da altri caccia levatisi in volo. I Due, in seguito, avevano affermato che nello spazio aereo italiano c’erano tre aerei, uno identificato (poi risultato il DC-9) e due non identificati (di cui uno, identifico con il Kfir senza emblema d’identificazione, abbattuto sulla Sila, non il MiG-23, anche qui, messo tanto in evidenza).
gli f16 hanno iniziato a volare nel 80 E non mi sembra che Israele li aveva già comperati.
da Israele fino al sud Italia la distanza e elevata e non credo che potessero passare inosservati ai nostri radar e alla intensa attività che cera nel tirreno quella sera.
con taniche esterne sarebbero riusciti ad arrivare ma per il rientro avrebbero avuto bisogno del rifornimento in volo