L’ipotesi che è stata avanzata dalla figlia Barbara alla Procura è che suo padre non si sia impiccato. Ma che lo abbia fatto qualcun altro. «La relazione è un tassello delle indagini della Procura – aggiunge l’avvocato – ma non è certamente l’unico».
Bisogna tornare con la memoria a quello che successe e a quello che non è stato fatto trent’anni fa, quando il corpo del maresciallo fu trovato appeso al ramo di un albero a pochi chilometri da Grosseto. La corda con la quale l’uomo si sarebbe impiccato non è stata sequestrata. Era andato a prendere l’acqua a Poggio la Mozza, quel giorno: quando la vedova di Dettori ha ricostruito la terribile scoperta, a distanza di anni da quel 31 marzo, ha ricordati particolari che sono stati ritenuti importanti dall’associazione antimafia. Le scarpe di Carlo Alberto Dettori erano pulite nonostante il brecciolino sul quale aveva dovuto camminare per arrivare fino all’albero. Dettori aveva un solo graffio sulla mano e la Procura, allora, non fece effettuare alcuna analisi per stabilire se sotto le sue unghie ci fosse Dna appartenente a qualcun altro. Non fu accertato se l’uomo, prima di morire, avesse lottato con qualcuno e nemmeno furono svolte prove tossicologiche per capire se avesse assunto sostanze di qualunque tipo.
Dettori fu trovato impiccato a un ramo a tre metri di altezza e non sono stati trovati scalei e nessun altro mezzo d’appoggio: per arrivare lassù quindi, si sarebbe soltanto potuto arrampicare. La sorella del maresciallo fece notare questo particolare ma non furono fatte indagini. E il giorno in cui il maresciallo fu trovato morto, un’amica della figlia Barbara vide un’auto allontanarsi a Poggio la Mozza, dove il militare era a prendere l’acqua. «Anni prima – ricorda ora Barbara Dettori – era morto, ucciso da un infarto, un collega di mio padre, il radarista Maurizio Gari. Quando babbo tornò dal suo funerale era distrutto». La moglie di Dettori, Carla, cercò di consolarlo. «Ma papà le rispose dicendole che era toccato prima a Maurizio – dice – e che poi sarebbe stato probabilmente il suo turno». Sono ricordi inquietanti quelli che stanno via via riaffiorando. Ricordi che saranno passati al setaccio dalla Procura di Grosseto che sta ascoltando le persone che in quegli anni lavoravano e vivevano a stretto contatto con Dettori. «Anche io mi sono fatto l’idea che il radarista non si sia suicidato – dice ancora l’avvocato D’Antona – Questa è una vicenda che merita un approfondimento. Quando mi sottoposero il caso e vidi le carte del processo non ero convinto. Ma tutto il materiale che siamo riusciti a reperire dopo sembra andare in una direzione diversa».
Sono tante le morti ancora misteriose che costellano questa vicenda che ancora oggi non si è chiusa. Nel palazzo di via Monterosa, il procuratore capo Raffaella Capasso e il sostituto Maria Navarro hanno deciso di andare fino in fondo accogliendo la richiesta di Barbara. Lo ha detto a più riprese, lei: «Mio padre non si sarebbe mai ucciso, eravamo la luce dei suoi occhi. Non ci avrebbe mai voluto dare un dolore del genere». Il radarista di Poggio Ballone, quando smontò dal turno, disse ai suoi familiari che quella notte era stata sfiorata la terza guerra mondiale. I tracciati degli aerei erano sotto i suoi occhi, quello dell’Itavia, quello del Mig, quello dei due F104 che si alzarono in volo dal Baccarini. Alla storia d’Italia ancora non è stata consegnata la verità su quelle 81 morti che i parenti piangono ancora, e su tutte altre, quelle “collaterali” che hanno costellato anche Grosseto, con tante croci bianche ancora senza colpevoli.