Gli Stati Uniti, nel caso Ustica, hanno giocato un ruolo importante, ragion per cui intenso è stato il lavoro svolto, negli anni, dalla nostra rappresentanza diplomatica a Washington. Sono decine le rogatorie inoltrate alle autorità americane, cui va aggiunta una lettera personale a Bill Clinton dell’allora Presidente del Consiglio, Massimo D’Alema. D’Alema scrive anche al Presidente francese Jacques Chirac ed al leader libico Mu’ammar Gheddafi. La stessa cosa fa il suo successore a Palazzo Chigi, Giuliano Amato, che indirizza agli stessi presidenti una lettera personale in merito alla strage. Spesso insufficienti le risposte giunte da oltre oceano, a volte palesemente false. Su alcune questioni, poi, nonostante le richieste e le pressioni delle autorità italiane, non è stato rimosso il segreto militare e non si è ricevuta alcuna risposta. Alla lettera di D’Alema, viene allegato un memorandum preparato dal SISMI, dove sono elencate in dettaglio tutte le vicende ancora da chiarire e per le quali il nostra Paese chiede la piena collaborazione delle autorità americane [leggi documento]. Di questo documento Stragi80 ha già dato conto. Interessante ed opportuno appare invece approfondire altri elementi contenuti nel documento.
La richiesta di rimozione del segreto. Due le questioni sulle quali gli USA non hanno risposto alle rogatorie italiane: la prima riguarda la vicenda del MIG23 caduto sulla Sila, mentre la seconda è inerente l’attività volativa delle basi di Sigonella ed Aviano.
Notizie in merito sia al MIG 23 sia sul DC-9 le aveva chiesto, a suo tempo, anche il giornalista italiano Claudio Gatti, corrispondente dagli Usa per il settimanale L’Europeo e autore, nel 1994, anche di un libro sul caso Ustica, Il quinto scenario. Gatti presenta una richiesta alle autorità Usa, ai sensi del F.O.I.A. (il Freedom of Infrmation Act). I documenti richiesti da Gatti vengono rifiutati dall’Amministrazione statunitense. In particolare sul MIG gli USA rispondono che “non possono né confermare né smentire di avere notizie in merito”. Sul DC-9 dell’Itavia, invece, rispondono di avere delle informazioni, ma che queste sono classificate alcune “Top Secret”, altre “Secret” per ragioni di sicurezza nazionale. “Tali documenti – si legge nella risposta USA – sono classificati perché la loro diffusione potrebbe ragionevolmente essere causa di un danno eccezionalmente grave per la sicurezza nazionale”. Tutto il carteggio viene consegnato da Gatti al giudice istruttore, che ebbe modo di interrogare il giornalista, ed è contenuto in uno dei documenti declassificati grazie alla direttiva Renzi [leggi documento].
Il Working Group. All’indomani della caduta del DC-9 venne costituto, presso l’Ambasciata USA a Roma, un working group (gruppo di lavoro). E’ l’ambasciatore americano a Roma che dispone la creazione di questo gruppo, il cui scopo è quello di tenere informati gli ambienti militari e governativi a Washington, accertando se forze statunitensi fossero rimaste coinvolte o meno nell’incidente. Agli atti dell’indagine risultano molte cose su questo gruppo di lavoro, altrettante, però, sono rimaste avvolte nel mistero. Il giudice istruttore, Rosario Priore, parla di questo gruppo di lavoro nella sentenza ordinanza del 1999, a partire dalla pag. 1.115, laddove si riporta una intervista che il giornalista Massimo De Angelis, fa a Richard Coe, all’epoca addetto militare dell’Ambasciata americana a Roma, e membro di questo gruppo di lavoro. Il colonnello Coe, in questa intervista, racconta che la notte del disastro, ricevette una telefonata dall’Aeronautica Militare Italiana, che chiedeva se ci fossero aerei americani in volo all’ora del disastro. Coe racconta anche di aver verificato la posizione della portaerei Saratoga, di aver chiamato tutte le basi americane in Italia, il comando di Bagnoli, di aver anche contattato il Centro Comando Generale a Ramstein, in Germania, per avere notizie. Racconta ancora che il giorno dopo l’Ambasciatore in persona dispose la creazione di questo gruppo di lavoro per verificare l’eventuale coinvolgimento di mezzi navali a aerei americani. Sempre l’Ambasciatore dispose, secondo Coe, una check-list di tutti i missili di cui erano dotate le forze americane in Italia. Di questo gruppo di lavoro faceva parte l’ufficio degli addetti militari, l’ufficio politico militare e la CIA. Il lavoro, secondo Coe, durò parecchi giorni, forse una settimana. Si cercò di capire se ad abbattere il DC-9 fosse stato un missile. Ma il colonnello racconta anche di avere avuto contatti con ufficiali della nostra Aeronautica militare, fa i nomi di un paio di ufficiali, i capitani Adriano Piccioni e Claudio Coltelli, in servizio al SIOS, ovvero al 2° Reparto dello Stato Maggiore.
Riferisce i nomi degli altri componenti del gruppo di lavoro: Steven May, per l’Ufficio politico-militare, il comandante William McBride per la Marina, William Mac Donnel per i Marines, e, soprattutto il ben noto Duane Clarridge per la CIA, di cui era il capo della stazione romana. Clarridge è colui il quale andò a fare un sopralluogo sul luogo dove era caduto il MIG 23 libico, insieme al generale Zeno Tascio. Anzi, per ben due volte dichiarò a Priore di aver esaminato i resti del MIG prima del 18 luglio 1980, data ufficiale della caduta. Poi però, al processo, rinnegò tutto. Le autorità italiane richiedono, tramite rogatoria, eventuali documenti relativi a questo gruppo di lavoro, verbali, relazioni, tutto quanto eventualmente prodotto, vogliono anche sapere se ci si è occupati anche del MIG libico. Dagli USA non arriva nulla, né sul gruppo di Lavoro né sul MIG.
Sono tanti gli interrogativi che emergono e che soprattutto, lasciano perplessi. Perché costituire un gruppo di lavoro per la caduta di un aereo civile? Su quali basi si ipotizzò che la caduta potesse essere stata causata da un missile? Fu la nostra Aeronautica a dare comunicazioni in tal senso? Eppure la versione ufficiale della nostra Aeronautica è stata che quella fu una serata tranquillissima, senza nulla di particolare. Ed ancora, se questo gruppo di lavoro escluse qualsiasi coinvolgimento americano, perché negare qualsiasi documento? Perché la nostra Aeronautica, che pure veniva informata quotidianamente dei lavori di questo gruppo, non ha mai fatto parola di ciò?
La risposta di Clinton. Dopo qualche tempo arriva la risposta di Bill Clinton. E’ indirizzata al successore di D’Alema, Giuliano Amato. E’ molto scarna ed assolutamente insoddisfacente. “Gli Stati uniti hanno assistito l’autorità giudiziaria italiana per molti anni – scrive Clinton – nel loro sforzo di far luce sull’incidente. Abbiamo risposto a tutte le richieste dei magistrati italiani. Abbiamo fornito tutte le informazioni che potevano essere fornite”. Nessuna rimozione del segreto, dunque. Sibillino il significato di quella frase (tutte le informazioni che potevano essere fornite) che è cosa diversa da “tutte le informazioni che abbiamo” [leggi documento].
Gli americani, a dire il vero, alle rogatorie rispondono. Ma, come nel caso della Francia, sono risposte spesso insufficienti. E’ il caso, per esempio, della lettera, firmata dal sottosegretario alla Difesa, Paul Wolfowitz, datata 4 dicembre 1991 [leggi documento], in cui si ribadisce che nessun aereo statunitense era coinvolto nella strage, si fa chiarezza sul alcuni velivoli di cui i magistrati italiani chiedevano conto, ma si tace su altri elementi importanti. Dalla missione di intercettazione a sud di Lampedusa, all’AWACS sull’Appennino tosco emiliano. Nessun cenno al MIG libico.
L’Operazione Proud Phantom. Il 28 e 29 aprile 1992 il giudice istruttore, Rosario Priore, ed il PM Giovanni Salvi, volano in Egitto. La nostra ambasciata di Tripoli dà conto al Ministero degli Esteri di questa visita con un telegramma del 30 aprile [leggi documento 1 – leggi documento 2]. Il motivo della visita sono notizie di stampa, apparse sui mezzi di informazione egiziani, relative all’arrivo di aerei militari americani, verso la fine di giugno 1980, per una esercitazione militare congiunta. Priore e Salvi chiedono di poter interrogare i giornalisti autori di quegli articoli e lo fanno con una rogatoria internazionale in cui, inoltre, chiedono all’Egitto notizie utili sul disastro di Ustica. Ma di cosa si tratta esattamente? Si tratta, per la precisione, dell’operazione denominata “Proud Phanthom”, di cui stragi80 ha dato conto tempo fa, allorché, grazie al Freedom Of Information Act, fu possibile entrare in possesso di un documento del Pentagono, inviatoci in gran parte censurato, che descrive i dettagli di quella operazione, di cui all’epoca parlarono i media egiziani e che fu oggetto di una rogatoria internazionale. L’operazione si svolse tra giugno ed ottobre del 1980, ed in quei quattro mesi gli Stati Uniti trasportarono merci, uomini, materiali, aerei e armamenti, per supportare il neo alleato egiziano che da poco aveva abbandonato il blocco comunista, schierandosi al fianco dell’occidente. Furono usati i giganteschi C-5 ed i C-141. Una delle rogatorie rivolte agli Stati Uniti hanno per oggetto proprio uno di questi C-141. Di questa operazione parla anche l’Ing. Paolo Miggiano, in un documento agli atti della Commissione Stragi. Egli parla anche di altri aerei, che sarebbero giunti in Egitto nell’ambito di quella operazione, i B-52 (le famose stratofortress) e gli F-111, bombardieri capaci di trasportare anche ordigni nucleari tattici. Ci sembra opportuno citare un passo di quel documento dell’Ing. Miggiano: “E’ possibile che i comandanti militari italiani del 1980, interrogati sulla situazione geostrategica del Mediterraneo, si siano dimenticati di accennare al ponte aereo del Cairo, in pieno sviluppo quando venne abbattuto il DC9, fatto da aerei americani che atterravano e decollavano da Sigonella? E che si siano scordati di informare i parlamentari che nelle basi meridionali dell’Aeronautica italiana erano arrivati a darci manforte caccia tedeschi ed inglesi? A mio parere, una tale dimenticanza non può essere stata casuale”.
Insomma mentre tutti i paesi coinvolti, compreso il nostro, si affannano a ribadire che quella fu una serata normalissima, il quadro che emerge, e che i documenti declassificati confermano in pieno, è inquietante. Gli Stati Uniti sono impegnati in un gigantesco ponte aereo per rafforzare l’Egitto, che è ai ferri corti con la Libia, la quale, a sua volta, è in contrasto con Malta, che è aiutata dall’Italia, mentre la Francia, che sta aiutando il regime iracheno di Saddam Hussein a sviluppare il proprio programma nucleare, fa volare i propri aerei da guerra nel Tirreno, dove c’è una portaerei mai identificata, e, contemporaneamente, sull’Appennino tosco emiliano, sta volando un aereo radar AWACS. Nel mezzo c’è l’incolpevole DC-9. Inutile dire che gli egiziani risponderanno negativamente alla rogatoria italiana invitando le nostre autorità a rivolgersi agli USA [leggi documento].
Il rischio di significato politico. La vicenda Ustica ha rischiato di mettere in crisi i rapporti tra Italia è Stati Uniti. E’ quanto viene rappresentato dal Dipartimento di stato americano, tramite il Deputy Assistant per l’Europa, Caldwell, alla nostra ambasciata a Washington. “Il rischio di significato politico – comunica Caldwell al nostro rappresentante diplomatico – è che possa emergere l’esistenza di ombre nei rapporti bilaterali.” Caldwell, in particolare, esprime la preoccupazione che l’opinione pubblica italiana possa percepire come reticente, o incoerente, l’atteggiamento delle autorità americane. Il funzionario americano fa riferimento, oltre che ad articoli di stampa, anche a dichiarazione di membri del Governo italiano [leggi documento].
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