Mancano ancora molti pezzi del puzzle per mettere la parola fine in fondo a uno dei capitoli più bui della nostra storia. Conosciamo lo scenario, i Paesi che quella notte di pace avevano in volo aerei da guerra (Stati Uniti, Francia e Nato sicuramente), ma non chi causò la perdita del Dc9. Sappiamo, perché lo dicono le tracce radar della nostra Difesa aerea, che la parte finale della rotta del volo Itavia fu sicuramente interessata e disturbata da traffico militare. Il Dc9 doveva essere solo, ma così non era.
In compenso è di poche ore fa la notizia che dentro l’ultimo malloppo di carte, un tempo segrete e dalla scorsa settimana di libera consultazione all’Archivio di Stato di Roma, non c’è nulla di utile per arrivare alla verità sulla strage di Ustica. E a dirlo non sono gli studiosi e neanche i politici, è la stessa Procura di Roma che ha potuto valutarle come tali, senza gli omissis che le coprivano da anni.
Non dovrebbe essere una notizia, se non fosse altro che per anni l’ex senatore Carlo Giovanardi, insieme ad altri esponenti del centrodestra e a ex ufficiali dell’Aeronautica militare, ne ha fatto una bandiera da sventolare ovunque a sostegno della tesi che il Dc9 fu abbattuto non da un missile – come ha concluso la monumentale inchiesta del giudice Rosario Priore – bensì da una bomba collocata nella toilette di bordo.
Un attentato che in 42 anni nessuno ha rivendicato e che, a parere dell’ex parlamentare, sarebbe stato causato dalla detonazione di un ordigno talmente intelligente che scoppiò con due ore di ritardo, perché il volo Itavia decollò da Bologna, causa maltempo e ritardi accumulati nelle tratte precedenti, con tale posticipo. E ancora: una bomba talmente piccola da non lasciare nemmeno un segno su tutti i frammenti del Dc9 recuperati ed analizzati dagli esperti. Insomma sostenere che ad abbatterlo fu una bomba, oltre ad essere smentito dalla scienza e da diverse sentenze civili, anche vagliate dalla Cassazione, è molto lontano dalla realtà.
Ma ritornando alle carte segrete, che così segrete poi non erano, secondo Giovanardi dovevano contenere la chiave di volta, quel pezzetto di verità mancante per chiudere il cerchio. Erano documenti proveniente dal Sismi (uno dei quali è il cosiddetto dossier Giovannone) e riferiti ad altri misteri d’Italia (dal sequestro Moro alla morte in Libano dei giornalisti Graziella De Palo e Italo Toni), quindi non direttamente riconducibili al caso Ustica.
A confermare, che lì dentro non c’è nulla di buono, è stato il segretario generale della presidenza del Consiglio, Roberto Chieppa, dandone recentemente conto al Comitato consultivo per l’attuazione della direttiva Renzi-Draghi per la desecretazione dei documenti relativi alle stragi. Chieppa, nell’informare che il dossier oggetto per anni di discussione è stato finalmente deposito dal Dipartimento delle Informazione per la Sicurezza all’Archivio di Stato, dunque non più top secret, ha informato che gli atti “riguardano fatti coevi, immediatamente precedenti e successivi alla strage di Ustica”, la cui valutazione “è utile più ad escludere piste, che ad accertare una determinata verità”.
Il Segretario generale di Palazzo Chigi segnala, inoltre, e questo è il passaggio più importante, che “la valutazione di pertinenza degli stessi” documenti “di cui si era discusso in passato” è stata “eseguita sulla base dello stesso criterio utilizzato dalla Procura di Roma relativo al collegamento anche indiretto con la strage”. Dunque in quelle carte, almeno per quanto riguarda il caso del volo Itavia 870, non ci sono indicibili verità.
“Si può definitivamente affermare – ha commentato la presidente dei familiari delle vittime della strage di Ustica, Daria Bonfietti – che non vi sono carte segrete su Ustica, tutto è depositato secondo le direttive date, e si possono spazzar via tutte le falsità, gli evidenti depistaggi, le false piste con le quali si è voluto nascondere soprattutto agli occhi dell’opinione pubblica la verità imbastendo campagne di pura disinformazione”.
(di Fabrizio Colarieti per La Notizia)