Ripescare nei ricordi di trenta o quarant’anni fa non è facile. Soprattutto non lo è per chi ha deciso di tacere già allora. «Io mi auguro che si vada avanti con l’indagine – dice Barbara Dettori – Noi aspettiamo giustizia e verità. Mio padre è morto quando io ero ancora molto giovane lasciando un vuoto incolmabile. Però tutto quello che è successo prima di allora e anche dopo, non può e non deve essere taciuto».
Chiunque parli, chiunque conosca qualcosa sulla strage di Ustica, ha un’urgenza sola, quella di ristabilire la verità. «È necessario continuare a parlare di questa vicenda – aggiunge Dettori – è necessario che in Italia si arrivi a un punto di rottura con quello che è stato il passato: ci sono tante cose che non sono mai tornate nella vicenda della morte di mio padre e troppe persone che non hanno voluto squarciare quel velo di silenzio e bugie che si è alzato quando è cominciata questa vicenda». Sulla salma di Dettori è stata fatta l’autopsia, a trent’anni dalla morte. Il radarista di Poggio Ballone aveva parlato con un collega di quella notte. E anche a casa aveva accennato a quello che era successo in cielo, mentre lui era alla sua postazione. Furono anni difficili, quelli successivi alla strage di ustica. Anni che si fermarono, per Dettori, nel 1987. «Non lo avrebbe mai fatto – dice la figlia Barbara – Amava la vita, amava la sua famiglia. Eravamo la luce dei suoi occhi, non si sarebbe mai ucciso da solo in quel modo». (Fonte Il Tirreno)