Una convinzione che non ha nulla di personale, ci tiene a ribadire l’esponente del governo, ma che si basa su «sentenze passate in giudicato e il lavoro di quattro anni da parte dei periti». A coordinare quel lavoro fu Aurelio Misiti, attuale sottosegretario alle Infrastrutture. Autore di una ricostruzione che fu bocciata dagli stessi inquirenti, innanzitutto perché l’elaborato che la sosteneva era affetto “da tali e tanti vizi di carattere logico, da molteplici contraddizioni e distorsioni del materiale probatorio” da renderlo inutilizzabile. In sostanza il livello scientifico di quella perizia era talmente scadente da essere dichiarato inutilizzabile, comprese le sue conclusioni: contraddette dalla realtà dei reperti e contestate da altre perizie, che non rivelarono sui rottami del Dc9 Itavia (in particolare proprio nella toilette, ma anche nella stiva) le evidenze di un’esplosione interna. Non solo, ma il sito Stragi80, curato dal giornalista Fabrizio Colarieti, svelò il contenuto di alcune telefonate nelle quali alcuni periti, poi allontanati, intrattenevano rapporti troppo amichevoli con alti esponenti dell’Aeronautica. «Ho chiesto alla Nato tutti i documenti e non c’è nulla su un ipotetico missile né su una sfiorata collisione. Clinton personalmente – aggiunge Giovanardi – ha scritto una lettera di suo pugno all’allora premier Giuliano Amato per ribadire la totale estraneità degli Usa nella strage. Se volete cercare la verità – conclude il sottosegretario – cercate negli archivi libici. Gheddafi sì che avrebbe qualcosa da dire».
Parole che però cozzano in maniera clamorosa con i risultati della lunghissima attività investigativa condotta dal giudice Rosario Priore, secondo il quale il Dc9 fu vittima di un’azione di guerra: «L’incidente è occorso a seguito di azione militare di intercettamento, il DC9 è stato abbattuto con un’azione che è stata propriamente atto di guerra, guerra di fatto e non dichiarata, operazione di polizia internazionale coperta contro il nostro Paese, di cui sono stati violati i confini e i diritti». Le tracce di evidenti intrusioni nell’aerovia percorsa dal Dc9 che furono registrate da Ciampino, visibili nel tracciato radar, confermano questo. Così come le registrazioni degli operatori in servizio la sera stessa del disastro a Ciampino dimostrano che nell’immediatezza della caduta, i controllori ascoltarono «traffico americano», tanto da prendere contatto con l’attaché militare dell’ambasciata americana a Roma.
Nel ’96, la Nato chiarì che quella notte c’erano in volo aerei non identificabili, per via dell’”assenza sistematica dei codici di risposta militari”. Tracce che apparterrebbero a due/tre caccia francesi e a un aereo radar Awacs della Nato in volo sull’Appennino Tosco-Emiliano. Nelle pagine del fascicolo dell’Alleanza Atlantica ci sono le sigle di 21 velivoli e almeno 4 di questi, a trentuno anni da quella notte, sono tuttora sconosciuti agli inquirenti. Il documento è datato 2 ottobre 1997 e contiene l’intera relazione trasmessa dagli esperti di Bruxelles al giudice istruttore Rosario Priore che, tramite l’allora premier Romano Prodi sollecitò l’Alleanza atlantica a decriptare i codici “sif” di quei 21 velivoli. Ancora oggi non è stata attribuita la nazionalità a una portaerei e a quattro aerei, la cui presenza in mare e in volo, negli stessi orari in cui il Dc9 Itavia precipitava al largo di Ustica, è comunque provata dalle stesse evidenze radar.
di Vincenzo Mulè – Terra [link originale]