Ora c’è un giudice, che condannando lo Stato a risarcire i familiari delle vittime dell’affaire Ustica, afferma che intorno al Dc9 c’erano altri aerei e che la ricostruzione dello scenario che uscì dalla lunga istruttoria del giudice Rosario Priore è ancora oggi quella più vicina alla verità.
E Carlo Giovanardi, di tutto questo, non se ne fa una ragione. Come se niente fosse continua a ripetere che il Dc9 non si trovò al centro di una battaglia aerea (come riferì anche Francesco Cossiga ai giudici di Palermo) bensì fu abbattuto da una bomba. Per il sottosegretario la verità, su quanto avvenne la notte del 27 giugno 1980 nei cieli del Tirreno, era ed è scritta nelle pagine della relazione peritale di Aurelio Misiti, per intenderci quella gettata nel cestino dallo stesso giudice Priore, perché affetta “da tali e tanti vizi di carattere logico, da molteplici contraddizioni e distorsioni del materiale probatorio” da renderla inutilizzabile. E a proposito di distorsioni del materiale probatorio, Misiti e Giovanardi fanno finta di non ricordare che proprio due periti di quel collegio (Giovanni Picardi e Antonio Castellani) furono raggiunti da un imbarazzante provvedimento di revoca dei loro incarichi per “infedeltà”. I due tecnici coordinati dall’ingegner Misiti, infatti, tennero per molto tempo – sia durante il compimento della perizia che dopo il suo deposito – comportamenti palesemente in spregio dei loro doveri d’ufficio, primo tra tutti il segreto, e lontani anni luce dal loro mandato a indagare sulle cause del disastro “senz’altro scopo che quello di far conoscere al giudice la verità”. Come? Intercettando le utenze telefoniche degli allora indagati (i generali dell’Aeronautica) Priore scoprì che i due periti aggiornavano costantemente gli stessi imputati su quanto stava emergendo dalle indagini. Un rapporto – scrisse il giudice istruttore nel capitolo della sua sentenza-ordinanza dedicato agli inquinamenti peritali – che “era divenuto tale da indurre l’imputato a definire i periti giudiziari “periti nostri” , tanto da spingere gli stessi periti “a confessare pressioni, indirizzi sulle conclusioni della perizia, e “disagi” dell’Ufficio; pressioni cui la parte imputata non desiderava assolutamente che il perito d’Ufficio s’adeguasse”.
Per non parlare della bomba nella toilette, su cui si è già scritto molto e su cui ci sarebbe poco altro da dire. Giovanardi e Misiti parlano all’unisono di un ordigno, la cui collocazione nella toilette, e la sua successiva detonazione, è stata smentita dalla logica e superata da indagini tecniche compiute fino al ’99 dal Politecnico di Torino con tecnologie avanzate. Una bomba che verosimilmente sarebbe esplosa su un aereo decollato con due ore di ritardo, perciò quando era già in quota, anzi quasi in fase di atterraggio, e altrettanto verosimilmente senza danneggiare gli arredi (water e tavoletta compresi). Un attentato, non solo mai rivendicato, ma di cui non si conosce (né la conosce Giovanardi) la matrice.
Giova ricordare che, secondo le conclusione della lunga inchiesta condotta dal giudice Rosario Priore, il Dc9 fu vittima di un’azione di guerra: “L’incidente è occorso a seguito di azione militare di intercettamento, il DC9 è stato abbattuto con un’azione che è stata propriamente atto di guerra, guerra di fatto e non dichiarata, operazione di polizia internazionale coperta contro il nostro Paese, di cui sono stati violati i confini e i diritti.”
Uno scenario confermato dal Tribunale civile di Palermo, che proprio rispolverando l’istruttoria di Priore, ha scritto nero su bianco che intorno al Dc9 quella sera c’erano altri aerei e che la Difesa non solo non raccontò la verità, ma depistò le indagini con pesanti omissioni e negligenze.
E’ perciò la concretezza di alcuni elementi a smentire Misiti e Giovanardi. Come le tracce di evidenti “intrusioni” nell’aerovia percorsa dall’Itavia 870, registrate da Ciampino, di cui abbiamo a disposizione il tracciato radar, e confermate (in parte) anche dalla Nato. Un’ ulteriore prova sono i contenuti delle conversazioni degli operatori in servizio la sera del disastro a Ciampino, di cui disponiamo le registrazioni originali che dimostrano che già nell’immediatezza del fatto i controllori ascoltarono via radio “traffico americano”, tanto da prendere contatti con l’attaché militare dell’Ambasciata di Roma.
Che lo voglia o no Giovanardi le prove che abbiamo in mano – poche rispetto a quelle distrutte da chi sistematicamente ostacolò la giustizia, come ha ripetuto il giudice palermitano Paola Proto Pisani nella sua sentenza – raccontano un’altra storia, insieme al dramma dei tanti che su quell’aereo hanno perso un pezzo della loro vita e che ancora oggi chiedono giustizia.
di Fabrizio Colarieti – © stragi80.it