La norma che disciplina i termini per la definizione istruttoria nel presente procedimento è contenuta nell'art.242, comma 3, delle disposizioni transitorie del codice di rito.
In questo procedimento l'ultimo termine previsto quello per la pronuncia del provvedimento di definizione è stato superato. E non poteva essere altrimenti a meno che non si redigesse un provvedimento di definizione privo di motivazione; sia per la mole degli atti che per il novero delle questioni. Il termine non sarebbe stato sufficiente nemmeno al vaglio dei documenti pervenuti dopo la scadenza di quello ex art.372, c.p.p. previgente.
Una volta superati i termini ex art.242, co. 3, c.p.p., disp. trans., non si determina nè nullità nè decadenza. Tanto meno se si supera quello previsto per il deposito della decisione. Tanto meno in questa fattispecie si determina carenza di giurisdizione. Carenza che si ha soltanto, per comune dottrina e pacifica giurisprudenza, quando v'è esercizio di una potestà non attribuita, ad alcun potere dello Stato, o esercizio di una potestà attribuita ad autorità diversa da quella giudiziaria, o esercizio di una potestà attribuita a una diversa giurisdizione. E in ipotesi ovviamente non si versa in alcuna di queste fattispecie. Come non si versa in causa di nullità assoluta, per cui vale il principio della tassatività della loro previsione.
La giurisprudenza della Suprema Corte sulla questione, come s'è detto, è costante. "Il legislatore, allo scopo di conservare quanto più possibile l'efficacia delle attività processuali già compiute, ha disciplinato, con le norme (transitorie) contenute nel titolo III del D.L.G. 28 luglio 1989, n. 271, in maniera graduale ed articolata il passaggio dal vecchio al nuovo codice di rito, per i procedimenti non ancora definiti alla data di entrata in vigore dello stesso. In particolare, l'art. 242, 3° comma, disp. trans., occupandosi dei procedimenti in istruttoria formale non ancora conclusi alla data del 31.12.90, fa obbligo al giudice istruttore di depositare, entro cinque giorni, il fascicolo in cancelleria, dandone avviso al pubblico ministero, per le sue requisitorie, a norma dell'art. 369 cod. proc. pen.1930 e di pronunciare quindi sentenza di proscioglimento ovvero ordinanza di rinvio a giudizio entro sessanta giorni dalla scadenza del termine di cui all'art. 372 stesso codice. La ratio della norma è di tutta evidenza. Il legislatore attraverso il pronto deposito degli atti ha voluto innanzi tutto arrestare l'eventuale prosieguo di qualsivoglia attività istruttoria da parte del giudice, per poter giungere poi, in qualsivoglia modo, pur nel rispetto delle forme, ad una sollecita definizione dei procedimenti dinanzi a lui pendenti.
Il mancato rispetto dei termini di cui sopra, tuttavia, non dà luogo a nullità nè a decadenza, non essendo queste espressamente previste. L'art. 244, 2° comma, disp. trans., infatti, così dispone "Quando non sono rispettati i termini indicati nell'art. 242 commi 2, 3 e 4, il pubblico ministero, il giudice istruttore o il pretore comunica al procuratore generale presso la corte di appello che ne informa il Ministro di grazia e giustizia, le ragioni che hanno impedito l'osservanza dei predetti termini e dispone la trasmissione degli atti al pubblico ministero".
Nel caso di specie l'unico termine che non risulta rispettato è solo quello relativo al deposito della decisione. Tale inosservanza, tuttavia, non inficia, sul piano processuale, la decisione adottata poichè nel nostro ordinamento il mancato rispetto dei termini fissati per il deposito delle decisioni, comprese quelle del giudice istruttore, non ha mai prodotto nullità o decadenza, nè ha inciso in alcun modo sul potere-dovere del giudice di pronunciarsi sulla regiudicanda a lui devoluta. Trattasi, invero, di un termine meramente ordinatorio, la cui violazione può dar luogo, semmai, a responsabilità penale o disciplinare, ma non a carenza di giurisdizione anche perchè il Giudice Istruttore, sia pure come organo residuato, sopravvive ancora nell'ordinamento in virtù dell'art. 242, terzo comma, disp. trans. per i procedimenti espressamente previsti" (v. sentenza Corte Suprema di Cassazione, Caliciuri ed altri, 10.07.95).
Caso che s'attaglia perfettamente al presente.
Ma anche: "E' ben vero che per i procedimenti in istruzione formale che siano ancora in corso alla data del 31.12.1990, il comma terzo dell'art. 242 delle disposizioni transitorie configura come obblighi veri e propri gli adempimenti demandati al giudice istruttore di depositare entro cinque giorni il fascicolo in cancelleria, di darne avviso al pubblico ministero per le requisitorie di cui all'art. 369 c.p.p. 1930 e di pronunciare quindi sentenza di proscioglimento ovvero ordinanza di rinvio a giudizio entro sessanta giorni dalla scadenza del termine previsto dall'art. 372 stesso codice. Ed è altresì vero che, in virtù di codesta disciplina transitoria, imperniata sul punto deposito del fascicolo in cancelleria il legislatore ha voluto arrestare l'eventuale proseguimento di qualsiasi attività da parte del giudice istruttore per poter giungere così ad una rigida definizione dei procedimenti davanti a lui pendenti secondo il vecchio rito ovvero alla loro prosecuzione ad opera del pubblico ministero con l'osservanza delle norme del nuovo rito.
Il mancato funzionamento di un così articolato ed interdipendente meccanismo di termini costituito anche da quelli non espressamente menzionati ma sottesi nel citato art. 242, co. 3°, non è però produttivo nè di nullità nè di decadenze non essendo queste espressamente comminate e non potendo il giudice, a fronte della rigida disciplina dei termini perentori, resa ancora più rigorosa nel passaggio dal vecchio al nuovo rito (cfr. art. 182 c.p.p. 1930 e art. 173 co. 1° c.p.p. 1988) arbitrarsi di mutare in perentori termini che la legge non definisce espressamente tali. Peraltro non può sottacersi che - diversamente da quanto previsto in generale dal nuovo codice (cfr. art. 407 ult. co.), l'art. 244 co. 2° delle citate disposizioni transitorie (v. anche il successivo art. 258), pur prendendo in considerazione l'eventualità dell'inosservanza di detti termini, non l'ha sanzionata a pena di inefficacia o di inutilizzabilità essendosi limitato a stabilire che "quando non sono rispettati i termini indicati nell'art. 242 co. 2°, 3° e 4° il pubblico ministero, il giudice istruttore o il pretore comunica al procuratore generale presso la corte d'appello, che ne informa il Ministro di grazia e Giustizia, le ragioni che hanno impedito l'osservanza dei predetti termini e dispone la trasmissione degli atti al pubblico ministero".
Ne discende che nella specie l'inosservanza da parte del pubblico ministero del termine di 30 giorni previsto per le sue requisitorie dall'art. 369 c.p.p. 1930, e la mancata applicazione da parte del giudice istruttore del disposto dell'art. 369 co. 2° c.p.p. 1930 secondo cui "se il p.m. non presenta le sue requisitorie entro 30 giorni dall'avvenuta comunicazione del deposito, il giudice istruttore procede ugualmente agli adempimenti previsti dall'art. 372", non abilitano il giudice del dibattimento a dichiarare la nullità delle ordinanze di rinvio a giudizio. Ciò neppure sul presupposto della loro provenienza da giudice sprovvisto della capacità di 'jus dicere' essendo ben fermo principio che la nullità assoluta disciplinata dall'invocato art. 178 lett. "a" c.p.p. 1988 (come dall'art. 185 co. 1 c.p.p. 1930) si riferisce al difetto di capacità generico all'esercizio della funzione giurisdizionale (mancanza dei requisiti occorrenti per la sua appartenenza all'ordine giudiziario) e non già al difetto delle funzioni specifiche per l'esercizio di tali funzioni in un determinato procedimento (conf. Cass. I 5.5.1992 Amenta, CED 190230; per il vecchio codice, idem Cass. III 13 aprile 1985 n. 3465 Baio; Cass. V 23.1.1984 n. 555 Curaba).
In definitiva deve essere confermato il già espresso orientamento di questa Corte Suprema (cfr. Cass. VI 10.7.1995 Caliciuri ed altri) secondo cui l'inosservanza dei termini stabiliti dall'art. 242 co. 2, 3 e 4 non inficia sul piano processuale la decisione adottata sia perchè non è causa di nullità o decadenza, sia perchè non incide sul potere dovere del giudice di pronunciarsi sulla regiudicanda a lui devoluta. Si tratta invero di violazione "che può dar luogo semmai a responsabilità penale o disciplinare ma non a carenza di giurisdizione anche perchè il giudice istruttore, sia pure come organo di regime transitorio sopravvive nell'ordinamento in virtù dell'art. 242 co. 3° disp. trans. per i procedimenti ivi espressamente previsti" (v. sentenza Corte Suprema di Cassazione, PM Crema, 03.10.95).
In effetti la ratio della norma è quella di pôr termine al prosieguo di qualsivoglia attività istruttoria da parte del giudice secondo il codice previgente, per pervenire poi, in qualsivoglia modo, pur nel rispetto delle forme, ad una sollecita definizione del procedimento.
Questa ratio e quindi la norma è stata rispettata. Non sussistono - si può affermare con sufficiente certezza - perciò nè difetti di giurisdizione, nè nullità nè decadenza nè altra sanzione che vizi questo provvedimento.
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