Capitolo VII

Conclusioni.

Appare difficile sulla base delle evidenze sin qui raccolte risolvere il contrasto tra le opposte tesi. Casarosa ed Held ritornano sulla questione ed affermano con ragionamento condivisibile che la presenza di esplosivo sul gancio non è di sostegno nè all'ipotesi di esplosione interna nè a quella di esplosione esterna, perchè comunque quel gancio si sarebbe trovato in posizione protetta a fronte di qualsiasi evento esplosivo. Nè d'altra parte erano state rinvenute tracce di esplosivo sugli elementi che lo proteggevano. Restava un fatto inspiegabile, a meno che non derivasse da contaminazione. Lo stesso ragionamento sulle tracce di esplosivo sui bagagli, perchè essi sarebbero stati protetti sia da un'esplosione interna nella cabina che da un'esplosione esterna. Sarebbero potute derivare solo da una esplosione nella stiva dei bagagli, ma qui in vero non c'è alcuna traccia di evento esplosivo. Anche queste tracce restano perciò un fatto inspiegabile a meno che non si presuma anche per esse una contaminazione.

Ma se comunque a prescindere dai risultati dell'indagine della Marina Militare, si dovesse ritenere la contaminazione per effetto di permanenza in ambienti ov'era stato contenuto esplosivo identico o simile a quello rilevato, questa ipotesi se appare sostenibile per i bagagli, lo è difficilmente per il gancio protetto, senza esplosivo sugli elementi di protezione. Anche se si è ribattuto che la contaminazione potrebbe essere avvenuta dopo l'incidente e quindi a gancio "scoperto". E quindi s'è controbattuto che comunque nell'intorno del gancio anche "scoperto" non s'è rinvenuta alcuna traccia di esplosivo.

E quindi: o bisogna supporre che la contaminazione sia avvenuta volontariamente ad opera di un chicchessia, d'iniziativa o su mandato, ma sempre con finalità di inquinamento delle indagini; o si deve accettare quella che era stata una prima ipotesi del collegio Misiti proposta da ultimo da Algostino e gli altri, ovvero che la contaminazione possa essere avvenuta per via acquea, cioè essersi verificata dopo la caduta in mare dei relitti o degli oggetti stivati. Anche se si potrebbe sostenere, al riguardo della contaminazione intenzionale, che appare difficilmente credibile che il suo autore scegliesse un posto così strano e nascosto; a meno di non supporre che chi lo ha rinvenuto fosse stato messo sulla strada da chi ha inquinato. Ma queste sono pure supposizioni e l'inchiesta deve restare con i piedi sulla terra.

A parte però queste pure congetture, quelle formulate dai periti e consulenti restano ipotesi ben formulate ed argomentate, tecnicamente sostenibili come avrebbe detto in altri tempi il collegio tecnico, ma difettano di evidenze in concreto. La sequenza dei fatti può essere accaduta sia in un modo che nell'altro, ma non v'è prova nè dell'una nè dell'altra. Dell'esplosione esterna già s'è detto di quante condizioni abbisogni per esser definita certa. E' alla sua base una serie di possibilità non di fatti. Si deve presupporre, una volta riconosciuto, come sembra incontroverso, che non appaiono segni di impatto di schegge, l'uso di missile con testata di alluminio e a prevalente o esclusivo effetto di blast; determinate distanze di innesco ed esplosione; una diffusione delle schegge, che comunque si formano in tal cono da non impattare sull'esterno dell'aeromobile; una veicolazione acquea dei residui di esplosivi incombusti. Certo una situazione del genere può, anzi potrebbe con rilevante probabilità, derivare dallo scenario che si è provato. Non solo: può determinare il break up del velivolo che si è accettato.

Ma anche la quasi collisione s'è dimostrata possibile, specialmente dopo la revisione, alla luce del nuovo scenario, dei criteri di Försching. Essa potrebbe derivare da questo scenario e potrebbe determinare il detto break up. Le due ricostruzioni si differenziano solo per l'evento iniziale o l'ordine immediato dai primi eventi. In questa seconda la frattura dell'ala sinistra; nella prima il distacco del motore destro. Con tutto il seguito eguale nelle due ricostruzioni, già più volte descritte. Questa ricostruzione, quella della quasi collisione, è sostenuta, come s'è visto, dagli studi dei frattografi e degli esplosivisti. Ma è sempre ostacolata da quelle evidenze che restano: le tracce di esplosione, quelle di esplosivo, la composizione "militare" di esso, le difficoltà a spiegare la contaminazione.

Questo passaggio che manca, ovvero la certezza su di esso, non impedisce però che il bilancio delle ricerche peritali sia sommamente positivo. Si sono definitivamente escluse delle ipotesi, che avrebbero fuorviato totalmente le indagini e i risultati dell'inchiesta; s'è accertato in misura più che probabile un determinato contesto; s'è accertato un determinato break up che conferma quel contesto. In entrambe le ipotesi che rimangono in piedi, ma non hanno piena forza di farsi valere in modo esclusivo, ben si vede un determinato quadro di responsabilità che sarà sviluppato nella parte successiva.

E in questo consuntivo che solo malevoli quanto sterili polemisti potrebbero non condividere, va inserito anche il valore del recupero del relitto. Recupero che è stato richiesto a gran voce per anni da tutte le parti; sollecitato a far tempo anche dal gabinetto Craxi, Presidente della Repubblica Cossiga; realizzato con sacrifici di tempo e di pubblico denaro. Che solo dopo le delusioni sulle prove che avrebbero dovuto apportare sostegno a certe tesi desiderate, da certe parti viene assurdamente e con malanimo, mediante false asserzioni, criticato.

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