Capitolo IV

L'ipotesi di abbattimento per missile.

1. Premessa.

E' rimasta perciò dimostrata da più evidenze una situazione complessa esterna al velivolo, durante la sua rotta, al momento del disastro e successivamente; dai cieli dell'Appennino tosco-emiliano al Tirreno meridionale. Resta perciò l'ipotesi di una causa derivata da contesto esterno. In effetti questo "scenario", cioè la presenza di altri velivoli od oggetti volanti nell'intorno spaziale e temporale del volo del DC9 la presenza di navi, esercitazioni prima e tentativi di recuperi e attivismi vari dopo, discende dall'insieme delle attività d'istruzione poste in essere principalmente dopo la perizia Misiti, che ha segnato un forte discrimine nel corso dell'inchiesta, giacchè in occasione di essa sono apparsi impedimenti e frodi precipuamente ad opera di coloro che erano e sono a conoscenza dei fatti ed in grado di leggere i dati radaristici, che di fatto hanno bloccato l'inchiesta per circa quindici anni. Impedimenti e sviamenti ai quali soltanto si deve ascrivere l'enorme spendita di energie tempo e danaro delle indagini e il mancato adempimento a tutt'oggi della giustizia. Gli elementi a fondamento della presenza di questo scenario sono stati già ben descritti. Essi sono quanto meno due dozzine e indicano in modo inequivocabile una situazione complessa. In primo luogo l'inserimento nella scia del DC9 di un velivolo che riappare più volte nel corso della rotta del velivolo civile, in prossimità di esso. Quindi uno stato di allerta. Poi un'azione di intercettamento. Infine la caduta del velivolo civile e le traiettorie conseguenti a questo punto e momento 0. Sarà proprio il velivolo che si inserisce col suo volo di conserva rispetto al DC9, ad essere concausa, se non causa principale del disastro di Ustica. In effetti la presenza del velivolo nascosto può confermare l'ipotesi di quasi collisione proposta dai periti Casarosa ed Held. Così come l'ipotesi di abbattimento per missile formulata dalle parti civili.

2. Gli scritti di maggior rilievo sull'ipotesi.

2.1. I documenti Blasi ed altri.

Quanto a questa seconda ipotesi s'è già detto sulla perizia Blasi e sull'esito a seguito della spaccatura sui quesiti supplementari dell'89, quesiti che vertevano essenzialmente sull'ipotesi di esplosione esterna e di abbattimento del velivolo a mezzo missile. S'è già detto anche del superamento di quella perizia e quindi non si ritornerà sulle conclusioni del gruppo Imbimbo-Lecce-Migliaccio, che avevano abbracciato questa ipotesi e ne avevano data motivazione.

Di rilievo e meritevoli di essere ricordati appaiono invece alcuni commenti del consulente all'epoca di parte civile dr.Miggiano, in cui sono riportate una conclusione del menzionato gruppo ILM e sue richieste a quel collegio al tempo. Quei periti infatti avevano affermato: "per altri tipi di missili di paesi occidentali la dizione generica usata nel documento "Alto potenziale" o la non disponibilità di informazioni (N.N.), non permettono di avere indicazione utili alle indagini" (perizia Blasi: 309-310).

Il consulente al riguardo aveva espresso "delusione per le schede fatte pervenire dallo Stato Maggiore Aeronautica relativamente ai missili aria-aria; schede che al 90% riprendono i soli dati pubblicati nella letteratura specialistica, peraltro con censure non comprensibili. Lo stesso perito è convinto che l'Aeronautica sappia di più relativamente all'argomento" (v. verbale peritale 22.01.90). E quindi: "in esplicito riferimento al mandato del Giudice al collegio peritale - mandato che comprende l'analisi dei dati radar, ma che è mirato all'individuazione del missile che ha abbattuto il DC9 ed alla piattaforma da cui è partito il missile, chiede ai periti d'ufficio, se a loro parere le informazioni richieste e/o fornite dall'Aeronautica sulla parte relativa missile ed alla piattaforma li abbiano messi in grado di avanzare nella conduzione delle indagini. Il dr.Miggiano chiede anche ai periti d'ufficio quale sia la loro opinione ( al di là di autonome e legittime iniziative che le parti ritenevano per loro conto intraprendere - sull'opportunità di concentrare la futura attività del collegio sugli argomenti centrali della perizia".

Al tempo sia i periti ILM (perizia Blasi 318-319), che i periti BC (perizia Blasi: 294) propendevano per un missile con testa esplosiva a continuous rod, perchè questo tipo di testa abbatte l'aereo più con l'onda d'urto (blast) che con le poche schegge (fragmentation). E al proposito il consulente si chiedeva quanto contasse in questa affermazione non la mancanza di schegge, ma la mancanza di quel quarto aereo, sicuramente colpito, a sua detta, dal missile, rimasto sui fondali marini. A dir il vero l'inchiesta è proseguita, i recuperi in mare hanno consentito l'acquisizione di altre parti rilevanti del relitto specie della fiancata di destra, ma i dubbi sono rimasti. Considerazioni meritevoli di essere condivise, principalmente perché nella campagna di recupero del 92 proprio quando si rinvenne il noto serbatoio subalare nell'area D, si decise di interrompere le ricerche in questa area e si ritornò in altre zone già esplorate, ove erano state rinvenute solo parti del DC9.

2.2. I documenti Misiti ed altri.

La successiva perizia tecnico-scientifica però, che opera sulla base di un più copioso materiale del relitto, esclude in maniera assoluta l'esplosione esterna e quindi l'abbattimento per effetto di missile.

Queste le sue argomentazioni principali. Preliminarmente, a mo' di punto, le vicende dell'ipotesi sino al 90 - peraltro già emerse nelle sintesi delle varie relazioni e perizie. La commissione Luzzatti aveva dato per certa l'esplosione, ma non era stata in grado di stabilire se essa fosse stata interna od esterna. La commissione Pratis aveva anch'essa dato per certo che l'evento fosse stato provocato da un oggetto esplosivo, ma pur tenendo conto che la perizia giudiziale, la Blasi all'epoca prima della spaccatura, identificava l'oggetto esplosivo in un missile, aveva ritenuto di non poter scartare l'ipotesi che tale oggetto fosse stato collocato a bordo dell'aereo. La commissione Pisano escludeva l'ipotesi di un'intercettazione del velivolo. La commissione Blasi infine, si era spaccata proprio sul dilemma esplosione interna od esplosione esterna, per cui tre membri di essa avevano sostenuto l'ipotesi del missile e i restanti due quella della bomba interna al velivolo.

Quindi analisi critiche sugli elementi di sostegno della prima ipotesi e cioè: a- presenza di almeno un velivolo all'intorno del DC9; b- tracce di TNT e T4 su alcuni reperti del velivolo; c- presenza di due fori con petalatura verso l'interno sul portello del bagagliaio anteriore; d- presenza di schegge e segnature su di esse.

Il collegio, si deve rilevarlo, non esclude il primo elemento, proprio perchè, afferma, la presenza di velivoli nell'intorno del DC9 non può ragionevolmente essere esclusa e "l'evento non può ritenersi inusuale". Pertanto, concludevano i periti Misiti, questo indizio manteneva la sua validità, ma precisando ( e forse della precisazione non v'era bisogno ( che presenza di altri velivoli non voleva dire necessariamente che un lancio di missile fosse avvenuto. Il collegio Misiti, si deve notare, in questo punto, come in altri, propone delle ragionevoli argomentazioni dalle quali però non saranno desunti poi delle deduzioni conseguenti.

Quanto al secondo elemento anche qui afferma che la presenza di quelle due componenti di esplosivo può derivare da una carica iniziale costituita da "tritolite", miscela che viene usata nelle teste di guerra dei missili. Ma immediatamente tale elemento viene ridimensionato, giacchè si afferma che esistono ditte specializzate nel recupero di tale esplosivo da anni obsoleto, alienato dalle Amministrazioni della Difesa, che poi viene utilizzato per la preparazione di esplosivo per uso civile. Se ne può concludere, sebbene il collegio non espliciti specifiche considerazioni, che l'indizio resti, ma alquanto ridimensionato.

Anche sul terzo, forte ridimensionamento, se non eliminazione. Sul portello del bagagliaio anteriore vi erano quattro fori, rammenta il collegio. Due di essi erano stati certamente determinati da elementi strutturali del velivolo stesso al momento dell'impatto con la superficie del mare, giacchè vi erano ancora conficcati quegli spezzoni che avevano effettuato la perforazione. Il ragionamento posto in essere dai periti Misiti, un ragionamento di tipo statistico, è il seguente. Se in una superficie così limitata esistono quattro fori adiacenti dei quali due sicuramente originatisi al momento dell'impatto del velivolo, sembra "completamente fuori di ogni logica attribuire gli altri due ad impatto con frammenti di struttura del missile in assenza di ulteriori elementi di convalida". Ma anche quelli che potevano essere elementi di convalida, vengono dal collegio o ridimensionati o annullati. Quei fori, asseriscono i periti Misiti, sono stati prodotti secondo il DRA da oggetti di forma irregolare e con velocità relativamente bassa. Ma a dire il vero quell'ente inglese aveva affermato che la velocità di impatto doveva comunque stimarsi superiore a quella di frammenti all'impatto con la superficie del mare. Anche la presenza sulle superfici di rottura da fori di tracce di titanio è stata giustificata dal fatto che esso è un composto caratteristico delle vernici utilizzate sul DC9. Dimenticando però quanto riferito dal consulente di parte Miggiano nel 90, secondo cui il titanio è componente della testa di guerra del missile Sidewinder 9L. (v. relazione Miggiano Paolo, 18.07.90). Il collegio pertanto esclude questo terzo elemento come indizio di esplosione di un missile.

Infine il quarto, la presenza di schegge e segnature su di esse. Riguardo alle schegge i periti Misiti ribadiscono quanto già si era affermato in altra parte dell'elaborato e cioè che la formazione di esse, nella loro opinione poteva con ragionevole certezza essere attribuita non ad esplosione, sia interna che esterna, bensì all'effetto dell'impatto in acqua del velivolo. Escluse le schegge, il CP Misiti si volgeva al relitto, per di più ricostruito, partendo dal fatto, a suo parere incontrovertibile, che se il velivolo fosse stato abbattuto da uno o più missili, sulle parti vitali dell'aereo si sarebbero dovute vedere le tracce dell'evento. In particolare si sarebbero dovute vedere su quelle parti vitali che, se danneggiate, avrebbero innescato la successione e la concatenazione di eventi già descritti. Inoltre l'impatto del o dei missili avrebbe dovuto produrre danni sul relitto non spiegabili attraverso l'impatto sull'acqua.

Come si ricorderà a questo punto il collegio riferiva cenni sul funzionamento del sistema missile aria-aria, proprio ad introduzione degli esami del relitto. Del capitolo che esaminava le varie sezioni del missile in questa sede merita rammentare quanto quei periti affermavano sulle teste di guerra, precisando che anche questo collegio non era riuscito però ad acquisire ulteriore documentazione dell'AM o in altre sedi, rispetto a quelle conseguite dal collegio Blasi, non determinando così nuovi passi della conoscenza in questo riservatissimo ambito - in cui ovviamente il sapere delle parti imputate resta superiore, se non esclusivo.

"La testa di guerra è la componente del missile alla quale è devoluto il compito di arrecare il voluto danno al bersaglio. Tale danno può essere arrecato utilizzando la grande energia sviluppata in tempi brevissimi dall'esplosione di opportuna carica che, pertanto, costituisce uno degli elementi principali dai quali è costituita la testa di guerra stessa.

Nella testa di guerra sono poi presenti altri componenti che dipendono dalle modalità con le quali viene effettuato il trasferimento sul bersaglio dell'energia sviluppata dalla carica esplosiva. Infatti, una testa di guerra può agire sul bersaglio direttamente attraverso l'onda d'urto generata in aria dalla detonazione dell'esplosivo in essa contenuto, creando un danneggiamento esteso in quanto l'onda di pressione "abbraccia" tutto il bersaglio, ovvero trasferire la sua energia a frammenti metallici (schegge) che, a loro volta, andranno ad impattare il bersaglio stesso, creando danneggiamenti più localizzati.

Nel primo caso si avranno teste di guerra a pressione, nel secondo teste di guerra a frammentazione.

Testa di guerra a pressione.

Questo tipo di testa utilizza l'onda d'urto provocata dalla trasformazione esplosiva della carica per ottenere l'effetto distruttivo voluto. L'onda d'urto (blast) si propaga sfericamente nell'ambiente circostante al punto di esplosione, perdendo energia mano a mano che si allontana dal punto stesso. In prima approssimazione, si può ritenere che l'onda d'urto possa produrre danni significativi su una struttura ad una distanza D dal punto di scoppio data: D=K(W nella quale con W si è indicato il peso in kg della carica e con K una costante che dipende dal tipo di bersaglio e che può variare nell'intervallo 0.3(1m/(kg.

Tenendo conto che missili aria-aria sono trasportati da un velivolo vettore e, di conseguenza, debbono possedere un peso contenuto, il peso della carica della testa di guerra normalmente è dell'ordine di 10(20kg raggiungendo in casi particolari valori di 40 o 70kg. Applicando la formula precedente, si ottengono distanze efficaci di scoppio variabili fra 1 e 5 metri nel caso normale e non superiori a circa 8 metri nel caso di cariche eccezionalmente pesanti.

Comunque nel 1980 non era operativo alcun missile aria-aria con testa di guerra a pressione.

Testa di guerra a frammentazione.

All'atto dell'esplosione di una carica, i gas altamente compressi sono in grado di frantumare in schegge le pareti del contenitore in cui la carica è racchiusa e di accelerare le schegge stesse fino ad una velocità che dipende dal rapporto tra la massa dell'esplosivo e quella del contenitore, lungo traiettorie generalmente di tipo radiale rispetto al missile.

Per colpire efficacemente un dato bersaglio esiste una grandezza ottimale dei frammenti che garantisce una buona penetrazione ed un numero di frammenti stessi tale da determinare una probabilità sufficientemente elevata di colpire il bersaglio.

Per ottenere questo, si possono praticare delle scanalature all'interno od all'esterno dell'involucro in modo da determinare linee preferenziali di rottura, si possono inserire tra l'esplosivo e le pareti dell'involucro degli inserti a forma di tegola, ovvero foderare la carica con uno o più strati di frammenti preformati a forma di sfere, cubetti o barrette.

In questi casi di frammentazione controllata, le schegge hanno dimensioni eguali fra loro, partono tutte con la stessa velocità ed agiscono sul bersaglio con la stessa forza di penetrazione.

Normalmente il rapporto massa esplosivo/massa frammento è calcolato in modo da ottenere velocità iniziali dell'ordine di 1000(2500m/sec. Teste di guerra più sofisticate che possono produrre frammenti con velocità iniziali dell'ordine di 4000(5000m/sec non sono generalmente impiegate in missili aria-aria.

Un fascio particolarmente stretto di frammenti, anche se non molto veloce, è stato realizzato nella testa di guerra a barrette continue (continuous rod warhead), impiegata in alcuni tipi di missili aria-aria. Questo tipo di arma è costituito da una carica sostanzialmente cilindrica, ma sagomata in modo particolare, circondata da un doppio strato di barrette della lunghezza della testa di guerra e saldate ognuna all'estremità della successiva.

La carica di esplosivo, altamente omogeneo e con caratteristiche particolari, conferisce ai due strati di barrette un impulso di accelerazione ben dosato, in modo da imprimere un moto radiale ai singoli elementi che si piegano in corrispondenza dei punti di saldatura, fino a formare un anello. Questo anello resta unito fino al raggiungimento di circa l'80% della lunghezza teorica della sua circonferenza e provoca sul bersaglio un efficace effetto distruttivo, molto concentrato. In pratica l'anello produce sull'obiettivo una serie di tagli molto ravvicinati, se non continui, leggermente inclinati l'uno rispetto all'altro.

La velocità iniziale delle barrette è di circa 1000(1200m/sec, cioè al limite inferiore della velocità iniziale dei frammenti prodotti da altri tipi di teste di guerra.

Mano a mano che aumenta il raggio, le barrette si distaccano, ruotano una rispetto all'altra e si dirigono in diverse direzioni, mantenendo ancora un certo potere di penetrazione, sia pure per distanze non molto elevate".

Nulla, in conclusione, di eccezionale rispetto allo stato delle conoscenze. Nessun cenno, in particolare, sulle composizioni degli esplosivi impiegati nè sulle possibilità di diffusione di particelle di esplosivo incombusto.

Così come s'è rammentata la parte dedicata alle teste di guerra, deve ricordarsi, e riportare, quella sulle principali tecniche di attacco, cosicchè si possano ripercorrere le argomentazioni sulla ipotesi e quindi concordare o dissentire dalle soluzioni.

"Alcune principali tecniche di attacco utilizzate dai velivoli per effettuare l'intercettazione di bersagli mediante missili aria-aria, sono state desunte dal CP attraverso l'esame di materiale pubblicistico e, di conseguenza, la descrizione che ne sarà effettuata non avrà le caratteristiche di un estremo rigore.

Il CP ritiene, comunque, che essa sia adeguata per la comprensione delle osservazioni che saranno effettuate nei successivi paragrafi di questo capitolo.

Le tecniche di attacco si differenziano a seconda del sistema di sensori presenti sul missile.

Nel caso che il sistema di guida del missile sia basato su sensore IR, viene di solito riportato che la più conveniente tecnica di attacco sia quella dai settori di coda in quanto è in corrispondenza ad essi che le radiazioni infrarosse generate dal sistema propulsivo sono in grado di massimo.

Nel caso di sistema di guida basato su sensore SA, è invece possibile effettuare attacchi, oltre che dal settore di coda, anche dai settori frontali e laterali.

Per portarsi in posizione utile per il lancio, i velivoli debbono percorrere opportune traiettorie di volo, diverse fra loro a seconda che l'intercettazione sia effettuata contro velivoli che provengono dai settori di prua o di poppa.

Nelle Fig.re IX-14a) e b) sono schematizzate due tipiche traiettorie ritenute convenienti per effettuare, da parte dei velivoli 1 e 2, l'intercettazione dei bersagli 1* e 2* o del solo bersaglio 1* provenienti, in entrambi i casi, dai settori di prua.

La prima di esse è indicata come "Decoy" e, al termine di essa, l'intercettore 1 si trova a quota più bassa dei bersagli. L'intercettore 2 mantiene acceso il suo radar durante tutta la manovra mentre l'intercettore 1 lo accende solo nella fase finale, per sorprendere i bersagli stessi, attaccando da poppa.

La seconda è indicata come "Bracket" ed ha lo scopo di costringere il bersaglio ad attaccare uno degli intercettori mentre l'altro è libero di cercare la migliore posizione per il lancio.

Nella Fig.IX-15 è invece schematizzata una tipica traiettoria seguita dagli intercettori per attaccare un bersaglio che si trova alle loro spalle, indicata come "Defensive Spit". Essi si dividono descrivendo due rotte circolari separate, in modo che il bersaglio sia costretto ad attaccare uno dei due intercettori. Il secondo intercettore resta così libero di scegliere la migliore traiettoria di attacco.

E' evidente che possono utilizzarsi anche differenti e più complesse tecniche di attacco, specialmente se sono presenti più velivoli, combinando opportunamente le predette tecniche di base.

Scenario esterno.

Si è in precedenza accennato come alla base della ipotesi di abbattimento mediante missile c'è il non poter escludere che nel cielo dell'incidente fossero presenti altri velivoli.

Lo scenario da prendere in considerazione per discutere questa ipotesi è, di conseguenza, quello schematizzato nella Fig.VIII-10 della precedente parte VIII della perizia, dedotto sulla base di opportuna interpretazione dei plots radar precedenti e successivi all'incidente.

Pertanto, nella ipotesi che i due velivoli 1 e 2 fossero presenti nel cielo dell'incidente, occorre verificare se le due traiettorie da essi presumibilmente percorse siano compatibili con una manovra di attacco e successivo lancio di uno o più missili.

A questo punto, il CP ha ritenuto conveniente esaminare due differenti ipotesi delle quali una relativa alla possibilità che l'attacco potesse essere diretto proprio contro il velivolo I-Tigi e, l'altra, che l'attacco potesse essere diretto contro un differente bersaglio.

In questo secondo caso è necessario verificare se può sussistere la possibilità che il DC9 potesse essere stato casualmente coinvolto nell'evento.

Fig.VIII-10

Schema delle possibili traiettorie percorse dai velivoli 1 e 2

Ipotesi di attacco diretto al DC9.

In questo caso, dal confronto delle traiettorie 1 e 2 di Fig.VIII-10 con la traiettoria del DC9, si può ragionevolmente ipotizzare che i velivoli intercettori fossero armati con missili a guida SA. Infatti, nel caso di missili a guida IR, si è in precedenza osservato come la tecnica di attacco sia quasi esclusivamente dai settori di coda.

Con missili a guida SA, si può invece effettuare anche un attacco laterale, sebbene esso sia da considerarsi meno usuale degli attacchi dai settori di prua o di poppa.

Si consideri la traiettoria del velivolo 2. In ogni ipotesi di volo e, cioè, sia per volo su traiettoria orizzontale che inclinata, esso, al momento dell'esplosione della testa di guerra, si sarebbe dovuto trovare nei pressi del bersaglio, anche se a differenti valori di quota a seconda della traiettoria percorsa e, pertanto, avrebbe dovuto percorrere la fase di traiettoria susseguente al lancio alla stessa velocità del missile e, al momento dell'esplosione stessa, esso avrebbe potuto esserne coinvolto.

Queste considerazioni fanno ritenere che l'ipotesi di lancio da parte del velivolo 2 sia da escludere, con ragionevole certezza, qualunque sia il tipo di traiettoria ipotizzabile.

Di conseguenza, l'ipotesi più probabile potrebbe essere quella che il lancio dei missili sia stato effettuato dal velivolo 1 e che, al momento dell'esplosione della testa di guerra, il velivolo 2 si trovasse ad una quota opportunamente diversa rispetto a quella del DC9, in modo tale da non esserne coinvolto.

Per effettuare una verifica di massima di questa ipotesi occorre controllare se la traiettoria percorsa dal velivolo 1 ed i relativi tempi di percorrenza siano compatibili con la possibilità di collimare il bersaglio e se la traiettoria che il missile avrebbe dovuto seguire sia compatibile con i suoi sistemi di guida e controllo.

A questo scopo, nella Fig.IX-16a) è riportato lo schema dello scenario esterno, desunto dalla Fig.VIII-10, dal quale, per chiarezza di figura, è stata tolta la traiettoria del velivolo 2, che non interessa ai fini di questa analisi.

Dalla figura si può osservare come prima dell'istante t=-40sec, il DC9 non potesse essere visto dal velivolo intercettore in quanto si trovava spostato verso i settori di poppa del velivolo stesso e fuori dall'angolo visivo del suo radar.

Ipotizzando un angolo visivo del radar dell'ordine di 30°(40°, a partire dal predetto istante t=-40sec il DC9 può essere entrato nel predetto angolo visivo e, quindi, può essere stato illuminato dal radar stesso. E' da questo istante, pertanto, che può essere iniziata la procedura di sparo del missile.

Il problema è di verificare se un missile, lanciato a partire dalle condizioni iniziali schematizzate, possa avere avuto la possibilità di colpire il bersaglio.

Per effettuare questa verifica è stato utilizzato un programma di simulazione teorica che consente di analizzare la traiettoria di volo di un missile dal momento dello sparo al momento della detonazione della testa di guerra, quando esso giunge alla minima distanza dal bersaglio. La traiettoria è calcolata in funzione delle principali caratteristiche aeromeccaniche e propulsive del missile, delle principali caratteristiche dei componenti del sistema di guida e controllo, delle condizioni di lancio e della traiettoria del bersaglio.

Fig.IX-16a

Tesi di attacco diretto contro il DC9

- Schema di scenario -

I risultati delle simulazioni, prendendo come riferimento le caratteristiche di un tipico missile a guida SA operante nel 1980, sono riportate nelle Fig.re IX-16b), 16c) e 16d), nella ipotesi che il lancio sia avvenuto circa t=-26sec.

Fig. IX-16b

Simulazione del volo del missile riferito al sistema di assi X - Y

Nella Fig.IX-16b) sono riportate le traiettorie del missile e del bersaglio riferite ad un sistema di coordinate, schematizzato nella precedente Fig.IX-16a), nel quale l'asse Y è preso coincidente con la linea di vista missile-bersaglio al momento del lancio e l'asse X in direzione normale ad esso. In essa si può osservare come la traiettoria del missile intersechi la traiettoria del bersaglio dopo circa 26sec di volo e, quindi, per t=0.

Fig.IX-16c

Simulazione del moto relativo missile-bersaglio

Nella Fig.IX-16c) è invece riportata la traiettoria relativa del missile rispetto al bersaglio e, nella Fig.IX-16c), un ingrandimento della medesima nell'intorno del bersaglio stesso.

Nell'ingrandimento si può osservare come il sistema di guida del missile perda il contatto con il bersaglio ad una distanza di circa 40m da esso e come il missile stesso passi ad una distanza minima di circa 6m (miss distance) dal bersaglio stesso.

Con queste condizioni finali, si può considerare che il colpo sia andato a segno.

Tenendo conto che anche variazioni dei parametri considerati in intervalli di valori congruenti con lo schema riportato nella Fig.IX-16a) non determinano sostanziali modifiche nei risultati, si può ragionevolmente concludere che la traiettoria percorsa dal velivolo 1 può considerarsi compatibile con un lancio di missili contro il DC9, con elevata probabilità di successo.

La principale osservazione critica che può farsi a questo scenario, è relativa alla certamente inusuale tecnica di attacco seguita per l'intercettazione del DC9.

La manovra effettuata, infatti, è da ritenersi caratterizzata da un estremamente elevato grado di precisione di esecuzione in quanto, al termine della virata verso Est, il velivolo intercettore si sarebbe trovato nella "esatta" posizione per effettuare l'illuminazione del bersaglio e lo sparo del missile, avendo a disposizione non molto di più di una decina di secondi per attivare l'intera sequenza di lancio.

Questa posizione ottimale, sia per quanto riguarda la quota che la distanza, sarebbe stata conseguita al termine di una fase preparatoria all'attacco durante la quale il velivolo sarebbe stato nella impossibilità di "vedere" il bersaglio sia attraverso osservazione diretta del pilota (ammesso che la distanza e le condizioni atmosferiche lo avessero permesso), sia attraverso il radar, in quanto, come in precedenza osservato, il bersaglio si sarebbe trovato sempre in posizione arretrata rispetto al velivolo intercettore stesso.

L'estrema precisione in termini di spazio-tempo conseguita, può ritenersi difficilmente compatibile anche con sia pure sofisticati sistemi di guida sia da terra che da altri velivoli. Il successo dell'intercettazione effettuata secondo questa tecnica di attacco, sarebbe quindi da ritenersi più come evento casuale che come frutto di azione deliberata.

Nel caso di azione deliberata contro il DC9, la tecnica di attacco che avrebbe consentito la massima efficacia con il minimo rischio di insuccesso sarebbe certamente stata quella condotta dai settori di coda che, tra l'altro, avrebbe anche assicurato al velivolo intercettore una possibile minore visibilità ai radar civili e militari e non avrebbe avuto alcuna macroscopica controindicazione per essere effettuata.

Pertanto, tenendo conto di queste osservazioni, in accordo anche a quanto in precedenza anticipato, nel paragrafo che segue il CP ha ritenuto opportuno verificare anche l'ipotesi che l'eventuale abbattimento del DC9 mediante missile possa essere stata di natura casuale, in quanto l'azione era originariamente diretta verso altri bersagli.

Ipotesi di attacco ad un bersaglio diverso dal DC9.

L'ipotesi di attacco diretto al DC9 da parte di un velivolo che avesse percorso la traiettoria schematizzata in Fig.IX-16d, sebbene teoricamente possibile, presenta i non trascurabili motivi di critica evidenziati nel precedente paragrafo.

In alternativa ad essa, può formularsi l'ipotesi che, in effetti, l'attacco fosse diretto ad un bersaglio diverso dal DC9 e che esso ne sia rimasto coinvolto in modo del tutto casuale.

Alla base di questa ipotesi c'è, ovviamente, la necessità che nel cielo dell'incidente fosse presente il bersaglio oggetto dell'attacco.

I dati radar in precedenza analizzati, non rivelano possibili presenze di altri velivoli al di fuori di quelle discusse e, di conseguenza, per sostenere l'ipotesi in esame, occorre preliminarmente verificare la possibilità che nel cielo dell'incidente fosse effettivamente presente un bersaglio diverso dal DC9 e la possibilità che tale bersaglio non abbia lasciato tracce radar.

Fig.IX-16d

Simulazione del moto relativo missile-bersaglio

A questo proposito possono farsi le osservazioni che seguono.

Durante le operazioni peritali svolte nell'ambito di questo procedimento giudiziario, i consulenti dell'associazione familiari delle vittime hanno formulato l'ipotesi che, in corrispondenza del tratto finale della rotta seguita dal DC9, un velivolo non identificato avesse volato di conserva con esso, allo scopo di sottrarsi all'osservazione radar.

Sebbene le indagini effettuate da questo CP non abbiano riscontrato evidenza di un tale velivolo durante la fase terminale del volo del DC9, come ampiamente discusso nella precedente parte V di questa perizia, in questa sede si è ritenuto opportuno prendere nuovamente in considerazione la predetta ipotesi per aggiungere ulteriori considerazioni.

Nella ipotesi che il velivolo non identificato fosse stato effettivamente presente, sarebbe logico ipotizzare che esso potesse essere stato l'oggetto dell'attacco.

E' evidente che questo scenario sarebbe stato del tutto simile al precedente nel quale si era ipotizzato che il bersaglio fosse il DC9 e quindi, anche in questo caso, l'attacco dovrebbe essere stato condotto dal velivolo 1, con la tecnica schematizzata in Fig.IX-16d.

Di conseguenza, questa ipotesi andrebbe soggetta alle stesse osservazioni critiche effettuate a proposito del precedente scenario di attacco diretto al DC9. Tali osservazioni critiche, in aggiunta alla mancanza di evidenza del velivolo non identificato, rendono questo scenario poco realistico.

Una ipotesi alternativa potrebbe essere che i velivoli 1 e 2 di Fig.VIII-10 stessero conducendo un attacco secondo lo schema di Fig.IX-14a), diretto, cioè, contro eventuali bersagli provenienti da Sud, secondo lo schema indicato in Fig.IX-17.

Fig.IX-17

Ipotesi di attacco a bersaglio diverso dal DC9 - Schema di scenario -

E' superfluo osservare che tale schema deve ritenersi come schema di riferimento in quanto, nell'ambito di questa ipotesi, non è certamente l'unico che potrebbe essere assunto.

Ragionando su di esso o su schemi ad esso simili, nella ipotesi che i bersagli avessero operato a velocità alto-subsonica dell'ordine di M=0.8, possono effettuarsi le osservazioni che seguono.

Il bersaglio (od i bersagli) proveniente da Sud potrebbe non aver lasciato tracce sul radar Marconi in quanto fuori dalla sua portata e, a causa della traiettoria percorsa, presentante minima cross-section. Potrebbe non aver lasciato tracce neppure sul radar militare di Marsala perchè operante nella zona d'ombra di questo radar, determinata dalla presenza del rilievi di Erice che ne limitano la visibilità nell'intorno della zona dell'incidente.

Già a partire da circa 60 secondi prima dell'incidente, il bersaglio 1* poteva essere entro la copertura radar dei due velivoli 1 e 2.

A seguito dell'avvistamento del bersaglio, i velivoli 1 e 2 avrebbero effettuato la virata verso Est per effettuarne l'intercettazione, mantenendo sempre il contatto radar con il bersaglio stesso. Il velivolo 2 avrebbe poi accelerato fino a M=1.2 per portarsi a ridosso del bersaglio stesso, mantenendo sempre il contatto radar con esso e predisponendosi al lancio.

Nell'ultima fase della traiettoria percorsa dal velivolo 2 e, cioè, poco prima dell'istante t=0, anche il DC9 potrebbe essere entrato nel campo visivo del radar del velivolo, già impegnato nella fase finale dell'attacco.

Ad una distanza dal bersaglio compatibile con la portata del missile, ad esempio dell'ordine del 10km, e, cioè, quando il velivolo era praticamente a ridosso del DC9, il velivolo 2 potrebbe aver effettuato il lancio del missile stesso.

Il missile potrebbe aver impattato contro il DC9 che, casualmente, gli ha attraversato la rotta, immediatamente dopo il lancio.

Pertanto, secondo questa ipotesi di scenario, sarebbe stato il velivolo 2 ad effettuare il lancio.

Per quanto riguarda l'impatto del missile, esso si sarebbe potuto verificare subito dopo il lancio e, a questo riguardo, potrebbero farsi due ipotesi.

La prima è che la testa di guerra del missile abbia regolarmente detonato, provocando sul velivolo danni tali da determinarne la caduta.

La seconda è che il missile abbia impattato contro il DC9 prima che il dispositivo di sicurezza avesse armato il detonatore. In questo caso il missile si sarebbe comportato come corpo inerte. Questa seconda ipotesi prevederebbe un lancio del missile ad una distanza dell'ordine dei 1000m dal DC9 (nella ipotesi che l'attivazione del detonatore avvenga nell'arco di 2 secondi dopo il lancio) con conseguente situazione di possibile interferenza fra velivolo 2 e DC9 stesso.

All'impatto del missile ad alta velocità contro la fusoliera, anche il motore del missile, in generale, può disintegrarsi con conseguente possibile dispersione di propellente che può generare incendio.

Inoltre, tale evento non potrebbe spiegare l'interruzione istantanea dell'alimentazione elettrica.

Di queste due possibilità ne dovrà essere tenuto conto successivamente, quando saranno discussi i danneggiamenti che il missile avrebbe potuto arrecare al DC9".

In conclusione il collegio Misiti ammetteva la possibilità dell'attacco missilistico, sia che avesse come obbiettivo il DC9 o altro velivolo, ma non la stimava realistica. E si riservava la ricerca e l'esame di altre evidenze provenienti dai dati radaristici e dai reperti del DC9.

2.3. La tesi Sewell.

A questo punto il CP riportava la teoria formulata da Robert Sewell, esperto statunitense di missili, consulente di parte civile, nel corso delle operazioni peritali del giugno 93. Questo il testo del documento depositato da Sewell: "Tutti gli elementi che ho potuto osservare durante le mie visite al relitto del DC9 conservato nell'hangar Buttler dell'aeroporto di Pratica di Mare indicano che la principale causa del danneggiamento del velivolo è stata la detonazione di una o forse due testate missilistiche di grande potenza, detonazione avvenuta davanti alla parte anteriore destra della fusoliera, e la perforazione della fusoliera stessa da parte del missile.

Nei relitti da me osservati non vi sono segni di impatto di schegge della testata sulla fusoliera. Simulazioni dell'attacco missilistico da me effettuate hanno mostrato che questo risultato è ottenibile con un opportuno orientamento del missile e della posizione della testata al momento della detonazione. La probabilità di impatto delle schegge sul bordo di attacco dell'ala destra è piccola ma finita; la probabilità di individuare i fori di queste schegge sul bordo fortemente danneggiato dell'ala è molto piccola.

La direzione di impatto del missile pare essere circa perpendicolare alla linea di volo del DC9 ed il punto di esplosione essere distante circa 5.5m dalla fusoliera.

Il danno prodotto dalla testata alla fusoliera dell'aereo dipende da vari fattori quali il tempo critico della superficie della fusoliera, l'angolo di incidenza dell'onda d'urto sulla fusoliera (onda di Mach) e la geometria della testata esplosiva. Anche la velocità dell'aereo influenza il danno subito dalle parti di aereo che si muovono direttamente verso la sorgente della detonazione.

Un attento esame della fusoliera permette di individuare sulla fusoliera i segni di penetrazione lasciati dalle alette di guida del missile; ulteriori segni sono individuati dalle lacerazioni subite dal tappetino.

L'aereo attaccante, in volo verso Sud su una rotta distante circa 20 miglia da quella del DC9 ed individuabile dalla traccia del radar di Fiumicino, vira verso Est ed effettua una manovra di lancio perfettamente compatibile con le prestazioni degli aerei in servizio negli anni 80. La fattibilità di tale attacco è dimostrata dalle simulazioni da me effettuate.

Basandomi sui segni di impatto sulla fusoliera, sui danni che appaiono sul tappeto, sui plots radar, sulle simulazioni da me effettuate e sulla mia esperienza professionale, esprimo la meditata opinione che il DC9 Itavia è stato colpito da almeno un missile e forse due lanciati dall'emisfero destro anteriore; le testate missilistiche sono all'esterno dell'aereo a pochi metri dalla fusoliera".

Successivamente Sewell consegnava al CP lo schema della traiettoria di attacco riportata nella Fig.IX-18 e lo schema delle modalità d'impatto dei missili, riportata nella Fig.IX-19, ai quali egli si era riferito per formulare il suo parere.

Fig.IX-18: Schema di scenario di attacco contro il DC9 secondo l'ipotesi del dott.Sewell

Gli schemi contenuti nella Fig.IX-19, come riportavano i periti Misiti, servono a meglio specificare come i due missili ipotizzati potessero aver impattato contro il velivolo e come l'esplosione delle teste di guerra potesse non aver lasciato traccia visibili sulla struttura del velivolo stesso.

Fig.IX-19

Schema di impatto dei missili secondo l'ipotesi del dott.Sewell

La teoria dell'esperto americano era che le teste di guerra fossero scoppiate alle distanze dal velivolo e con gli orientamenti rispetto ad esso esemplificati nei due casi di figura. Nel primo di essi (missile 1) la rosa delle schegge al momento che ha raggiunto il bersaglio, sarebbe stata ormai rarefatta e quindi poche schegge avrebbero potuto colpire il bersaglio. Nel secondo caso (missile 2) la rosa della schegge potrebbe non avere assolutamente colpito il bersaglio. E poichè Sewell aveva creduto di individuare sulla struttura la tracce di impatto dei due missili, la testa di guerra, al momento dell'impatto, doveva essere alla predetta opportuna distanza dal bersaglio, valutata dallo stesso Sewell nell'ordine di 5(6m, ed opportunamente orientata. Da cui derivava che non potesse trovarsi nella parte anteriore o centrale del missile, altrimenti sarebbe esplosa a diretto contatto della struttura o, quanto meno, a distanza decisamente inferiore ai detti 5(6m, ma spostata nella parte posteriore del missile in modo da rispettare tale distanza. L'unico missile operativo nell'80 che avesse la testa di guerra nella parte posteriore e alla distanza di circa 6m dal naso, era il missile sovietico AA/6-Acrid. Quella ipotesi di Sewell portava quindi come logica conseguenza che ad abbattere il DC9 dovrebbero essere stati due missili sovietici AA/6 che nell'80 equipaggiavano i MiG 25 Foxbat. Questi velivoli ne portavano quattro, dei quali i due montati sui piloni sub-alari interni erano generalmente a guida IR e i due montati sui piloni sub-alari esterni a guida SA.

Il collegio, come già s'è accennato, procedeva poi ( e con metodo corretto ( a considerazioni sui possibili danni da ricercare sul velivolo, proprio per verificare questa ipotesi, e quindi ad esami di secondo livello del relitto. In effetti quanto ai possibili danni da ricercare sul velivolo ovvero sul suo relitto così ha scritto:

"Dalle analisi di possibili scenari esterni effettuate nei precedenti capitoli, ivi compreso lo scenario ipotizzato da Sewell, emergeva che se il velivolo I-Tigi fosse stato abbattuto deliberatamente od accidentalmente da uno o più missili; ciò sarebbe potuto accadere per effetto di differenti meccanismi distruttivi a seconda dello scenario di riferimento, ma sempre principalmente riconducibili o all'effetto delle schegge, o all'effetto dell'impatto con il corpo del missile. Questo secondo caso, come in precedenza riportato si sarebbe potuto verificare, nell'ambito dello scenario che prevede il mancato armamento del detonatore o nell'ambito dello scenario ipotizzato da Sewell, nel quale risultava irrilevante il danno provocato dalle schegge.

Non erano ragionevolmente da aspettarsi macroscopici danni sul velivolo derivanti da effetti di onda di pressione generata dalla detonazione della carica esplosiva della testa di guerra in quanto, nel 1980, non erano operative teste di guerra a pressione e, d'altra parte, era generalmente da ritenersi trascurabile questo tipo di danno per le teste a frammentazione che esplodono alla miss distance dal bersaglio.

Il danno per onda di pressione potrebbe essere stato di maggiore entità se il missile fosse esploso impattando contro la struttura del velivolo, penetrando all'interno di esso. Si era già osservato come questo evento fosse da ritenersi poco probabile e comunque, anche se si fosse verificato, il danno causato dalle schegge dovrebbe essere stato ancor più evidente. Anche nello schema di Sewell che ipotizzava addirittura l'impatto di due missili, l'effetto dell'onda di pressione sarebbe potuto risultare fortemente attenuato dalla distanza alla quale si trova la testa di guerra rispetto all'estremità anteriore del missile stesso.

Di conseguenza, nella ipotesi che il velivolo fosse stato abbattuto da uno o più missili, sul relitto dovevano ricercarsi le tipiche tracce lasciate dalle schegge, ben note agli esperti, oppure, od anche in aggiunta ad esse, le tipiche tracce che poteva lasciare l'impatto con il corpo del missile.

Doveva verificarsi e questo, a parere del CP, era l'elemento più importante, che l'eventuale danneggiamento riscontrato fosse compatibile con i dati oggettivi relativi alla frammentazione in volo del velivolo ed alla sequenza della frammentazione stessa, ampiamente discussi in precedenza.

E nel caso di impatto del corpo del missile contro il DC9, sui rivestimenti esterni del relitto ricostruito si sarebbero dovuti identificare tagli che per loro lunghezza e forma in qualche modo potessero essere ritenuti congruenti con i calcoli basati sulle velocità del missile e del bersaglio, sui conseguenti angoli statico e dinamico che caratterizzano la geometria dell'impatto, e sulla lunghezza del missile.

2.4. Il secondo livello della perizia Misiti.

Quanto all'esame di secondo livello del relitto, il CP Misiti procedeva a un accurato controllo sull'intero relitto, esaminando ogni frammento sia del rivestimento esterno che degli elementi strutturali, impianti, arredi e quant'altro si trovasse ubicato all'interno del velivolo. Allo scopo di ricercare particolari tipi di danneggiamenti, per i quali potesse esistere anche il solo sospetto che derivassero da impatto di schegge o da impatto con l'intero missile o con parte di esso.

"Tenendo conto di tutti gli scenari descritti, è evidente che la maggiore attenzione è stata dai periti concentrata su tutti gli elementi appartenenti al fianco destro del velivolo perchè è in corrispondenza di esso che si sarebbe dovuta scaricare l'energia distruttiva del missile o dei missili ipotizzati.

D'altra parte, gli elementi del velivolo appartenenti al fianco sinistro e, cioè, il rivestimento della fusoliera, la semiala sinistra, la gondola del motore sinistro, il lato sinistro delle superfici di coda, erano stati recuperati e ricostruiti quasi per intero e su di essi non era possibile identificare alcuno dei danni tipici in precedenza descritti. Si poteva perciò escludere con ragionevole certezza che il velivolo fosse stato colpito da uno o più missili in corrispondenza del suo fianco sinistro.

Più complessa è risultata una simile analisi per quanto riguarda gli analoghi elementi appartenenti al fianco destro del velivolo. Infatti, tale lato era stato fortemente danneggiato dall'impatto con la superficie del mare riducendosi in piccoli frammenti, alcuni dei quali, anche se recuperati, non erano stati riconosciuti ed altri non erano stati recuperati.

Nelle mappe riportate in Fig.III-17 e Fig.III-18 potevano trarsi indicazioni, sebbene di tipo essenzialmente qualitativo, sui frammenti recuperati ed appartenenti al lato destro della fusoliera, alla gondola del motore destro ed alle superfici di coda.

Da esse si poteva osservare come la gondola del motore, la semiala e le superfici di coda siano state recuperate quasi per intero. Indagini dettagliate su di esse non hanno consentito di individuare tracce indicanti possibili azioni di missili.

Le indagini si concentravano perciò sul fianco destro della fusoliera del relitto ricostruito in quanto costituito da molti frammenti intervallati da zone scoperte.

L'esame dettagliato di ciascuno frammento non consentiva di individuare tracce di danneggiamento attribuibili ad effetti di schegge o di impatti con corpi di missile. Si ricordava esplicitamente come i fori A e B sul portello destro, in altra perizia attribuiti all'impatto con il corpo del missile, in realtà non avessero caratteristiche tali da confermare questa ipotesi. Come già riportato, analisi effettuate presso il DRA e dal collegio balistico-esplosivistico avevano evidenziato, con ragionevole certezza, che la causa di questo danneggiamento non era da ritenersi diversa dalla causa del danneggiamento dei fori adiacenti C e D (Fig.IX-1), chiaramente determinati da perforazioni avvenute al momento dell'impatto con la superficie del mare ad opera di elementi della struttura del velivolo - ma sulla certezza di tali affermazioni si sono già espresse dubbi per cui essa non può dirsi assoluta; nde.

Ogni altro danneggiamento, continuavano i periti Misiti, riscontrato sui frammenti, che costituivano la semifusoliera destra del relitto era attribuibile, sempre con ragionevole certezza, alle azioni inerziali di compressione assiale verificatesi al momento dell'impatto (fenomeni di "buckling") e ad azioni dinamiche generatesi al contatto con l'acqua (deformazioni verso l'interno di elementi di struttura e del serbatoio dell'acqua), già discussi in altra parte della perizia.

Però i periti per comprensibile prudenza dal momento che, come osservabile sul relitto e sia pure in forma del tutto qualitativa sulla mappa di Fig.III-17, esistevano zone della parte di relitto in esame non coperte da frammenti, aggiungevano che poteva presentarsi il dubbio che gli effetti di esplosione di teste di guerra o di impatti con corpi di missile potessero essere visibili sulle parti mancanti.

Per questa ragione il CP procedeva ad esaminare separatamente la parte destra del relitto compresa fra la stazione iniziale (stazione 7) e la stazione 699 e l'intera parte destra e sinistra compresa fra tale ultima stazione ed il tronco di coda (stazione 817) in quanto esse, al riguardo della presenza di frammenti, presentavano caratteristiche diverse.

Per quanto concerneva la parte anteriore destra il CP, compiuta attenta osservazione di ogni zona, poneva in evidenza i seguenti principali aspetti caratteristici.

- Le dimensioni dei pezzi mancanti, desumibili dalle zone vuote circoscritte dai frammenti montati sul relitto, erano del tutto simili a quelle dei pezzi recuperati adiacenti ad essi e, pertanto, la formazione di tali frammenti poteva essere attribuita agli stessi fenomeni originatisi al momento dell'impatto con la superficie del mare che avevano determinato i frammenti adiacenti stessi.

- Un dettagliato esame qualitativo delle superfici di rottura che delimitavano le zone vuote non aveva evidenziato alcun aspetto particolare di esse, quali schiacciamenti in senso longitudinale, arricciolamenti, od altro che in qualche modo, potesse far sospettare una azione longitudinale di un corpo "non tagliente".

"Particolare cura era stata posta nell'esame del "taglio" evidenziato da Sewell osservabile sul fianco destro della mappa di Fig.III-17, approssimativamente fra le stazioni 229 e 275, riportato con maggior dettaglio in Fig.IX-22.

Sewell aveva ritenuto che la particolare forma di questo taglio fosse da attribuire all'azione delle alette del missile che avevano attraversato la fusoliera del velivolo. Sewell aveva anche confermato che tale taglio era visibile solo sulla mappa ma non risultava visibile sul relitto.

A questo proposito il CP rilevava, come del resto comunicato anche a Sewell durante le operazioni peritali, che la mappa di Fig.III-17 è una mappa "fatta a mano", e non al computer (come dichiarato da mr. Sewell durante interviste concesse agli organi di stampa), al solo scopo di avere una visione di insieme dei frammenti recuperati e della loro posizione sul relitto ricostruito. Le linee di rottura dei vari frammenti erano tracciate in modo assolutamente qualitativo in quanto lo scopo della mappa non era quello di definire la forma geometrica di ogni frammento (anche se nel disegno si è cercato di non discostarsi molto da essa), ma di identificare il numero di classificazione e la posizione dei frammenti stessi sul relitto.

Le particolari forme di tagli che si potevano osservare sulla mappa erano dunque del tutto casuali e non potevano assolutamente esser prese come riferimento per alcun tipo di analisi all'infuori di quelle per le quali la mappa stessa è stata disegnata ed alle quali si era in precedenza accennato.

Pertanto, la discussione di ogni caratteristica dei tagli doveva essere effettuata sulla base di osservazioni derivanti dall'esame del relitto.

Di conseguenza, l'osservazione di Sewell - così concludevano sulla questione i periti - che la "traccia" dell'impatto del missile poteva osservarsi "solo sulla mappa e non sul relitto" toglieva ogni ragionevole validità a questo indizio in quanto la particolare forma del taglio osservabile in Fig.IX-22, lo ribadivano, era del tutto casuale e non aveva una precisa aderenza con la realtà osservabile sul relitto stesso.

Un ulteriore attento esame era stato condotto dal CP sui frammenti AZ32, AZ204 ed AZ227 visibili sulla mappa di Fig.III-17 in corrispondenza delle stazioni 294, 525 e 465 rispettivamente. Infatti, la diversa colorazione dei tre frammenti indicava che essi, pur appartenendo al rivestimento esterno della fusoliera del velivolo, erano stati recuperati in zona A, dove erano stati recuperati il tronco di coda e frammenti ad esso appartenenti.

Una possibile interpretazione di questa caratteristica di ritrovamento ( così prospettavano i periti ( potrebbe essere che i tre frammenti si fossero distaccati in volo a causa del danno prodotto dal missile (o dai missili) e fossero rimasti poi intrappolati nel tronco di coda, anch'esso distaccatosi in volo, precipitando insieme ad esso nella zona A.

L'esame del frammenti sul relitto, consentiva di osservare che, in questa ipotesi, il missile avrebbe dovuto effettuare una operazione "chirurgica", separando dalla struttura solo questi elementi, senza causare visibili danni su quelli circostanti, tutti recuperati in zona C.

Questa ipotesi veniva però scartata, come poco probabile, sulla base del comune buon senso, pur ammettendo che comunque quell'evento singolare restava e cioè che i tre frammenti fossero stati ritrovati in una zona anomala rispetto alla posizione occupata dal relitto.

E così il collegio concludeva, affermando di "ritenere sulla base di un accurato esame della parte anteriore destra del relitto non esistessero evidenti tracce di danni causati da detonazione di teste di guerra a frammentazione o da impatto con corpi di missili o parti di essi".

Quanto all'esame della parte posteriore del relitto il CP rilevava che di tale parte, compresa approssimativamente fra le stazioni 699 e 817, erano stati recuperati solo pochi frammenti, ragion per cui era stato ritenuto opportuno verificare se potesse essere consistente una ipotesi di esplosione di testa di guerra o di impatto con corpo di missile con modalità tali da danneggiare solo le parti mancanti di quel settore, senza lasciare tracce sui frammenti presenti nel relitto ricostruito.

A tale scopo, attraverso opportuno programma di calcolo, i periti avevano determinato una tipica forma di cono letale di schegge per un missile operante a circa M=2, con velocità delle schegge dell'ordine di 1200m/s, e ne era stata determinata l'intersezione con la parte posteriore del DC9 per varie posizioni ed angolature del missile rispetto al DC9 stesso. I risultati di questa analisi venivano riportati negli schemi di Fig.IX-23.

Fig. IX-23

Possibili zone di impatto di schegge

I casi considerati erano relativi all'ipotesi di missile in avvicinamento su rotta di 300 rispetto al DC9 con detonazione della testa a diversi valori di distanza e su rotta variabile fino a 180°, con detonazione a distanza costante.

L'esame di alcuni dei casi presentati consentiva di rilevare che nella ipotesi di esplosione di testa di guerra in prossimità della parte posteriore della fusoliera, il cono di schegge avrebbe intersecato anche altri elementi del velivolo quali le semiali, le superfici di coda e le gondole dei motori.

Su tali elementi non erano stati rinvenuti danneggiamenti tipici da impatto di schegge. In altri casi, i predetti elementi risultavano non interessati dal cono letale di schegge, ma invece ne erano elementi del velivolo appartenenti alle due fiancate contenenti i finestrini, sulle quali non erano visibili tracce di impatto delle schegge stesse.

Ne desumevano pertanto i periti che fosse poco sostenibile l'ipotesi di detonazione di testa di guerra in prossimità della parte posteriore del velivolo ed impatto di schegge sulle parti mancanti di essa.

Ma la possibilità di impatto con il corpo del missile, a causa della relativamente elevata ampiezza della zona non ricoperta da frammenti, non poteva essere esclusa, almeno in via teorica.

Osservando il relitto risulta comunque evidente che l'impatto con il missile sarebbe dovuto avvenire con traiettoria proveniente dall'alto, danneggiando la sezione superiore della parte in esame.

Missili provenienti dal basso o lateralmente avrebbero dovuto danneggiare elementi recuperati (parte inferiore, fiancata, gondole motori) che, invece, non presentano danneggiamenti sospetti.

La particolare forma della traiettoria di impatto ed il danno estremamente circoscritto che l'impatto stesso avrebbe dovuto causare, rendono questa ipotesi poco probabile, anche se teoricamente non escludibile.

In ogni caso, l'impatto dovrebbe essere avvenuto ( così concludevano ( senza detonazione della testa di guerra in quanto negli elementi circostanti e nelle zone interne del relitto non erano rilevabili danneggiamenti per impatto di schegge e, come già in precedenza osservato, non era razionalmente ipotizzabile che le schegge avessero potuto danneggiare solo gli elementi mancanti, risparmiando sistematicamente gli elementi adiacenti presenti sul relitto.

2.5. Le conclusioni della Misiti.

Su tale ipotesi, quella dell'abbattimento per missile, questa l'analisi critica che quei periti in esito a tutti i detti esami compivano.

"In linea del tutto teorica, lo scenario esterno schematizzato nella Fig.VIII-10 potrebbe essere compatibile con un attacco missilistico condotto dai velivoli 1 e 2 sia contro il DC9, sia contro bersagli diversi. In questo secondo caso il DC9 sarebbe stato coinvolto casualmente negli eventi.

L'ipotesi di attacco diretto effettuato dal velivolo 1 secondo lo schema di Fig.IX-16, risultava teoricamente possibile ma praticamente poco probabile in quanto l'attacco stesso sarebbe stato condotto in modo completamente inusuale e la sua riuscita sarebbe da considerarsi come evento del tutto casuale.

Se, in effetti, l'obiettivo dei velivoli fosse stato quello di abbattere il DC9, essi avrebbero potuto effettuare un attacco di coda, con elevatissimo grado di certezza di riuscita.

L'ipotesi di attacco contro bersagli diversi dal DC9, ferme restando le perplessità derivanti dalla mancanza di tracce radar in precedenza discusse, potrebbe essere stata più credibile, in quanto l'attacco stesso sarebbe stato condotto secondo tecniche usuali. Secondo questo scenario, l'impatto casuale del DC9 con il missile sarebbe però dovuto avvenire prima dell'armamento del detonatore della testa di guerra, e quindi senza che si fosse verificata la detonazione della testa stessa, giacchè per quanto in precedenza discusso, era ragionevolmente da escludere ogni danneggiamento della struttura del velivolo ad opera di frammenti pre-formati (schegge, barrette, ecc).

L'ipotesi di impatto del missile inerte con la struttura del velivolo, a causa di frammenti non recuperati che lasciano scoperte alcune zone del relitto, in linea del tutto teorica, non avrebbe potuto essere completamente esclusa. D'altro canto, un dettagliato esame dei frammenti e delle superfici di rottura che delimitano le zone vuote appartenenti alla parte anteriore destra del relitto, aveva consentito di escludere con ragionevole certezza questa possibilità. La particolare forma della traiettoria di impatto ed il danno estremamente circoscritto che l'impatto stesso avrebbe dovuto causare, avevano poi consentito di escludere questa possibilità anche per la parte posteriore del relitto.

A queste considerazioni critiche derivanti dall'esame di secondo livello del relitto ed in precedenza discusse, occorreva anche aggiungere ulteriori considerazioni relative alla possibilità che i predetti danneggiamenti imputabili all'impatto con il missile inerte, di natura non devastante e concentrati in ben delimitate zone, avessero potuto determinare il disfacimento in volo della struttura, secondo le modalità in precedenza descritte.

Secondo l'opinione del CP, tale possibilità sarebbe stata da escludere per danneggiamenti verificatisi nella parte anteriore del velivolo. Questa zona, infatti, risultava non particolarmente critica per quanto riguardava la capacità di tolleranza a danneggiamenti. Era noto che velivoli del tutto simili all'I-Tigi, dopo aver subito il distacco in volo dell'intera parte superiore del tronco anteriore di fusoliera o di buona parte di essa, erano riusciti ad atterrare senza ulteriori danni. A maggior ragione non si sarebbe dovuto ritenere catastrofico un danno localizzato in zone opportunamente ristrette della parte anteriore della fusoliera.

In ogni caso il danno, presumibilmente derivante da impatto con il corpo del missile in qualsivoglia parte della fusoliera, a causa del suo effetto di natura strettamente localizzata, non avrebbe potuto determinare una successione così rapida di eventi, come quella che si è verificata sul velivolo I-Tigi.

Di conseguenza, tenuto conto di tutto quanto esposto, il CP riteneva che l'ipotesi di impatto del missile inerte fosse da ritenersi poco probabile sia perchè sul relitto non si vedevano tracce evidenti dell'evento, sia perchè, in ogni caso, il plausibile danno causato dall'evento non sarebbe stato congruente con le modalità di frammentazione in volo del velivolo, in precedenza analizzate.

Conveniva comunque osservare che questa ipotesi, potendosi logicamente supporre che nell'impatto si fosse danneggiata la testa di guerra disperdendo la carica esplosiva all'interno del velivolo, avrebbe fornito una logica spiegazione sulle tracce di esplosivo incombusto in esso ritrovato. Avrebbe fornito anche una logica spiegazione sulle modalità di ritrovamento dell'esplosivo stesso sia sul gancio sia all'interno dei bagagli, in quanto la sua veicolazione all'interno del velivolo potrebbe essere avvenuta per opera dell'acqua, al momento dell'impatto con la superficie del mare e, quindi, con reperti ormai danneggiati".

Queste infine le conclusioni del CP Misiti sull'ipotesi dell'abbattimento per missile.

"- Nella ipotesi di attacco deliberato contro il DC9, la traiettoria di attacco del velivolo intercettore sarebbe stata del tutto inusuale e caratterizzata da una elevata probabilità di insuccesso.

- Lo scenario che considerava un possibile casuale coinvolgimento del DC9 in un attacco diretto contro altri bersagli, avrebbe potuto avere un maggiore grado di realismo.

- Sui relitti del velivolo non esistevano tracce di impatto di schegge di alcuna natura nè era ragionevole ipotizzare che esse avessero colpito solo le parti mancanti del relitto, evitando sistematicamente le parti ad esse adiacenti.

- L'ipotesi di abbattimento mediante impatto con il corpo del missile, o dei missili, derivante sia dalla possibilità di non attivazione del detonatore della testa sia dalle modalità di impatto ipotizzate da Sewell, non aveva un elevato grado di accettabilità in quanto sul relitto non erano evidenti danni attribuibili a questa causa e, in ogni caso, i plausibili danneggiamenti derivanti dall'eventuale impatto non avrebbero potuto determinare il collasso in volo della struttura. In particolare, non avrebbero potuto determinare il collasso secondo la sequenza degli eventi e la loro concatenazione già dimostrate e con la rapidità con la quale esso, in effetti, si è verificato.

- L'ipotesi di Sewell, a parere del CP, era ulteriormente poco sostenibile in quanto avrebbe previsto l'impatto di due missili contro il bersaglio, mentre era da ritenersi già un evento del tutto eccezionale l'impatto di un solo missile contro il bersaglio.

- Altrettanto eccezionale, anche se non impossibile, deve ritenersi la possibilità di impatto casuale del missile contro il velivolo, prima dell'armamento del detonatore della testa di guerra.

- L'ipotesi di abbattimento attraverso impatto con missile inerte a causa della non attivazione del detonatore della testa di guerra, avrebbe potuto spiegare la presenza e le modalità di ritrovamento delle tracce di esplosivo all'interno del velivolo.

Perciò il CP riteneva che l'abbattimento del DC9 mediante missili fosse da stimarsi come una ipotesi ragionevolmente da escludersi, anche se l'abbattimento mediante impatto con missile inerte avrebbe potuto rendere ragione delle caratteristiche di ritrovamento di esplosivo incombusto su alcuni reperti."

3. Giudizio sulla Misiti.

Al riguardo della ipotesi "missilistica" il collegio Misiti procede come di consueto. Da un lato nel corso delle argomentazioni mette in luce tutti gli elementi che porrebbero in dubbio l'esclusione di tale ipotesi; dall'altro nelle conclusioni formula un'esclusione netta, da cui scompaiono tutti i punti che avrebbero impedito un tale grado di certezza, anzi avrebbero indotto in molteplici dubbi.

Rammentiamo questi elementi e consideriamo il loro peso indipendentemente da quella premessa - "in linea del tutto teorica..."( che spesso li precede e che con probabilità vuole sminuirne la portata.

In primo luogo, anche se "in linea del tutto teorica lo scenario esterno schematizzato nella Fig.VIII-10 potrebbe essere compatibile con un attacco missilistico condotto dai veicoli 1 e 2 sia contro il DC9 sia contro bersagli diversi".

Poi, sempre "in linea del tutto teorica" l'ipotesi di impatto del missile inerte con la struttura del velivolo, a causa di frammenti non recuperati che lasciano scoperte alcune zone del relitto, non potrebbe essere completamente esclusa.

Quindi il CP ritiene che l'ipotesi di impatto del missile inerte sia da ritenersi poco probabile - si badi bene; non si dice: non probabile o impossibile ( sia perché sul relitto non si vedono tracce evidenti dell'evento, sia perché il plausibile danno causato dall'evento non sarebbe congruente con le modalità di frammentazione in volo del velivolo.

E subito dopo si afferma che questa ipotesi, potendosi logicamente supporre che nell'impatto si fosse danneggiata la testa di guerra disperdendo la carica esplosiva all'interno del velivolo, fornirebbe una logica spiegazione sulle tracce di esplosivo incombusto in esso ritrovato.

E fornirebbe anche una logica spiegazione sulle modalità di ritrovamento dell'esplosivo stesso sia sul gancio sia all'interno dei bagagli, in quanto la sua veicolazione potrebbe essere avvenuta per opera dell'acqua, al momento dell'impatto con la superficie del mare e quindi con reperti oramai danneggiati.

Queste le argomentazioni che non si possono definire di impossibilità o di assoluta o quasi assoluta improbabilità, ma di possibilità, anzi di compatibilità o semplicemente di bassa probabilità. Di qui l'andamento non lineare, quasi contorto delle conclusioni, come già specificamente s'è visto: - ipotesi di attacco deliberato contro il DC9 uguale ad ipotesi con elevata probabilità di insuccesso; - ipotesi di casuale coinvolgimento del DC9 in attacco diretto contro altri bersagli uguale ad ipotesi con maggior grado di realismo; - ipotesi di impatto di schegge solo sulle parti mancanti del relitto uguale ad ipotesi non ragionevole; - ipotesi di abbattimento da impatto con il corpo del missile o dei missili, derivanti sia dalla possibilità di non attivazione del detonatore della testa sia dalle modalità di cui alla teoria di Sewell, uguale ad ipotesi senza elevato grado accettabilità; - ipotesi di Sewell, con riguardo all'impatto di due missili, uguale ad ipotesi poco sostenibile; - ipotesi dell'impatto casuale del missile contro il velivolo prima dell'armamento del detonatore della testa di guerra, uguale ad ipotesi eccezionale se non impossibile; - ipotesi di abbattimento da impatto con missile inerte a causa della non attivazione del detonatore della testa di guerra, uguale ad ipotesi con possibilità di spiegare la presenza e le modalità di ritrovamento delle tracce di esplosivo all'interno del DC9.

Come facilmente si osserva, il discorso del collegio è contorto, s'avvale di una gamma di definizioni, a volte anche contraddittorio. Ne deriva comunque questa conclusione delle conclusioni, letterale: "Per tutto quanto esposto, il CP ritiene che l'abbattimento del DC9 mediante missile sia da ritenersi come ipotesi ragionevolmente da escludersi, anche se l'abbattimento mediante impatto con missile inerte potrebbe rendere ragione delle caratteristiche di ritrovamento di esplosivo incombusto su alcuni reperti."

E' palese la difficoltà in chi redige questi passi, che comunque ammettono possibilità dell'ipotesi. Da queste conclusioni le osservazioni conclusive, che si presentano con modalità completamente diverse. "L'ipotesi dell'abbattimento mediante missile è rigettata". E' come se scrivessero due mani: una che motiva, l'altra che verga le conclusioni. Ma queste conclusioni di così netto rigetto non sono assolutamente supportate dalle argomentazioni e motivazioni che si sono lette e commentate.

Non solo: il collegio dimentica nella rassegna di ragioni pro o contra l'ipotesi del missile alcuni importanti argomenti che altri collegi ed anch'esso avevano preso in considerazione.

In primo luogo i fori A e B del portellone anteriore, con petalature verso l'interno, determinati dall'ingresso di elementi a velocità superiore a 400 metri al secondo cioè con velocità superiore a quella di frammenti da impatto con la superficie del mare; poi le originarie schegge 6-4M e 52-1M provenienti sicuramente dalla "pelle" del velivolo; quindi i reperti AZ32, AZ204 e AZ227 facenti parte del rivestimento esterno della fusoliera anteriore ritrovati, a differenza di tutti gli altri frammenti circostanti della fusoliera recuperati in zona C, nella zona ove è stato rinvenuto il tronco di coda e cioè la zona A; infine l'ipotesi che fosse stato usato un missile, anche se di generazioni superate con effetto di solo blast.

Questi ulteriori argomenti, è indubbio, avrebbero vieppiù ostacolato conclusioni del genere che s'è detto, in contrasto con le argomentazioni e le evidenze semplicistiche e assurdamente, se non malintenzionalmente nette.

4. L'apporto di Held.

Al termine dell'istruzione si può affermare, per quanto concerne l'ipotesi in questione, che i dati e le conoscenze dell'inchiesta hanno raggiunto un livello diverso da quello esistente al tempo delle perizie Blasi e Misiti.

In effetti il relitto è stato ricostruito all'85%. Ed esso è stato esaminato a fondo oltre che dai collegi tecnici da quelli esplosivistico e metallografico-frattografico. I vuoti, quei vuoti che a seconda delle tesi, sia dai collegi d'ufficio che delle parti, di volta in volta erano stati usati sia per sostenere l'esplosione interna che quella esterna - e qui si devono condividere le considerazioni del PM sull'uso scorretto di contrastare la mancanza di prove positive del fatto assunto, con l'asserzione che proprio le parti probanti di quanto sostenuto sarebbero andate disperse, mero artifizio logico ed assolutamente nè prova nè inizio di prova ( oramai sono ridotti al minimo.

Ne è emerso un giudizio concorde sull'assenza di qualunque traccia "in positivo" o diretta di una esplosione di testa di guerra sui resti recuperati. E in questo senso sono le conclusioni dei collegi esplosivistico e frattografico. In tal senso le consulenze di parti imputate e di parte civile Bonfietti ed altri - che supera gli studi Sewell e solo da ultimo con documento del 19.03.99 depositato il 24.03.99 ritorna sulla tesi dell'abbattimento per missile, ma presupponendo missile così conformato o in tal modo esploso da non lasciare segni sulla superficie esterna del velivolo. Contraria resta solo la parte civile Itavia, quella rappresentata dall'avv. Fassari, sulle cui consulenze ci si dovrà soffermare, parte civile che però negli ultimi documenti principalmente con il documento 25.03.99 si spacca, giacchè da un lato Davanzali permane nella precedente teoria e l'Itavia sposa la tesi dell'ordigno collocato ed esploso all'interno del velivolo.

In tal senso il prof.Held, ideatore e costruttore di missili, che descrive con precisione e chiarezza i metodi per identificare le tracce di un'esplosione di testa di guerra, in considerazione dei diversi tipi di teste e di spolette e dei sistemi di localizzazione del bersaglio e guida del missile.

Gli effetti distruttivi - così si può sintetizzare, e conseguentemente affermare, la parte relativa alle teste di guerra dei missili antiaerei, che hanno come scopo l'abbattimento di oggetti in volo - si verificano precipuamente per l'esplosione della testa di guerra e derivano sia dall'onda d'urto o blast, che dalla proiezione di una serie di frammenti metallici, provenienti in massima parte dalla testata che è progettata al fine di causarli. I missili con funzione contraerea sono muniti di spoletta di prossimità (Target Detecting Device) e di spoletta ad impatto. Nel primo caso l'impatto del corpo residuo del missile con il bersaglio è una possibilità remota. Nel secondo l'esplosione della testata si verifica nelle immediate vicinanze del bersaglio o addirittura il suo interno. E' possibile calcolare - a seconda dei diversi tipi di missile e delle diverse testate, nonché del rapporto dinamico tra missile e bersaglio - l'angolo di dispersione dei frammenti preformati e quello delle componenti residue del missile e quindi ricercarne gli effetti sul bersaglio secondo criteri predefiniti, come rileva il PM sulla base del documento Held.

Documento che nei passi di maggior rilievo deve essere riportato - a prescindere da tutti gli estratti da altri documenti, giacchè questo proviene da uno dei massimi esperti in materia e deve essere stimato a conclusione del perdurante e violentissimo scontro sulla questione.

"I missili antiaerei aria-aria sono progettati - sono i principî primi della materia, quasi ovvî ( per colpire il bersaglio o per lo meno per passargli vicino. ...Negli anni 80 e prima sono stati utilizzati essenzialmente due tipi di dispositivi autocercanti: - dispositivi autocercanti IR per missili autonomi, - dispositivi autocercanti a radar semiattivo che necessitano di un aeroplano che 'agganci' il bersaglio.

Prima del lancio i dispositivi autocercanti vengono indirizzati verso il bersaglio dall'aeroplano che ha a bordo i missili. Unicamente dopo che il pilota ha ricevuto un segnale di ritorno positivo che il dispositivo autocercante ha agganciato il bersaglio, i missili possono venire lanciati. Il dispositivo autocercante IR era in grado di attaccare un aereo soltanto dall'emisfero posteriore negli anni 80 e prima. Il dispositivo autocercante era in grado di "vedere" solamente la scia calda del/dei motore/i.

Il dispositivo autocercante a radar semiattivo (SAR) ha bisogno di un aeroplano che agganci il bersaglio. Esso riceve la radiazione riflessa dal bersaglio.

Tutti i missili con dispositivi autocercanti IR o SAR si avvicinano al bersaglio con il cosiddetto "andamento a guida proporzionale". Ciò significa che il punto di intercettazione viene predeterminato prima dal computer dell'aereo che trasporta i missili e questa informazione viene trasmessa al missile. Questo percorso viene poi corretto dai segnali del dispositivo autocercante mediante il computer di bordo del missile. Questo sistema di navigazione dà una buona stima degli angoli di intersezione (angolo statico) tra la direzione di rotta del bersaglio e la direzione di rotta del missile, se sono conosciute le posizioni di lancio e del bersaglio.

Quanto alla ipotesi di impatto diretto, la ricostruzione dell'aereo con i pezzi recuperati nel mar Mediterraneo, effettuata a Pratica di Mare, è stata analizzata con attenzione. Non è stato possibile notare i tipici danni provocati dall'onda espansiva né frammenti dell'esplosione di una ogiva di un missile antiaereo. Non c'è il tipico foro causato dall'onda espansiva dell'esplosione di una carica ad alto esplosivo o la tipica propagazione circolare di fori di un'ogiva dirompente.

L'esame delle fotografie frattografiche delle lesioni nel rivestimento della fusoliera mostra genericamente l'azione tipica di forze di trazione causate da sollecitazioni di flessione e non lesioni causate da un carico esterno di un'onda espansiva.

Non è possibile descrivere in forma particolareggiata qualcosa che non c'è. Quindi l'espressione "non è visibile alcun effetto tipico dell'onda espansiva né di un'esplosione dirompente sui rottami del DC9" è per questo molto sintetica!

Nel caso di un impatto diretto l'ogiva si trova a una distanza molto ravvicinata rispetto al bersaglio e quindi il danno risulta chiaramente visibile. Se non si riesce a trovare alcuna traccia, ciò costituisce un chiaro indizio del fatto che nessun missile ha colpito direttamente l'aereo. Se un missile colpisce direttamente l'aereo bersaglio e la testata esplosiva viene fatta esplodere da una spoletta a percussione, che viene sempre progettata come aggiuntiva in un missile, in tal caso oltre ai danni provocati dall'esplosione e dalla frammentazione dell'ogiva, vengono prodotti numerosi frammenti che danneggiano il bersaglio attorno al foro d'entrata. Il numero dei detriti oltre ai frammenti dei componenti del missile collocati attorno all'ogiva dipende molto dalla struttura del missile e dell'ogiva ecc., ma senza alcun dubbio il numero dei frammenti aumenta drasticamente. Essi vengono utilizzati in vari esperimenti come uno strumento letale aggiuntivo e come effetto extra per gli aerei attaccanti.

Nel caso di esplosione a distanza ravvicinata l'unità di puntamento, di guida e di controllo dei missili non funziona in modo così perfetto da ottenere sempre degli impatti diretti. Una delle ragioni di ciò è che il dispositivo autocercante "vede", con l'avvicinarsi del bersaglio, più punti di barbaglio (centri di riflessione) che variano di intensità e creano problemi al computer della sezione di guida e controllo. Ma i missili hanno una testata appositamente progettata, insieme a una spoletta di prossimità, entrambe ottimizzate assieme per ottenere un'alta efficacia anche nel caso che il missile passi il bersaglio a una distanza ravvicinata, lontano pochi metri, normalmente a distanze inferiori a 5-10 metri. La spoletta di prossimità, quando il missile raggiunge, rispetto al bersaglio, la posizione migliore per ottenere la maggiore probabilità di distruzione ( cioè il maggior numero possibile di frammenti che colpiscono il bersaglio ( innesca il detonatore elettrico nella sezione di sicura e armamento, che innescherà la carica ad alto esplosivo. La detonazione della carica ad alto esplosivo accelererà i frammenti in maniera tale che questo sciame circolare di frammenti in espansione colpirà il bersaglio.

Questo sciame circolare di frammenti si evidenzia in modo chiaro in una serie di fori diffusi in una linea a striscia ( dritta o leggermente incurvata ( sul bersaglio. Questi frammenti perforano sempre il sottile rivestimento, non perdendo quasi velocità, e fuoriescono nella stessa direzione se non vengono fermati nel loro cammino da materiali molto più spessi e molto più resistenti.

Da un esame molto attento di ogni singolo pezzo del DC9 a disposizione non risulta alcun foro di entrata o uscita di frammenti nella fusoliera o sulle ali.

Quindi gli effetti della vaporizzazione. Se frammenti con velocità molto alte colpiscono pezzi di lamiera più spessa e più resistente appartenenti al bersaglio, vengono frantumati e parzialmente vaporizzati. Questo materiale reagisce in parte con l'ossigeno dell'aria. Ciò riscalderà l'aria nel volume dato e ciò significa una pressione più alta in uno spazio chiuso. Simili effetti producono i cosiddetti structural Kills. Questo materiale frantumato o evaporato si trova normalmente sotto forma di uno strato molto sottile sulle superfici interne, simile a uno strato di metallizzazione per vaporazione. Nulla di simile è stato trovato ... Il rivestimento del bersaglio è, d'altro canto, troppo sottile perché possa verificarsi una reale frantumazione o vaporizzazione di materiali di frammenti, considerando che essi dovrebbero colpire il rivestimento dell'aereo con una velocità tra i 1.800 e i 2.000m/sec. I frammenti vengono realizzati per avere una certa resistenza, altrimenti non resisterebbero all'accelerazione della detonazione, pari a molti milioni di G. Quindi essi hanno una sufficiente resistenza rispetto alla scarsissima sollecitazione d'urto determinata dall'impatto con sottili lamine di scarsa densità.

Quanto alla traiettoria, valutando con attenzione queste indicazioni ( Held, determinate le posizioni relative dell'aereo attaccante e del DC9 desunte dai dati radar e le posizioni al momento del lancio, indica l'angolo statico di intersezione e quello dinamico ( dovremmo trovare segni dell'impatto di frammenti per lo meno sulle ali, se non sulla fusoliera. Ma non è stato possibile rinvenire alcun indizio [di tali segni]".

Anche altri elementi, che potevano essere indicativi di una esplosione esterna, sono stati presi in considerazione nelle diverse perizie e conseguentemente in documenti di parte.

In primo luogo le chiazze bruno-nerastre sulla porta anteriore della cabina passeggeri e sul portello del vano portabagagli ( e quindi su superfici opposte e comunque in posizioni non raggiungibili dagli effetti di un'esplosione ipotizzata nella parte anteriore superiore destra della fusoliera ( che già attrassero l'attenzione del primo collegio tecnico e del Rarde. La perizia chimica ha dissolto ogni dubbio, affermando che si tratta di carbonio carbon black, differente dal carbonio residuo di esplosione e che pertanto l'origine di quelle macchie deve attribuirsi a depositi marini. Nulla a che fare perciò con esplosioni esterne.

Quanto alle sferule rinvenute all'interno della semiala destra di esse s'è già parlato in precedente capitolo; quand'anche si accettasse la tesi di parte civile Itavia, secondo cui esse non derivino da operazioni di pallinatura, dovrebbe pur sempre affermarsi, come detto in perizia e riassunto da PM, che esse non sono state interessate da fenomeni esplosivi e non hanno causato i fori sull'ala e su altri reperti, determinati invece da corrosione, e non possono essere penetrate nella zona dell'ala ove sono state rinvenute attraverso un unico foro, individuato da quei consulenti Cinti-Di Stefano e ritenuto come cagionato da una scheggia di testa di guerra, giacchè non è sostenibile che le numerose sfere abbiano seguito quel frammento in quel foro, non si comprende come e comunque senza causare altri danni.

Quanto ai residui di esplosivo all'interno dell'aereo è argomento su cui molto si è dibattuto e già s'è scritto sull'esito di tali dibattiti. In questo capitolo si deve soltanto dire che è quasi impossibile che essi siano stati portati all'interno come conseguenza di una esplosione avvenuta all'esterno. Gli unici vettori, come già s'è rilevato nella perizia esplosivistica, potrebbero essere state le schegge prodottesi nella detonazione o la nube gassosa conseguente. A parte la difficoltà addirittura, o l'impossibilità, di rinvenire fori e tramiti corrispondenti ai punti ove i residui sono stati rilevati, si deve rammentare, come affermato da Brandimarte, Ibisch e Kolla, che, non essendo l'esplosivo a contatto con le schegge, giacchè nella testata sono separati da un involucro, piccoli quantitativi di esplosivo possono aderire alle schegge solo al momento dell'esplosione e a causa della formazione della nube gassosa. Si deve però aggiungere che le teste di guerre detonano in maniera pressoché completa, lasciando pochissime, se non nessuna, tracce di esplosivo. E "dopo la detonazione le schegge, che viaggiano più rapidamente dei gas, raggiungono elevatissime temperature a causa dell'attrito con l'aria, per cui le tracce di esplosivo eventualmente presenti su di esse vengono rapidamente decomposte". Quei periti perciò così concludono sulla veicolazione delle tracce di esplosivo per il tramite di schegge: "E pertanto estremamente improbabile che le tracce di esplosivo possano essere state veicolate all'interno dell'aereo attraverso le schegge eventualmente penetrate in esso". Per quanto concerne l'altra veicolazione e quella tramite la nube gassosa, i periti affermano che la distanza raggiungibile dai residui di esplosivo indecomposto per proiezione diretta è molto limitata e "in ogni caso le suddette tracce potrebbero essere ritrovate solamente sulle superficie esterna del velivolo" supponendosi un'esplosione all'esterno.

Neanche questa evidenza può quindi, allo stato delle conoscenze, esser posta a base dell'ipotesi dell'esplosione esterna.

Non può poi essere dimenticata, nonostante non sia stata più sostenuta da alcuna parte, l'ipotesi Sewell. Essa è stata ritenuta dal perito d'ufficio non sostenibile. Questi in primo luogo ha analizzato l'ipotesi, derivandone gli angoli dinamici conseguenti alle traiettorie dei missili e del DC9. Tenuto conto poi delle velocità del DC9 - costante a 240m/s - e quella dei missili - tra i 600 e gli 800m/s - ha elaborato una tavola dell'"angolo azimutale statico" e dell'"angolo di elevazione statico" per l'impatto dei due ordigni.

"L'intersezione (angoli statici) per il primo missile secondo Sewell dovrebbe avere un angolo azimutale di circa 40° e un angolo di elevazione di circa 15°; il secondo missile dovrebbe avere un angolo azimutale di circa 20° e un angolo di elevazione di circa 11°. Gli angoli inferiori per il secondo missile significano che l'aeromobile "nemico", il quale ha lanciato due missili uno dopo l'altro, dovrebbe aver conseguito con il secondo missile una situazione più antiparallela paragonata al primo missile.

La traiettoria dinamica del primo missile mostra che il missile avrebbe dovuto colpire anche il motore sinistro!"

Quanto alle questioni derivanti dalla distribuzione dei reperti sul fondo del mare, cioè la spiegazione del rinvenimento di alcuni frammenti di parti anteriore e centrale della fusoliera in zone diverse da quella ove si sarebbero dovute depositare per effetto di caduta secondo leggi fisiche e circostanze di fatto verificate queste le posizioni. Sulla base di questi rinvenimenti anomali consulenti di parte civile, che partono dal presupposto - che può essere condiviso - che essi non possano essere casuali, ne desumono come causa l'esplosione di una testa di guerra missilistica in prossimità della parte anteriore destra della fusoliera. Della posizione di tali oggetti il collegio Misiti fornisce una spiegazione, come per l'estremità dell'ala sinistra in conseguenza del momento di separazione dal resto del velivolo. Della posizione di altri non sa dar conto e suppone che possano essere avvenuti errori durante le operazioni di recupero e conseguenti classificazioni dei reperti.

In primo luogo il gruppo Casarosa-Held ( gli altri membri del collegio non tornano più sul problema - affermano, e la loro affermazione appare esatta, che non devono essere considerati anomali i rinvenimenti di parte della fusoliera anteriore nella zona B, in quanto tale zona confina con la C e i rinvenimenti in questione, ovvero l'AZ39/B350 - fascia finestrini dx, stazione 430 - l'AZ241/B2342 - fascia superiore finestrini dx, stazione 470 - e l'AZ74 - frammento di ordinata di fusoliera, stazione 544 - appartengono tutti alla fascia di confine, solo convenzionalmente attribuita all'una piuttosto che all'altra zona (v. nota Casarosa-Held, 09.06.95).

Sui reperti invece AZ32, AZ204 e AZ227 il collegio Misiti - nella sua interezza - ammette che "essi pur appartenendo al rivestimento esterno della fusoliera del velivolo, sono stati recuperati in zona A, dove sono stati recuperati il tronco di coda e frammenti a esso appartenenti. Una possibile interpretazione di questa caratteristica di ritrovamento potrebbe essere che i tre frammenti si siano distaccati in volo a causa del danno prodotto dal missile (o dai missili) e siano rimasti poi intrappolati nel tronco di coda, anch'esso distaccatosi in volo, precipitando insieme ad esso nella zona A.

Mentre per l'AZ227 è stato accertato che si verificò un errore nell'etichettatura, non può dirsi altrettanto per gli altri due, il che dovrebbe significare che essi si siano distaccati prima dell'impatto del velivolo sulla superficie del mare. (v. perizia tecnica Misiti altri, 23.07.94).

Ma il collegio Misiti pone in luce anche che tutte le parti circostanti i due frammenti in causa sono state recuperate in zona C e non vi si rileva alcun segno di impatto di missile o di sue schegge. Così come il collegio metallografico esclude che il fenomeno possa essersi verificato per cedimento.

Al contrario i consulenti di parte civile Bonfietti ed altri ravvisano anche su altri reperti delle parti anteriore e centrale di destra della fusoliera gli effetti di una pressione dall'esterno verso l'interno. "Questa pressione ha la sua zona di massima intensità lungo una linea situata poco al di sotto della zona dei finestrini e va rapidamente attenuandosi ... lungo la curva della fusoliera.". Ne deducono, considerando anche il rilevante numero di file di sedili attinti dalle intrusioni massive in circa trenta cuscini, che l'aeromobile fu investito da un'onda d'urto di un'esplosione esterna, che causò la separazione di alcuni pezzi, la proiezione di frammenti del rivestimento della fusoliera e le deformazioni della stessa fusoliera. Tali effetti, secondo detti consulenti dovrebbero essere stati causati da un ordigno esploso a circa quattro metri dalla fusoliera e con un angolo di circa 40° - ma sui punti Algostino e gli altri ritorneranno ancora e più diffusamente con il documento del 31.10.95.

Contro tale ricostruzione stanno però alcuni punti fermi posti dalle perizie d'ufficio. Su nessun reperto di quelli in considerazione, nè su quelli che si sarebbero separati prima dell'impatto sulla superficie del mare nè sui molteplici della fusoliera ad essi circostanti, v'è alcun segno di esposizione ad esplosione. Quanto poi alle schegge nei cuscini esse che non mostrano verso preferenziale, non sono stimate, con la sola eccezione del 52-1M e 6-4M, come effetti di fenomeno esplosivo. Il complesso infine dell'iron bird mostra con evidenza, specie il danneggiamento a fisarmonica sul lato destro, che il velivolo nella parte anteriore e centrale della fusoliera era, al momento dell'impatto sul mare, integro.

5. L'ipotesi del collegio di parte civile Itavia.

Il collegio dei consulenti di parte civile, proprio per superare questi dati in contrasto con una esplosione esterna sul lato destro della fusoliera, suppone che il missile dovesse essere dotato di una testa generatrice di un'onda d'urto, senza massiccia formazione di schegge. Cioè che l'aereo fosse stato prevalentemente colpito da un effetto di blast. Questa ipotesi però non sortisce a questo stadio dell'inchiesta prove positive e si deve perciò dire che resta al livello di una pura ipotesi.

Si discostano dalla ipotesi di questa parte i consulenti di altra parte civile, l'Itavia cioè prima della spaccatura. Costoro muovono da presupposti diversi da quelli del perito d'ufficio Held. Ovvero stimano che al tempo del disastro fossero in funzione anche missili a guida IR con capacità di attacco laterale, in particolare l'AIM 9L Sidewinder, missile in dotazione ad USA, Gran Bretagna e Svezia, portata e diffusione delle schegge diversa da quelle indicate dal perito d'ufficio. Ma indipendentemente da questi rilievi, si deve ribadire, condividendo l'opinione del PM, che comunque sui reperti - salvo quanto si dirà più oltre ( non v'è prova dell'impatto di missili o relative schegge.

Questa consulenza a dir il vero ribalta l'ordine delle prove. La prova di un'azione missilistica non discenderebbe direttamente dai dati radaristici e dovrebbe poi trovare riscontri nelle evidenze del relitto. Sarebbe invece il relitto a dare in primo luogo prova dell'attacco e abbattimento del velivolo a mezzo missili. Tale tesi troverebbe poi sostegno nei dati radaristici. Contestando l'ordine di successione del collasso dell'aeromobile formulato dal collegio Misiti, questi consulenti pongono a sostegno della loro ipotesi una serie di dati di fatto. Come il rinvenimento di frammenti di parti anteriori del velivolo nella zona di recupero dei motori; e l'ingestione di materiale nei motori. Già questi due dati indicherebbero che il velivolo è giunto integro all'impatto con il mare e che comunque i due motori non si erano separati prima di questo evento. Il varco originario nella fusoliera sarebbe nella sua parte anteriore e non in quella posteriore. E ciò perché non solo parti esterne, come il frammento del vano carrello anteriore, ma anche il trolley situato nel galley anteriore era stato rinvenuto nella zona a nord dei reperti dispersi sui fondali. Poi i fori sul portellone; le schegge 6-4M e 52-1M; la presenza degli esplosivi TNT e T4.

Indicano poi le caratteristiche che avrebbe dovuto avere l'ordigno per rispondere a tutti i dati di fatto accertati. Avendo premesso un completo esame dei missili aria-aria in dotazione in quell'anno delle principali aeronautiche e considerato le possibili modalità di attacco e punti di impatto, enunciano i conseguenti danni. "Detti danni saranno diversamente localizzati a seconda del tipo di guida del missile (IR-infrarosso-Sarh-guida radar) a seconda del sistema di puntamento del missile (secondo la "curva del cane", "proporzionale" o a "punto futuro")e saranno variamente estesi a seconda della dimensione del missile (testa di guerra da circa 10kg per i missili da dogfight o teste da 30kg in poi per i missili più grossi) e a seconda della distanza alla quale il missile è esploso dall'area civile, cioè se si è avuto un colpo diretto o l'esplosione della testa di guerra è avvenuta nelle vicinanze a seguito dell'attivazione della spoletta di prossimità".

Di seguito ricostruiscono rotte e posizioni relative al DC9 e del velivolo attaccante così come ricostruiscono, pur nella consapevolezza dei margini di errore dei dati radar in azimut, un modello entro il quale supporre i diversi percorsi dei velivoli e dei missili a seconda dei diversi sistemi di guida, sia nella fase di scoperta e "aggancio" del bersaglio, che in quella di lancio e in quella successiva di evasione. Pongono in ipotesi che il velivolo attaccante si trovasse a 10km ad Ovest del DC9 con velocità al suolo di circa 330m/sec. Assegnata al missile una velocità media al suolo di 700m/sec, il punto di lancio viene stimato a circa 14km di distanza dal punto di localizzazione del disastro e il tempo di volo del missile in 20 secondi. Al momento del lancio perciò il velivolo civile, che volava a 240m/sec, era di 5000 metri arretrato rispetto a questo punto. Avendo escluso i missili a guida IR di vecchia generazione, prendono in considerazione quelli a guida IR avanzata e quelli a guida radar semiattiva.

I primi sono esclusi perché le tecniche di condotta dopo il lancio prevedono l'immediata evasione, giacchè con questo tipo di ricerca non è necessario mantenere l'illuminazione radar sull'attacco da parte dell'attaccante. E nel nostro caso ciò di certo non avvenne, perché il supposto attaccante con la rotta che parte da -17 interseca quella originaria del DC9. Ma questo tipo di missile viene a maggior ragione escluso, perché, con qualsiasi sistema di puntamento, si sarebbe sempre diretto verso la fonte principale di calore, cioè il motore destro. Cioè nel puntamento e guida a "punto futuro di impatto" il missile avrebbe raggiunto il bersaglio con direzione avanti-dietro, mentre in quelli a "curva di cane" e proporzionali lo avrebbe raggiunto con direzione dietro-avanti. Ma avrebbe sempre colpito il motore di destra. Escludono da ultimo possibili effetti di cattura da riflessione del sole sui finestrini o sulla fusoliera.

Prendono di conseguenza il restante sistema, quello a ricerca radar . Nel caso di attacco laterale essi affermano che la parte posteriore della fusoliera per il fatto di presentarsi con superfici ad angolature diverse, avrebbe capacità riflettente molto inferiore a quella della fusoliera di forma cilindrica e quindi con proprietà riflettenti superiori. In questo caso il punto di impatto sarebbe nella parte anteriore della fusoliera. Perciò "dovremmo trovare i danni nella zona di fusoliera compresa tra l'attaccatura delle ali e la cabina di pilotaggio, con entrata sul lato destro e uscita su quello sinistro".

Sulla base di queste premesse - si segue da vicino l'efficace sintesi del PM - i consulenti stabiliscono anche i parametri di funzionamento della spoletta di prossimità, indicando una distanza dal bersaglio di 10m, media convenzionale tra il minimo di 5m ed il massimo di 15m, ai quali vengono in genere tarate le spolette, e considerando che i sensori delle spolette sono indirizzati radialmente, in corrispondenza con l'angolo di proiezione delle schegge. Determinano poi il peso effettivo ipotizzabile delle cariche esplosive, al fine di calcolare il diametro dell'onda esplosiva o blast. Sulla base di questi parametri affermano quindi che i sensori della spoletta di prossimità sarebbero attivati dall'estremità dell'ala destra, cioè la prima parte del DC9 ad entrare nel cono di attivazione del sistema. Il missile perciò considerato che l'ala si protende per 14m, sarebbe dovuto esplodere, nel caso di missile IR, a 12m dalla parte posteriore della fusoliera, e a 14, in caso di missile SARH, dalla parte posteriore della fusoliera. Determinano anche le posizioni delle due esplosioni e quindi i possibili effetti di blast. In entrambi i casi però non vi sarebbero stati effetti rilevanti sulle strutture del velivolo, ma solo sullo "skin". Quanto ai danni indotti dalle schegge, sulla base di un modello tridimensionale in cui si sono sviluppate le parti ricostruite e quelle mancanti del DC9, deducono che per effetto della geometria delle schegge la quasi totalità del velivolo non sarebbe da esse raggiunta. In conclusione sull'aeromobile dovrebbero essere rilevabili esclusivamente effetti secondari del blast e un quantitativo - dal momento che quel collegio non provvede alla quantificazione delle schegge nelle zone interessate - non precisato di schegge. Ma la visione e l'esame diretto dell'iron bird consente la individuazione di soli due fori: un primo di uscita nella parte sinistra ed il secondo è quello sul flap dell'estremità dell'ala destra - già oggetto di specifico accertamento peritale da parte del collegio metallografico-frattografico. Il primo è semplicemente indicato come prodotto da scheggia, perché con petalatura verso l'esterno. Nessun'altra indicazione positiva in tal senso. Il secondo su cui già s'è detto e che potrebbe essere stato attivamente prodotto dalla penetrazione di un oggetto esterno, per la sua posizione e in relazione a quella supposta del punto di esplosione, non può essere stato cagionato nè dal corpo del missile nè da elementi di copertura della testa, ma solo da una vera e propria scheggia. La velocità però dell'oggetto che ha determinato quel foro è stato ritenuta dal collegio metallografico-frattografico come medio-alta in contrasto con una velocità alta od altissima, che avrebbe dovuto avere una scheggia ad una distanza così breve dal punto di esplosione.

Per quanto concerne poi l'impatto del corpo del missile, quei consulenti Itavia sulla base del modello tridimensionale di cui sopra, che pone in luce le parti mancanti della fusoliera, individuano i possibili varchi determinati da quel corpo, che si suppone abbia proseguito la sua traiettoria verso la fusoliera del velivolo civile. Essi immediatamente abbandonano la ipotesi della traiettoria di missile a guida IR avanzata, perché essa avrebbe attinto la zona posteriore della fusoliera, e in questa parte invece non si rinviene alcun danno compatibile. La traiettoria di missile a guida SARH viene invece accettata, perché nella parte anteriore della fusoliera, quella che avrebbe attinto il corpo di un missile di questa seconda categoria, "si possono isolare due probabili zone di impatto, localizzate, la prima (chiamata d'ora in poi IM1) nella parte anteriore tra le stazioni 200 e 313, [la seconda] (IM2) più arretrata, vicino alla attaccatura delle ali, tra le stazioni 380 e 489. IM1 [che] corrisponde all'impatto di un missile in arrivo perpendicolare alla radiale della fusoliera, dal basso, con un angolo di 20°. IM2 [invece] all'impatto di un missile in arrivo perpendicolare alla radiale della fusoliera, dal basso, mentre il DC9 ha mutato il suo assetto e sta salendo o ruotando verso sinistra o tutte e due le cose contemporaneamente".

Questa ipotesi sarebbe confortata da tre elementi: 1.l'assenza di segni di impatto sulle altre parti della fusoliera del DC9. 2. La compatibilità della velocità degli oggetti che avrebbero impattato contro il velivolo, risultante da questa ricostruzione, con quella di un missile lanciato da 14km di distanza. 3. La "coerente similitudine tra le dimensioni e le forme delle zone di impatto rispetto alle dimensioni e le forme del modello di missile proiettato, che se anche potrebbe essere definito casuale in un caso, difficilmente lo può essere nei due casi".

6. Le risposte del generale Melillo.

Questo imponente lavoro che presenta non pochi aspetti d'interesse e resta il più esteso sull'ipotesi del missile, è stato sottoposto a severe critiche sia da parti imputate, in particolare del generale Melillo, sia da parte della pubblica accusa.

L'imputato contesta in primo luogo i parametri adottati da Cinti e Di Stefano - sulla velocità e direzione del missile, sulla sua portata, sul peso della carica esplosiva - affermando che nell'80 non esistevano missili aria-aria che avessero contestualmente portata superiore a 14km, guida radar semiattiva o ad infrarosso con capacità di attacco laterale e peso della testata di 10kg. I missili con tal peso di testata appartenevano a classi con portata utile assai inferiore a quella stimata dai consulenti Itavia. A portate superiori a 10km corrispondevano missili di rilevante dimensione, con proporzionata testa di guerra dell'ordine di decine di chilogrammi. Queste connotazioni avrebbero ovviamente influenzato, e in maniera notevole, gli effetti dell'esplosione sulla struttura dell'aereo attaccato, in particolare gli effetti del blast e della proiezione della massa del corpo del missile dopo la detonazione della testata. Melillo sottopone a critica altresì due dei tre elementi indicati a sostegno della ipotesi di correlazione delle zone di impatto con due missili. Sul secondo quello relativo alla compatibilità degli oggetti che avrebbero urtato sulla fusoliera del DC9 con quello residuo di un missile lanciato da 14km, si afferma che, nonostante il Jane's preso a riferimento dai consulenti Itavia, dia per il Sidewinder AIM 9L una portata di 18km, Held il perito d'Ufficio la cui superiore competenza non è stata mai posta in dubbio da alcuno, dà per questo missile un raggio d'azione di 7.5km. E tale dato ovviamente si rifletterebbe anche sui calcoli della velocità residua al momento dell'esplosione della testa. In effetti questo valore che in un primo documento era indicato in 700m/sec, nel documento di replica alle osservazioni dell'imputato viene ridotto a 400m/sec.

Anche sul terzo, quello concernente la coerente similitudine fra le dimensioni e le forme delle zone d'impatto rispetto alle dimensioni e le forme del modello di missile proiettato, Melillo esprime critiche, affermando l'insostenibilità della pretesa di individuazione di correlazioni tra la forma e le dimensioni dei varchi e quelle del missile. Anche perché Cinti e Di Stefano prendono in considerazione nel loro documento diverse specie di missile - Sidewinder di varie serie, Sparrow, Apex, Matra 5530, Atoll Sarh (, ma non indicano quale sarebbe stato il missile impiegato nel caso reale.

A risposta i due consulenti di parte civile proponendo un modello di generazione dei varchi e delle deformazioni delle lamiere, desunto dal disastro di Lockerbie, danno particolare rilievo agli effetti della decompressione esplosiva nella determinazione di estroflessioni nel varco di uscita; e criticano la mancanza di specifici accertamenti frattografici su tali deformazioni, come su quelle che caratterizzerebbero anche i montanti della parte anteriore sinistra di accesso dei passeggeri.

7. Le valutazioni dell'Ufficio del PM.

Il PM condivide queste osservazioni e ne formula autonomamente altre. Innanzi tutto sul primo dei tre elementi a confronto, come detto, delle ipotesi di correlazioni delle zone d'impatto con due missili. Esso non può essere portato a corroborazione dell'ipotesi, giacchè può essere soltanto stimato elemento negativo per l'ipotesi di impatto in altre zone, ma nulla afferma in positivo sulla possibilità che i varchi individuati nella zona anteriore siano stati generati dal corpo del missile.

Anche sulla proposta di prendere a modello il disastro di Lockerbie per la generazione dei varchi e delle deformazioni delle lamiere, il PM esprime avviso negativo. Rilevando l'infondatezza della critica di Cinti e Di Stefano sulla deficienza di accertamenti frattografici sui montanti della parte anteriore di sinistra, giacchè la perizia metallografica-frattografica proprio sulla questione si era soffermata, descrivendo le deformazioni ed ascrivendole a un'azione di direzione avanti-dietro, e quindi incompatibili con l'ipotesi dei consulenti Itavia.

Quanto alla comparazione con Lockerbie si devono, continua il PM, distinguere i danni da decompressione esplosiva, conseguenti alla rapida depressurizzazione causata dall'apertura di un varco, da quelli dovuti alla canalizzazione dell'onda esplosiva nei condotti di areazione e nell'intercapedine. Quindi si dovrebbe dimostrare che, nonostante i gravissimi danni cagionati alla parte destra della fusoliera dalla penetrazione di due corpi di missile, fosse rimasta nella fusoliera una differenza di pressione rispetto all'esterno tale da determinare effetti da decompressione esplosiva sul lato sinistro. Che poi entrambi i corpi dei missili abbiano colpito la fusoliera del DC9, stante la eccezionalità che anche uno solo la attinga, appare un evento del tutto improbabile.

Quindi altri argomenti. La compatibilità dei varchi individuati con l'impatto del corpo del secondo missile è condizionata dalla rotazione e dall'innalzamento del velivolo in conseguenza immediata del primo impatto. Sarebbero però stati necessari - in considerazione del fatto che si passa dal modello statico per la parte relativa all'avvicinamento dei missili al DC9, a quello dinamico nella parte relativa alla valutazione dei danni - proprio per questa variazione del modello, calcoli della compatibilità in termini temporali, di angolo e direzione di impatto, di localizzazione degli effetti primari e secondari dell'esplosione, di tali repentini mutamenti di assetto del DC9.

Dovrebbe poi ammettersi, secondo le valutazioni di critica del PM, che tra il momento di impatto del primo missile e quello del secondo si fosse potuto verificare il detto mutamento di assetto, causato, oltre che dalle forze direttamente agenti sull'aeromobile per effetto dell'impatto trasversale, dalla perdita di peso e dalla modificazione delle caratteristiche aerodinamiche del velivolo. Non appare sostenibile che la strumentazione del missile abbia potuto percepire la variazione di assetto e modificare la traiettoria di conseguenza, così come è necessario supporre per giustificare la relazione tra il punto di entrata del missile e quello individuato come foro di missile.

Non sono poi emersi segni di danni da attraversamento dei due corpi sugli arredi dell'aereo, come sui tappeti, che sono stati rinvenuti nella quasi totalità, anche se si pone come ipotesi che uno dei due missili abbia attraversato il pavimento. La traiettoria interna d'altra parte, non è in grado di giustificare la interruzione dei circuiti elettrici a tal punto repentina da impedire la registrazione dell'evento sul CNR, e l'arresto dei motori. Arresto che deve essere avvenuto in tempi brevissimi, giacchè gli oggetti ingeriti non hanno causato danni rilevanti alle turbine e non sono stati, a loro volta oggetto di danni da elevata temperatura e da trituramento.

Anche la localizzazione dell'esplosivo in bagagli e punti interni dei sedili, appare incompatibile con l'esplosione della carica a 14m di distanza dalla fusoliera e cioè ben oltre gli effetti del blast. Ragion per cui è arduo ritenere che particelle incombuste possano essere state portate all'interno del DC9, sia con il meccanismo della nube esplosiva, sia con quello dell'adesione a frammenti del missile. Così come resta inspiegabile una serie di fenomeni rilevati su alcuni oggetti, primo tra tutti il vestito di bambola. La distanza di detonazione, afferma il PM, e la geometria delle schegge sono tali da escludere qualunque possibilità che frammenti di alta velocità e temperatura possano aver superato la "pelle" dell'aereo e quindi attraversato questi oggetti.

Anche quegli elementi relativi alle deformazioni della parte anteriore destra della fusoliera, e ai due fori sul portello portabagagli, sono sottoposti da parte dell'accusa a critiche. In primo luogo proprio le modalità di deformazione di quella parte della fusoliera indicano con certezza che essa è giunta integra all'impatto con la superficie del mare. In secondo luogo quanto ai detti fori sul portellone, sta contro l'ipotesi di Cinti e Di Stefano la incompatibilità tra la posizione e la direzione di penetrazione dei frammenti che li avrebbero prodotti, e il punto indicato come quello di possibile detonazione delle testate dei missili. In terzo luogo per effetto della considerazione che nella ricostruzione della proiezione dei frammenti, la parte anteriore della fusoliera ne era del tutto esclusa.

Il PM conclude - dopo aver ribadito il principio di critica, già usato nei confronti della perizia tecnica, secondo cui non è possibile esaminare separatamente i diversi dati di fatto, attribuendo loro significato oppure negandolo, senza coordinarli con tutti gli altri - escludendo che sul DC9 siano riscontrabili segni di impatto di missili o di loro componenti, ed escludendo anche l'ipotesi che vi sia stata la detonazione di ordigni senza che ne restasse traccia. Resta così accertato, oltre alla eliminazione dal novero dei possibili ordigni di una serie di missili per il loro sistema di guida, che non vi sono geometrie di impatto (o meglio di attivazione della spoletta o di prossimità o ad impatto) che possano causare la caduta dell'aereo senza lasciar segnature di schegge almeno sulla parte posteriore o sull'estremità dell'ala.

Da rilevare da ultimo, sempre al riguardo della relazione Cinti-Di Stefano, che l'assenza di elementi obbiettivi di riscontro dell'ipotesi di abbattimento da missile non è assolutamente dipesa, come sostenuto da quei consulenti, dal fatto che i collegi d'ufficio si siano concentrati sull'ipotesi di esplosione interna. L'Ufficio ha sempre disposto, come ne dà anche atto il PM nelle sue requisitorie, indagini in tutte le direzioni ed ha formulato quesiti di tal genere ai collegi tecnici, metallografico, esplosivo e chimico. E i periti hanno sempre vagliato tutte le ipotesi.

Questo genere di osservazioni fa purtroppo il paio con le critiche degli imputati secondo cui non s'è tenuto nel dovuto conto l'ipotesi dell'esplosione interna. Ma tali critiche appaiono vane, giacchè su ogni ipotesi s'è approfondito il più possibile, e solo la complessità dei fatti, ma ancor più l'eterna diatriba dei consulenti e periti infedeli, che li ha resi quasi indecifrabili, ha determinato in larga parte la durata di questa istruttoria.

8. Il documento Algostino et alii del 24.03.99.

A tal proposito, al proposito in primo luogo dell'ipotesi del missile, si deve ricordare che, nonostante le critiche di cui s'è a lungo dibattuto nell'esame dei singoli documenti, da ultimo i consulenti di parte civile Algostino, Pent e Vadacchino hanno nuovamente sostenuto che un missile è la causa della caduta del DC9 Itavia. E pongono a base di questa ricostruzione la individuazione di quei criteri tecnici, in base ai quali i tre scenari rimasti in piedi possono o meno essere confermati. I tre scenari sono: l'esplosione esterna o per missile, la quasi collisione, l'esplosione interna o per ordigno nella toilette. I criteri invece: la presenza di velivoli contigui al DC9, la presenza di segni di esplosione, i segni sul relitto, le modalità di collasso. Secondo una catena di passaggi, che i consulenti stimano applicazione del cd. albero delle probabilità, affermano che la presenza di velivoli contigui - a meno di non dare bizzarramente credito all'ancor più bizzarra ipotesi che un ordigno fosse stato collocato a bordo del velivolo civile e che la sua esplosione fosse stata comandata da un aereo prossimo al DC9 - deve essere necessariamente collegata all'avvenimento e tale collegamento può essere collocato solo nell'ambito degli scenari dell'esplosione esterna dovuta a missile o della quasi collisione. Per questa via si elimina così l'ipotesi dell'ordigno interno. Già eliminata da lungo tempo dalle altre critiche alla validità della Misiti.

Su questa presenza di velivoli prossimi al DC9 Algostino e gli altri si basano sullo scenario radar quale s'è ricavato dai dati del Controllo e della Difesa Aerea e quindi condividono - anzi per più versi la avevano anticipata nelle molteplici relazioni dal 92 al 98 - la situazione di contesto, elaborata dal collegio radaristico e contrastata da numerose altre parti, che si è accettata e deve porsi a fondamento della ricostruzione dei fatti. E che è superfluo ripetere per l'ennesima volta. Si deve solo rilevare - e l'affermazione è degna di essere presa in considerazione, giacchè più che convincente - che il dopo del disastro ha un valore superiore al prima, quale discriminante tra le diverse ipotesi di causa della precipitazione dell'aeromobile civile. L'essenza del ragionamento di questi consulenti, che si stima valido, è la seguente: se può supporsi che la presenza di uno o più velivoli nella fase precedente possa non connettersi con l'incidente, quella di velivoli nella fase successiva a partire dall'area di caduta del DC9 non può con essa non collegarsi. Anche perchè nel primo v'è da presumersi che i piloti di quei velivoli che s'accostavano alla traiettoria dell'Itavia, da dietro o dal fianco abbiano posto in essere qualsiasi manovra per non essere rilevati dai radar; mentre invece nell'immediatezza dell'incidente non fossero in grado di evitare qualsiasi detezione. E pertanto essi appuntano - così come hanno fatto i periti dell'ufficio ed anche altri esperti - sui 34 echi di solo primario registrati dal Controllo aereo dopo l'incidente. E qui l'analisi di Algostino, Pent e Vadacchino coincide con quella ultima di Dalle Mese, Donali e Tiberio; in particolare sul fatto che otto echi non sono assolutamente attribuibili ai frammenti del DC9 - e qui tornano alla memoria di nuovo quelle parole pronunciate durante una intercettazione, secondo cui il perito Picardi, pur avendo connesso quasi tutti i plots ai frammenti, non riusciva a spiegarne alcuni, i noti "blots" come è stato mal trascritto.

Sull'analisi di questo collegio di consulenti non v'è da dimenticare che essi arrivano alle conclusioni di cui s'è detto, usando di forti supporti come i tre criteri già citati e cioè quelli di Newton, di coerenza e di Lockerbie.

Da questo esame del dopo, di quanto si rileva cioè ad Est del punto 0, si passa all'esame dell'immediatamente prima, di quanto cioè rilevato ad Ovest, ovvero i plots -17 e -12. E su tale questione i consulenti tengono in conto l'ultima nota prodotta dal collegio Misiti, quella depositata il 23 dicembre 97 e sottoscritta soltanto dallo stesso Misiti e da Santini. In essa, rilevano Algostino e gli altri, questi periti dell'ufficio a parziale correzione della precedente relazione, quella del 94, riconoscono la correttezza del metodo della parte civile, ma formulano riserve sui valori numerici usati per le valutazioni quantitative. Algostino e gli altri pertanto ritornano sui valori di determinati parametri. In particolare, come già s'è detto, sulla probabilità di falso allarme Pfa, come caratteristica propria del radar; sulla probabilità ( che non vi sia nessun aereo nell'area di studio, che è una caratteristica dello scenario; sul numero S di scansioni radar considerate nello studio; sulla probabilità di rilevamento dell'ostacolo PD, che è una caratteristica del bersaglio considerato. Misiti e Santini tendono ad affermare, non motivando però, che qualora si considerino campi di valori sufficientemente ampi di Pfa e S, i plots -17 e -12 non possano essere attribuiti ad un velivolo. E su queste affermazioni il collegio, quanto al valore di Pfa, ribatte che esso è stato desunto da rilievi effettuati su quel radar e non su un generico radar il cui valore di falso allarme possa variare 10-4 e 10-6. Così come quanto al valore di S, i consulenti ribattono che non appare assolutamente comprensibile come quei periti di ufficio abbiano potuto fissare un valore predeterminato, mentre in tale analisi se ne deve considerare un ampio range.

In effetti il metodo impiegato da questi consulenti appare logicamente corretto, e pertanto ne deriva anche la caduta di quella tesi sul -17 e -12.

Altro capitolo fondamentale di questo documento è quello sugli indizi di esplosione. Se in effetti per accreditare l'ipotesi dell'ordigno collocato all'interno della toilette i periti d'ufficio dell'incarico tecnico-scientifico, il collegio Misiti, avevano escluso il valore dei segni di esplosione e di esplosivo, e ad Algostino e gli altri che criticavano la sottovalutazione o la svalutazione di questi elementi Casarosa e Held avevano risposto che tali osservazioni erano prive di consistenza tecnica, con questo capitolo il collegio dei consulenti di parte intendeva controbattere. La diatriba è lunga e con probabilità essa continuerà anche oltre questo provvedimento.

I consulenti affermano, e non a torto per quanto deriva conoscenze ed esperienze in materia, che ogni quantità di esplosivo a seguito di esplosione, lascia una parte indecomposta, in percentuali maggiori o minori, ma pur sempre in quantità enormemente superiore a quella rilevabile con le tecniche della chimica analitica. Ne discende, ed anche tale deduzione appare conforme a logica, che se v'è esplosivo deve esserci stata esplosione A meno che non ci sia stato inquinamento, incolpevole o meno. Già s'è a lungo discusso sulle possibilità in concreto nel nostro caso, e certo si deve dire che se vi sono possibilità che si sia verificato, durante il trasporto e la conservazione dei reperti, un fenomeno del genere, ve ne sono anche, proprio a causa della distribuzione dell'esplosivo indecomposto, in senso contrario, quale in particolare quella che deriva dall'interpretazione di questo esplosivo sul gancio dello schienale. E in effetti è proprio questa collocazione che resta anche per i periti d'ufficio Casarosa e Held inspiegabile, come le tracce di esplosivo sui bagagli appaiono incongruenti con un'esplosione esterna per l'ovvia protezione della parte della fusoliera, come lo erano con l'esplosione interna dal momento che il bagagliaio anteriore ove si trovavano era più che schermato rispetto alla toilette sede ipotizzata dell'ordigno.

L'unico meccanismo accertato da questi consulenti, ma già indicato dal collegio Misiti, era quello del trasporto per via d'acqua. Reso possibile dal fatto che TNT e T4 sono poco solubili. I residui indecomposti si sarebbero potuti depositare sugli oggetti che galleggiavano in prossimità. Quello deposto sull'esterno del foro del gancio, si è decomposto sotto l'azione dell'ossigeno e della luce; quello nel foro, protetto dall'azione degli agenti atmosferici, può essere rinvenuto a distanza di anni. Meccanismo accettato, ma in via di ipotesi, da quei consulenti. E a dire il vero se sul piano astratto accettabile, in concreto lo sarebbe solo se confortato da prove concrete. Perciò allo stato resta soltanto una spiegazione più probabile delle altre di un fatto altrimenti inspiegabile.

Ma oltre l'esplosivo, le tracce di esplosione. A dire il vero tra le migliaia di reperti solo il vestito della bambola mostra segni di bruciatura, così come tra le centinaia di schegge solo due mostrano segni di tal genere. In effetti le vicende delle schegge, come s'è detto, hanno subito tali inquinamenti, di certo per molti aspetti volontari, da non rendere più saldamente sostenibile alcuna tesi, in particolare di provenienza dallo skin della fusoliera, quindi con direzione esterno-interno e perciò di esplosione esterna. E tale considerazione induce a presumere l'intervento di una qualche manipolazione dolosa, anche se non v'è alcun indizio di ambiti e livelli ove essa sarebbe avvenuta.

Anche il vestito della bambola non ausilia in modo determinante. Di esso non si può che ripetere - anche se altra ipotesi è stata adombrata dai periti d'ufficio, ipotesi che può tenersi in considerazione, ma che non riesce a superare quella del DRA e cioè che in any case the evidence of an explosion which it bears cannot be ignored wherever it was found - in ogni caso le evidenze di una esplosione che esso porta non possono essere ignorate da qualsiasi parte esso sia stato trovato. Ma non è dato sapere ove quella bambola si trovasse prima del disastro, giacchè essa fu rinvenuta nella cabina di pilotaggio e quindi essa era di certo in quella passeggeri, in possesso di una bambina di cui si può solo stimare che fosse probabilmente seduta alla prima fila.

Per cui da tali evidenze non è possibile trarne una geometria di esplosione.

In conclusione non si deve dimenticare quanto il DRA (già Rarde) ricordava ai collegi d'ufficio e cioè l'evidenza positiva, secondo cui un'esplosione si era verificata.

Quindi il terzo fondamentale accertamento relativo ai segni sul relitto. Il relitto, e su questo punto non sono apparsi voci discordi degne di esser prese in considerazione, non reca alcun segno di penetrazione di schegge ad alta velocità dall'esterno verso l'interno, nè dall'interno verso l'interno, nè attraverso parti interne al velivolo.

9. La ricostruzione del break-up.

Non apparendo chiari segni di una causa piuttosto che di altre, periti e consulenti con un metodo più che fondato si sono proposti di ricostruire le modalità di rottura dell'aeromobile. Su tale questione tiene ancora la ricostruzione effettuata dagli strutturalisti aeronautici del collegio tecnico scientifico. Da essa tutti partono e i più la condividono. Si basa sulla incontestabile constatazione che la fase della frammentazione è durata non pochi secondi e che il velivolo procedeva alla velocità di 230m/sec, cosicchè le varie parti sono cadute e sono affondate in una successione temporale che ne ha determinato la collocazione sui fondali. Dalle posizioni sul fondo del mare si ricava una precisa sequenza di frammentazione.

"Il primo principale evento che si è verificato a bordo e che ha determinato l'inizio del collasso della struttura è stato il cedimento dell'attacco anteriore del motore destro in corrispondenza del vincolo con l'ordinata 786... Immediatamente dopo si è avuto il distacco del motore sinistro per cedimento completo dell'ordinata di attacco 786 e il cedimento dell'ordinata di forza 642... Il cedimento dell'ordinata di forza 642 ha determinato, in rapida sequenza il distacco, in corrispondenza ad essa, della parte posteriore della fusoliera e la sua distruzione... Subito dopo questi eventi si è avuto il distacco del tronco di coda e dell'estremità della semiala sinistra. Il resto del relitto non ha subito ulteriori importanti frammentazioni durante la caduta e si è distrutto al momento dell'impatto con la superficie del mare".

Questa sequenza, specie per quanto concerne il fatto che il motore destro si sia staccato prima del sinistro, sembra accettata da tutte le parti, eccetto che dalla Davanzali. Ed è anche suffragata dalle modalità di cessazione delle varie utenze, come il FDR e il VCR; apparati alimentati da un generatore collocato nel motore destro. La subitanea cessazione delle loro registrazioni è giustificata proprio dal fatto che è stato il motore destro a staccarsi per primo. Così come è suffragata dalla analisi frattografica dei frammenti, che così afferma sul motore destro "sentita direttamente l'azione dell'evento che ha prodotto la caduta del DC9, il motore destro si è distaccato in corrispondenza della travatura di attacco anteriore provocando prima il cedimento del montante interno destro dell'ordinata 786 per flessione verso dell'aereo".

Algostino, Pent e Vadacchino, che condividono questa sequenza a tal punto rilevano che una volta localizzato il danno, iniziato da un'azione applicata al motore destro ed al suo collegamento con la fusoliera attraverso l'ordinata 786, si deve individuare quale possa essere stata la causa di tale azione, problema di facile soluzione, riconoscono questi consulenti dal momento che tale parte della fusoliera ha un ruolo strutturale particolare. E a tal proposito si deve ricorrere a quella parte scritta dagli strutturalisti nella relazione del collegio tecnico-scientifico.

"Dalle analisi effettuate sia nella Parte IV della Perizia sia nei paragrafi precedenti emerge con plausibile certezza che, al verificarsi dell'incidente, si è avuto il pressoché contemporaneo cedimento degli attacchi anteriori dei motori della fusoliera con leggero anticipo del cedimento dell'attacco destro rispetto a quello sinistro, dell'ordinata 642 e del sistema di vincolo del tronco di coda alla parte posteriore della fusoliera.

L'esame della documentazione fornita dalla Mc Donnel-Douglas e riportata in Doc.I-1, consente di rilevare che i predetti elementi risultano elementi critici del velivolo quando esso è sottoposto a condizioni di carico derivanti da manovra bilanciata al massimo valore del fattore di carico di manovra e raffica.

In altre parole, se il velivolo viene sottoposto a condizioni di carico derivanti dal superamento del massimo valore del fattore di carico a causa di effetti combinati di manovra e raffica, su di esso agiscono accelerazioni e, quindi, carichi inerziali che, in aggiunta a quelli di esercizio, possono essere tali da determinare il cedimento della struttura del velivolo in corrispondenza dei predetti elementi critici.

Sulla base di queste considerazioni può pertanto formularsi la plausibile ipotesi che, al momento dell'incidente, il velivolo sia andato soggetto alle predette condizioni di carico che, attraverso il cedimento degli elementi critici della struttura del velivolo, abbiano poi innescato la sequenza degli eventi in precedenza discussa".

Esiste perciò, ne concludono Algostino ed altri, un meccanismo che non è quello innescato dall'esplosione di un ordigno esplosivo nella toilette, che è in grado di produrre proprio la sequenza di rotture descritte. E tale meccanismo avrebbe inoltre la caratteristica di non lasciare alcun segno caratteristico di natura macroscopica sul relitto.

10. La generazione delle due ipotesi: missile e quasi collisione.

A questo punto si generano, si può dire, le due tesi che possono fondarsi sulle evidenze sin qui emerse e gli accertamenti compiuti. Da un lato quella che vede come causa prima l'esplosione di un missile; dall'altra quella che ne vede la frattura dell'ala sinistra, cagionata da near collision. La prima come s'è visto, è sostenuta dalle parti civili; l'altra deriva da conclusioni dei periti d'Ufficio Casarosa e Held, che a loro volta raccolgono conclusioni di radaristi e frattografi.

10.1. Approfondimento dell'ipotesi di abbattimento per missile.

A proposito della prima tesi molti, specie nel mondo scientifico e militare anglosassone, hanno scritto sui danni da missile, come hanno mostrato Algostino Pent e Vadacchino, che hanno attinto non poche cognizioni da quella letteratura. E così si riconosce che il principale meccanismo di distruzione delle testate è usualmente la frammentazione, ma non deve escludersi la detonazione come meccanismo secondario. A contrasto di chi progetta missili e deve prevederne gli effetti distruttivi, chi progetta velivoli, ovviamente militari, deve prevederne la sopravvivenza o survivability. E quindi deve progettarne la resistenza sia principalmente alle schegge, sia anche però all'onda di detonazione. Questo per gli aerei militari. Una tale resistenza certamente non è prevista per velivoli civili, tanto più per un aereo con la struttura e le mansioni del DC9. E' ovvio che un velivolo civile di queste dimensioni non abbia alcuna difesa per sopravvivere sia alle schegge che alla detonazione. E nel Military Handbook, più volte citato nel documento di Algostino et alii, si dà pure, della survivability, la misura - che per la sua semplicità, se non petizione di principio - non può non condividersi. "La misura della vulnerabilità di un aereo ai carichi prodotti da una detonazione esterna è il volume di vulnerabilità o inviluppo entro il quale la detonazione di una prefissata carica di una testata produce il prefissato livello di abbattimento e al di fuori della quale la detonazione non produce danno al velivolo". Da quella della sopravvivenza discende, a contrario, quella di vulnerabilità, in cui ragionevolmente si afferma che le componenti critiche su di un velivolo sono quelle che se danneggiate o distrutte porterebbero all'abbattimento. Tra le componenti critiche il sistema strutturale, che pur se, o proprio perchè, il più robusto del velivolo, se danneggiato è sufficiente a causare l'abbattimento. E proprio queste parti strutturali sono parti critiche rispetto alla vulnerabilità dell'onda d'urto prodotta dalla detonazione; principalmente in parti della struttura come le ali e nelle superfici di controllo. Il meccanismo di rottura di questi componenti comprende le deformazioni strutturali e gli effetti aerodinamici della raffica. L'onda di detonazione agisce con lo stesso meccanismo della raffica.

Una serie logica di deduzioni, sul piano teorico più che motivata e quasi, fino a prova contraria, inattaccabile. Nel caso concreto i consulenti devono però concentrare, giacchè ben ricordano che sul relitto non vi sono evidenze di schegge, la loro attenzione - e quindi porre a fondamento della propria tesi - sulla categoria delle testate a detonazione, quelle cioè in cui, come già s'è detto, il meccanismo primario di danneggiamento è l'onda di pressione a forma sferica in espansione prodotta dalla detonazione della carica (e in cui il contenitore della carica di esplosivo è relativamente sottile).

10.2. Le testate a prevalente detonazione.

I consulenti non possono affermare che esistano testate a sola detonazione. La loro unica fonte, come s'è visto, è Sewell - criticato fortemente sul punto dal perito d'Ufficio Held - il quale assumeva che tale fosse l'AA-6 di fabbricazione sovietica. Devono poi asserire, premettendo che la testata è la parte meno sofisticata del missile e quindi ne è facile sostituire il contenitore, che Paesi utenti possano modificarla, impiegando al posto di quello del Paese costruttore un contenitore in alluminio.

Tutto è possibile, ma molti sono i presupposti di fatto - a partire da quello che nella fattispecie il missile fosse stato lanciato da un'Aeronautica di un Paese non costruttore diretto del missile - la cui esistenza si deve dimostrare. A prescindere dalle argomentate dissertazioni principalmente sui meccanismi di danneggiamento causati dall'onda di detonazione; cioè Carico dinamico e carico di sovrappressione, i due meccanismi di danneggiamento collegati, ma per certi aspetti indipendenti, entrambi letali. Il primo è legato alla velocità del fronte d'onda e dipende in modo critico dalla velocità relativa del velivolo e dell'aria nel punto d'onda; può essere ritenuto come un elevato aumento della resistenza aerodinamica incontrata dal velivolo. Il secondo è indipendente da tale velocità ed è un aumento della pressione statica applicata alle pareti del velivolo. La sovrappressione, agendo sulla sezione critica del DC9, ha prodotto - ne deducono quei consulenti - il distacco del suo motore destro. Non è necessario produrre fori, se ne deduce, per ridurre la capacità di volo di un aereo. La sovrappressione dinamica è in grado di applicare da sola al motore destro una forza tale da produrre la rottura del suo vincolo con la fusoliera.

I consulenti riconoscono che un approccio teorico al problema della sopravvivenza dei velivoli è sostanzialmente impraticabile. Così come per gli approcci sperimentali. Gli esperimenti sono sempre statici e in conclusione si deve riconoscere che un aereo sopporta un sistema di carichi completamente diverso e più severo in volo di quando è staticamente sospeso o appoggiato. Si deve tener conto, nel calcolo dell'influenza della distanza sugli effetti di una carica, anche della riduzione di tale distanza dovuta al moto relativo tra onda di detonazione e velivolo. Quindi altra brillante serie di argomentazioni, priva però allo stato di sostegni in fatto e che deve ammettere che per la maggior parte dei missili vale l'associazione dell'azione dovuta alle schegge a quella dovuta all'onda di pressione; negli AA-2 Atoll, negli AA-6Acrid, nell'HATCP, nel Sidewinder.

Sulla base di queste affermazioni si criticano le conclusioni della Misiti, secondo cui non esistevano fori dovuti a schegge sui rottami del DC9 ed era impossibile con la sola detonazione abbattere un velivolo. Che per di più nell'80 non erano operative teste di guerra a pressione. E non solo: che questo tipo di danni era del tutto trascurabile per le teste da frammentazione che esplodono alla miss distance dal bersaglio. Miss distance di certo provata dal fatto che non vi erano segni di fori da schegge.

Queste conclusioni vengono controbattute con argomenti forti, ma non del tutto inattaccabili. In primo luogo non esistono catalogazioni ufficiali degli apparati missilistici. E quindi l'affermazione secondo cui non esistevano testate che producessero schegge appare una pura affermazione apodittica. Quanto alla mancanza di schegge per esplosione a miss distance, questo può accadere perchè esistono ampie zone intorno all'aereo entro le quali le schegge colpiscono in minima percentuale. Ma nel nostro caso non se n'è trovata una, nè a minima od altra percentuale. Non v'è prova cioè che il velivolo sia stato raggiunto nè da un buon numero di schegge o solo da poche. E a queste obiezioni si tenta di rispondere, affermando che i fori c'erano, hanno costituito inviti, lungo tali inviti si sarebbero determinate fratture. Il ragionamento è valido, ma non vi sono prove concrete che sia andata così. Da nessuna perizia, tanto meno quella frattografica, emergono fratture riconducibili ad inviti o serie di inviti.

10.3. Il distacco del motore destro.

Da ultimo deve tornarsi sulle modalità di distacco del motore destro. Un evento del genere, si premette, si verifica se il motore è soggetto ad una spinta diretta dalla parte anteriore verso quella posteriore; opposta quindi a quella dovuta alla propulsione nelle normali condizioni di volo. Tra l'attacco anteriore e quello posteriore - anche su questo si può essere d'accordo - vi sono differenze. Gli elementi strutturali di attacco sono perciò dimensionati per sopportare una spinta in avanti pari alla spinta del motore - circa 70kN - oppure una forza di segno opposto, di entità sicuramente minore. Se vi è stata detonazione sul davanti del motore ne è derivata: 1- la deformazione per instabilità dell'attacco posteriore- e ciò spiegherebbe tra l'altro lo schiacciamento del pilone e degli elementi in esso contenuti. 2- L'aumento delle sollecitazioni di trazione del braccio di leva, e la sua conseguente rottura. 3- Il distacco del motore a partire dalla parte anteriore fino alla rottura dell'attacco posteriore. Come si può essere d'accordo sui calcoli della forza applicata da un'onda di detonazione al motore.

10.4. Le altre cause ed effetti.

Ma l'onda di detonazione ( sono gli stessi consulenti a rilevarlo - che ha investito tutte le strutture del velivolo con gli effetti di una raffica, a causa della sua durata temporale, non sarebbe stata in grado di produrre da sola un incremento del fattore di carico tale da causare un cedimento della struttura dell'aereo. Si deve supporre perciò che altre sollecitazioni abbiano agito sugli attacchi dei motori, e in particolare Algostino et alii ne suggeriscono due, che, una volta supposta un'onda di detonazione, possono con una certa fondatezza accettarsi, e cioè l'improvvisa variazione dell'assetto di volo indotta dalla stessa onda di detonazione; lo spengimento del motore destro a causa sempre di questa onda per la sua temperatura e velocità; spengimento che avrebbe cagionato a sua volta un'ulteriore sollecitazione sulle ordinate di attacco.

Questa detonazione d'altronde avrebbe distaccato alcuni frammenti della fusoliera senza danneggiare in modo decisivo la trama di correnti ed ordinate. E quindi la fusoliera potrebbe aver conservato la compattezza strutturale fino all'impatto sul mare. Citando il Bak, gli effetti della detonazione si potrebbero essere estesi nell'interno del velivolo e avrebbero potuto danneggiare i fili dell'impianto elettrico, le linee idrauliche, le pareti dei contenitori del combustibile ed altri componenti interni localizzati nelle vicinanze del rivestimento del velivolo.

D'altronde la tipologia di alcuni danneggiamenti è tale da indurre a ritenere che la causa iniziale dovesse essere collocata nella parte anteriore destra della fusoliera. Questa constatazione è in netto contrasto con l'ipotesi di una esplosione all'interno della toilette, e il collegio Misiti non ha dato risposta su tale evidenza. Così come ha rilevato anche il PM; anche se in requisitoria si accetta solo l'evento repentino che avrebbe interessato immediatamente la parte superiore della fusoliera in un tratto ove passavano i condotti di alimentazione dell'impianto.

Lo scenario descritto giustificherebbe l'ingestione di parti estranee nel solo motore destro, che è l'unico elemento di diversità tra i due motori . Giustificherebbe il ritrovamento dei frammenti AZ52 e AZ204 in una zona distante da quella della restante fusoliera; tali frammenti si sarebbero potuti distaccare in quota e non aver seguito il resto della fusoliera. Giustificherebbe la mancanza di molte parti del fianco anteriore destro della fusoliera, che potrebbero essersi distaccate al momento dell'esplosione ed essere finite in mare lontano dalla zona C. Giustificherebbe, una volta per tutte, il rinvenimento delle due note schegge con inequivocabili segni di esplosione, che risultano esser penetrate all'interno della cabina. Giustificherebbe, questa possibilità della parziale apertura della fusoliera, anche quei segni di contatto con schegge arroventate di cui sono testimoni alcuni oggetti contenuti nella parte anteriore della cabina.

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