Capitolo V

Perizia Tecnica Blasi ed altri - 17.03.89.

Nel novembre 84 - l'anno della formalizzazione - il GI ordinava perizia tecnica nominando il seguente collegio: il professore Massimo Blasi, ingegnere, il dottor Ennio Imbimbo, ingegnere, il professore Leonardo Lecce, ingegnere, il professore Mariano Migliaccio, ingegnere, e il professore Carlo Romano, medico-legale (v. ordinanza d'incarico peritale, GI 08.11.84).

Questa perizia aveva di mira, come risulterà palese dai quesiti che verranno proposti, una ricostruzione complessiva dell'evento e l'individuazione delle sue cause, mediante le cognizioni dei membri del collegio, che questa volta appare numericamente sufficiente ed organicamente composito, quasi a riempire il vuoto determinato dalle assenze del collegio della Procura e a riprendere gli spazi occupati negli anni precedenti dalla Commissione Luzzatti.

Detto collegio prestava giuramento il 21 successivo e ad esso questo Ufficio chiedeva di rispondere, previa consultazione della documentazione tecnica in atti, ai seguenti quesiti:

1. se al momento dell'incidente l'aereo DC9/10 I-Tigi percorresse l'aerovia assegnatagli dal controllo traffico aereo di Roma competente per territorio ed alla quota pure assegnata;

2. se il sistema radar, al momento dell'incidente, ebbe a registrare interferenze di altri oggetti che avessero potuto determinare l'incidente; in caso positivo di descrivere ogni elemento utile per la individuazione delle interferenze;

3. se, alla stregua delle risultanze delle analisi eseguite ed acquisite in atti o da eseguirsi, potessero eventualmente trarsi elementi di giudizio su una possibile azione di esplosivo, ed, in caso positivo, se si trattasse di fenomeno esterno o interno, concentrato o diffuso;

4. se, sulla base di quanto all'epoca disponibile dei rottami dell'apparecchio, di eventuali corpi estranei presenti nelle salme o in altri oggetti connessi con il fatto di cui era processo e con eventuali ulteriori accertamenti, insieme con i risultati delle analisi di cui al quesito precedente, fosse possibile identificare la natura e la causa dell'incidente;

5. se, sulla scorta dei documenti medici in atti e di eventuali altri documenti, fosse possibile accertare le cause ed i mezzi produttori della morte degli occupanti dell'aeromobile, e ciò sempre al fine di accertare la genesi dell'incidente di volo;

6. se, per la penetrazione delle schegge con riferimento alla collocazione e profondità raggiunte da esse nei vari materiali dell'aereo e nelle vesti e nei corpi degli occupanti e di ogni altro oggetto rinvenuto e riferibile all'incidente, fosse possibile desumere se l'eventuale fenomeno esplosivo fosse stato di origine endogena o esogena rispetto all'aeromobile;

7. di riferire infine ogni altra eventuale e possibile ipotesi sulla causa del disastro, nonché qualsiasi altra rilevazione utile ai fini di giustizia.

Il GI informava inoltre il collegio che, ove lo avesse ritenuto possibile ed opportuno, avrebbe potuto:

1. richiedere il recupero degli ulteriori relitti sommersi dell'aereo;

2. esaminare ogni eventuale relitto di aereo ed in particolare di quello che, secondo quanto riferito dal Presidente della Commissione di inchiesta del Ministero dei Trasporti, si sarebbe trovato a Seoul;

3. disporre la riesumazione delle salme (v. verbale incarico peritale 21.11.84).

Alla prima riunione peritale il collegio deliberava di dover acquisire: le registrazioni dei colloqui TBT, le strisce di volo relative al velivolo Itavia I-Tigi, nonché le registrazioni radar di Roma ATCAS ed ogni altra registrazione e documentazione radar resa disponibile dal Ministero della Difesa e dal Comando NATO, e relative al volo in oggetto, ed infine la più ampia documentazione relativa all'aeromobile abbattuto in Corea. Proponeva inoltre: a. la simulazione di un volo e relativa registrazione radar per appurare eventuali interferenze indipendenti da effettivi oggetti in volo, e b. la riesumazione delle salme (v. verbale operazioni peritali, 15.12.84).

Successivamente nel luglio 85, a seguito delle prime indagini svolte, il collegio peritale veniva autorizzato ad effettuare le seguenti ulteriori indagini:

1. procedere alla esumazione delle salme di Calderone Vincenza e D'Alfonso Francesca;

2. esaminare il relitto dell'aereo Coreano KAL 007 custodito in Corea del Sud;

3. procedere alla richiesta di uno studio di fattibilità per il recupero del relitto (v. verbale di incarico per quesiti aggiunti, 20.07.87).

Le operazioni e i lavori peritali dureranno anni, anche perché fu deciso il recupero del relitto dai fondali del Tirreno e le relative campagne si svolsero nei periodi maggio-luglio 87 e 17 aprile-25 maggio 88.

Nel luglio 87 il GI poneva al collegio un ulteriore quesito e cioè di svolgere ogni indagine utile sugli oggetti recuperati dalla società Ifremer, appartenenti all'aereo I-Tigi DC9 della soc.Itavia, nonché - dal momento che la predetta attività di recupero non era ancora ultimata - sugli oggetti che sarebbero stati successivamente recuperati, anche con riferimento ad eventuali resti umani (v. verbale integrativo, 20.07.87).

La relazione finale veniva depositata nel marzo dell'89.

Il testo delle risposte ai sette quesiti fu il seguente:

1. Al momento dell'incidente l'aereo DC9 I-Tigi percorreva l'aerovia assegnatagli dal Controllo del Traffico Aereo di Roma Ciampino (Ambra 13) alla quota stabilita (25.000ft). Fino al momento dell'incidente il volo è stato regolare.

2. Il sistema radar di Roma-Fiumicino ha rilevato la presenza nella zona dell'incidente di un congruo numero di segnali (plots) relativi ad un aeromobile delle dimensioni di un aereo da caccia e la cui traiettoria, in proiezione orizzontale, era quasi normale a quella del DC9 I-Tigi. Quest'aeromobile non è venuto in collisione con il DC9 e successivamente all'incidente si è allontanato. Si hanno elementi per ritenere che questo aeromobile sia interessato all'incidente, ma non si hanno elementi sufficienti per precisarne il ruolo (aggressore o bersaglio).

3. Dalle analisi riferite in atti e da quelle espletate dal collegio peritale emergono evidenze a favore dell'ipotesi che l'incidente sia da attribuire all'azione di un esplosivo ad alto potenziale. Gli elementi a disposizione sono convergenti nel far ritenere che si è trattato di un evento esterno all'aereo DC9 I-Tigi, probabilmente avvenuto in corrispondenza della parte anteriore dell'aeromobile, in una zona relativamente concentrata.

4. Tutti gli elementi a disposizione fanno concordemente ritenere che l'incidente occorso al DC9 I-Tigi sia stato causato da un missile esploso in prossimità della zona anteriore dell'aereo. Allo stato odierno mancano gli elementi sufficienti per precisare il tipo, la provenienza e l'identità del missile stesso.

5. Le lesioni traumatiche descritte sui corpi recuperati sono di varia entità: dai tronconi si passa a salme relativamente ben conservate. Per i motivi esposti nel corso della relazione medico-legale, si deve pensare ad azione traumatiche di natura diversa. In base alle risultanze l'osservazione medico-legale è congruente con l'ipotesi di esplosione a genesi esogena, ad opera di un missile.

6. Dal tipo delle traiettorie e delle profondità di penetrazione dei vari frammenti ritrovati nei cuscini, negli schienali, e nei cadaveri appare accertato che si sia trattato di un fenomeno esplosivo esogeno, esterno all'aereo come già detto in precedenza.

7. La risposta a questo quesito è compresa nelle risposte ai sei quesiti precedenti. Per i risultati specifici acquisiti sui reperti recuperati dall'Ifremer si rinvia al par.IV.A.3 della presente relazione (e cioè dell'elaborato peritale). (Relazione del collegio peritale, 16.03.89, depositata il 17.03.89).

Indipendentemente dal giudizio di merito su questo elaborato che sarà dato più oltre, e delle vicende che avrà in seguito questo collegio, si deve rilevare, in questa sede, che la perizia appare il primo esame complesso dei reperti e dei documenti dell'inchiesta ed il primo tentativo - a parte Luzzatti, che però si riserva più complete conclusioni in esito ad eventuali recuperi - di dare una risposta d'ordine generale alle cause del disastro. Il risultato sono due volumi di relazione e quindici volumi di allegati.

Volume I

Il primo volume è diviso in tre parti. La prima dedicata alle premesse, la seconda all'esame dei documenti a disposizione dell'AG, la terza alle attività svolte dal collegio dei periti prima del recupero del DC9 I-Tigi. Il secondo volume è anch'esso diviso in tre parti, la quarta dedicata al recupero del DC9 I-Tigi, la quinta alle osservazioni medico-legali, la sesta alle considerazioni conclusive.

Nella parte prima appare d'interesse il capo I-D dedicato agli avvenimenti, in particolare alla storia del volo, che così viene ricostruita.

L'aeromobile, identificato con il nominativo IH870, immatricolato I-Tigi, della società Itavia, aveva iniziato il volo decollando dall'aeroporto di Bologna il giorno 27 giugno 80 alle ore 18.08GMT. Il volo era partito in ritardo sull'orario previsto per le ore 16.15, per ritardato arrivo dell'aeromobile. Da "Roma Radar", sulla frequenza 124.2Mhz, alle ore 18.21'00" aveva ricevuto la richiesta di inserire il codice 1136 sul trasponder e l'autorizzazione a procedere per Palermo via Bolsena-Puma-Latina-Ponza-Ambra 13. Il volo si era svolto regolarmente, sempre in contatto con l'Ente di controllo del Traffico Aereo, autorizzato a quote diverse fino al livello di crociera FL290 (pari a 29mila piedi o 8840m), raggiunto ad ore 18.31'56". Tale livello di volo era stato mantenuto fino ad ore 18.46'31", orario al quale il pilota aveva lasciato il livello FL290 in discesa per quello FL250, dietro sua specifica richiesta e conseguente autorizzazione su frequenza di settore radio 127Mhz.

Alle ore 18.50'45" il pilota dell'IH870 rispondeva di essere prossimo al livello FL250. Alle ore 18.56'00" il pilota riportava di essere sulla posizione Ambra 13 Alfa e riceveva da parte del controllore radar l'informazione di essere leggermente spostato (circa 4 miglia) sulla destra della posizione riportata e l'autorizzazione a collegarsi sulla frequenza 128.8Mhz di Roma controllo, in quanto il servizio Roma Radar terminava in quella posizione geografica. Il controllo autorizzava il volo IH870 a collegarsi con Raisi VOR, specificando che nessun ritardo era previsto per l'avvicinamento.

Alle ore 18.59'45" si ha l'ultimo segnale secondario del transponder, corrispondente alle coordinate 39°43'Nord e 12°55'Est, allorchè l'aeromobile appare livellato a quota 25.000 piedi (FL250) e stabilizzato sulla rotta assegnata. Alle ore 19.04'08" il controllore in servizio chiama il volo IH870, autorizzandolo, quando pronto, a scendere a FL110. Successivamente il controllore, non avendo ricevuto risposta dal pilota, chiama e fa chiamare ripetutamente da altri aerei in volo l'IH870 senza ricevere alcuna risposta.

A partire dalle ore 19.06.00 furono messe in moto tutte le procedure previste per la ricerca e soccorso di aeromobile. Ne risultò che l'aereo era precipitato ed affondato in mare in una zona del mar Tirreno tra le isole di Ponza ed Ustica; che gli occupanti dell'aeromobile erano 81 persone, di cui 77 passeggeri e 4 membri dell'equipaggio; che non vi erano stati superstiti.

Quanto al recupero delle parti dell'aeroplano e del suo carico, esso iniziò solo la mattina del giorno successivo, a causa dell'oscurità e della forza del mare durante la notte. Complessivamente furono ritrovate n.38 salme ed un troncone di corpo umano.

La situazione meteorologica al momento dell'incidente era quella del bollettino Sigmet, avente validità 14.00/20.00 del giorno 27 giugno, da cui risultava: "severa turbolenza in aria chiara prevista sulla FIR di Roma tra i livelli 140 e 420.Temporali isolati previsti sulla FIR di Roma. Intensità stazionaria". Il vento alla quota dell'I-Tigi aveva velocità di 100 nodi (100Kts) con direzione 260°.

Il collegio passava poi, nella parte II, all'esame dei documenti già a disposizione dell'AG, e cioè quelli concernenti:

1. le attività svolte dai laboratori dell'Aeronautica Militare Italiana;

2. le relazioni inerenti le interpretazioni sui radar;

3. le relazioni dei periti nominati dalla Procura della Repubblica di Palermo;

4. la relazione della Commissione del Ministero dei Trasporti e dell'Aviazione Civile.

Di tali documenti s'è data contezza nelle parti precedenti e non v'è ragione di ritornarvi, giacchè i periti puntualmente passano in rassegna i risultati dei passati esperti specie quelli dell'AM e i radaristi.

La parte III è dedicata alle attività svolte dal collegio prima delle operazioni di recupero.

Questo collegio, come s'è detto, è il primo che si propone di affrontare in modo complessivo ed organico la problematica dell'incidente. Esso stesso rileva che la gran parte del materiale documentale già prodotto, probabilmente perché generato in tempi diversi e da differenti persone ed enti, appariva con evidenza frammentaria e confusa, senza che si fosse operato alcun tentativo di sistematica acquisizione delle informazioni e dei dati. Le stesse relazioni, continua il collegio, pur se alcune di esse, come quelle sugli esplosivi e sulle schegge, apparivano di rilevante interesse, lasciavano trasparire l'assenza di un preciso coordinamento.

Il collegio, aggiungono i redattori della perizia - che già in questa fase preliminare si pongono il problema, che sarà oggetto di doglianze per anni, e vi danno adeguata risposta - si propone di rispondere nella maniera più esauriente possibile ai quesiti del magistrato, prescindendo dalle procedure standard per gli incidenti aviatori previsti dalle norme ICAO, seguite peraltro già dalla relazione del Ministero dei Trasporti.

In primo luogo essi descrivono l'aeromobile, e cioè la sua classificazione, le caratteristiche generali, quelle dimensionali, ponderali ed operative, in un testo ridotto all'essenziale e corredato di figure, testo che merita di essere riportato integralmente, e figure per cui si deve rinviare al corpo della perizia.

"Il velivolo con marchio I-Tigi della società Itavia coinvolto nell'incidente di cui all'oggetto era un aereo di linea del tipo "DC9 Serie 10 Model 15", progettato e costruito dalla società americana Mc Donnell Douglas Co. . Il prototipo del DC9 base ha volato per la prima volta nel febbraio del 65.

Quindi di seguito alcune delle principali caratteristiche dimensionali, ponderali ed operative del velivolo in oggetto:

Caratteristiche generali

Tipo: Aereo di linea bi-getto a corto/medio raggio.

Costruzione: Convenzionale tutto metallo, con parti minori in vetroresina o altri materiali non metallici.

Motori: Due turbofan Pratt & Whitney JT8D-7A, montati in coda.

Sistemazioni: Equipaggio di due piloti, con due o più assistenti di volo.

Capacità di trasporto per 95 passeggeri in classe turistica, disposti in file di 5 sedili con corridoio centrale. Sistema di pressurizzazione e condizionamento dell'aria. Toilette nell'estremità posteriore della cabina. Due ripostigli (Galley) per la conservazione di cibi e bevande, uno in posizione tra cabina di pilotaggio e quella passeggeri, l'altro in coda, di fronte alla toilette. Due porte d'accesso con scalette incorporate, una anteriore lato sinistro e l'altra in coda. Quattro (due per lato) uscite di sicurezza in corrispondenza dei finestrini sull'ala, più un'altra uscita di sicurezza di fronte alla porta d'accesso anteriore.

Due compartimenti vani bagagli al di sotto del pavimento della cabina passeggeri: uno anteriore con portellone d'accesso su lato destro, l'altro posteriore con portellone sul lato destro.

Colorazioni interne ed esterne: da informazioni e dati acquisiti risulta che i sedili in cabina passeggeri prevedevano una tappezzeria con rivestimento in colori a posti alterni rosso e bleu. La colorazione esterna del velivolo era tutta bianca, ad eccezione di una fascia continua lungo i finestrini, di un fregio in coda e della scritta Itavia sui due lati della fusoliera, nonché di una analoga scritta sull'intradosso delle ali, tutte in colore rosso pompeiano.

- Caratteristiche dimensionali:

Apertura alare: 27,235 m

Lunghezza fuoritutto: 31,814 m

Altezza fuoritutto: 8,380 m

Apertura piano di coda orizzontale: 11,231 m

Superficie alare: 86,77 mq

Volume compartimenti vani bagaglio: 17,00 mc

- Caratteristiche ponderali:

Peso a Vuoto: 21.660 kg

Peso Max al decollo: 41.140 kg

Capacità Max Combustibile: 13.925 l.

- Prestazioni (al peso massimo di decollo):

Velocità massima di crociera a 25.000ft (7620m.) 488Kts (903km/h).

Velocità di salita al livello del mare: 2.750ft/min. (838m/min.).

Distanza di decollo: 1.615 m.

Distanza di atterraggio: 1.411 m"

A questa parte ne segue un'altra di pari interesse dedicata alle informazioni operative su:

-Anno di costruzione: 1966.

-N. di serie di costruzione: 45724.

-Società di Ia Immatricolazione: Hawaian Airlines.

-Società di ultima appartenenza: Itavia S.p.A-Catanzaro.

-Certificato di immatricolazione in Italia (Rilasciato dal RAI-Registro Aeronautico Italiano): N.6034 del 9.03.72.

-Certificato di Aeronavigabilità (rilasciato dal RAI): 8697/a. Scadenza 5.10.80.

-Registro attività di volo e manutenzione: Emissione del 26.02.72 in corso di validità."

Quindi i prospetti delle condizioni di manutenzione dei motori e della cellula con la cronistoria degli eventi manutentivi di maggior rilievo in allegato, e un paragrafo dedicato alle prescrizioni di navigabilità in applicazione al momento dell'incidente, sia per la cellula -43- che per i motori -7-, che erano risultate tutte eseguite nei termini, ed un secondo dedicato allo stato degli altri componenti, tutti risultati nei limiti d'impiego approvati.

Segue il paragrafo "Difetti presenti sul velivolo all'atto dell'incidente", ove si afferma che dal foglio delle anomalie compatibili, datato 26.05.80, e dai fogli dei quaderni tecnici di bordo relativi al periodo 22.05 - 27.06.80 erano risultate non eliminate soltanto le seguenti anomalie:

- Indicatore carburante serbatoio centrale non attendibile;

- Finestrino superiore copilota con deformazioni e bolle (02.06.80);

- Scala passeggeri non rientrante elettricamente (22.06.80);

- Cronometro copilota (26.06.80).

Nessuna di tali anomalie era rilevante ai fini della sicurezza del volo.

Non era stato rinvenuto il foglio QTB relativo al transito sull'aeroporto di Bologna - ma su ciò più oltre. Il pilota Palagi, responsabile del volo immediatamente precedente IH881 Palermo - Bologna, aveva però dichiarato che l'unica sua segnalazione era stata "orologio cronometro lato CPL (copilota) U/S.

Le parti dedicate alle condizioni di caricamento e ai sistemi di comunicazione e di registrazione del velivolo, anch'esse meritano di essere integralmente trascritte, sia perché esaurienti sia perché non più modificate nel corso degli innumerevoli elaborati a venire.

- Condizioni di caricamento del velivolo

Le condizioni di peso e bilanciamento del velivolo, così come risultano dalla documentazione agli atti, erano le seguenti:

- Peso al decollo: kg. 36.155.

- Peso previsto all'atterraggio: kg. 32.555.

- Posizione del baricentro: 26.5% CMA (corda media aerodin.)

- Posizione del baricentro prevista all'atterraggio: 26,0% CMA.

Detti valori rientravano nei limiti di impiego relativi al volo.

Le indicazioni di cui al suddetto allegato furono verificate con il Manifesto delle Merci e con il Tabulato Passeggeri relativi al volo in questione (IH870 del 27.06.80).

Per quanto riguarda il carburante imbarcato esso era del tipo mobil jet A1 e la relativa quantità di 7100 litri.

Quanto sopra risultava dal rapporto di consegna n.887 del 27.06.80.

- Sistemi di comunicazione a bordo del velivolo

L'aeromobile era dotato di due apparati ricetrasmittenti VHF tipo Collins 618 H3 aventi i seguenti numeri di serie e data d'installazione a bordo:

Pos. S/N Data Installazione

SX B4003 23.03.80

DX B4006 19.05.80

Inoltre la licenza radio di esercizio era in corso di validità con scadenza 10.12.80 (rinnovo RAI l'11.12.79).

- Sistemi di registrazione a bordo del velivolo

L'aeromobile, in ottemperanza alle prescrizioni RAI, era dotato di un registratore dei parametri di volo del tipo "crash", marca Sundstrand P/N 100640 - 1 S/N Mod.3891, revisionato in data 13.02.80, ancora nei limiti dell'intervallo di revisione.

Tale registratore è in grado di registrare, su nastro di acciaio inalterabile, i parametri fondamentali del volo e cioè: prua, quota, velocità, fattore di carico "G" e tempo.

L'aeromobile era altresì dotato di un Cockpit Voice Recorder, marca Sundstrand P/N 103600 S/N Mod.1476 a registrazione continua, ispezionato il 2.04.80, ancora nei limiti dell'intervallo di ispezione.

Nel corso delle operazioni di recupero, di cui alla successiva parte IV, è stato trovato solo il cockpit voice recorder."

Il collegio provvede poi, allo scopo di raccogliere una completa documentazione, alla esecuzione di fotografie dettagliate della maggior parte - e quindi non di tutti - dei reperti ad esso consegnati dall'AM, anche in considerazione dell'utilità di tale documentazione ai fini di indagini future - come di fatto s'è verificato - mai sino al tempo raccolta con sistematicità. Le foto, riunite nell'apposito allegato concernono sia parti dell'aeromobile che elementi ad esso estranei. In particolare:

a. cuscini;

b. schienali cabina passeggeri;

c. schienale cabina pilotaggio;

d. parti strutturali del DC9 I-Tigi;

e. salvagenti, scivolo di emergenza, arredi, bombola ossigeno;

f. bagagli;

g. frammenti ritrovati nei cuscini, estratti a cura dell'AM;

h. elementi estranei al DC9 I-Tigi;

i. campione di sedile completo, utile al confronto con quelli recuperati;

l. pannello trapezoidale recuperato e individuazione della sua collocazione in vicinanza del carrello;

m. foto allestimento del DC9 I-Tigi,

n. chiodino rinvenuto nel cuscino n.10."

Il collegio provvede altresì alla verifica della rotta del velivolo. La desume dalle strisce di volo o "strips" acquisite agli atti. Queste "strips" originate dalla sala operativa della RIV di Roma, dopo essere state trascritte dalla forma sintetica con sigle ed abbreviazioni in chiaro, sono esaminate e se ne deduce che il velivolo ha seguito la rotta programmata, discostandosene di sole 4 miglia circa sulla destra in direzione di Palermo ovvero ad Ovest, e mantenendosi, al momento dell'incidente, alla quota assegnata. Tale regolarità, si aggiunge, era confermata dai colloqui TBT tra controllore e pilota, come su nastro TBT sequestrato e come, in momento successivo con il recupero, su Voice Recorder.

Successivamente il collegio si sofferma su alcuni dei relitti di maggior rilievo ai fini della ricostruzione dei fatti e cioè il relitto di aerobersaglio, la rotaia della guida poltrone passeggeri, una fascetta del condotto aria, gli schienali, la parte terminale del cono di coda, l'alula fissa sezione interna del flap destro, le carenature dei raccordi ala-fusoliera, lo schienale del sedile pilota, la bombola per l'ossigeno dell'impianto fisso, i portelloni di continuamento del carrello principale d'atterraggio, il frammento del pannello trapezoidale nel vano carrello.

Sul relitto dell'aerobersaglio in primo luogo viene riportata la più che esauriente descrizione che ne aveva fatto il perito Cantoro: "Relitto metallico in lega leggera a sandwich con interposizione di sagomato a nido d'ape in lega leggera; il relitto presenta anche una parte d'attacco in metallo pieno. La forma è ad ala sagomata e rastremata su di un lato, le dimensioni sono 1,30x0,37m e lo spessore max 25mm. La verniciatura è di colore arancione e l'oggetto reca su entrambe le facce il contrassegno tricolore ad anelli concentrici dell'Aviazione Militare Italiana. Su entrambe le facce, con frecce indicanti i punti di attacco, si legge l'indicazione tecnica in lingua italiana relativa ai dati di serraggio con chiave dinamometrica: bullone attacco ala - coppia di serraggio max 1,7kgm. E' evidente la non appartenenza ad aeromobile tipo DC9".

Di conseguenza il collegio, ritenendo che tale descrizione attenesse al reperto al loro esame, ravvisa la necessità di procedere ad esami di laboratorio per giustificare l'assenza, su entrambe le facce dell'ala sagomata e rastremata, di un contrassegno identificativo analogo a quello indicato dal prof. Cantoro.

Le facce del reperto in questione infatti, all'esame visivo, apparivano scolorite in più punti. Richiede pertanto ai laboratori dell'Alfa Romeo di Pomigliano d'Arco esami al fine di:

-effettuare rilievi di spessore del film di vernice sulle varie superfici del relitto;

-determinare le cause della scolorazione riscontrata;

-effettuare l'analisi chimica dei prodotti pulverulenti presenti sul pezzo;

-effettuare l'analisi chimica del materiale base.

Queste le conseguenti conclusioni:

"- lo spessore del film di vernice è compreso fra 25-35 micron, e la disuniformità riscontrata dipende dal processo applicativo;

-le scolorazioni sono state determinate da agenti chimici;

-i depositi pulverulenti sulle zone scolorite contengono gli stessi elementi metallici contenuti nella vernice, anche se in rapporti ponderati diversi, ad eccezione dell'alluminio che non è contenuto nella vernice;

-la lamiera e l'honeycomb sono in lega di alluminio.

E' stato accertato trattarsi di una delle due superfici portanti di un velivolo bersaglio, normalmente usato come oggetto in volo per bersaglio di missili appartenente all'Aeronautica Militare italiana.". Il collegio stabilisce quindi che il relitto in questione, è quello recuperato in Baia Domizia il 2.08.80 e non quello descritto dal prof. Cantoro menzionato dall'AM, recuperato invece il 20 settembre dello stesso anno nei pressi dello stretto di Messina in base alla seguente ricostruzione.

"Successivamente dall'esame di due documenti agli atti, è risultato che si riferisce di due relitti appartenenti ad aerobersagli. In particolare in un primo documento, della Commissione del Ministero dei Trasporti, si riferisce del ritrovamento di un relitto di aerobersaglio in data 02.08.80 sulla spiaggia di Baia Domizia (CE); in un secondo documento, redatto dallo SMA, si afferma, con riguardo al ritrovamento in data successiva (20.09.80) di un altro relitto di aerobersaglio nello stretto di Messina, che tali reperti possano essere messi in relazione ai lanci effettuati per conto dell'AMI nel periodo compreso tra giugno del 1979 e il gennaio del 1980 ai fini esercitativi per l'impiego di missili terra-aria tipo HAWK. Nel suddetto documento si riferisce pure che furono impiegati più aerobersagli dei quali almeno due erano contrassegnati dalla coccarda tricolore.

Dall'esame approfondito di tutta la documentazione in possesso, non esiste accenno ad eventuali esami eseguiti sul reperto di Baia Domitia, slavo quello relativo al confronto tra la vernice (di colore arancione) del relitto e quelle rosse riscontrate su alcuni reperti sicuramente appartenenti al DC9 I-Tigi. Il confronto che dette esito negativo fu fatto dai laboratori AMI in data 30.07.81 (allegato alla relazione AMI del 22.10.81).

Si osservi inoltre che il reperto di Baia Domizia, che dovrebbe essere stato in mare per almeno sette mesi, non mostra segni di corrosione marina anche sulle parti non verniciate.

Un tentativo di esperimento per studiare la resistenza del reperto all'azione dell'acqua di mare, non ha dato risultati significativi.

In relazione al secondo reperto di aerobersaglio, quello recuperato nello Stretto di Messina, ed esaminato dal prof.Cantoro dopo varie indagini, condotte di concerto con il GI dr. Vittorio Bucarelli, esso veniva individuato e consegnato quindi al collegio peritale nel gennaio del 1989. Detto relitto, in uno al precedente, è conservato nell'hangar di Capodichino. Nell'allegato III.D.7 si riportano le fotografie del reperto di aerobersaglio ripescato nelle acque di Messina.

Anche per tale reperto valgono le conclusioni, effettuate per il primo relitto di aerobersaglio, circa la valutazione della effettiva permanenza in mare.

In riferimento ai relitti di aerobersaglio di cui s'è detto, è opportuno anche considerare quanto segue, estratto testualmente dal Giornale di Bordo della Nave Carducci, impiegata per i recuperi:

-"...alle ore 13,48 in latitudine 39°04'N e longitudine 13°10'E si avvista il relitto di circa 6m longilineo di colore bianco con estremità triangolare rossa semisommersa. Si comunica posizione alla Capitaneria di Porto di Napoli che ordina di restare in zona in attesa di ordini. Detto bersaglio nonostante sia stato mantenuto sotto controllo per diverso tempo e non avendo le possibilità di metterlo a bordo dopo due ore di pendolamento nella zona, alle 15.45 se ne perdono le tracce e si presume che sia affondato. Comunicato alla nave Doria...".

Il collegio peritale, pur riscontrando una certa possibile corrispondenza tra quest'ultimo relitto affondato e il corpo centrale dell'aerobersaglio descritto in allegato III.D-5, non ha elementi certi per convalidare tale corrispondenza tenuto conto del fatto che la colorazione esterna del DC9 I-Tigi era proprio bianca e rossa.".

Subito dopo è esaminata la rotaia della guida poltrone passeggeri e la fascetta del condotto dell'aria. Il reperto è un tronco della guida di sostegno delle poltrone, dal lato sinistro dell'aeromobile con la caratteristica scanalatura atta a vincolare gli appositi attacchi presenti alla base dei sedili dell'aereo. Su di esso vengono compiuti gli esami frattografici di superfici di frattura, a vista e microstrutturali, e analisi chimica.

Le conclusioni di questi accertamenti sono state: il materiale non presenta alterazioni nella struttura; la composizione chimica è conforme alle specifiche AMS 4038; le rotture riscontrate sul pezzo sono di tipo fragile, prodotte sotto l'azione di un carico applicativo con velocità superiore o uguale a 5m/s.

La rottura del pezzo è perciò avvenuta per strappo dinamico sotto l'azione di una forza globale applicata a velocità probabilmente alquanto superiore a quella minima indicata.

Quanto al secondo reperto, che trovavasi incastrato nel rottame della guida poltrone, esso viene definito, sulla base della scritta identificativa e del tipo di materiale, come parte di un tratto di tubazione convogliante l'aria di pressurizzazione del velivolo, tubazione alloggiata lungo la fiancata dell'aereo quasi all'altezza del tratto di guida motore.

Al riguardo il collegio ritiene possibile che "la rottura sia attribuibile ad un impatto del tratto posteriore del troncone anteriore della fusoliera con l'acqua, pur restando comunque possibile un meccanismo diverso di applicazione del carico dinamico, come ad esempio, a seguito di onda esplosiva.

Sugli schienali, tenuti presente i risultati dei lavori dell'AM, che su alcune schegge e frammenti aveva rilevato tracce di esplosivo di tipo T4, mentre su altri frammenti aveva constatato i fenomeni di Rolled Edges, Gas Washing e Pitting, segnalatori di evento esplosivo, il collegio al fine di estendere le indagini, si determina a prendere in esame anche gli schienali, i 32 schienali recuperati.

Vengono di conseguenza, da tali schienali estratti ed esaminati n.327 frammenti di cui: 298 non metallici; 23 metallici; 6 di tipo magnetico.

Sulle schegge tratte vengono condotte analisi per la determinazione di eventuali tracce di esplosivo, T4 e TNT, così come vengono definite le loro traiettorie. Su entrambi i risultati, si discuterà più oltre nelle parti rispettive. Qui devono essere riportati i risultati delle analisi delle deformazioni degli stessi schienali. Queste le conclusioni: gli schienali non presentano tracce di incendio; le deformazioni sono congruenti con l'impatto in mare; manifestano lo stesso tipo e le stesse quantità di penetrazione da parte di schegge, dei cuscini esaminati dall'Aeronautica Militare Italiana.

Di seguito il collegio pone a confronto questi risultati con quelli sui cuscini e gli schienali del DC9 ATI precipitato a Capoterra (CA) il 13.09.79. In questo incidente la quasi integrità degli schienali e dei cuscini, e non emergeva alcuna presenza di penetrazione di schegge all'interno del materiale polivinilico. Invece nel DC9 I-Tigi, non solo i cuscini e gli schienali sono stati ritrovati, nella maggior parte, completamente martoriati e deformati, ma è stata riscontrata anche la presenza nel materiale polivinilico di molte centinaia di schegge di varia natura, penetrate da varie direzioni e con varie profondità. Per effetto di questa constatazione il collegio esclude ulteriormente la possibilità che tali intrusioni fossero da mettere in relazione con l'impatto in acqua del DC9 I-Tigi; come esclude anche l'altra ipotesi e cioè che le suddette intrusioni fossero tipiche di collisioni in volo.

Confronta inoltre alcuni di detti reperti con parti di un DC9 Itavia della serie 30 in particolare la parte terminale del cono di coda, la rotaia della guida passeggeri e fascetta del condotto per l'aria di ventilazione, l'alula fissa del flap destro, le carenature del raccordo ala-fusoliera, ed anche gli scivoli d'emergenza, lo schienale del sedile pilota, la bombola d'ossigeno dell'impianto fisso, i portelloni di contenimento del carrello principale d'atterraggio e il frammento del pannello trapezoidale nel vano carrello reperito nel corpo della passeggera D'Alfonso Francesca ed identificato come parte della nervatura posteriore esterna dell'elemento strutturale chiamato "pannello trapezoidale". Formulando ipotesi, alcune delle quali terranno nel tempo ed altre che invece saranno superate sia dalle indagini peritali che dal progresso dell'istruttoria, ma comunque dimostrando non solo di voler spiegare le diverse fratture e distacchi, ma anche di voler tentare una complessiva ricostruzione dell'evento.

Dove però il collegio compie notevoli passi, anche se - e di certo non per sua colpa, ma per quella di chi deteneva la conoscenza in questo specialissimo ambito - senza risultati di certezza e comunque di valore, considerata la particolare materia, è quella delle indagini sui dati radar.

A premessa di questa parte il collegio pone osservazioni che meritano di essere condivise, giacchè danno la misura del rilievo e delle difficoltà di queste indagini, e quindi di essere riportate: "E' opportuno rilevare che le indagini sui dati radar rivestono una grande importanza, sia perchè essi rappresentano una delle poche fonti strumentali dirette di informazioni circa i momenti immediatamente precedenti e successivi all'incidente, sia perché attraverso di essi è possibile la localizzazione, almeno di massima, dello spazio all'interno del quale l'incidente stesso s'è verificato.

Pur tuttavia bisogna osservare che le indagini sui dati radar disponibili, non sono prive di difficoltà, sia per la complessità propria di tali tipi di registrazioni, sia per la circostanza che ci si trova a dover confrontare dati provenienti da sistemi di controllo estremamente differenti tra loro con prestazioni diverse alla distanza relativa cui essi si trovavano rispetto all'aeromobile in volo".

Il paragrafo è diviso in tre parti, la prima dedicata ai rilevamenti del sistema militare di Marsala, la seconda a quelli del sistema civile di Roma-Fiumicino, la terza a quelli del sistema militare di Licola.

"Marsala era attrezzata per la registrazione semiautomatica", così inizia il collegio. "I nastri registrati in questo sito presentavano un vuoto di registrazione a partire da circa 4 minuti dopo l'incidente e della durata di "otto minuti". Dalle indagini era risultato che tale "buco" si era verificato a causa di un cambio di nastri per scopi di dimostrazione ad un operatore della base. Così come era stato precisato anche che il sistema identificava un ritorno radar come traccia allorchè si fosse verificata almeno una delle seguenti condizioni:

-allorquando esso riceveva un numero sufficiente e congruente di ritorni radar;

-era identificato in base al "modo" codice e relativo piano di volo;

-veniva trasferito, già identificato, da un altro sito.".

In atti altre informazioni utili riguardo a tali dati radar non sono state rinvenute dal collegio. E tale constatazione appare oggi impressionante, a confronto delle nozioni necessarie alla interpretazione dei dati radar, nozioni per la cui acquisizione sono stati necessari anni di ricerche, di studi, di attività non di rado contrastate e deviate.

A seguito della consegna da parte di questa AG dei nastri - quelli in giudiziale sequestro dall'ottobre 80 - relativi al radar di Marsala, e cioè i due nastri magnetici con le seguenti etichette identificatrici:

1. PROJ...; date 27.06.80; località Marsala - Name: Riduzione Dati; Type...- dalle ore 11.20Z alle ore 19.00Z del 27.06.80 - dalle ore 19.25Z alle ore 10.47Z del 28.06.80 - Class: RR; FCICD - FCITD - INTER - WEATH.

2. PROJ...; date 27.06.80; località Marsala - Name: Riduzione Dati; Type ...- dalle ore 19.00Z alle ore 19.25Z del 27.06.80 - Class: RR; FCICD - FCITD - INTER - WEATH - e di vari contatti con l'Autorità Militare, con l'ITAV, Ispettorato Telecomunicazioni ed Assistenza al Volo, in particolare nella persona del col. Cerini, il collegio fissava accesso per il 4 marzo 85 presso la base CTSA dell'Aeronautica Militare di Borgo Piave (LT), per procedere alla lettura dei nastri disponibili, ovvero alla "reduction" in tabulati dei relativi contenuti.

Dai tabulati ottenuti si rilevava che:

a) il nastro N.1 conteneva registrazioni relativamente al giorno 27 giugno 80, dalle ore 11 e 20' alle ore 19.04'26"; da questo orario si interrompeva per riprendere alle ore 19.48'49" e continuare sino alle ore 10.47' del 28 giugno 80.

b) il nastro N.2 conteneva registrazioni dalle ore 19.12'09" del 27 giugno 80 sino alle ore 19.22'39"; dopo di che si interrompeva per riprendere alle ore 06.47'44", a giudicare dalla data riportata in fondo al tabulato, sempre del 27 giugno 80. In seguito ad informazioni successivamente acquisite, era risultato che la data era impostata dall'operatore al momento dell'inserimento del nastro nel registratore; che il nastro sovente non è vergine, ma contiene precedenti registrazioni; e che quindi l'orario indicato si può riferire a giorno imprecisato relativo a pregresse registrazioni. Era consuetudine degli operatori del centro - anche questo veniva appreso e riportato dal collegio - usare ciclicamente i nastri disponibili senza effettuare cancellazioni delle precedenti registrazioni.

I tabulati ottenuti dalla lettura di detti nastri, relativamente ai tempi più prossimi all'ora dell'incidente, venivano esaminati e quindi allegati all'elaborato peritale come III.H.1 e III.H.2.

Da tali tabulati, il collegio estraeva, nell'intervallo di tempo compreso tra le ore 18.36'36" e le 19.22'11", 23 tracce radar, aventi codice distintivo diverso. Per ognuna di esse individuava poi tutti i "plots" riportati nei tabulati e messi in ordine di tempo. I risultati di tale elaborazione venivano quindi ordinati in una tabella, precisamente TAB.III.H-1 e riportati in un grafico complessivo alla figura III.H-1.

In questa figura erano evidenziate sia la posizione dell'ultima risposta del transponder del DC9 I-Tigi, che le posizioni dei velivoli rilevati dal radar di Marsala in coincidenza di tale ultimo evento.

"Come si può osservare - così conclude il collegio sul punto - gli intervalli di tempo occorrenti tra un ritorno radar e il successivo, di una medesima traccia (tra le 18.36' e le 19.04') sono molto variabili e vanno da un minimo di 10 secondi ad un massimo di 222 secondi, pur essendo la maggioranza degli intervalli di 35 secondi o di 70 secondi. Ciò sta ad indicare che la registrazione avveniva in maniera abbastanza irregolare, e questo può essere spiegato o in base al modo particolare di registrazione del sistema radar, o per un intervento manuale degli operatori".

Il collegio passa poi all'esame in dettaglio di ciascuna delle 23 tracce individuate, tentando di dare per ognuna di esse una interpretazione sul tipo di velivolo e sulle principali caratteristiche della sua rotta, sulla base di schede nelle quali si riportavano, quando esistenti, i numeri del codice di transponder, le velocità espresse in DM/h ovvero in Data-Miles all'ora e corrispondenti in km/h, le quote in Feet e corrispondenti metri, la coesistenza o meno con il DC9 al momento del disastro - vedi in particolare la n.10 che riporta la traccia del DC9 Itavia, scheda ove si leggono il numero di transponder ovvero l'1136 e, oltre la velocità e la quota, i tempi di registrazione, da 18.53'30" - ad una portata nettamente inferiore a quella massima del radar - a 18.58'47", con plots ad intervalli variabili da 33s a 117s.

Questo collegio, che indubbiamente, pur con tutti i limiti delle conoscenze al tempo, si adopra con sollecitudine nella interpretazione dei dati radar, specie quelli del sistema Nadge, così conclude sul sito di Marsala.

1. Prima del verificarsi dell'evento catastrofico, il DC9 I-Tigi percorreva l'aerovia Ambra 13, con velocità e quota secondo il piano di volo.

2. Il radar ha registrato l'ultima traccia radar con transponder del DC9 I-Tigi, alle ore 18.58'45", circa un minuto prima dell'ultima traccia con transponder registrata a Fiumicino alle ore 18.59'45". Successivamente o l'operatore ha sospeso la registrazione dei dati, per motivi non noti, o vi è stata una interruzione automatica dei dati, peraltro incomprensibile se sono esatti gli orari. Comunque non c'è una semplice spiegazione del perché il controllore militare non si sia curato della interruzione della traccia del DC9 I-Tigi e perché meno di 2' dopo l'ultimo dato di solo primario, registrato da Fiumicino, abbia dato luogo ad una esercitazione che prevedeva il cambio dei nastri di registrazione.

3. La registrazione della traccia del DC9 I-Tigi si interruppe, per motivi ignoti, alle ore 18.58'.47"; quindi non è stato evidenziato da questa analisi alcun plot relativo all'ultimo minuto di volo normale del DC9 I-Tigi ed ai circa 3 minuti di volo del relitto o relitti del DC9 I-Tigi che invece sono stati registrati automaticamente dai due radar civili di Roma-Fiumicino ove il controllore civile aveva già abbandonato il DC9 I-Tigi perché fuori dalla sua normale portata, ma la registrazione procedeva automaticamente.

4. Per la particolare procedura di registrazione (necessità di un numero sufficiente e congruente di segnali) potrebbe spiegarsi il motivo della mancata evidenza in quest'analisi, della traccia radar di un oggetto volante a forte velocità che avrebbe attraversato la rotta del DC9 I-Tigi al momento del disastro, così come risulta dalle registrazioni del sistema radar civile.

5. A prescindere dal problema delle registrazioni di cui ai punti precedenti, rimane inspiegabile la ragione per la quale l'operatore addetto al radar non abbia notato tutte le tracce del DC9 I-Tigi in caduta, che comunque dovevano apparire in video. Data la maggiore vicinanza al luogo dell'incidente del radar di Marsala, rispetto a quello di Fiumicino, le tracce del velivolo in caduta devono essere state ben visibili. Il fatto che non siano state notate potrebbe essere giustificato dalla imminenza della esercitazione.

6. Oltre alla non ben chiara, (vedi punti 2 e 3) ragione dell'interruzione della registrazione dopo 4 minuti dal verificarsi dell'incidente, restano altri punti oscuri sulla natura delle seguenti tracce radar: Traccia N.6: Oggetto volante non identificato con certezza; coincidenza tra istante del disastro e scomparsa di questa traccia, e nello stesso tempo cambiamento da automatico a manuale nella procedura di registrazione di questa traccia. Quanto alle tracce NN.14,15,20,21,22 e 23 il collegio si chiede se esse furono tracce effettivamente simulate.

7. Si è accertato che il velivolo corrispondente alle tracce NN.12 e 17, passò nelle vicinanze del luogo del disastro, circa 10 minuti dopo il verificarsi di questo evento.

Se invece, contrariamente a quanto presupposto e probabile gli orari registrati di Marsala sono errati per difetto di una quantità sensibile cioè di 1 minuto - ma su questo i successivi elaborati saranno più chiari - rimangono valide tutte le precedenti conclusioni, afferma il collegio, solo che la interruzione delle registrazioni non apparirà più inspiegabile, bensì determinata da interruzione delle risposte del transponder.

Passando all'esame dei dati radar del sistema civile "ATCAS" di Roma-Fiumicino, il collegio osserva che tale sistema rilevò la rotta, la brusca interruzione della risposta del radar secondario ed il successivo sciame di risposte del solo radar primario.

Preliminarmente procedette alla lettura dei relativi nastri in giudiziale sequestro e cioè:

I Nastro II Nastro

I Etichetta I Etichetta

27/06 27/06/80

18.14 4268970 19.00 4281143

19.00 4281143 19.43 4293902

Altra etichetta: A00134 Altra etichetta: A0041

Dalla lettura dei nastri ottenne il tabulato - in allegato III.H.4 - che riportava per i quattro estrattori (due del radar Marconi, 1 e 3; e due del Selenia, 2 e 4) le informazioni relative a tutte le tracce e i plots registrati tra h.18.46'26" e 19.11'18". E mediante il recente - per l'epoca del completamento della perizia - software per il plottaggio dai dati radar, ottenne una serie di mappe radar, di cui le principali contenevano tutti i plots inclusi: a. nel periodo di tempo che intercorre fra mezz'ora prima dell'ultimo punto con risposta del transponder del DC9 I-Tigi ed un quarto d'ora dopo, e b. nel quadrato di lato 120NM. e con centro nell'ultimo punto con risposta transponder.

Considerata l'enorme massa di dati, decise di esaminare soltanto le tracce relative alla zona d'interesse dell'incidente, ovvero il settore 7 (da individuare nella fig.III.H.2). Individuò quindi tre tracce radar per ognuno dei quattro estrattori. Queste tre tracce apparivano rilevabili in tutti e quattro gli estrattori dei due radar ed erano praticamente sovrapponibili.

La loro identificazione non pose problemi poiché erano velivoli civili e perciò ne esisteva il codice di risposta del transponder, che peraltro consentiva di correlarle anche con quelle del radar militare di Marsala, come descritto nella seguente tabella:

Sistema ATCAS

Sistema Militare Marsala

Traccia N.

Codice

Traccia N.

Codice

1

1136 (DC9 I-Tigi)

10

1136

2

1235 (AirMalt)

12 - 17

1235

3

0226 (Beatours)

3

0226

Il collegio dalla visione delle relative figure immediatamente evidenziò la presenza di alcuni plots non associabili alle tracce sopraddette.

"Si potevano infatti notare N.3 plots alla sinistra della parte finale della traccia N.1 (DC9 I-Tigi), rilevati da entrambi gli estrattori 1 e 3 del radar Marconi e di cui uno era rilevato anche dagli estrattori 2 e 4 del radar Selenia. Erano altresì evidenti altri due plots, questi rilevati solo dagli estrattori 2 e 4 del radar Selenia, posti uno alla sinistra della traccia N.1, e l'altro sulla stessa traccia".

A questo punto il collegio stimò opportuno tentare di individuare e collocare geograficamente la posizione dell'I-Tigi al momento dell'ultima risposta di radar secondario. Nella tabella che redasse, la III.H.3 riportarono, sia per il radar di Fiumicino che per quello di Marsala, l'ora e le coordinate, riferite alle rispettive origini, dell'ultima battuta registrata con la risposta del transponder.

"L'origine per i due sistemi radar civili è:

OST/VOR 41 48'12"N 12 14'15"E.

Per il sistema radar militare di Marsala si assume approssimativamente quella della città, cioè:

Marsala 37 48'30"N 12 31'15"E."

- Si noti che la locazione geografica di questo sito era all'epoca ancora coperta dal segreto -

Le posizioni geografiche ottenute per i punti dell'ultimo ritorno radar del transponder furono così approssimativamente determinate.

Radar ATCAS Radar Marsala Radar Marsala

Marconi

(rilievo al tempo (rilievo al tempo (proiezione al tempo

18 59'45") 18 58'47") 18 59'45")

39°43'N 39°50'N 39°43'N

12°55'E 12°58'E 12°58'E

 

Ultima Risposta di Transponder DC9 I-Tigi

Radar

Ora

X

Y

ATCAS Marconi

Estr.1

Estr.3

ATCAS Selenia

Estr.2

Estr.4

Marsala

18 59'45"

" " "

 

18 59'52'

" " "

18 58'47"

NM 30.34

NM 30.13

 

 

NM 29.72

NM 29.91

DM 24.25

NM - 125.47

NM - 125.44

 

 

NM -126.56

NM -126.53

DM 115.10

Fu così possibile notare, nella rappresentazione dei dati radar più prossimi al momento dell'ultima risposta del transponder del DC9, come riportata nelle figure con simboli diversi e precisamente:

-punti relativi al DC9 I-Tigi prima dell'ultima risposta di transponder;

-punti relativi al probabile relitto del DC9 dopo l'ultima risposta di transponder;

-punti doppi non riconducibili al DC9.

Il collegio ne trasse le seguenti osservazioni:

a. dall'analisi di tutti e quattro gli estrattori, per quanto riguarda i punti prima dell'ultima risposta del transponder, si evinceva che il DC9 I-Tigi, stava procedendo regolarmente sulla sua rotta a quota e velocità normali, così come da piano di volo.

b. Tutti e quattro gli estrattori evidenziavano uno sciame di risposta del radar primario dopo l'ultima risposta del transponder, anche se in differente misura:

Radar Marconi: Estr. 3; 34 risposte di cui 4 doppie.

Radar Marconi: Estr. 1; 28 risposte di cui 2 doppie.

Radar Selenia: Estr. 4; 9 risposte di cui nessuna doppia.

Radar Selenia: Estr. 2; 5 risposte di cui nessuna doppia.

c. Il solo radar Marconi, ma con tutti e due gli estrattori, evidenziava chiaramente tre punti in nessun modo correlabili con il DC9. Di questi i -17 e -12, prima dell'ultima risposta del transponder, l'altro il 2b corrispondeva ad uno dei plots doppi, immediatamente dopo l'ultima risposta del transponder.

d. Il solo radar Marconi, e solo in 2 casi con tutti e due gli estrattori, evidenziava chiaramente 4 risposte doppie dopo l'ultima risposta del transponder: 2b già citata prima, 8b, 9b e 13b.

Procedette di conseguenza ad un'analisi di questo sciame di risposte di solo primario, così come delle doppie risposte e dei plots non correlabili con il DC9 I-Tigi. Dalle relative tabelle (III.H-3 e III.H-4) apparve evidente che gli estrattori 3 e 4, rispettivamente del Marconi e del Selenia, erano quelli tarati par una soglia di detezione più bassa, rispetto agli estrattori 1 e 2 e quindi erano quelli che rilevavano il maggior numero di echi radar, anche se, ovviamente, commisti con un possibile maggior numero di falsi plots.

"L'analisi di tutti questi plots presentava notevoli difficoltà, essenzialmente dovute all'assenza dell'informazione della quota, e agli errori di misura del radar, specie quello in azimut, che alla distanza in cui si era trovato il DC9 I-Tigi portavano per il radar Marconi ad un'area di incertezza valutata pari ad un rettangolo di lati 2x0,4NM (avendo supposto un errore pari a 2 deviazioni standard, corrispondente ad una possibilità del 95% che la posizione reale del velivolo cadesse all'interno dell'area). In figura III.H-16 era stata rappresentata tale area, vicina al plot dell'ultima risposta del transponder del DC9 I-Tigi.

Le precedenti analisi Selenia e Itavia avevano messo l'accento sulla possibilità di correlare le tracce in base a vari algoritmi di regressione, senza cercare di associare a questo approccio uno studio sulla dinamica del velivolo dopo l'ultima risposta del transponder e pertanto risultavano un'astrazione matematica a cui non si era ritenuto di dare grande affidamento.

In quanto seguiva si era cercato invece di utilizzare i dati radar per capire quale potesse essere stata la traiettoria del velivolo, e da questa trarre indicazioni sulla meccanica e sulle cause dell'incidente".

Il collegio analizzò quindi in dettaglio i due aspetti del problema: la traiettoria del DC9 e quella di un possibile velivolo estraneo.

Quanto alla traiettoria del DC9, l'ipotesi fondamentale, fu quella secondo cui il velivolo, dopo l'evento che provocò la brusca interruzione della risposta del transponder, rimase sostanzialmente integro, cioè dotato di capacità portanti e di stabilità. Tale ipotesi trovava conferma nelle seguenti considerazioni:

- negli ultimi 90" della traiettoria rilevata dal radar, la velocità orizzontale del relitto era stimabile in circa 175 nodi, quindi largamente nei limiti di sostentamento aerodinamico;

- permanenza delle risposte del solo radar primario per altri 2' e 54" con una perdita di quota limitata;

- contenimento degli echi radar nella fase di volo rettilineo in una fascia di dispersione trasversale abbastanza ristretta, compatibili con la dispersione del radar;

- non compatibilità della distribuzione degli echi con il modo in caduta libera di un grave delle dimensioni del DC9 o sue parti;

- assenza di spinte esercitata dai motori che, in seguito al disastro, si sono spenti o su manovra da parte dei piloti o automaticamente per rottura del sistema di alimentazione.

In definitiva la traiettoria seguita dal DC9 poteva così essere spiegata:

- l'evento catastrofico - la cui causa, a questo punto dell'indagine, è stata accertata essere stata un'esplosione - aveva determinato la repentina perdita di controllo del DC9 da parte dei piloti;

- in seguito a questa perdita di controllo, il velivolo aveva assunto un aspetto tale da portarlo in condizioni di stallo, con conseguente scivolata d'ala e perdita di quota, che avevano quindi determinato l'instaurarsi di una tipica traiettoria di caduta in vite a bassa velocità;

- la presenza del forte vento, a 260 gradi ed intensità di circa 100Kts aveva fatto sì che la proiezione della traiettoria sul piano orizzontale evidenziasse un allungamento del ramo della spirale nel senso e nella direzione del vento;

- la perdita della risposta radar, dopo i già detti 2' e 54", poteva giustificarsi con il raggiungimento limite di visibilità in quota del radar Marconi.

Gli echi del radar Selenia erano sufficientemente congruenti con la traiettoria del DC9 descritta, tranne alle battute 2 e 4.

Sulla traiettoria del velivolo estraneo, il collegio suppose, in prima ipotesi, che i plots rilevati nella zona dell'incidente senza risposta transponder non fossero falsi plots; successivamente verificò se tale ipotesi fosse accettabile e con quale probabilità.

Il radar Marconi aveva rilevato oltre ai due plots doppi a destra del DC9 (punti -17 e -12), prima dell'ultima risposta del transponder, anche 4 plots doppi dopo questo evento (punti 2b,8b,9b e 13b).Tutti e quattro questi doppi plots erano composti da coppie di punti così distanziati che non potevano essere assimilati ad uno stesso oggetto. D'altronde risultava impossibile che essi fossero relativi a due parti distinte del velivolo, considerato che, data la distanza dell'incidente, un oggetto è visibile dal radar solo se ha una sufficiente superficie riflettente. Una rottura del DC9 in due parti di notevoli dimensioni non sarebbe stata spiegabile con la descritta dinamica del velivolo stesso dopo l'ultima risposta del transponder. Comunque, il successivo recupero del relitto aveva dimostrato che esso si era mantenuto sostanzialmente integro fino all'impatto in mare. Inoltre, il punto 2b era spostato di circa 3NM a Ovest rispetto alla traiettoria del relitto DC9 e quindi non era, in ogni caso, riferibile ad un frammento del velivolo stesso - il collegio rammentava che v'era una corrente a getto in direzione circa Ovest-Est, che avrebbe dovuto spingere gli eventuali frammenti in questa direzione - Infine, le componenti orizzontali delle velocità associate agli echi di questa traccia, componenti che variavano da un valore di circa 600NM/h valutato fra i punti -17 e -12 ad un valore finale nel punto 13b valutabile in 130NM/h, non erano spiegabili, se messe in relazione con quelle di un relitto del DC9. Ai 4 doppi echi era associabile anche l'eco singolo n.12, che era circa 6NM avanti, verso est, rispetto al punto che lo precedeva e circa 5NM da quello che lo seguiva e quindi non poteva essere nè il DC9 nè un suo frammento.

Unica alternativa possibile restava quella secondo cui si trattava di traccia relativa ad un velivolo a getto di elevata velocità, pari a circa 0,9Mach. La possibilità che tale velivolo fosse entrato in collisione col DC9 era da ritenersi estremamente improbabile. Una valutazione della distanza tra i due velivoli al momento dell'ultima risposta del transponder del DC9 appariva stimabile in un valore fra 3 e 7 miglia nautiche.

La simulazione che sarà compiuta per iniziativa del collegio - rilevava infine - confermerà sperimentalmente l'ipotesi sopra descritta.

Di seguito il collegio redige un breve paragrafo sui plots primari.

"Plot primario" è un plot in cui l'eco primario non è abbinato ad un corrispondente eco secondario, spiega il collegio. Nel precedente paragrafo ci si era limitati a considerare solo i segnali radar contenuti nel settore 7 e si era giunti alla conclusione che vi erano almeno 3 plots primari sicuramente non appartenenti al DC9. Si è poi constatato che esistono altri 28 plots primari, in quanto il radar ha la caratteristica di fornire dei falsi plots, tipicamente 2-3 per giro d'antenna. Semplici considerazioni statistiche inducono a ritenere come estremamente improbabile la possibilità che i punti identificativi della traccia del probabile velivolo estraneo siano tutti o per buona parte falsi plots; questa probabilità si riduce, ulteriormente, a livelli praticamente nulli, se si tien conto che i punti in oggetto sono in successione temporale ed in posizione spaziale tale da poter essere congruenti con la traiettoria di un velivolo.

Da ultimo il rilevamento radar del sistema militare di Licola. Questo sistema era del tipo fonetico-manuale a differenza di quello di Marsala, che come s'è visto era del tipo semi-automatico.

In tale sistema, spiega il collegio, uno o più operatori, detti lettori, erano addetti alla lettura delle tracce di qualsiasi aeromobile, militare o civile, in zona di copertura radar su appositi monitor detti PPI ovvero Planning Position Indicator. I lettori trasmettevano per interfono i dati in termini di coordinate polari ad altri operatori detti marcatori, che provvedevano materialmente a trascrivere su lastra in plexiglas con gessi vetrografici la posizione, direzione, velocità e nominativo delle tracce, mentre parallelamente altri operatori provvedevano a trascrivere gli stessi dati su brogliacci. La prassi avrebbe imposto, continua il collegio, che le tracce venissero individuate sia per i dati di posizione sia per caratteristiche di identità - tipo di aeromobile, piano di volo, ecc. - condizione tra l'altro necessaria per stabilire le caratteristiche di tracce ostili o amiche per le funzioni stesse della Difesa Aerea.

Il collegio analizza poi i plottaggi del giorno dell'incidente, riportati su cinque fogli dattiloscritti con protocollo 433-9/589/1 dell'11.07.80 - su cui si dovrà tornare più volte. Il plottaggio riguarda n.26 tracce, dalle 18.01 alle 21.23. Di queste vengono diagrammate in grafico allegato quella da 3 a 10, perché inerenti aeromobili passati tra le 18.30 e 19.38. Vengono poi compiuti confronti con i dati di Marsala e quelli di Fiumicino, Marconi e Selenia. Confronti da cui, al riguardo di Marsala, scaturiscono le seguenti corrispondenze:

Traccia N. 1 (Marsala) corrisponde alla traccia N. 3 (Licola)

Traccia N. 2 (Marsala) corrisponde alla traccia N. 4 (Licola)

Traccia N. 3 (Marsala) corrisponde alla traccia N. 6 (Licola)

Traccia N. 8 (Marsala) corrisponde alla traccia N. 7 (Licola)

Traccia N. 10 (Marsala) corrisponde alla traccia N. 8 (Licola).

In particolare la traccia N.10 di Marsala, individuata dalla sigla AG265, si ritiene corrispondesse alla traccia n.8 di Licola, identificata dalla sigla LK477, in quanto di esse corrispondono, sempre peraltro con la dovuta approssimazione, la quota, la posizione ed il tempo. Detta ultima traccia è stimata essere quella del DC9.

Per detto aeromobile i rilevamenti sono estremamente modesti; solo tre battute in cinque minuti di osservazioni. Altre due battute successive hanno rispettivamente le indicazioni di "nulla" e "perso", a 19.02 e a 19.04.

Altra traccia di un certo interesse è quella indicata con il n.9 nel diagramma sopraindicato, individuata dalla sigla identificativa AG266 nel plottaggio di Licola. In essa si potrebbe riconoscere una certa corrispondenza con quella dell'Air Malta indicata nella mappa 4 dell'allegato III.H-5, in quanto seguono lo stesso percorso negli stessi tempi. Ma in tale corrispondenza si riscontrano due anomalie, e cioè che la traccia n.9 sopra citata ha una quota ben diversa da quella mantenuta dall'Air Malta, e che la stessa, rilevata con velocità di 440Kts, ha di seguito aumentato la sua andatura, portandosi addirittura a circa 1200Kts, valore quest'ultimo superiore alla velocità del suono a quella quota e quindi assolutamente non attribuibile ad un aeromobile di linea.

Due sono le ipotesi che il collegio formula al riguardo: che si tratti di un errore di trascrizione; ovvero quella che l'aeromobile seguito dal radar di Licola non fosse il velivolo di linea Air Malta visto da Fiumicino, passato nella zona dell'incidente circa 12 minuti dopo che il transponder del DC9 aveva smesso di funzionare, bensì un aereo militare.

Il collegio ritiene che detta traccia possa coincidere con l'Air Malta, pur sottolineando la notevole grossolanità con cui i dati relativi sono stati riportati.

Ultima traccia individuata dal radar di Licola nell'intervallo di tempo esaminato è la n.10, che non trova corrispondenze con analoghe tracce segnalate da altri radar in quanto gli orari dei voli in essi valutati sono diversi. Essa è segnalata da h.19.23Z ad h.19.38Z; a questo orario il Centro di Controllo cessa di seguirla. Per due battute radar segue lo stesso percorso della traccia n.9 precedentemente indicata; nel tratto finale invece è caratterizzata da una direzione Est-Sud-Est e da una velocità media di circa 710Kts, valore di velocità non attribuibile ad un aereo di linea, anche se sul plottaggio essa è attribuita ad un Boeing 747.

Tutte le tracce riportate sul plottaggio sono indicate con la sigla F (amico).

Dai dati del primo intercettamento, relativi al radar Marconi estrattore "1", ed estrattore "3", si nota come il radar primario, mentre vedeva abbastanza bene l'aereo DC9, era quasi fuori portata per l'aereo F104. Conclusioni. Prove sperimentali effettuate nella simulazione di volo con intercettamenti, contribuiscono a dissolvere i dubbi circa l'autenticità dei plots relativi allo "oggetto veloce" di cui si è fatto cenno. In altri termini appare confermato che nei pressi del DC9, al momento dell'incidente, volava un aeromobile, la cui sezione radar era paragonabile a quella di un caccia intercettore.

Il collegio infatti aveva deciso, nel corso delle attività peritali, di compiere una simulazione di volo per verificare se un velivolo militare, del tipo caccia F104, manovrante fosse visibile da parte dei due radar di Ciampino e con quale frequenza di detezione, e se un aereo civile del tipo DC9 nelle condizioni del momento dell'incidente, fino a quale quota fosse visibile, verificando così il valore dei due plots -17 e -12 rilevati prima dell'ultima risposta del transponder del DC9, e i 5 plots, 2b,8b,9b,12 e 13b, successivi.

Di conseguenza il 30 aprile 85, un DC9, con caratteristiche simili a quelle del velivolo coinvolto nell'incidente del 27 giugno 80, fu fatto decollare da Ciampino, alle ore 17.10 per raggiungere la zona del disastro dell'aeromobile I-Tigi, a Nord di Ustica. La stessa zona veniva raggiunta, alle ore 17.45, da un F104 decollato da Grazzanise. Le condizioni meteorologiche di quel giorno erano pressochè identiche a quelle del 27 giugno 80, e sul DC9 avevano preso posto due periti del collegio d'ufficio, mentre alla sala operativa del Centro ATCAS di Ciampino si trovavano l'ufficio e altri due periti del medesimo collegio.

Il DC9, volando lungo la aerovia Ambra 13 e mantenendo la quota di 25.000 piedi (FL250), giungeva a Nord di Ustica e qui, circa 10 miglia più a Sud rispetto al punto ove era avvenuta l'ultima risposta transponder del DC9 Itavia, iniziava a compiere una spirale discendente, al fine di verificare la quota fino alla quale il velivolo potesse essere "visto" dal radar di Fiumicino. I relativi dati radar sono indicati nelle tabelle III.I-1 e III.I-2 e dei grafici III.I-1 e 2 dell'elaborato peritale, e da essi "si può concludere che alla distanza di 140NM dal radar di Fiumicino la minima altezza di detezione è di 25000 piedi in buon accordo con i limiti teorici (vedi fig. II.B-2: l'altezza minima di detezione, con 80% di probabilità del radar Marconi alla distanza di 140NM è di 25000 piedi)".

Dopo tale manovra, il DC9 ritornava sul luogo dell'incidente e al livello 250, ove veniva intercettato due volte consecutive dall'F104. Dai dati del primo intercettamento (radar Marconi estrattori 1 e 3 - tabelle III.I-3 e III.I-4) si notava che il radar primario "vedeva" abbastanza bene il DC9, cioè per circa il 54-56% delle battute, mentre l'F104 per circa il 7% delle battute di entrambi gli estrattori e quindi era "quasi fuori portata". Il riepilogo dei dati relativi al primo intercettamento è riportato nella tabella III.I-5. Il secondo intercettamento avveniva circa 7NM più a Nord, quindi a distanza minore da Fiumicino. Il DC9 veniva "visto" dal radar primario per circa il 61,5% delle battute dall'estrattore 1 e per circa il 69,2% dall'estrattore 3. L'F104 veniva visto invece per il 20,5% delle battute dall'estrattore 1 e per il 17,9% dall'estrattore 3.

Dalla elaborazione di tutti questi dati e di quelli relativi al giorno dell'incidente il collegio desumeva:

-"il DC9 I-Tigi era visto con elevata percentuale di detezione da entrambi gli estrattori (in media il 90%); tale percentuale è superiore a quella media ottenuta nel II° intercettamento simulato (in media circa 65%) e ciò è giustificato dal fatto che durante la simulazione il DC9 è andato un po' più lontano (circa 7NM più a Sud) rispetto alla posizione raggiunta nel giorno dell'incidente.

-"l'oggetto veloce" era visto con bassa percentuale di detezione (in media 13%), laddove l'F104 utilizzato nei due intercettamenti simulati viene visto con una percentuale di detezione leggermente più elevata (in media 19%). Si osservi che le differenze di distanza fra simulazione ed incidente sono meno sensibili relativamente all'"oggetto veloce" ed all'F104 (circa 5NM più a Sud)".

In conclusione, stando ai risultati dei dati provenienti dalla simulazione confrontati con quelli relativi al giorno dell'incidente, il collegio affermava:

"Le prove sperimentali effettuate nella simulazione di volo con intercettamenti, contribuiscono a dissolvere i dubbi circa l'autenticità dei plots relativi all'"oggetto veloce" di cui si è fatto cenno nel paragrafo III.H. In altri termini appare confermato che nei pressi del DC9 I-Tigi, al momento dell'incidente, volava un aeromobile, la cui sezione radar era paragonabile a quella di un caccia intercettore.

Inoltre le prove sperimentali nella simulazione di volo a spirale, per il solo DC9 hanno consentito di valutare che la minima quota, alla quale l'aereo, durante la discesa, è visibile al radar, è paragonabile al valore teorico".

Il collegio, a scioglimento della riserva fatta in paragrafo precedente si dedica alla analisi delle intrusioni rinvenute nei cuscini e negli schienali, al fine di stabilire le traiettorie.

Quanto alle intrusioni nei cuscini, rammenta che i laboratori dell'AM avevano già compiuto accurata analisi delle intrusioni di materiali estranei nei 53 cuscini passeggeri (posti sul fondo dei sedili e facilmente rimovibili) e sul cuscino reggireni di uno dei piloti, tutti recuperati in mare nei giorni immediatamente seguenti l'incidente. I cuscini erano stati radiografati e ne erano stati selezionati 20 che mostravano delle intrusioni; intrusioni che erano state prelevate ed analizzate.

A tal riguardo il collegio però osserva che alcuni materiali, come le plastiche, per il loro basso peso specifico, hanno una bassa visibilità in radiografia; ragion per cui non poteva escludersi che vi fossero state intrusioni anche nei restanti 34 cuscini.

Ciò non pertanto, continua il collegio, si può dedurre che il fenomeno che ha generato queste intrusioni è senz'altro concentrato in una zona limitata dell'aereo.

Tenuto conto che la superficie laterale dei cuscini è di gran lunga minore di quella superiore od inferiore, che nella quasi totalità i sedili erano occupati e quindi con una superficie superiore libera molto ridotta e che il senso anteriore e posteriore di penetrazione era praticamente bloccato dai sedili e passeggeri susseguente ed antecedente, se ne può concludere , continua il collegio, che:

-non v'è un verso preferenziale destro o sinistro nella direzione orizzontale delle traiettorie, che sono da ritenersi, quindi, di rimbalzo in percentuale consistente;

-le traiettorie con verso dal basso all'alto appaiono percentualmente molto ridotte rispetto a tutte le altre - 21.5% contro 51.2% in direzione orizzontale, relativo ad una superficie libera molto ridotta, come già detto, e 27.3% in verticale;

-la concentrazione dell'evento risulta ulteriormente confermata dal fatto che meno di un terzo - 7/20 - dei cuscini con schegge contiene oltre i due terzi delle schegge totali - 462/689 nei cuscini 3,6,10,27,36,37 e 43.

L'analisi statistica della composizione delle schegge ha dato i seguenti risultati:

"I materiali predominanti sono la plastica (circa il 36%) ed il legno (27%), provenienti con molta probabilità dall'aereo stesso (si vedano anche le analisi qualitative di cui si dirà in seguito).

I metalli ed il vetro partecipano in minor misura (6 e 9% rispettivamente).

In 5 cuscini sono stati trovati frammenti del foglio delle istruzioni di sicurezza dell'aereo; ed in 4 residui di materiali di provenienza umana; ciò è una ulteriore conferma della estrema violenza del fenomeno esplosivo.

E' stata fatta poi un'analisi più in dettaglio sulle schegge che hanno avuto una profondità di penetrazione almeno di un cm, da cui può essere notato quanto segue:

1. la profondità maggiore, ma non sicuramente attribuibile, è di 15cm. percorsi in senso orizzontale del frammento di rivetto.

2. la profondità maggiore, ma non sicuramente attribuibile, è di 30cm. in senso orizzontale relativa ad un gruppo di 64 frammenti (profondità da 5 a 30cm.):

3. fra i frammenti di maggior interesse:

-nel cuscino n.10 è stato trovato un ribattino a testa svasata verniciato superiormente in bianco e sicuramente proveniente dal rivestimento esterno dell'aereo; il ribattino proveniva dal basso ed aveva una profondità di penetrazione di 2cm.

Analogo ribattino, verniciato in rosso e sicuramente proveniente dal rivestimento esterno dell'aereo, è stato trovato nel cuscino n. 45, sempre proveniente dal basso, fra la fodera interna bianca e l'espanso.

-nei frammenti caduti durante il maneggio dei cuscini 10,35 e 50 v'è un grosso frammento di plastica celeste con un nastro adesivo rosso di cui rimangono le lettere "E VAR". Da una ispezione fatta dai tecnici dell'AM sull'aereo gemello del DC9 I-Tigi è risultato che detto frammento è parte di una scatola custodita nel Galley dell'aereo con la scritta "scorte varie".

Infine i laboratori dell'AM avevano, con successive analisi, accertato quanto segue:

-in numerosi cuscini sono stati trovati frammenti di plastica incolore trasparente. Analisi qualitative di confronto fra i frammenti di questo tipo prelevati dai cuscini 3,5 e 6, compreso uno di spessore 11,4 mm., e campioni prelevati dai vetri esterni ed interni dei finestrini della cabina passeggeri forniti dall'Itavia, hanno dimostrato trattarsi di materiali uguali o molto simili (metilmetacrilato ad alta resistenza).

-In numerosi cuscini sono stati trovati frammenti di vetro incolore trasparente. Analisi qualitative di confronto fra i reperti di questo tipo, prelevati dai cuscini 3 e 36, e campioni prelevati dal vetro plafoniera luci passeggeri e da un finestrino della cabina pilotaggio forniti dall'Itavia hanno dimostrato che si tratta di materiali della medesima composizione.

-Analisi condotte su alcune schegge metalliche hanno dimostrato trattarsi di leghe di alluminio ed in un caso di alluminio puro.

Pertanto si può affermare con il collegio che:

1. non sembrano esservi, tra i frammenti recuperati, elementi estranei all'aereo DC9 I-Tigi.

2. 2 rivetti, provenienti dal rivestimento esterno, sono stati trovati nei cuscini e ciò mal si concilia con l'ipotesi di una esplosione interna, almeno di non ipotizzare un improbabile rimbalzo su di un altro elemento esterno alla cabina (per esempio le ali) ed il ritorno nella cabina stessa o il distacco dei rivetti durante la fase 4 di impatto in mare dell'aereo.

3. Il frammento di plastica con la scritta "E VAR" aveva una traiettoria orizzontale proveniente, con grande probabilità dal Galley anteriore, ed anch'esso mal si concilia con l'ipotesi di una esplosione interna, almeno di non ipotizzare sempre i soliti eventi di rimbalzo o di proiezione della scheggia durante l'impatto in mare. Queste ipotesi diventano sempre più improbabili quanto più il numero di questi eventi, di per se' poco probabili, aumenta per giustificare delle traiettorie anomale".

Quanto alle intrusioni negli schienali, il collegio aveva condotto sui 33 reperti - 32 di poltrone passeggeri e 1 della poltrona di uno dei piloti - indagini analoghe a quelle condotte dall'AM sui cuscini.

I risultati sono così riassumibili:

- oltre il 90% delle intrusioni recuperate, su un totale di 322, è costituito da frammenti di plastica, legno, materiali trasparenti, honeycomb, stoffa, ed altri;

- delle 22 intrusioni metalliche, non magnetiche, la maggior parte è costituita da rivetti del tipo adoperato per le rivettature non esterne; solo 3 sono dei pezzi di lega di alluminio, di cui 2 frammenti di profilati strutturali trovati nello schienale di uno dei due piloti;

- delle 6 intrusioni di materiale ferroso (magnetico), 4 sono ganci degli elastici che sostengono il rivestimento di stoffa degli schienali stessi, una è una piccola vite e l'ultima un piccolo pezzo di fil di ferro;

- uno dei pezzi in lega leggera, l'unico trovato in una poltrona passeggeri, ha percorso una traiettoria quasi orizzontale, di 30 centimetri di lunghezza, da sinistra a destra guardando lo schienale dal davanti. Questo fatto indurrebbe a pensare che l'evento si sia verificato sul lato destro dell'aereo, salvo che la traiettoria del frammento sia di rimbalzo;

- 8 schienali (24%) non hanno rivelato la presenza di intrusioni e 10 (30%) contenevano circa il 72% del totale delle intrusioni, in analogia al dato simile riscontrato sui cuscini; e a conferma ulteriore della concentrazione spaziale dell'evento che ha generato il disastro.

Su uno dei ganci metallici trovati - schienale n.2, di colore rosso - le successive analisi condotte hanno accertato la presenza di esplosivi, e cioè TNT e T4.

A scioglimento dell'ulteriore riserva il collegio affronta poi le analisi chimiche per la ricerca di residui di esplosivo sui materiali recuperati.

L'AM aveva già trovato tracce di esplosivo T4 sulle superfici esterne di tre bagagli e sulle schegge estratte da un cuscino. Su questa base i tecnici dell'AM avevano attribuito la causa dell'incidente ad una esplosione dovuta con "elevata probabilità" ad "...una massa di esplosivo presente a bordo del velivolo..." fondandosi essenzialmente sull'assenza di tracce dell'esplosivo TNT, la cui presenza è tipica degli ordigni di guerra.

Per confermare o meno la presenza di residui di T4 e per confermare altresì l'assenza o meno di TNT il collegio aveva deciso ulteriori accertamenti, facendo ricorso, dal momento che le analisi dell'AM erano state distruttive, all'unica fonte di schegge provenienti dalla supposta esplosione non toccata da precedenti analisi, e cioè gli schienali dei sedili a suo tempo recuperati in mare.

Il collegio riteneva, come l'indagine ha poi confermato, che le schegge in questione, essendo state protette dall'imbottitura degli schienali, avessero potuto conservare tracce di esplosivi anche a lunga distanza di tempo.

L'indagine fu affidata con incarico peritale in data 13 dicembre 85 ai professori Malorni e Acampora, rispettivamente responsabile del Servizio di Spettrometria di Massa e professore di Tossicologia Forense all'Università di Napoli, con incarico di analizzare i circa 300 frammenti estratti dagli schienali e i circa 20 frammenti recuperati dalle salme nel frattempo riesumate di D'Alfonso Francesca e Calderone Maria Vincenza.

Su tale perizia più oltre. In questa sede i risultati delle analisi, così riassumibili:

"I frammenti sono stati lavati con adatto solvente (acetone) per il recupero degli eventuali residui di T4 e TNT. Per purificare gli estratti da sostanze estranee (in particolare l'imbottitura degli schienali) e concentrarli è stata impiegata la tecnica della cromatografia liquida HPLC, associata ad un collettore di frazioni opportunamente programmato in base ai tempi di eluizione delle sostanze ricercate.

Data la necessità di individuare anche quantità minime dei predetti esplosivi si è fatto ricorso alla Gascromatografia-Spettrometria di massa utilizzando la tecnica della "scansione di più ioni selezionati" che realizza condizioni di estrema specificità e sensibilità.

Su un gancio recuperato nello schienale n.2 rosso sono stati identificati "chiaramente ed inequivocabilmente" residui di T4 e TNT, in rapporto ponderale di 3 a 1.

Successivamente si è indagato, sperimentalmente, sull'effetto dilavante dell'acqua di mare sui predetti esplosivi, con l'immersione di apposite lastrine, con quantità note di T4 e TNT, per periodi di 10,24 e 48 ore, quali sono stati i probabili tempi di immersione in mare degli schienali (non si hanno notizie più precise sui tempi e sequenze dei recuperi in mare).

L'effetto dilavante dell'acqua di mare è notevolmente maggiore sul TNT che sul T4 (la perdita in peso dopo 48 ore è rispettivamente del 50% e del 20%) e pertanto la composizione iniziale dei residui di esplosivo sul predetto frammento era indubbiamente inferiore al rapporto prima indicato. Ciò può dare un'idea qualitativa sulla composizione percentuale della miscela di T4/TNT che costituiva l'esplosivo d'origine; ed in base a questi risultati è presumibile pensare che la miscela originale fosse intorno al classico 50/50 normalmente impiegato negli ordigni militari.

L'effetto dilavante preferenziale dell'acqua di mare sul TNT giustifica anche, secondo il parere degli esperti che hanno condotto le indagini, la mancata individuazione del TNT da parte dei laboratori dell'AM. Infatti il metodo cromatografico HPLC impiegato da questi ultimi è notoriamente meno sensibile di quello ora adottato nelle analisi e non avrebbe potuto individuare i residui del TNT se questi fossero stati nella stessa quantità ora trovata (50 nanogrammi/cmq).

In conclusione si può affermare che i frammenti recuperati provenivano dall'esplosione di una miscela di T4/TNT in proporzioni paragonabile a quella impiegata negli ordigni bellici".

 

 

Volume II

Tra le altre iniziative prese dal collegio Blasi - in precedenza solo discussa, ma mai esaminata a fondo e tanto meno varata - fu quella del recupero del relitto. Recupero deciso, perché sulla base dei reperti in atti non si poteva, a parere di quel collegio, assolutamente pervenire ad inequivocabili certezze sulle cause del disastro.

Quindi quel collegio percorse il difficile cammino dell'acquisizione di tutti gli studi già effettuati o in corso per la localizzazione e l'eventuale recupero dell'aeromobile - SubSea Oil Service, Bureau Jaques Picard, Ocean Sismica -; dell'incarico dello studio di fattibilità - alla Tecnospamec di Genova - con quesiti, tra cui la valutazione dei costi e l'individuazione delle più quotate organizzazioni per la bisogna; degli interpelli di tali gruppi.

Al termine, essendo state individuate come in grado di compiere le operazioni di recupero soltanto l'Ifremer francese e la Woods Hole Oceanografic Institution statunitense, il collegio prescelse tra le due, pur perfettamente equivalenti sia dal punto di vista delle attrezzature che della esperienza in missioni a grandi profondità, la Ifremer, in quanto con base operativa nel Mediterraneo nel porto di Tolone.

Questo ufficio avallò la scelta, dal momento che nessuna impresa italiana disponeva delle apparecchiature necessarie e che la Wood Hole si era dichiarata indisponibile, ed in considerazione anche che il costo stimato dall'Ifremer, e cioè 6-7 miliardi di lire appariva di gran lunga inferiore a quello valutato dalla Marina statunitense e cioè circa 13 miliardi.

L'area di ricerca fu determinata dall'Ifremer cui furono fornite tutte le informazioni disponibili, sia quelle concernenti i dati radar, sia quelle relative ai recuperi in mare fatti nell'immediatezza dell'incidente. Essa fu individuata nei limiti: da 39°30'N a 39°44'N e da 12°46'E a 13°03'E.

Le operazioni di ricerca furono effettuate in due campagne: la prima nell'87, la seconda nell'88, più precisamente dall'8 maggio 87 al 2 luglio 87 e dal 17 aprile 88 al 25 maggio 88. E ciò per l'impossibilità dell'Ifremer ad assicurare la propria disponibilità per periodi lunghi senza soluzioni di continuità.

Nell'87 fu dislocata in una prima fase nell'area delle ricerche la motonave "Neroit" dotata di un gruppo di apparecchiature scientifiche per il controllo ed il funzionamento del sistema di scansione acustica del fondo marino o SAR, e di un sistema per la visualizzazione del fondo del mare con robot sottomarino Epaulard e con telecamere a strascico, yo-yo ed altro.

Le registrazioni del SAR furono raccolte in 50 nastri magnetici.

Le esplorazioni dell'Epaulard furono compendiate in 14 bobine di filmati; nelle pause per la ricarica delle batterie dell'Epaulard furono effettuate oltre riprese televisive con telecamera trascinata dal Neroit, materiale su cui dovrà ritornarsi oltre.

Nella seconda fase fu invece dislocata la nave appoggio "Nadir" con il sottomarino abitato "Nautile". Anche in questa fase furono effettuate serie di filmati video e diapositive. In tempo reale sul Nadir veniva poi completata la mappa dei percorsi effettuati dal Nautile.

Mediante le mappe e le riprese si poté quindi individuare con certezza, afferma il collegio, l'area in cui trovavasi il velivolo, area delimitata dalle coordinate da 39°41'25"N a 39°43'91"N e da 13°01'01"E a 13°04'05"E.

A queste due fasi di ricerca ne seguì una terza di recupero di una prima parte dei resti del DC9, nel giugno-luglio di quello stesso anno, per meno di un mese e precisamente dal 10 giugno al 2 luglio. Per effetto di questa attività furono portate in superficie alcune parti dell'aereo, secondo una priorità indicata dallo stesso collegio peritale:

- l'insieme della cabina di pilotaggio;

- l'ala destra dell'aereo;

- il reattore sinistro;

- alcune parti della fusoliera;

- il portellone di servizio anteriore;

- alcune parti del vano bagaglio;

- il cockpit-voice recorder;

- pezzi minuti vari ed alcuni oggetti personali;

- frammenti ossei.

Ogni pezzo recuperato fu classificato in base alle sue caratteristiche, e laddove esistenti, al Part Number.

Le nuove operazioni di ricerca iniziarono il 17 febbraio 88 e si svolsero in due fasi parallele: 1. fase di ricerca con il SAR effettuata con la motonave Nadir fino al 2 marzo successivo; 2. fase di recupero degli ulteriori resti, utilizzando la nave Castor Ol, di caratteristiche simili a Le Neroit, oltre alla Nadir e al sottomarino Nautile. Tale fase iniziò il 17 aprile e si concluse il seguente 5 maggio. Anche per questo periodo furono raccolte riprese televisive e fotografiche.

Con le attività del 1988 furono recuperati:

- il secondo reattore;

- l'ala sinistra, quasi intera, con il carrello di atterraggio;

- la coda dell'aereo con i timoni;

- parte della fusoliera centrale con il vano bagagli;

- l'APU (elettrogeneratore di bordo);

- alcuni bagagli;

- il secondo carrello;

- il carrello anteriore;

- pezzi minuti vari.

A riepilogo dell'attività di recupero, il collegio rammenta che il DC9 è stato ritrovato in una zona sita al confine laterale superiore dell'area di ricerca proposta inizialmente dall'Ifremer. La localizzazione era avvenuta in un'area definita dalle coordinate: da 39°41'25"N a 39°43'91"N e da 13°01'01"E a 13°04'05"E.

Il centro di detta area di ritrovamento si trovava a circa 6NM ad Est dall'ultima risposta del trasponder (del secondario) e a circa 2NM dall'ultima risposta dei soli primari, che si sono susseguiti dopo la scomparsa del segnale secondario. In detta area erano state indicate tre zone in ciascuna delle quali erano state ritrovate serie di resti dell'aereo. Partendo dal basso verso l'alto, con inclinazione a destra, ciascuna di queste zone comprende il ritrovamento delle seguenti parti:

- zona A: i due reattori e relative parti di rivestimento;

- zona B: la parte di fusoliera ritrovata, e cioè essenzialmente la parte posteriore, i resti della cabina di pilotaggio, le ali, i carrelli, la porta principale dell'aeromobile, i resti della porta del vano cargo anteriore, resti di bagagli.

- zona C: la coda dell'aeromobile con i relativi piani alari praticamente intatti.

Il ritrovamento di dette parti in un'area abbastanza contenuta come estensione in lunghezza e ancor più contenuta come estensione in larghezza sta ad indicare, a parere del collegio, abbastanza eloquentemente che l'aereo, al momento dell'impatto con l'acqua, era, con buona probabilità, pressoché integro. A questo momento l'aereo aveva, ritiene il collegio, un assetto a picchiare come provato dallo schiacciamento vistoso subìto dalla parte anteriore del velivolo, in corrispondenza della cabina di pilotaggio.

L'impatto del muso dell'aereo poteva aver determinato il distacco dei motori, i quali, essendo caratterizzati da un'elevata massa accoppiata a dimensioni esterne contenute, erano immediatamente colati a picco. La parte centrale della fusoliera, comprese le ali, di massa specifica inferiore (ovvero di minor peso a parità di superficie esterne) e con una portanza notevole, aveva potuto in qualche modo affondando subire deviazioni rispetto alla verticale sul punto d'impatto, sia per effetto della forma sia per effetto delle correnti marine. Tale effetto poteva essere stato amplificato per i piani orizzontali e verticali di coda, i quali presentavano una deviazione rispetto alla verticale molto più accentuata. Asperità e disuniformità dei fondali giustificavano l'insuccesso registrato nel mancato ritrovamento del flight data recorder.

Afferma poi che la disposizione sopra descritta trova giustificazione nella diversa composizione ponderale delle varie parti ed individua la zona di probabile impatto del DC9 in prossimità della zona A, stante la maggiore densità dei motori e quindi la probabile minore distanza percorsa da essi durante la discesa al fondo del mare. Altra importante considerazione, che può ricavarsi dall'analisi dei ritrovamenti sul fondo del mare, è che, con molta probabilità, il velivolo era praticamente integro al momento dell'impatto con l'acqua. In tal senso la relativa poca distanza alla quale sono stati rinvenuti i vari componenti del velivolo e il fatto che sono state individuate, localizzate e recuperate parti significative di tutti tali componenti.

La probabile zona di impatto è da localizzarsi in prossimità della verticale della zona in cui sono stati ritrovati i motori. In base allo stato nel quale sono stati ritrovati i vari componenti del velivolo, si può secondo il collegio ipotizzare che l'impatto con la superficie del mare, ad una velocità massima stimata di circa 200m/s (720km/h), sia avvenuto interessando più o meno contemporaneamente l'ala destra e la cabina di pilotaggio.

In seguito all'impatto, per effetto delle notevoli forze d'inerzia, si sono prodotti distacchi delle principali componenti del velivolo. Si può così supporre che si siano separati i due motori e, a seguito dell'indebolimento della zona da questi interessata, il troncone di coda con tutti gli impennaggi. A tale momento anche l'ala sinistra si è separata, insieme al troncone posteriore della fusoliera.

L'idrodinamicità delle prime parti del velivolo che sono venute ad urtare con l'acqua, ha senz'altro contribuito ad evitare una ulteriore frammentazione. E' altresì ovvio che la prossimità della zona maggiormente interessata all'impatto e quella in cui si presume sia avvenuta l'esplosione, ha determinato un ulteriore danneggiamento e frammentazione di quest'ultima.

All'esame dei rottami parteciparono tecnici della Mc Donnel-Douglas, ditta costruttrice del DC9 e tecnici del Rarde, ente dipendente dal Ministero della Difesa, specializzato in indagini chimico-fisiche su reperti provenienti da incidenti aerei e da atti di sabotaggio, che era già stato coinvolto in queste indagini dai laboratori dell'AM ed aveva dato la sua collaborazione metodologica e di base per le analisi dei reperti recuperati immediatamente dopo l'incidente, a fini di ricerca di tracce di esplosivo e per l'esame di schegge provenienti da esplosioni.

In primo luogo il collegio espone i risultati delle osservazioni generali derivanti dall'esame visivo dei rottami, quelli sulla "natura ed origine dei depositi neri riscontrati sulla superficie esterna dell'aereo; natura ed origine dei due fori riscontrati sul portello vano portabagagli anteriore, che mostravano evidenti segni di penetrazione dall'esterno verso l'interno dell'aereo; composizione chimica ed origine delle schegge metalliche, recuperate a suo tempo dai cuscini, e sicuramente provenienti dall'esplosione; analisi morfologica su alcune schegge recuperate dagli schienali per verificarne il coinvolgimento in un'esplosione e riesame, per conferma, delle analoghe analisi a suo tempo svolte dai laboratori dell'Aeronautica Militare Italiana sui reperti provenienti dai cuscini; analisi sulle tracce di vernice rossa riscontrate sulla bocca di presa aria di uno dei motori; identificazione di alcuni reperti, sicuramente estranei all'aereo, o recuperati in fondo al mare o recuperati immediatamente dopo l'incidente".

Indagini tutte, a parte ovviamente l'esame visivo, compiute, sotto la supervisione ed il controllo del collegio, presso i laboratori del Rarde a Sevenoaks, Kent.

Dalle osservazioni di cui al primo punto sopra indicato, il collegio ha potuto trarre le seguenti conclusioni: non v'è alcuna traccia di incendio a bordo, confermando così i risultati delle indagini mediche a suo tempo condotte, salvo limitatissime macchie in prossimità di qualche cavo elettrico; non v'è alcuna traccia visibile di residui di esplosione, come le macchie nerastre che tipicamente si trovano nelle immediate vicinanze del centro di deflagrazione, oltre le macchie nere sull'esterno del velivolo, di cui sopra.

La zona di coda è apparsa in buone condizioni, nonostante il doppio trauma dell'incidente e del successivo impatto col mare, e quindi il collegio non stima che essa sia rimasta coinvolta in esplosione.

Le uniche tracce sicure di perforazioni della superficie esterna dell'aereo sono quelle del portello vano portabagagli anteriore, di cui infra. E' però da tenere presente, sottolinea il collegio, che la grande frammentazione dei rottami ha impedito un esame visivo più probante a questi fini.

In numerose parti della superficie esterna dell'aereo si notano depositi di colore nero o bruno. Accurate e complesse analisi condotte, cromatografia su strato sottile o TLC e cromatografia gassosa o GC, non hanno rilevato presenza di tracce di esplosivo. Qualunque fosse l'origine della probabile esplosione, la lunga presenza in mare dei rottami toglie qualsiasi significato a questo esito negativo, atteso che da prove sperimentali è risultato che l'effetto dilavante del mare sui residui di esplosivo, del tipo trovato su altri reperti dell'aereo, è tale da dimezzarne la quantità dopo pochissimi giorni.

Le analisi per accertare la composizione di tali depositi sono state condotte con vari metodi: ED X-ray (energy-dispersive X-Ray), XRD (X-Ray diffraction analysis), XPS (X-Ray photoelectron spectrography), XRF (X-Ray fluorescence analysis), SEN (scanning electron microscopy), ed EPMA (electron probe microanalysis).

In sintesi si può concludere che gli elementi presenti in maggior quantità e sulla maggior parte dei depositi sono: alluminio, manganese, silicio, cloro, titanio, ossigeno. Probabilmente i primi tre elementi sono provenienti dalla lega di alluminio con cui è realizzato il rivestimento esterno dell'aereo; il titanio è un componente della vernice dell'aereo ed il cloro è proveniente dall'acqua del mare.

"Analisi sul fango del fondo marino, recuperato con l'aereo, hanno rivelato una presenza molto limitata di manganese (0.08%; altri elementi presenti sono il carbonio 3% l'azoto 0.1%), confermando quindi la predetta conclusione sull'origine del manganese.

L'ipotesi che appare più probabile è quella secondo cui una parte consistente dei depositi in oggetto sia costituita da idrossidi di manganese (normalmente di colore nero o bruno) e sia il risultato di una corrosione della lega costituente il rivestimento esterno dell'aereo.

Da notare che nessuna delle analisi predette era in grado di rilevare la presenza di tracce di carbonio amorfo (non cristallino) come quello proveniente da una combustione più o meno veloce.

Successive analisi quantitative condotte asportando con mezzo inerte (lana di vetro) il deposito nero su un particolare (la porta di accesso passeggeri) hanno rilevato la presenza dei seguenti elementi:

-2,6% di carbonio (amorfo)

-0,2% di azoto

-0,6% di idrogeno.

Analisi qualitative condotte con il metodo EPMA su una sezione trasversale del deposito, hanno confermato le analisi di cui al punto b, ed hanno confermato la presenza di piccole quantità di carbonio (amorfo).

In conclusione la presenza di tracce consistenti di carbonio e di azoto, ambedue componenti fondamentali di esplosivi del tipo TNT e T4, sarebbe spiegabile con l'ipotesi di residui di combustione provenienti dall'esplosione, esterna all'aereo, di TNT e T4, o perlomeno è quanto ci si sarebbe aspettato di trovare in un evento di questo genere. La contemporanea presenza di tracce di fenomeni corrosivi potrebbe essere spiegata dal trauma meccanico proveniente dall'esplosione o dall'impatto con il mare che rompendo lo strato superficiale di vernice, ha permesso la corrosione stessa.

Le ipotesi alternative sulla provenienza del carbonio:

-fanghi dal fondo marino;

-residui di vernice inglobati nei predetti depositi neri, appaiono meno probabili, specie la seconda perché non troverebbe facili spiegazioni la presenza dell'azoto.

La presenza di depositi neri analoghi su più frammenti di finestrino esterno non trova facili spiegazioni con l'ipotesi di un processo di corrosione".

Il collegio ha compiuto quindi, sempre con l'ausilio del Rarde, una completa analisi dei fori esistenti sulla superficie esterna del portello vano portabagagli anteriore. Analisi che merita di essere riportata per intero:

"Sul portello in oggetto esistono almeno 3 fori in cui appare chiaro il senso di penetrazione dall'esterno verso l'interno, e di cui:

-il più grande di forma approssimativamente triangolare e di dimensione massima di 5cm, che è stato denominato A, ha dei "petali" diretti verso l'interno del vano portabagagli;

-il medio di forma approssimativamente ellittica di dimensione massima di 5cm, che è stato denominato B, non presenta evidenti petali;

-l'ultimo foro, che è stato denominato C, è determinato dal frammento di un corrente della fusoliera penetrato sempre dall'esterno all'interno dell'aereo e rimasto infisso nel portello stesso.

Per permettere di valutare la morfologia dei fori provocati sul portello da oggetti ad alta velocità, sono state condotte delle prove sperimentali presso una linea di tiro del SCRDE (collegato al Rarde; Colchester-Inghilterra).

Un pezzo prelevato dalla porta principale passeggeri del DC9 I-Tigi (vedi foto fig.65 All.IV.E-5) e quindi con lamiera esterna dello stesso tipo di quello del portello in questione è stato bloccato su un cavalletto metallico e contro di esso, sono stati sparati con un'apparecchiatura di prova simulante un fucile calibro 9 mm, dei cilindretti di acciaio trattato (durezza 30 Rockwell C) e di lega di alluminio (grado BS 30) rispettivamente: per l'acciaio diametro 8,2mm (peso circa 3,4 grammi) diametro 8,2mm (peso circa 3,4 grammi) diametro 7,5mm (peso circa 2,9 grammi); per l'alluminio di diametro 8,2mm (peso circa 1,4 grammi). Una speciale apparecchiatura elettronica misurava la velocità dell'impatto dei cilindretti sulla lamiera in prova.

Il risultato delle prove si può così sintetizzare:

1 - Acciaio: proiettile di massa 2,9g e diametro 7,5mm.

Velocità 924m/s foro tranciato, foto fig.70

nessun petalo All.IV.D-1

2 - Acciaio: proiettile di massa 3,4g e diametro 8,2mm.

Velocità 375m/s foro con petali, il cilindretto

lesioni radiali si è parzialm.

sui petali girato all'imp.

Foto fig.69

All.IV.D-1

Lega Alluminio: proiettile di massa 1,4g e diametro 8,2mm.

Velocità 827m/s foro tranciato, foto fig.68

nessun petalo All.IV.D-1

Velocità 608m/s foro tranciato, foto fig.67

nessun petalo, All.IV.D-1

imbutimento

appena accenn.

Velocità 449m/s foro con petali, foto fig.66

lesioni radiali All.IV.d-1

sui petali, imbut.

pronunciato

Velocità 256m/s nessuna perforaz. il proiettile ha

accenno di imbut. colpito una zona

della lamiera rinforz.posterior.

foto fig.65

All.IV.D-1

Velocità 207m/s nessuna perforaz. foto fig.64

accenno di imbut. All.IV.D-1

della lamiera

Da quanto esposto si può concludere che limitatamente al tipo di lamiera in esame ed alle velocità indagate:

-per velocità intorno ai 400m/s i cilindretti sia d'acciaio (375m/s) che di alluminio (449m/s) producono fori con petali (comportamento alla frattura di tipo plastico);

-per velocità comprese fra 600 e 900m/s i cilindretti sia in acciaio che in alluminio producono fori senza petali (comportamento alla frattura, di tipo fragile),

-per velocità inferiori ai 250m/s i cilindretti di alluminio non producono perforazioni, per la mancanza di sufficiente energia cinetica, ma il comportamento della lamiera resta del tipo plastico;

In definitiva per velocità d'impatto inferiori ai 400m/s il comportamento alla frattura del rivestimento dell'aereo DC9 I-Tigi è senz'altro di tipo plastico; per velocità superiori ai 600m/s il comportamento della lamiera è di tipo decisamente fragile.

Questa ultima conclusione è già nota dalla lettura tecnica, salvo ovviamente i limiti che sono specifici per ogni tipo di materiale del bersaglio ed indipendenti, in linea teorica, dalla forma del proiettile.

Dalle prove precedenti e dalle analisi condotte si può concludere quanto segue:

-il foro A presenta caratteristiche morfologiche che possono esser simili a quelle corrispondenti ad una velocità di penetrazione di 300-400m/s. Ma tenuto conto che esso si è prodotto in una zona ove sono sovrapposte due lamiere, ciascuna di spessore uguale a quello sperimentato ed in più sono presenti irrigidimenti interni, può pensarsi ad una velocità di penetrazione superiore.

Il rapporto Rarde a tale proposito riferisce "several hundreds of m/s" alla pag.13 dell'All.IV.D-1, anche se alla pag.39 dello stesso allegato, in sede di conclusioni, riferisce "comparatively low velocities", dove evidentemente la comparazione è riferita alle velocità che si raggiungono nelle immediate vicinanze di una esplosione, che sono dell'ordine di grandezza di 1500m/s.

-Il foro B è stato determinato da un oggetto che è penetrato dall'esterno con una velocità decisamente superiore ai 400m/s e forse dell'ordine dei 600m/s; l'oggetto sembra aver avuto anche una componente laterale nella velocità di penetrazione.

Se si tiene presente che la massima velocità raggiungibile da un DC9 con motori spenti ed in caduta libera è stimabile non superi i 200m/s si può in definitiva affermare che i fori A e B non sono addebitabili all'impatto dell'aereo in mare".

Fra le varie schegge metalliche recuperate dai cuscini, ne sono state scelte due, che ad un esame visivo e morfologico apparivano possedere in modo certo le caratteristiche tipiche, e cioè il "rolled edge" ed inizio di fusione di leghe di alluminio coinvolte in un'esplosione di "alto ordine", come quella provocata dal TNT o T4 o di entrambi. Precisamente una scheggia proveniente dal cuscino 6, gruppo schegge 4, rinvenuta fra espanso e gomma piuma con ingresso laterale; ed una scheggia proveniente dal cuscino 52, gruppo schegge 1, rinvenuta tra espanso e gomma piuma con ingresso dal basso.

Le schegge sono state analizzate con il metodo, non distruttivo, EPMA ovvero Electron Probe Micro Analysis, di micro analisi superficiale.

Pesando opportunamente i valori riscontrati e confrontandoli con quelli delle leghe standard, il collegio ha concluso che:

"-la scheggia 6-4M ha una composizione uguale a quella della lega standard 2014 salvo il tenore di rame che risulta essere di 3,24 contro uno standard di 3,9-5%. Di questo tipo di materiale, è costituito solo il rivestimento esterno dell'aereo, come risulta da un accertamento fatto presso la Douglas costruttrice dell'aereo;

-la scheggia 52-1M ha una composizione molto vicina a quella di una lega 7075 rivestita di 7072. Di questi tipi di materiale sono costruite le ordinate della fusoliera.

Ambedue queste conclusioni, ma in particolare la prima, non si conciliano con l'ipotesi di un'esplosione all'interno dell'aereo".

Il collegio ha poi compiuto analisi morfologiche sulle schegge recuperate dagli schienali per verificarne il coinvolgimento in un'esplosione e verificarne le analoghe analisi eseguite dall'Aeronautica Militare sulle schegge recuperate dai cuscini e dai bagagli. Ne è emerso che le schegge provenienti dagli schienali non presentano le caratteristiche tipiche di materiali coinvolti in un'esplosione e cioè rolled edges, gas washing, cratering, pitting, forse anche - si afferma - per il generale stato di corrosione delle stesse. A risultati analoghi sono giunte le analisi sulle schegge trovate in un valigia. Sullo schienale 16 un gruppo di fibre di colore rosso del rivestimento, ancora attaccato al gancio metallico di fermo è apparso come tagliato da un frammento dotato di alta velocità proveniente da un'esplosione.

Sulle tracce di vernice rossa trovate sulla presa di aria di uno dei motori sono state compiute analisi che hanno dimostrato che si trattava della stessa vernice di quella usata per la fascia rossa, fregi e scritte esterni del DC9. Se ne poteva desumere che tale presa d'aria era venuta in contatto con una zona verniciata in rosso, e ciò si era probabilmente verificato all'impatto con l'acqua.

Tra i rottami recuperati dal fondo marino dalla Ifremer, estranei al DC9, è stato trovato un cilindro metallico, che il collegio ha identificato con certezza essere un'apparecchiatura per la ricerca dei sommergibili da parte degli aerei (boa-antisommergibili).

Il collegio procedeva oltre con l'indagine sui motori.

Dopo aver esposto informazioni su tali parti dell'aereo, evidenziandone i dati salienti, e aver descritto lo stato degli stessi, che si presentavano malridotti - anche per i fenomeni corrosivi che ne avevano attaccato profondamente sia le parti strutturali in acciaio interne (parti rotanti e statoriche) sia, le strutture esterne di carenatura e di protezione - i periti procedevano al loro smontaggio allo scopo di verificare se all'interno vi fossero materiali o elementi estranei.

In esito non ne venivano riscontrati, eccetto un pannello in plastica del radio rack, sito all'interno della cabina di pilotaggio, fatto giustificato dai periti con il violento impatto della cabina con l'acqua e dei motori con la fusoliera e quindi con l'acqua stessa.

"Prima e durante lo smontaggio, veniva pure messo in evidenza che le pale, sia rotoriche che statoriche, ed in particolare quelle dei primi stadi del compressore, apparivano danneggiate ma non avevano subito sollecitazioni rilevanti in senso tangenziale; infatti nessun gruppo di pale risultava tranciato alla base, situazione quest'ultima tipica di un impatto in mare con compressore in potenza.

Da quanto osservato si deduce che i motori non erano in potenza al momento dell'impatto con l'acqua.

Solo su alcune pale e sul bordo anteriore di esse si notavano delle ammaccature, denotanti che piccoli oggetti erano penetrati negli stadi iniziali del compressore".

Considerati gli elementi indicatori del funzionamento dei motori al momento dell'incidente e cioè la registrazione del Cockpit Voice Recorder che gli indicatori della pressione dell'aria a valle dell'ultimo stadio dei compressori assiali dei motori stessi, se ne conclude che:

"-ambedue i motori erano in regolare funzionamento al momento dell'incidente;

-il bloccaggio degli indici degli strumenti è avvenuto al momento dell'incidente per la mancanza di alimentazione elettrica degli stessi;

-al momento dell'impatto in acqua si determinava la rottura dei vetrini di protezione degli indicatori di "pressure ratio"".

Quindi le osservazioni finali:

"Come si è già accennato, i motori dell'aereo hanno cessato di funzionare in volo, ovvero essi sono stati sottoposti al fenomeno del "flame out" e cioè dell'arresto della fiamma a causa della mancanza di combustibile.

L'arresto dei motori in volo è dimostrato dalla circostanza che entrambi i motori recuperati presentano le palette del compressore e quelle della turbina relativamente poco deformate.

Tale situazione è infatti compatibile solo con un impatto finale nell'acqua in condizioni di Windmilling (cioè rotazione delle parti rotoriche attribuibile all'inerzia ed all'effetto ventilante dovuto alla velocità del velivolo).

All'impatto con l'acqua della parte anteriore del velivolo si determinava lo schiacciamento della cabina di pilotaggio nel mentre i motori, dotati di maggiore inerzia (dovuta alla maggiore massa ad essi connessi) si staccavano dal velivolo per la rottura delle travi di collegamento, inabissandosi rapidamente. Nel momento dell'impatto in acqua degli stessi motori, all'interno di questi ultimi si determinavano le rotture e le vistose deformazioni riscontrate nelle foto fatte direttamente sul fondo del mare dal Nautile.

Se i motori, nel momento dell'impatto con l'acqua, fossero stati ancora in condizioni di funzionamento in potenza, le palette rotoriche, ed anche quelle statoriche per urti riflessi, sarebbero risultate tutte o quasi tutte completamente divelte dalle proprie sedi (sbarbamento) ed avrebbero quindi presentato rotture e deformazioni ben più vistose ed importanti di quelle che sono state in realtà ritrovate.

La causa dello spegnimento dei motori in volo è certamente da attribuirsi, non essendo verosimile un azionamento in tal senso da parte dei piloti, alla interruzione dell'alimentazione di carburante. Tale esclusione può essere avvenuta in due modi:

1. per azionamento delle "Fire shut off handles (FSOH)"; queste sono delle valvole ad azionamento manuale che, sistemate in prossimità dei motori, tramite opportuni cavi metallici, possono essere azionate dal pilotaggio della cabina. (ad es. in casi di incendio).

2. per interruzione della continuità del circuito di alimentazione combustibile.

L'azionamento delle FSOH può essere stato determinato se si è verificata la rottura o la deformazione, nel senso di uno stiramento dei cavi di comando.

La rottura o la deformazione dei suddetti cavi, che corrono lungo la parte inferiore della fusoliera, può essere giustificata solo se si pensa ad una azione severa operata sulla fusoliera stessa. La posizione nella quale sono state ritrovate le "FSOH" all'interno della cabina di pilotaggio, posizione di completa estrazione, corrispondente alla fermata dei motori, dovrebbe essere stata determinata dall'impatto con l'acqua della cabina di pilotaggio.

E' utile riferire che la mancata alimentazione del combustibile ai motori non può essere giustificata dalla accertata completa perdita di energia elettrica in volo al momento dell'incidente.

I motori infatti vengono comunque alimentati dalle relative pompe meccaniche, direttamente connesse ai due motori.

Le due pompe elettriche per ogni serbatoio servono in particolare ad ottimizzare l'alimentazione ed evitare fenomeni di cavitazione in condizioni particolari (bassi livelli di carburante, assetti limiti, etc.).

L'altra ipotesi, quella della interruzione del circuito di alimentazione del combustibile, può essersi verificata anch'essa in volo per ragioni meccaniche (rottura dei condotti di alimentazione) oppure per azioni dinamiche in volo a seguito dell'incidente (cavitazioni a carico del condotto di combustibile).

Una ultima ipotesi, forse la più probabile, è quella associata alla insorgenza di fenomeni di stallo o di pompaggio dei compressori che si sono potuti verificare nelle accertate improvvise variazioni di assetto del velivolo al momento dell'incidente".

Quanto al Cockpit Voice Recorder (CVR) così il collegio scrive: il Cockpit Voice Recorder è un registratore di suoni a nastro magnetico installato a bordo dell'aereo. Esso registra su quattro canali (piste) differenti contenuti su un nastro magnetico suoni provenienti:

-da un microfono sempre funzionante posto nella cabina di pilotaggio (pista 1);

-dal microfono del comandante dell'aereo e dalla radio di bordo (pista 2);

-dal microfono del secondo pilota e dalla radio di bordo (pista 3);

-dal microfono dello steward o della hostess (pista 4).

Gli ultimi tre microfoni sono attivati rispettivamente:

-dal comandante;

-dal secondo pilota;

-dallo steward o dalla hostess.

Il registratore, dal momento della partenza dell'aereo, è sempre in funzione. Il nastro magnetico è a ciclo chiuso (ad anello) e la durata del nastro è di circa 30 minuti. Dal nastro, prima che passi dinanzi alle quattro testine di registrazione, viene cancellato, da un'altra testina, quanto era stato registrato mezz'ora prima. In conseguenza di ciò, in qualunque momento l'apparecchiatura dovesse fermarsi, resta a disposizione l'ultima mezz'ora di registrazione. Il CVR non ha alcuna batteria di alimentazione e pertanto, quando viene a mancare l'alimentazione di bordo, esso si arresta..

Nel caso si trattava di un Sundstrand Data Control Inc. di Redmond, Washington, USA, modello V 557, le cui caratteristiche son tutte descritte in perizia. Questo modello presentava le seguenti caratteristiche in caso di incidente: shock - 100g; fuoco - 1100 gradi centigradi per 30 minuti; immersione in acqua salata - indefinita.

Per quanto riguarda il testo si è cercato di operare una trascrizione il più fedele possibile anche nel caso di conversazioni in inglese o nel gergo usato nelle comunicazioni con la torre di controllo, ma in alcuni casi la scarsa qualità del segnale e l'elevato rumore di fondo hanno impedito che ciò avvenisse.

La situazione a bordo del velivolo, fino al momento dell'incidente, era assolutamente normale. Solo la parola "GUA" potrebbe indicare la constatazione, da parte di un componente dell'equipaggio, di un evento eccezionale.

Quanto alla determinazione dell'orario in cui si è fermato il CVR, la frase presa a riferimento è stata: "è sull'Alpha la 870". Detta frase è stata pronunciata nelle trasmissioni TBT alle ore: 18h56'00". Poichè il funzionamento del voice recorder termina 3' e 51" a partire dalla frase sopracitata, se ne deduce che l'orario in cui il registratore si è fermato è: 18h59", con una approssimazione di qualche secondo rispetto alla registrazione automatica di Ciampino.

L'esame dei tratti analizzati nelle prove acustiche, conferma una somiglianza tra l'impulso 2 (originale) e i due impulsi di prova ottenuti con esplosioni all'esterno del velivolo, mentre sono nettamente diversi i grafici degli impulsi relativi ai colpi sparati all'interno della cabina, sia come forma dell'andamento energetico che come durata.

Quanto al confronto tra gli impulsi si può notare la similitudine esistente, sia per la forma sia per la durata, tra lo "impulso 2" e gli impulsi prodotti da esplosioni esterne alla cabina (impulso REC9b, pistola; impulso REC10, raudo). Si può notare come gli impulsi derivanti da esplosioni interne all'aereo (impulso PF1A, pistola; impulso RG6, raudo) abbiano un tempo di decadimento molto superiore a quelli derivanti da esplosioni esterne. Ciò è facilmente intuibile per via dell'esistenza, all'interno dell'aereo, delle riflessioni multiple ("riverbero acustico"). Quanto sopra permette di rispondere agli interrogativi anziposti, deducendo che l'"impulso 2":

- è molto simile agli impulsi registrati, durante le prove acustiche, in conseguenza delle esplosioni provocate all'esterno dell'aereo;

- è totalmente differente dagli impulsi registrati in conseguenza delle esplosioni provocate all'interno dell'aereo.

Il collegio a questo punto prende in esame le modalità di intervento dell'impianto di erogazione dell'ossigeno.

Se accade in cabina una decompressione, l'ossigeno viene reso disponibile agli occupanti del velivolo nella seguente maniera:

- con il regolatore compensatore di pressione in cabina nella posizione in automatico l'ossigeno viene inviato nel condotto di alimentazione con un impulso di pressione, quando la pressione assoluta in cabina scende al di sotto di un certo valore.

- con un comando manuale se il regolatore non funziona in automatico.

Nel caso del DC9, a seguito dell'incidente, le maschere di ossigeno non sono state espulse automaticamente dai propri contenitori e ciò è stato provato dal fatto che nessuna maschera è stata recuperata immediatamente dopo l'incidente e nessuna è stata ritrovata al di fuori del relativo contenitore. La bombola di ossigeno è stata ritrovata con il raccordo di accoppiamento al regolatore troncato di netto, per strappo violento. Ciò testimonia che la bombola è stata sottoposta ad un urto molto intenso. A seguito dell'incidente, si è rotto in qualche punto il collettore principale di erogazione dell'ossigeno, la qual cosa avrebbe infatti impedito la messa in pressione del circuito e quindi la fuoriuscita automatica delle maschere. Si deve concludere che il danno al velivolo è stato arrecato o nella parte anteriore destra ove è alloggiata la bombola di ossigeno in questione o in corrispondenza comunque di una zona esterna superiore della fusoliera (ove è alloggiato il collettore principale di alimentazione dell'impianto di ossigeno). La integrità del corpo cilindrico della bombola di ossigeno fa pensare comunque che essa sia stata molto vicina all'epicentro dell'esplosione e comunque non direttamente colpita dalla stessa. Anche nessuno dei vari tratti dei tubicini in acciaio inox, ritrovati, costituenti tratti del collettore principale di alimentazione dell'ossigeno, sembra essere stato direttamente esposto ad una esplosione.

Quanto sopra rafforza la ipotesi di una esplosione esterna al velivolo.

Sull'impianto elettrico il collegio così poi riferiva.

In caso di avaria di uno dei due circuiti elettrici di alimentazione (bus), un sistema automatico di relays provvede ad isolarlo ed a passare l'alimentazione delle due utenze a quello ancora in funzione. In caso di avaria che coinvolga tutte e due i circuiti (bus), è prevista l'entrata in funzione di un sistema di alimentazione elettrica di emergenza che utilizza quale sorgente di energia due grosse batterie elettriche. Tale sistema non interviene in maniera automatica, ma necessita di un intervento da parte dell'equipaggio, che deve azionare un interruttore. Per giustificare la totale perdita di alimentazione elettrica, che non ha permesso ai trasponder di inviare ulteriori segnali ed al CVR di continuare la registrazione, si possono fare le seguenti ipotesi:

- l'evento esplosivo può aver tranciato entrambi i cavi di alimentazione (bus) che portano l'energia elettrica dei generatori alla centrale elettrica di distribuzione;

- l'evento esplosivo improvviso può aver danneggiato e messo fuori uso la centrale elettrica di distribuzione;

- l'evento esplosivo può aver azionato, a mezzo di deformazione dei cavi, le due valvole di intercettazione dell'alimentazione di combustibile, che, come conseguenza, hanno anche quella di spengere i due generatori elettrici.

Tra tali tre ipotesi, è estremamente difficile poter individuare la più probabile. Alla terza ipotesi, che è stata ritenuta come la più probabile per spiegare lo spegnimento in volo dei motori, potrebbe essere dato un peso maggiore.

A questo punto il collegio Blasi inserisce le considerazioni medico - legali del prof. Romano.

Il perito medico-legale che ha operato con autonomia nell'ambito di competenza, al termine dell'esame della documentazione acquisita e delle dette autopsie, formula le seguenti considerazioni.

Il ripescaggio dei relitti dell'aereo non aveva condotto al recupero di resti umani, salvo pochi frammenti ossei provenienti dai residui della cabina di pilotaggio. Ciò poteva avere più spiegazioni: - corpi (od eventualmente loro pezzi) potevano essersi dispersi in mare ed essere stati divorati da fauna marina vorace; - ossa e loro frammenti potevano essersi dispersi nella melma del fondo marino, divenendo irrecuperabili.

Quanto alle lesioni traumatiche nei vari tipi di incidenti, il perito afferma che esse presentano carattere di variabilità in funzione sia dell'entità delle lesioni stesse, che della sede degli organi e regioni corporee colpite, in stretto collegamento con la dinamica del sinistro.

L'incidente di volo è ogni evento verificantisi in danno al velivolo, alle persone o alle cose, che derivi dall'impiego di un aeromobile durante una o più fasi di volo.

L'incidente aviatorio con mortalità più elevata è quello che si verifica durante il volo vero e proprio. La gravità delle lesioni corporee è dovuta alla notevole entità delle forze decelerative che si verificano e ad altri parametri. Come durata di applicazione di tali forze, loro direzione, asse corporeo secondo cui esse agiscono, grandezza della superficie corporea sulla quale si applicano le forze stesse valori di G/sec., ecc.

Per effetto della decelerazione, si hanno violenta dislocazione e violento impatto dei corpi contro le strutture dell'aereo; concorre la forza espulsiva dell'aria in ingresso dalla falla della cabina a pressione (decompressione esplosiva).

Al riguardo di un disastro aereo, la valutazione medico-legale prende in considerazione: l'identificazione delle vittime; gli effetti traumatici; i loro determinanti.

Gli effetti traumatici consistono in lesioni complesse, ossia estese, gravi e multiple, le quali integrano i grandi traumatismi. Le lesioni sono tanto più gravi quanto maggiore è la sollecitazione elastica. Le più comuni sono quelle scheletriche, con maggiore frequenza delle fratture craniche nei gravi incidenti aerei, a causa della maggior massa presentata dalla testa. Gli altri segmenti scheletrici fratturati sono in ordine di frequenza: le coste e il bacino, lo sterno (la cui lesione è importante per gli effetti che può avere sul cuore), gli arti, le cui lesioni possono variare dall'amputazione più o meno totale alle fratture multiple scomposte o comminute, soprattutto di femore ed omero, in genere provocate dalla violenta dislocazione contro le strutture dell'abitacolo.

Le lesioni del cervello, che possono arrivare sino allo sfacelo, si accompagnano in genere con gravi fratture craniche e si associano spesso con emorragie intracraniche. Frequenti le lesioni del cuore e dell'aorta, attribuibili al concorso di più meccanismi lesivi. Le lesioni delle pleure e dei polmoni sono comuni. A carico del fegato si riscontrano rotture di varia entità, sede e profondità. Anche a carico della milza si osservano lacerazioni multiple sino allo spappolamento completo. A carico dei reni si rilevano spesso lacerazioni quasi sempre localizzate all'ilo. A carico dell'intestino si rilevano rotture di anse con diffusione del contenuto nel cavo addominale. A proposito di lesioni cutanee, abbastanza frequentemente v'è sproporzione tra le numerose e spesso imponenti lesioni scheletriche e viscerali e le lesioni dei tegumenti esterni.

La decompressione esplosiva, per improvvisa apertura di una falla nelle pareti della cabina pressurizzata, con successiva precipitazione dei corpi, comporta lesioni intra-vitam da decompressione (emorragie e lacerazioni parenchimali) e lesioni parimenti vitali da violenza contusiva per l'intervento di altri fattori lesivi: brusca decelerazione in volo nell'attimo dell'esplosione decompressiva, scuotimento quasi "a batacchio di campana" dei passeggeri, proiezione dei loro corpi contro le pareti interne della cabina (fratture scheletriche limitate, rotture viscerali, contusioni e ferite dei tegumenti); nonchè lesioni provocate anche post-mortem dall'urto dei corpi già privi di vita, precipitati al suolo o sul mare da grande altezza (fratture scheletriche multiple e comminute prevalentemente localizzate agli arti, ampie dilacerazioni cutanee); manca comunque la disintegrazione totale, non accompagnandosi l'impatto del corpo con la sua esplosione. Altra eventualità da prendere in considerazione è l'esplosione seguita da impatto. In tal caso, oltre alle lesioni da scoppio vi è l'immissione nei corpi delle vittime di schegge metalliche derivanti dalla frammentazione dell'involucro dell'ordigno esplosivo o da parti metalliche e non della fusoliera interessate all'esplosione. Ciò può dar luogo alla disintegrazione, sempre strettamente limitata al focolaio dell'esplosione stessa.

In caso di perdita di pressione o decompressione - che può essere esplosiva o rapida, a seconda del tempo in cui avviene; e nel caso di specie fu esplosiva, come afferma il perito, in quanto si pone che la falla, localizzata nella parte anteriore destra del velivolo, abbia interessato la parte inferiore della cabina di pilotaggio fino al bagagliaio, con diametro tra m.1 e m.3, allorchè il velivolo si trovava a 25.000 piedi e quindi con pressione atmosferica esterna meno di 0,69 e più di 0.30 atmosfere - i fenomeni sono paragonabili a quelli di una vera e propria esplosione e successiva turbolenza. Il carattere esplosivo dell'evento dipende ovviamente dalla notevole violenza e rapidità con cui l'aria contenuta nell'interno della cabina tende a mettersi fulmineamente in equilibrio di pressione con l'aria-ambiente atmosferica avente una pressione molto inferiore. L'aria interna precipita quindi tumultuosamente fuori della breccia con tale violenza da poter addirittura, se la breccia è molto ampia, trascinare fuori oggetti e persone.

Gli effetti fisiopatologici di un simile evento, che sono costituiti dall'anossia acuta, dall'aeroembolismo e dai fenomeni meccanici legati alla rapidissima variazione di pressione, dipendono dai seguenti fattori: quota alla quale avviene la decompressione; velocità di decompressione; pressione differenziale fra interno della cabina e quota di navigazione; durata dell'esposizione alla bassa pressione barometrica e disponibilità o meno di immediato rifornimento di ossigeno; velocità di ricompressione, con la quale - dopo l'incidente - dalla quota di navigazione si può raggiungere la quota esistente nella cabina prima della decompressione; suscettibilità individuale, dipendente a sua volta da vari fattori, quali le condizioni fisiche del soggetto, la fase del ciclo respiratorio durante la quale si verifica la esplosione, la maggiore o minore velocità e facilità di scorrimento dei gas polmonari attraverso lo spazio morto respiratorio, etc.; differente suscettibilità di specie, legata probabilmente ad alcune caratteristiche anatomiche quali lo sviluppo dell'apparato digerente e del suo contenuto gassoso rispetto alla superficie e alle dimensioni corporee, la maggiore o minore ristrettezza delle vie aeree superiori, etc.

La velocità di decompressione varia in funzione della sezione dell'apertura prodottasi nelle pareti della cabina, del volume della cabina stessa e della pressione differenziale. L'equilibrio di pressione avviene tanto più rapidamente (e quindi tanto più gravi sono gli effetti fisiopatologici conseguenti), quanto più grande è la sezione del foro, quanto minore è il volume della cabina e quanto maggiore è la differenza fra la pressione interna della cabina e quella esterna della quota di navigazione.

Ad una quota tra 25.000 e 40.000 piedi, per essere la pressione atmosferica molto più bassa di quella a livello del mare, la pressione di ossigeno può far conservare la coscienza solo per pochi minuti; la morte per anossia sopraggiunge anche in soggetti giovani in un quarto d'ora o meno.

Tra i 15.000 e i 20.000 piedi, inizia la zona di relativa sicurezza; a 8.000 piedi gli effetti dell'anossia sono minimi.

V'è correlazione tra velocità di caduta dell'aereo ed anossia. Se la falla nella fusoliera dipende da esplosione ed una persona è nelle vicinanze del focolaio suddetto, il corpo può essere distrutto e letteralmente ridotto in pezzi; piccole parti possono essere sparse. Se lo scoppio è di entità limitata o se la vittima è ad una certa distanza, lesioni possono essere limitate alla decapitazione o al distacco di un arto o al maciullamento di una zona corporea limitata.

Per lo scoppio di una bomba, la temperatura dei gas esplosivi può raggiungere i 3.000°C. . Il contatto con la fiammata causa ustioni, ma possono essere ugualmente ustionate dal calore irradiato le persone che si trovano oltre il raggio di azione.

La velocità dello spostamento del calore dipende a sua volta dalla durata dell'esplosione.

L'onda d'urto, che si espande concentricamente dal centro dello scoppio, è un'onda sonora ad altissima pressione che passa oltre il corpo umano. Al di là dei violenti sovvertimenti che si verificano in vicinanza dell'esplosione, la velocità dell'onda decresce fino a raggiungere circa la velocità del suono a 340m/sec.. L'onda d'urto non ha il profilo liscio di un'onda sonora; il suo fronte è ripido, alzandosi improvvisamente ad un picco di pressione in meno di un millesimo di secondo, per poi calare decisamente diventando negativo, quindi un'onda di risucchio, per un certo intervallo di tempo. La durata dell'onda d'urto è molto breve. La pressione idrostatica, o aerea, è più forte nella zona d'esplosione a cala rapidamente, quasi in modo esponenziale, a mano a mano che aumenta la distanza dal centro allo scoppio. Quando un'onda d'urto colpisce la superficie del corpo, parte viene riflessa, parte viene deviata, il resto viene assorbito. Questa parte si propaga per tutto il corpo con modalità complesse. Particolarmente compromesso il polmone, perchè la sua struttura non è omogenea ma con diversa densità. Si associa l'effetto lacerante o dirompente che si verifica quando un'onda d'urto passa dal mezzo liquido del tessuto polmonare nel mezzo gassoso dell'alveolo. Anche l'orecchio può essere organo bersaglio di un'onda da scoppio, che equivale a un'onda sonora di alta densità. Possono derivarne iperemia, ecchimosi puntiformi della membrana timpanica intatta, rottura della membrana stessa, danno coclea. Spesso i cadaveri vittima di esplosioni presentano gli abiti a brandelli o sono denudati.

Le lesioni traumatiche descritte nei corpi ripescati sono di varia entità: dai tronconi si passa a salme abbastanza bene conservate.

Le lesioni traumatiche possono raggrupparsi come segue:

- lesioni cranio-facciali in 33 salme;

- lesioni toraciche in 33 salme;

- lesioni addominali in 21 salme;

- frattura arto superiore destro in 17 salme;

- frattura arto superiore sinistro in 17 salme;

- amputazione arto superiore destro in due salme;

- amputazione arto superiore sinistro in due salme;

- frattura arto inferiore destro in 20 salme;

- frattura arto inferiore sinistro in 20 salme;

- amputazione arto inferiore destro in 4 salme;

- amputazione arto inferiore sinistro in 5 salme;

Nelle salme di Guarano Andrea, Calderone Maria Vincenza, Lupo Giovanna, D'Alfonso Francesca, Guzzo Rita, Guerino Giacomo furono rinvenuti corpi estranei nella quasi totalità metallici. Nelle salme di Campanini Arnaldo, Zanetti Alessandro, Zanetti Nicola, Gruber Marta, Guerino Giacomo furono osservate lacerazioni dei timpani e/o emotimpani.

In conclusione: non tutti i corpi hanno subito le stesse azioni traumatiche; la diversità di lesioni può riferirsi a meccanismi traumatici più violenti per alcuni, meno per altri. La riduzione però in monconi di alcuni corpi, l'infissione di corpi estranei nei corpi (in armonia con quanto rinvenuto nei sedili dell'aereo) le alterazioni timpaniche orientano per una ipotesi di falla, da esplosione, nella fusoliera.

Tra l'ipotesi di esplosione a genesi endogena e quella di esplosione a genesi esogena, appare da privilegiarsi la seconda per mancanza su corpi e su cose repertate di fenomeni di ustione e in linea sussidiaria di tracce di incendio e per assenza nei corpi di CO e/o HCN.

L'ipotesi che appare scientificamente più verosimile al medico-legale sulla causa dell'incivolo, di cui è processo, è da ravvisarsi nell'azione di un missile.

Infine le considerazioni conclusive.

- Risultati sicuri erano, prima dell'attività di questo collegio peritale:

a) il DC9 era un aereo in buone condizioni di manutenzione ed in regola con tutte le prescrizioni ufficiali. Anche il personale di bordo appariva essere in regola come addestramento, integrità fisica e riposo;

b) nessuno elemento meteorologico anomalo era segnalato in zona e l'aereo percorreva la rotta assegnatagli senza alcuna apparente anomalia. Si escludeva quindi un cedimento strutturale spontaneo e/o una collisione in volo;

c) il ritrovamento di residui di T4 e l'esame delle schegge estratte dai cuscini e dai bagagli, recuperati in mare, confermava l'ipotesi di un'esplosione come causa primaria dell'incidente.

- Risultati ricavati dal collegio peritale prima del recupero del DC9

Si possono così sintetizzare:

a) la presenza di residui di T4 era confermata su uno dei ganci metallici di fermo della copertura di stoffa di uno degli schienali e contemporaneamente accertata la presenza, sullo stesso, di residui di TNT;

b) un'accurata analisi dei dati radar di Fiumicino e il volo simulato condotto nella stessa zona e in condizioni simili a quelle dell'incidente confermavano che l'aereo era aerodinamicamente quasi integro dopo l'incidente e non era frammentato. Inoltre la stessa analisi confermava che un velivolo estraneo, delle dimensione di un aereo da caccia, aveva attraversato ad alta velocità la zona dell'incidente in tempi immediatamente precedenti e susseguenti l'incidente stesso. Nessuna informazione utile veniva invece ricavata dal radar militare di Marsala che non segnava alcuna traccia del DC9 in caduta nè del velivolo estraneo predetto. Analoga considerazione valeva per i dati del radar militare di Licola;

c) le analisi sulla traiettoria e la natura della schegge estratte dai cuscini e dagli schienali davano come probabile l'ipotesi dell'esplosione esterna all'aereo.

- Risultati ricavati dopo il recupero del DC9.

Si sono ottenuti i seguenti risultati:

"a) è stato confermato che l'aereo era caduto in mare sostanzialmente integro e completo di ali, coda, impennaggi e motori a circa 6 miglia nautiche in direzione Est rispetto alle coordinate dell'ultimo trasponder del DC9. I motori erano in regolare funzionamento fino al momento dell'incidente e praticamente fermi al momento dell'impatto in mare;

b) l'incidente ha provocato l'interruzione quasi istantanea del sistema elettrico bloccando, fra l'altro, il trasponder e il Cockpit Voice Recorder;

c) il Cockpit Voice Recorder recuperato ha dimostrato che nessun segno di preavviso era stato rilevato fino al momento dell'incidente, salvo una parola interrotta ("Gua..."), registrata direttamente sulla pista del microfono della cabina di pilotaggio, sempre aperto, e per diafonia (induzione elettrica da correnti circolanti su conduttori vicini) sulle piste relative a tutti gli altri tre microfoni, che al momento erano chiusi. L'evento fonico sembra essere un'esplosione esterna all'aereo ed è certamente differente da un'esplosione interna, come ha dimostrato la prova acustica. Le registrazioni si sono interrotte bruscamente qualche secondo dopo l'ultima eco radar del transponder del DC9 per black - out improvviso di tutto il sistema elettrico, senza che il personale di bordo avesse avuto tempo e/o la possibilità di inserire gli apparati di riserva (non automatici);

d) il portello del vano portabagagli anteriore presenta almeno un foro, forse due, di un oggetto che è penetrato, dall'esterno verso l'interno dell'aereo, con velocità sicuramente superiore ai 400m/s, non giustificabile (nè per velocità nè per posizione) con l'impatto in mare.

e) i depositi neri o bruni, che si notano solo sulla superficie esterna del velivolo, sono stati essenzialmente prodotti dalla corrosione della lega di alluminio costituente il rivestimento esterno dell'aereo; un esame più approfondito eseguito su un deposito che appariva più evidente, ha dimostrato che esso conteneva tracce superficiali significative di carbonio amorfo come quello che è solitamente derivato da fenomeni di combustione più o meno rapida;

f) una delle schegge recuperate dai cuscini, e con evidenti tracce di fenomeno esplosivo, ha una composizione chimica praticamente uguale a quella della lega di alluminio con cui era costruito il rivestimento esterno del DC9. Un'altra scheggia, sempre recuperata da un cuscino e con sicure tracce di fenomeno esplosivo, ha una composizione chimica prossima a quella della lega che compone le ordinate della fusoliera. Si ricorda che anche due ribattini e frammenti dei finestrini esterni ed interni provenienti dal rivestimento esterno dell'aereo erano stati trovati nei cuscini;

g) le intrusioni ritrovate nei cuscini e negli schienali erano costituite in gran parte da frammenti di legno, di vetro (appartenenti alle plafoniere), e di materiale plastico, facente parte dei rivestimenti immediatamente prossimi alla struttura esterna.

h) un lembo della copertura di stoffa di uno degli schienali, rimasto attaccato ad uno dei ganci metallici di fermo, rilevava evidenti tracce di essere stato attraversato da una scheggia ad alta velocità proveniente da un'esplosione. Ciò conferma indirettamente le tracce di esplosivo trovato nel gancio di cui sopra;

i) non vi è alcuna traccia di fiammata di qualsiasi origine su tutte le superfici interne del DC9, almeno limitatamente alle parti recuperate. Nemmeno altri tipi di fenomeni congruenti con un'esplosione interna - fori dall'interno verso l'esterno - sono stati trovati sulle superfici interne dell'aereo. E' però da tener presente che l'elevato stato di frammentazione del relitto del DC9 potrebbe aver reso impossibile il loro riconoscimento

l) mancano, fra i pezzi recuperati, frammenti consistenti e sicuramente identificabili della parte esterna di aereo compresa fra l'attacco anteriore ala e la prima fila di poltrone passeggeri posta dietro la cabina di pilotaggio. Per questo motivo e per altre considerazioni, si può concludere che il fenomeno è esplosivo;

m) i risultati delle osservazioni medico legali sono consistenti con i risultati precedentemente esposti. Significativa è la mancanza su cadaveri e cose repertate di fenomeni di ustioni ed in linea secondaria di tracce di incendio per assenza nei corpi di CO e/o HCN".

Al termine dell'elaborato il collegio procede alla analisi delle cause dell'incidente.

L'analisi viene compiuta con la ben nota tecnica "dell'albero delle possibilità" al fine di non escludere alcuna ipotesi, per quanto improbabile potesse apparire alla luce delle attività svolte.

L'analisi porta alla conclusione finale che l'evento verificatosi è sintetizzabile nell'abbattimento del DC9 da parte di un ordigno esploso esternamente; in definitiva un missile.

Azione di esplosivo ad alto potenziale.

Elementi a favore:

a) tracce di T4 su schegge prelevate da un cuscino (1 su 20 cuscini con schegge) e su tre bagagli (3 su 15 bagagli esaminati) come documento dalle analisi dell'Aeronautica Militare del 5.10.82. Si noti che due dei tre bagagli, date le dimensioni, erano probabilmente bagagli di cabina;

b) tracce di T4 e TNT su di un gancio ritrovato nello schienale n.3 rosso (1 su 33 schienali esaminati), come documentato dalle analisi del CNR (Servizio di Spettrometria di Massa Napoli);

c) elevato numero di schegge di piccole dimensioni estratte dagli schienali e dai cuscini recuperati:

- circa 700 schegge recuperate da 20 cuscini, con peso ridotto (anche dell'ordine del decimo di grammo);

- circa 330 schegge simili recuperate da 25 schienali;

- i numerosi frammenti del foglio delle "Norme di Sicurezza" dell'aereo trovati nei cuscini (ad esempio nei cuscini n.36,43,48,50) denotano la estrema violenza del fenomeno che ha provocato la rottura del foglio stesso;

d) le profondità di penetrazione delle schegge predette (p.es.8 e 15cm nel cuscino n.10; 5 e 30cm nel cuscino n.27; 7cm nel cuscino n.50, come accertato dai laboratori dell'Aeronautica Militare, e 30cm nello schienale n.6 rosso, come accertato dai laboratori dell'Alfa Avio) indicano velocità di penetrazione dell'ordine di centinaia di m/s. Alcune di queste schegge sono risultate essere frammenti di ossa umane e sono ulteriore prova della violenza estrema del fenomeno;

e) microfusioni, tipiche di fenomeni esplosivi, sulle fibre sintetiche del rivestimento interno di sette su quindici bagagli recuperati, come rilevato dall'Aeronautica Militare e confermato dal Rarde;

f) presenza di "rolled edge", "gas wash" e "pitting", caratteristici dei fenomeni esplosivi, sui frammenti ritrovati in 7 cuscini, come rilevato dall'Aeronautica Militare e confermato da Rarde;

g) ritrovamento in due cuscini di ribattini, a testa svasata verniciata provenienti dalla superficie esterna dell'aereo:

- cuscino n.45: ribattino a testa svasata verniciata in bianco;

- cuscino n.10: ribattino a testa svasata verniciata in rosso pompeiano.

Si ricorda che l'aereo era verniciato in bianco con una striscia ed altri fregi in rosso pompeiano;

h) impulso acustico registrato dal CVR 0,2 secondi prima della interruzione completa dei circuiti elettrici. Questo impulso è risultato simile per forma e durata a quelli provocati artificialmente, durante le prove acustiche, all'esterno del velivolo, mentre è differente da quelli provocati all'interno;

i) penetrazione profonda della "fascetta condotto aria di ventilazione vano radio-rack" nel supporto rotaia esterna sinistra di fissaggio dei sedili passeggeri. Se ne deduce una velocità notevole della predetta fascetta e una sua traiettoria quasi parallela al pavimento della cabina passeggeri;

l) ritrovamento nei cuscini n.10,35 e 50 del frammento di un contenitore di plastica posto nel "Galley" anteriore dell'aereo che aveva un'etichetta rossa con la scritta "E-VAR...". La direzione del moto dei predetti frammenti dal "Galley" è verso la cabina passeggeri;

m) mancanza completa dei vestiti su alcuni dei trentotto cadaveri recuperati, caratteristica "dell'effetto soffio" dovuto ad una esplosione. Questo elemento non è di per sè probante in quanto la mancanza dei vestiti è spiegabile anche con altre ipotesi (caduta in volo);

n) mancata fuoriuscita delle maschere di ossigeno per i passeggeri, imputabili all'improvvisa rottura in uno o in più punti del circuito di alimentazione;

o) altre prove più direttamente collegate alla ricerca della origine dell'esplosione (esterna o interna) più oltre.

Elementi contrari.

Nessuno.

Conclusione: l'ipotesi è accettata.

Esplosione nella cabina passeggeri.

Elementi a favore:

a) presenza di tracce di esplosivo nelle schegge recuperate da alcuni cuscini ed in alcuni bagagli di cui due probabilmente di cabina. Questo elemento non è di per sè risolutivo in quanto è conciliabile anche con altre ipotesi circa la posizione del centro dell'esplosione;

b) non ritrovamento di parti consistenti del tratto di fusoliera compreso tra il bordo di attacco anteriore delle ali e la prima fila di poltrone dietro alla cabina di pilotaggio. Questo elemento non è di per sè risolutivo in quanto è conciliabile sia con un esplosione interna che con una esterna.

Elementi contrari:

a) mancanza di ustioni su tutti i cadaveri recuperati;

b) mancanza di tracce di CO e di HCN nei polmoni e nel sangue dei cadaveri sottoposti ad autopsia;

c) presenza di cadaveri con poche lesioni esterne, giustificabile dall'effetto schermante del rivestimento esterno;

d) presenza sullo sportello di chiusura del vano portabagagli anteriore, recuperato in fondo al mare, di almeno un foro provocato da un frammento che viaggiava dall'esterno all'interno dello sportello con velocità decisamente superiore ai 400m/s e non giustificabile con l'impatto in acqua;

e) presenza fra le schegge recuperate dagli schienali e dai cadaveri di moltissimi frammenti dei vetri dei finestrini interni ed almeno in un caso di quelli esterni. La traiettoria di queste schegge è inconciliabile con un'esplosione interna all'aereo, tanto più che non si tratta di casi isolati, per cui si potrebbero ipotizzare rimbalzi molto particolari e/o l'effetto dell'onda di depressione che normalmente segue un'esplosione;

f) traiettoria dei due ribattini di cui al paragrafo VI.B-6.1g dall'esterno verso l'interno della cabina passeggeri;

g) traiettoria della fascetta di cui al paragrafo VI.B-6.1h parallela al piano pavimento della cabina passeggeri e sotto il pavimento stesso;

h) traiettoria del frammento di plastica di cui al paragrafo VI.B-6.1i dal Galley anteriore verso la cabina passeggeri;

i) la traiettoria della scheggia di alluminio recuperata nel cuscino 6 e con la stessa composizione chimica del rivestimento esterno dell'aereo, non giustificata con un'esplosione nell'interno del DC9, a meno di non ipotizzare ancora una volta una improbabile traiettoria di rimbalzo. Si rammenta che questa scheggia presenta evidenti tracce di fenomeno esplosivo, come hanno accertato i laboratori dell'AM e confermato dai laboratori del Rarde;

l) l'esplosione ha avuto un raggio di azione limitato se solo in 7 dei 54 cuscini e in 10 dei 33 schienali recuperati sono state trovate la maggior parte delle schegge. Questa azione limitata mal si concilia con una esplosione nella cabina passeggeri, che non ha tramezzi nè altri divisori, a meno di non ipotizzare l'azione di un limitato quantitativo di esplosivo. Non si comprenderebbe, in questo ultimo caso, come questo modesto quantitativo abbia lasciato le maggiori tracce sui bagagli;

m) assenza di tracce interne di esplosione (fiammate, residui carboniosi, come ad esempio nel caso del Tristar dell'Air Lanka del 3.5.86) su tutti i particolari e parti di aereo recuperate.

Conclusioni: l'ipotesi è rifiutata.

Queste, infine, le risposte ai quesiti posti al collegio peritale.

1. Al momento dell'incidente l'aereo DC9 percorreva l'aerovia assegnatagli dal controllo del traffico aereo di Roma Ciampino - Ambra 13 - alla quota stabilita 25000ft.

2. Fino al momento dell'incidente il volo è stato regolare. Il sistema radar di Roma - Fiumicino ha rilevato la presenza, nella zona dell'incidente, di un congruo numero di segnali (plots) relativi ad un aeromobile delle dimensioni di un aereo da caccia e la cui traiettoria, in proiezione orizzontale, era quasi normale a quella del DC9. Quest'aeromobile non è venuto in collisione con il DC9 e successivamente all'incidente si è allontanato. Si hanno elementi per ritenere che questo aeromobile sia interessato all'incidente, ma non si hanno elementi sufficienti per precisarne il ruolo (aggressore o bersaglio).

3. Dalle analisi riferite in atti e da quelle espletate dal collegio peritale emergono evidenze a favore dell'ipotesi che l'incidente sia da attribuire all'azione di un esplosivo ad alto potenziale. Gli elementi a disposizione sono convergenti nel far ritenere che si è trattato di un evento esterno all'aereo DC9, probabilmente avvenuto in corrispondenza della parte anteriore dell'aeromobile, in una zona relativamente concentrata.

4. Tutti gli elementi a disposizione fanno concordemente ritenere che l'incidente occorso al DC9 sia stato causato da un missile esploso in prossimità della zona anteriore dell'aereo. Allo stato mancano elementi sufficienti per precisare il tipo, la provenienza e l'identità del missile stesso.

5. Le lesioni traumatiche descritte sui corpi recuperati sono di varia entità: dai tronconi si passa a salme relativamente ben conservate. Per i motivi esposti nel corso della relazione medico-legale, si deve pensare ad azioni traumatiche di natura diversa. In base alle risultanze, l'osservazione medico-legale è congruente con l'ipotesi di esplosione a genesi esogena, ad opera di un missile.

6. Dal tipo delle traiettorie e dalle profondità di penetrazione dei vari frammenti ritrovati nei cuscini, negli schienali, e nei cadaveri appare accertato che si sia trattato di un fenomeno esplosivo esogeno, esterno all'aereo come già detto in precedenza.

Riesumazioni di D'Alfonso e Calderone.

Nel corso di questa perizia fu compiuta una serie di attività, e i cui risultati sono serviti per la redazione delle conclusioni.

In effetti, come già detto, il 30 luglio 85, questo Ufficio a seguito di precise richieste, aveva incaricato il collegio di procedere:

1. esumazioni delle salme di Calderone Maria Vincenza e D'Alfonso Francesca;

2. recupero dei relitti dell'aereo e delle salme e dei resti umani in esso contenuti,

3. esame del relitto dell'aereo coreano KAL 007 custodito in Corea del Sud.

Sui recuperi s'è detto. Sull'aereo sud-coreano non si era potuto concludere, perchè all'epoca non si erano acquisiti i rapporti sull'evento.

Infine le due riesumazioni, quelle delle salme delle passeggere Calderone Maria Vincenza e D'Alfonso Francesca. Queste riesumazioni erano state sollecitate dalla parte civile all'epoca costituita, in considerazione del fatto che di entrambe le predette persone si conosceva o si poteva dedurre la posizione nella cabina.

La prima, una donna di anni 58, infatti era stata accompagnata da certi Angelini e Guerzoni dipendenti dell'aeroscalo, su sedia a rotelle, per operazione su una gamba eseguita a Bologna. Questa signora fu fatta salire sull'aereo attraverso il gate posteriore e fatta accomodare sul primo sedile adiacente allo spazio del corridoio dell'ultima fila di destra, con le spalle alla toilette di fondo. Dopo il recupero del suo cadavere venne fotografata al rilievo nr.43 ed assunse il numero 23 dell'ordine progressivo delle salme.

Alla seconda, una bambina nata nel 73, il cui cadavere era stato fotografato ai rilievi 67 e 68 ed aveva assunto il numero 36, era stata estratta dalla coscia sinistra una scheggia. Questo reperto era stato esaminato dall'AM, e dall'NTSB negli Stati Uniti, e riferito alla centina posteriore di sinistra esterna del pannello trapezoidale P/N 9957447-3 posto all'attacco alare. Si era staccato dal pezzo per rottura dinamica. Su questa scheggia sottoposta, come s'è detto, a XEDA, erano stati rinvenuti zolfo, cloro, fosforo, potassio e calcio.

Per la presenza di elementi non standard per la lega e per la vernice utilizzata per la struttura originale come per il fatto che la centina sopra specificata si trovasse in prossimità dell'ugello del reattore e dunque in sede di radiazioni infrarosse, zona automaticamente ricercata dalla testata di un missile antiaereo, sosteneva quella parte civile, che anche la D'Alfonso dovesse come la Calderone trovarsi in posizione arretrata nell'abitacolo.

Per questa ragione e poichè in sede di esame delle salme non si era proceduto all'accertamento nè di eventuali presenze di ulteriori frammenti nè della presenza di ferite transfosse da schegge iperveloci, se ne chiedeva, come detto, la riesumazione (v. richiesta della parte civile, 06.07.85).

Le conseguenti autopsie dettero questi risultati.

Per la D'Alfonso s'apprezzò lo sfacelo traumatico della testa ridotta esclusivamente all'emifaccia destra. Al torace s'apprezzarono i residui di un notevolissimo infiltrato ematico nei muscoli intercostali. Gli organi toracici non risultarono più identificabili, mentre da quelli addominali presentandosi in stato di corificazione, non furono possibili rilievi utili. Furono repertate in corrispondenza del cavo ascellare sinistro una scheggia apparentemente di materiale plastico ed una seconda di dimensioni minori apparentemente metallica.

Per la Calderone s'apprezzarono la frattura dell'omero sinistro, quella esposta del femore destro e l'amputazione traumatica del piede sinistro; sulla teca cranica numerose linee di frattura; e infine la frattura di numerose coste. Si rinvennero due corpi metallici: uno di forma allungata, l'altro tondeggiante.

Nel corso di questa perizia la presenza di consulenti di parte è minima. Solo la parte civile Itavia nomina il prof. Umani Ronchi, medico-legale, il dott. Ugolini, esperto balistico, il comandante Dentisano, investigatore di incidenti aerei, e il prof. Giuli, ingegnere aeronautico. Costoro non produrranno documenti, se non l'Ugolini una nota per l'esumazione dei cadaveri di D'Alfonso Francesca e Calderone Maria Vincenza, e la comparazione tra le vittime del nostro incidente con quelle del volo nr.182 dell'Air India, avvenuto il 22 giugno 85 nell'Oceano Atlantico in prossimità delle coste d'Irlanda, e quelle dell'aereo di linea coreano KAL 007, abbattuto da missili sovietici il 1° settembre 83 nell'Oceano Pacifico nei pressi di Hokkaido, in Giappone.

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