Capitolo XIII

Consulenza tecnica Ugolini - 28.06.90.

Come s'è visto nel corso della 2a Blasi sono stati nominati consulenti da parti sia imputate che civili.

Dopo il deposito tra giugno e luglio 90, consulenti di parti civili presentano ben tre elaborati; e precisamente: il prof. Antonio Ugolini per l'Itavia "Note introduttive tecnico-balistiche ed esplosivistiche alle conclusioni delle relazioni di perizia d'Ufficio e delle note critiche della difesa dell'Aviazione Militare Italiana" (deposito 28.06.90). Il prof. Dino Giuli per l'Itavia "Alcuni commenti sulla "Perizia sull'incidente del DC9 I-Tigi del 27.06.80 - supplemento di indagini" del 26.05.90" (deposito 13.07.90). Il dott. Paolo Miggiano consulente di parti civili "Note alla perizia di Ufficio e contributo al proseguimento delle indagini" (deposito 18.07.90).

Queste in sintesi le note di parte Ugolini.

La prima relazione di perizia collegiale affidata da questo Ufficio il 21 novembre 84 riportava nelle conclusioni motivi di convincimento che a causare l'abbattimento del DC9 I-Tigi fosse stata l'azione di un missile aria/aria. La concorde risoluzione dei periti si basava, oltre che sulla presenza di effetti sicuramente riferiti ad un fenomeno detonativo che aveva interessato il velivolo - tracce di T4 e di TNT, perforazioni da outside a inside a velocità superiori a quella di crociera sul portello del vano anteriore bagagli, distruzione di una porzione di aeromobile - sulla registrazione sul CVR di un rumore con caratteristica dall'esterno, su una parola troncata del pilota "gua..." - che altro non poteva che significare "guarda" ed era certamente riferibile a qualcosa all'esterno - sulla presenza di schegge anonime e non classificabili con certezza come quelle dell'aeromobile, sul tracciato radar che indicava la presenza di un veloce intruso sull'aerovia percorsa dal DC9 I-Tigi, su una macchia di nerofumo carbonioso all'esterno.

D'altra parte l'assenza di tracce di ossido di carbonio e di acido cianidrico nel sangue e negli omogeneizzati biologici delle vittime, come la mancanza di tracce di bruciature o ustioni, confermavano ancor più lo scoppio esterno.

Era sì vero che la Commissione governativa Pratis, la Commissione dell'AM ed una memoria dell'avv. Taormina, difensore di alcuni indiziati di reticenza, avevano rimesso in gioco la ipotesi di un ordigno esplosivo non definito, collocato all'interno dell'aeromobile. Ma l'Ufficio, avendo ritenuto che la perizia fosse esaustiva quanto al mezzo impiegato per l'abbattimento del velivolo, aveva disposto soltanto un supplemento di perizia per approfondimenti sulla nazionalità di fabbricazione del missile.

A conferma di questa decisione, quindi nella certezza che non si trattasse di un ordigno esploso all'interno dell'aeromobile, quest'Ufficio non aveva nemmeno reintegrato il prof. Romano, in quanto non v'erano ulteriori motivi di contendere in ordine agli effetti sulle vittime, già osservati e descritti nella precedente relazione. A riprova anche la motivazione di rigetto dell'istanza di reintegrazione presentata dall'avv. Fassari, difensore dell'Itavia in quanto "...nessun quesito medico-legale è oggetto di odierno incarico peritale...". Durante lo svolgimento del nuovo incarico, si rilevava da parte del consulente, che i periti si erano rivolti all'ing. Spoletini della SNIA ed a tecnici Selenia, come ausiliari esperti rispettivamente in campo esplosivistico-missilistico e radaristico. E che le relazioni di costoro, avevano indotto due dei cinque periti a rivedere le precedenti conclusioni. Blasi e Cerra infatti si erano dissociati dalle precedenti conclusioni ed avevano abbracciato la tesi dello scoppio di un ordigno a bordo, mentre Imbimbo, Migliaccio e Lecce avevano confermato, con ulteriori argomenti, la tesi dello scoppio di testata di un missile.

Il convincimento di Blasi e Cerra si basava essenzialmente sul fatto che non si erano ritrovati frammenti di missile nè stimmati degli impatti di schegge di testate di guerra sui resti dell'aeromobile e sulle vittime, e che le tracce radar si erano rivelate erronee riguardo alla individuazione di un intrusore nell'aerovia. La deduzione era: "non c'era l'aereo vicino al DC9 e dunque non ci può essere nemmeno il missile...".

Ma il perito di parte è di contrario avviso e ritiene di poter concludere che le brecce dentro-fuori, osservate sulle lamiere del portello del vano bagagli anteriore del DC9, non possano esser riferite nè all'urto del relitto sul pelo del mare, nè a fattori durante il moto di precipitazione, nè all'impatto di schegge di teste di guerra del tipo "continuous rod" o "discrete rod" su quella parte della fusoliera. Considerate la morfologia e le dimensioni delle brecce, appare innegabile che non possano essersi prodotte con urti, in lunghe traiettorie di lancio, di schegge "pre-formed", in quanto sarebbero state più piccole e regolari come negativi di un cubetto o di una flechette di pochi centimetri. Non possono nemmeno essere state prodotte da impatti di schegge "fire formed", perché in tal caso sarebbero apparse come squarci, dati i margini taglienti delle stesse.

In effetti possono solo esser dovute, quelle brecce ad impatti di strutture di sostegno (tralicciati o trabeccolature) costituite di materiale metallico a resistenza alla deformazione e con durezza molto simile a quella della lamiera urtata. Escludendo un interessamento quasi-statico, e pertanto a bassa velocità, come sostenuto dai tecnici dell'AM, in quanto il penetratore si sarebbe deformato durante lo sfondamento ed avrebbe causato sovrammargini e mai il "petaling", rimane valida, secondo quel consulente, solo la tesi sostenuta da Imbimbo, Lecce e Migliaccio. Resta pertanto certo ed incontestabile che le brecce siano state proprio prodotte da porzioni libere o sporgenti, ma danneggiate dal precedente scoppio della testa di guerra, di alettoni o code di missile o addirittura del cappello tagliavento o porta antenna. Si giustificano così le due brecce e forse le altre due adiacenti, ove erano state rinvenute, si dice, ancora infissi spezzoni di longherone in lamiera di tipo avionico, materiale perfettamente identico tra un missile ed un aeromobile anche civile; la mancanza di invasione di schegge della testata del missile all'interno del relitto; la assenza di fenomeni ustori sulle vittime e sui loro abiti; la veicolazione per fenomeni di turbolenza ed adesività al corpo del missile di minimi residui aerosolici di T4 e TNT e di leggere schegge con le stimmati della detonazione, quali la scheggia del cuscino 27, e senza, quali le schegge 52-1M e 6-4M; la distruzione su porzioni opposte e molto estese della carlinga, propria di un effetto massivo di trapassamento di un grosso, ingombrante e veloce corpo e non da attraversamento di semplici schegge, che invece avrebbero lasciato sulle pareti un numero rilevantissimo di fori data la sottigliezza delle lamiere; la proiezione diretta fuori dalla carlinga di passeggeri e sedili ed altri fenomeni. Deve essere ricordato, aggiunge questo consulente, che un missile è formato dalla testa di guerra e da altre parti che dopo lo scoppio proseguono, seppur deteriorate e deformate, la loro corsa verso il bersaglio, danneggiandolo all'impatto.

I corpi delle vittime, ribadisce, non presentavano le caratteristiche stimmati di uno scoppio avvenuto in angusto e vincolato volume come la carlinga di un DC9. Su di essi sono state rilevate solo infissioni di schegge superficiali, quasi statiche, senza osservazione alcuna, da parte dei periti settori, di transiti transfossi, e senza individuazione, da parte dei periti radiologi, di brecce ossee da impatto di scheggia. Inoltre, nessuna traccia anche di semplici eritemi "da lampo" neppure sui visi e sulla pelle delicata dei bambini. Così come nessuna presenza, nei bronchi e negli alveoli, di micro - solidi derivati dalla frammentazione comminutiva ed iperrapida sia dell'ordigno che del materiale ambiente, nè della immancabile azione ustoria dovuta alla penetrazione a forza dei gas caldi sulle delicate mucose interne. I più che modesti effetti infine di lacerazione timpanica, descritti dai periti otologi, come determinati da fenomeni conseguenti la depressione esplosiva a causa della falla sulla carlinga e non da effetti "compressivi" tale quello provocato dal fronte dell'onda d'urto della detonazione del T4 e del TNT. E così tutti i fenomeni - conclude il consulente - che si notano sulle vittime a seguito di esplosione accidentale o dolosa di un ordigno, non sono assolutamente presenti sui cadaveri dei passeggeri del DC9 Itavia.

Le schegge metalliche, di plastica, di vetro ed altri materiali, estratte dai cuscini e dagli schienali nelle due campagne di ricerca, non dimostrano, salvo la scheggia di un lamierino estratta dal cuscino 27 che presenta stimmati di investimento da fenomeno detonativo, una profondità di penetrazione che giustifichi un lancio diretto o indiretto da un'esplosione avvenuta all'interno dell'aeromobile. La bassa penetrazione, unita anche a constatazione sulle fodere dei cuscini e degli schienali, del fenomeno di "fraying", conduce piuttosto a meccanismi da urti e sfregamenti durante la caduta e l'impatto sulla superficie del mare, all'interno dell'aeromobile. La presenza della scheggia ritrovata a 30 cm dentro l'imbottitura del cuscino n.7, con stimmati riferibili a quelle di un investimento di fenomeno detonativo, di cui non s'è dimostrato, con prove sperimentali orientative, una elevata velocità di impatto, non è con certezza riferibile ad oggetto venuto a contatto dell'esplosivo in detonazione. Analisi chimiche e fisiche sulla scheggia - non essendo state compiute in veste comparativa con materiale metallico laminato riferito ad involucri e strutture di missili ed essendo le stesse di incerto esito differenziale, in quanto sia per i missili che per gli aeromobili da guerra o civili si usano le stesse composizioni centesimali delle leghe - allo stato non possono indicare con certezza l'origine della scheggia. Essa può essere perciò derivata tanto da parti esterne dell'aereo quanto da corpi di missile. Data la sua non eccessiva velocità, non le si può di certo attribuire una provenienza ravvicinata.

La estrazione da cuscini e schienali di schegge di lamiera - la 6-4M rosso e la 52-1M -, che all'analisi qualitativa e quantitativa del Rarde sarebbero apparse di composizione incompatibile con quella delle strutture del DC9 I-Tigi, fanno propendere per la provenienza di tali schegge da "skin removal" di testata di missile, e ciò anche per la morfologia e la geometria delle due schegge. Una osservazione che appare rilevante è quella secondo cui la scheggia 52-1M, allorchè fu estratta dal cuscino n. 52 dalla posizione 1, presentava strati di "pittura verde chiara". Tale pittura viene indicata anche per altre schegge di lamiera estratte dai cuscini e dagli schienali, e per una scheggia estratta durante l'autopsia della Calderone. L'analisi cromatica e chimica di tale pigmento, non presente nei colori del DC9 Itavia, unita all'atipica composizione centesimale, potrebbe condurre con certezza verso schegge di origine militare, ove si ricordi l'uso in tale ambito della caratteristica "olive grey mimetic paint".

Di tali note, redatte sulla base di cognizioni dirette di letteratura anglosassone sugli esplosivi le esplosioni e gli incidenti di volo, come di esperienze immediate di attentati in particolare a mezzi in movimento, appaiono degne di essere riportate alcune critiche sulle condotte degli inquirenti e le considerazioni sugli effetti delle esplosioni e sui missili in uso nell'80.

Il consulente osserva che in considerazione dei "modesti e non diffusi fenomeni di ipertemperatura, dell'assenza della immancabile miriade di schegge con le stimmati del fenomeno detonativo diretto, dell'assenza di tutti quei fenomeni patologici diretti e indiretti, purtroppo ben noti e tipicizzati, sulle vittime di esplosioni in ambienti a geometria vincolata come nella specie la cabina del DC9 I-Tigi, ...appaiono ancor più stridenti le omissioni, formali e sostanziali, compiute dagli inquirenti dell'epoca e da tutti gli incaricati di eseguire le indagini tecniche.

Non si comprende perché non furono eseguite le autopsie a tutte le salme e perché non si eseguì a futura memoria (si trattava di un immane disastro con "puzza" di qualcosa di anomalo, se già i medici legali di allora scrissero esplicitamente nelle loro relazioni che s'era provocata una falla nella carlinga...), un completo fascicolo fotografico a colori.

Non si comprende perché non furono repertate e confezionate in distinti corpi di reato, le vesti indossate dalle vittime; non si comprende perché non si attuarono ricerche radiologiche ad hoc, con i criteri riportati nelle norme e nelle raccomandazioni specifiche delle ricerche in medicina legale, in traumatologia di guerra ed in balistica terminale (vedi per esempio i dati riportati in COLU-GG-REP/4 alla pag.4, riferiti alla riunione a Lugano del 1976 degli esperti governativi sull'uso di alcune armi convenzionali) di intrusione di materiale non X-opaco (per esempio xerografie, ultrasuonografie, etc.), e perché non si provvide almeno alla estrazione delle schegge che erano state individuate radiologicamente sulle vittime prese a campione per tale esame diagnostico.

Non si comprende perché i tecnici della DLAM, che usavano come "bibbia" i lavori dell'Higgs, non richiesero subito gli abiti delle vittime, dato che è ormai risaputo che per la natura dei tessuti, questi conservino, anche dopo lavaggi senza detergenti anionici, microtracce di esplosivi come il T4, il TNT e tutte le serie di DG, NG e NC... . Potevano tali tecnici, allora nell'immediatezza dei fatti, tramite il magistrato che li aveva commissionati, e data la delicatezza e l'importanza della rilevazione, richiedere addirittura l'esumazione per recuperare eventuali abiti... . Perché non fu fatto?"

Sull'esplosivo osserva che: "Una carrellata statistica sugli esplosivi e sulle modalità di impiego nei fatti terroristici o criminali occorreva farla, se non altro per escludere o per includere, dalla norma, un certo modus agendi dell'eventuale esecutore dell'attentato al DC9 I-Tigi.

In quei tristi tempi, e purtroppo in quelli immediatamente seguenti, la vicinanza di centri di guerra e di guerriglia del Medio Oriente e di propaggini di terrorismo politico e/o religioso, fornivano uomini ed esplosivi non limitatamente. In quei primi tristi tempi, si succedevano esplosioni motivate e/o immotivate, rivendicate e/o anonime, anche contro aerei oltre che a treni, banche, uffici pubblici, grandi magazzini, sinagoghe, etc... . Negli aeroscali italiani non esistevano ancora i controlli radioscopici dei bagagli, anche perché il problema del traffico e del transito di droga e di ordigni era sottovalutato: si ricorreva per lo più ai cani, "sniffatori" naturali sia di esplosivi che di droga.

Gli esplosivi usati o sequestrati in quei tempi in Italia, per lo più consistevano in residuati bellici della II guerra mondiale, in furti in cave ed in opifici militari pertanto: per lo più gelatine esplosive a TNT e NG ed anche esplosivi granulari o polverulenti nitrammonici, e assai raramente PTN e T4, materiale prettamente militare e recente: per i terroristi che si potevano rifornire in altri lidi o che venivano direttamente riforniti da terroristi internazionali (vedi "Settembre Nero" ed altri già fin dal 1972 in Italia) l'esplosivo di elezione era il Semtex H e quello IH cecoslovacchi, miscele di T4 e PTN in varie proporzioni (e di qui i vari tipi e numeri di classifica) in pani da 2 libbre e da 5 libbre (circa 1kg e 2.5kg circa) già preconfezionati con la sede dell'innesco.

Negli attentati contro aerei civili in volo, ancora non si erano introdotti gli esplosivi in tessuto od in lamine con i quali si costituivano valige e borsoni, praticamente non "sniffabili" dai rilevatori e affatto sospettabili: l'apparato di innescamento poi, non era con il corpo di plastica e miscela organica, che oggi è affatto evidenziabile al controllo radiologico all'aeroscalo di partenza o di transito (vedi gli ultimi casi ove nessun detector ha prevenuto l'introduzione degli ordigni).

In quei tempi, si trattava ancora, almeno a stare alla diretta esperienza del sottoscritto ed a quanto riferito da altri, di congegni grossolani, costituiti da grossi giocattoli elettrici o radioregistratori (allora a bobine e pertanto ingombranti) inzeppati, per la maggioranza dei casi, di TNT nelle varie miscele civili e militari o di Semtex H, tutti con innesco elettrico comune a comando di un orologio o di un timer fotografico. In tre casi italiani di attentati sventati in tempo (ma forse si trattava solo di ordigni di transito per altri lidi, provenendo da Baghdad e destinazione la Francia e la Germania, forse per gli aderenti delle due attive organizzazioni rosse di quei due Paesi) si rinvenne in una valigia, della corda detonante alla PTN che rivestiva intieramente le due valve di un valigione di plastica, in una altra invece PTN quasi pura, agglomerata con una vernice inodora e rivestente - sotto una garza di tenuta - tutte e due le valve di un valigione, nell'altra infine tre grossi pacchi di caramelle da 2kg l'uno, risultate poi essere cubetti di Semtex IH ricoperti ognuno da carta variopinta... . S'era ben lontani dal recente rinvenimento della valigia ripiena di vestiti invernali costituiti da inodore ed insospettabile tessuto esplosivo, con l'innesco del tipo a doppio liquido, ad effetto di simpatia detonativa contenuto in una normalissima bottiglia di profumo francese dal tappo massiccio e strano, tutto "vogue".

In tutti i casi però di sequestro di ordigni, ove appunto si potè con certezza stabilire la quantità ed il tipo d'esplosivo, si trattò sempre di alcuni kg d'alto esplosivo per ogni ordigno, mai di soli etti come la stampa voleva avvalorare. Eccetto una borsa contenente una rudimentale bomba con 2kg di Semtex H, stivata in una bambola parlante, che risultò portata a mano da una ragazza araba certamente ignara, in tutte le altre occasioni, almeno a conoscenza del sottoscritto si trattò di bagaglio non a mano. Ciò bene si giustifica col fatto che, a meno di non essere un invasato kamikaze che si sacrifica per un ideale religioso od un pazzo, è ben difficile che colui che vuole compiere un attentato ad un aereo in volo, porti esso stesso la bomba e per di più in cabina... . Si tratta, nella generalità di collo spedito senza passeggero, oppure affidato a passeggeri ignari, e dunque stivato nel vano bagagli.

Se si fosse usato nel presunto ordigno fatto esplodere dentro al DC9 I-Tigi, il tanto pubblicizzato Semtex H, tanto i tecnici della DLAM che poi i periti proff. Acampora e Malorni, avrebbero rinvenuto pure le tracce di PTN, ma non quelle di TNT insieme al T4...

La constatata statistica quantità media di esplosivo in transito od usato contro aeromobili civili, in quel tempo (dai 2 ai 6kg), certamente sarebbe stata nella detonazione d'effetti ben più disastrosi di quelli accertati: ma soprattutto avrebbe causato indiscriminatamente danni patologicamente rilevabili a posteriori con inequivocabile caratteristica da scoppio d'ordigno in tutti i passeggeri (effetti termici alle superfici esterne e quelle interne comunicanti, tatuaggi puri e spuri, riempimento inerziale dei bronchi e degli alveoli di microschegge e microresidui solidi, superfici cutanee con rosate di soluzioni di continuo crateriformi da impatto di schegge infuocate ed iperveloci, perforazioni a scoppio comminutivo di ossa, etc.)... . Poiché, nella specie nulla si osservò di tutto ciò, appare ancor meno accettabile, anche ai lumi della casistica di allora, uno scoppio da ordigno terroristico o criminale veicolato dentro il DC9 I-Tigi."

Sui missili rileva che "I dati generici sulle warhead, poiché in Italia non potrebbero mai ottenersi essendo notizia "tabù", possono invece trovarsi in alcuni manuali di origine inglese, editi a cura e conto del Royal Military College of Science, a Shrivenham in Gran Bretagna e destinati ai frequentatori dei corsi delle Accademie Militari: tali libri, sono in libera vendita in Gran Bretagna in quanto distribuiti dalla Brassey's Publischer Limited del gruppo editoriale Pergamon.

Da questi manuali, ed in particolare da quello dei due insegnanti del corso di "Ammunitions" prof. K.J.W. Goad e col. D.H.J. Halsey, si viene a conoscenza (e lo si confronta poi con il completissimo e consultatissimo catalogo inglese, Jane's System Weapons del 1980), che le warhead dei missili aria-aria erano (e sono) di vari tipi ed a vari effetti:

a. "blast" ossia ad effetto d'onda d'urto (specie se del tipo "shaped charge" con dardo pressorio concentrato direzionabile) o di scoppio ("blast and fragmenting") dopo la penetrazione del bersaglio (usati per combattimenti ravvicinati per esempio tra piccoli e lenti aeromobili oppure contro elicotteri);

b. "fragmenting", ossia con involucro che costituisce la sorgente dei proiettili primari che danneggiano poi il bersaglio per perforazione multipla: sono del tipo "natural" se l'involucro si comminutizza in forma random allo scoppio, del tipo "fire-formed" se l'involucro presenta già linee di preintaglio che agevolano la comminutazione in schegge regolari, del tipo "pre-formed" se l'involucro è costituito da una scatola coassiale alla carica, ripiena di sfere o flechettes o cubetti o barrette, etc.;

c. "rod effect", nei due tipi "discrete-rod" se il lancio dei frammenti liberi è predirezionato in un volume a ciambella od a disco davanti al missile, "continuous-rod" se invece i frammenti sono "incatenati" tra loro e formano un anello sottile ma investente una grande superficie continua ed agente con effetti cumulativi all'urto: sembra che esista pure un altro tipo, ossia il "chain-rod" che è costituita da una o più catene lunghe diverse decine di metri, con anelli saldati di uranio rigenerato, che sferzerebbero il cielo verso il bersaglio colpendolo e spezzandolo come un colpo di frusta (come era per le micidiali palle incatenate o per le bolas argentine...).

Il principio della "caccia" all'aereo con un missile, è lo stesso del tiratore al piattello o del cacciatore che per aumentare la probabilità di colpire il fuggente bersaglio non spara un solo proiettile ma "satura" spazio temporalmente con pallini - tutti dotati di unitaria qualità potenziale invalidante il bersaglio, se viene colpito - la nicchia nella quale è compreso il bersaglio stesso. E' lo stesso fatto perché si usano oggi contro gli oggetti volanti od in rapido moto le mitragliatrici e le mitragliere Vulcan che sparano proiettili incendiari o HE contenenti miscele di T4+TNT con ritmo di 3 o 4000 colpi al minuto...

Sull'effetto delle warhead del tipo "blast", ossia ad effetto di sovrappressione per onde sferiche o direzionate con una carica cava, non è che possa disconoscersene anche un deleterio effetto sulla grossa mole del DC9 I-Tigi se è vero che dal testo del Goad alla pagina 131 si indicano come "to give constant damage" lo scoppio di una carica di 10kg a 10 metri di distanza da un aeromobile, quando è risaputo che un missile aria aria porta almeno 20kg di alto esplosivo se non addirittura 50kg, come i grossi missili russi...

Ora però l'ing. Spoletini non ha affatto generalizzato sugli effetti di tutte le warhead di missili aria aria potenzialmente usabili al 1980 contro il "soft non living target" costituito dal fragile e non protetto DC9 I-Tigi: si è limitato a spiegare come sono le warhead di missili aria-aria dei paesi NATO od USA, non quelli di tutti gli altri probabili frequentatori del Mediterraneo non aderenti alla NATO od addirittura di altra alleanza. S'è peccato di inadeguatezza o di reticenza.

L'ing. Spoletini adduce tra le illustrazioni alla sua memoria tecnica anche gli effetti pratici osservabili su un aeromobile militare attinto sperimentalmente ed in diverse condizioni, da un "continuous-rod" che ha stampato le barrette tagliuzzando le lamiere in un lungo rosario.

Avrebbe dovuto addurre, per obiettività, anche illustrazioni mostranti aerei con debole protezione, attinti da schegge preformate e fire-formed con scoppi a distanze note in balipedio. Avrebbe dovuto addurre anche illustrazioni di aerei che vennero cumulativamente danneggiati da scoppio ravvicinato di warhead e pertanto accusanti doppio effetto, ossia quello del fronte d'onda e della proiezione delle schegge, e dimostrare quante di queste ultime sono rimaste all'interno dell'aeromezzo e quante hanno trapassato perdendosi...

Oltre ciò, non ha affatto mostrato, come invece fanno gli americani, e ne esiste molto materiale d'archivio, cosa avviene quando una warhead scoppia e che fine fa il corpo del missile...

Infine una nota puramente balistica: un missile è un "proiettile autopropulso" e come tale ha una traiettoria che non può essere omologabile a quella di un "proiettile sparato". Il primo ha una traiettoria in due fasi, una incrementativa durante la spinta del motore ed una decressiva - neologismo dei balistici - quando, finita la spinta, diviene un corpo passivo: il secondo ha una traiettoria sempre decressiva - neologismo dei balistici - in quanto la spinta finisce alla bocca della canna che lo sparò.

A seconda se il bersaglio al quale è diretto si trovi entro l'autonomia del propulsore o fuori, la velocità di arrivo è diversa, come diversi sono gli effetti di un eventuale trapassamento ed anche la cessione di quantità di moto. Ma a seconda della fase, se ancora accelerativa oppure in quella decelerativa, anche le schegge partiranno con velocità diverse, in quanto è notorio che alla velocità propria di esse assunta dalla impulsione dello scoppio della carica si deve aggiungere la velocità nella quale sta viaggiando il missile... .

Comunque il missile viaggia sempre ad una velocità piuttosto alta se si trova nel campo regolare di uso, perché deve rincorrere un aereo che anch'esso è veloce: se ormai fallito il bersaglio o tirato inadeguatamente fuori autonomia dovesse raggiungere un aeromobile del tipo morbido, esso si comporterebbe (come l'esperienza lo ha dimostrato, e lo vedremo più oltre con fatti specifici) come un proiettile - l'italiano non è fluente ma s'intende - che forse se la spoletta di prossimità avesse subìto danni o scaricata la batteria ossia si fosse inertizzata, non farebbe partire neppure la spoletta ad urto che necessita una resistenza particolare... . Né si può invocare l'intervento di un comando di autodistruzione se non si conosce neppure se il missile implicato lo possedeva, e se lo possedeva, se era funzionante od inertizzato.

L'ing. Spoletini, da quell'ottimo e noto tecnico che è, avrebbe dovuto presentare al collegio peritale una breve nota anche sulle entità "radar evidence" di certi mastodontici missili aria-aria d'origine russa (con testate ad hexolo) che viaggiano per decine di chilometri e superano certamente la soglia significativa radar se posti di fianco e che possono essere scambiati per caccia."

Sui fori del portello del vano anteriore bagagli e sulle cause di essi, il consulente sottolinea in particolare che: "Sia la velocità dei 200m/sec del rottame dell'aereo in caduta, che dei 238m/sec dell'aereo in crociera, sono molti lontani dai 700m/sec (ossia ben 2520km/h!) prospettati dai periti, e non è possibile attribuire tale velocità di autoimpattamento di rottami dello stesso aeromobile che invece viaggiava a velocità tre volte inferiore...

Se i fori "A" e "B" furono provocati ad una velocità di 700m/sec, ossia a numero di Mach 2,27 a quota 8000m s.l.m., significa univocamente che essi furono provocati da porzioni estranee all'aeromobile, riferibili ad "oggetti" viaggianti quasi ortogonalmente al corpo del DC9 I-Tigi con velocità quasi tripla a quella di crociera dell'aeromobile stesso.

Dato che la morfologia dei margini delle due brecce, ed anche il dimensionamento del varco, non sono facilmente assimilabili ad effetti penetrativi di schegge di testata di guerra del tipo "discrete rod" e "continuous rod", tutte d'alta tecnologia, appaiono aperte due vie:

a. si tratta di frammenti irregolari (da scheggiamento preformato o naturale) di warhead di grossi missili a bassa tecnologia (vedi per esempio il SA-2 o l'Apex 1° tipo o l'Atoll 1° tipo, sempre a guida mista), che appunto date le ingenti masse e ingombri, viaggiano già allo scoppio ed a quelle quote, a circa 700-800 m/sec.;

b. si tratta di porzioni sporgenti o liberate dallo scoppio della testata, di un corpo di missile, che appunto viaggia tra un numero di mach 2,5 e 3,0 per poter rincorrere un veloce caccia, che al tempo non superava il NMac 1,35 ossia 416m/sec. (circa 1500km/h), e che dopo lo scoppio ha perso velocità.

Questa ultima ipotesi appare invero la più affidabile, anche perché c'è da ricordare che il DC9 I-Tigi subì il maggior danno nella porzione compresa tra cabina di pilotaggio ed attaccatura delle ali, tant'è che tale struttura è andata persa, e che tale effetto massivo e stroncante il corpo dell'aeromobile, non può essere attribuito ad uno scoppio concentrato (a meno che non si trattasse di una carica oltre i 5kg, che poi avrebbe comportato anche altre osservazioni a posteriori) ma all'effetto di trapassamento di un grosso ed ingombrante oggetto viaggiante appunto a circa NMac 2,27 come la velocità con la quale si produssero le brecce "A" e "B": tale il corpo di un grosso missile aria-aria privato della testata, scoppiata in precedenza.

In questa ipotesi si riuniscono altre due ipotesi:

a. il missile era diretto al DC9 I-Tigi con traiettoria quasi ortogonale e che dopo lo scoppio a causa dell'attivazione della spoletta di prossimità, il corpo vettore ha proseguito autonomamente verso la fiancata dell'aeromobile colpendola, trapassandola e formando varie brecce satelliti (vedi le "A"; "B"; "C") con le parti ingombranti (alettoni, etc. oppure con lo sciame di frammenti a massa inerziale minore di quella delle schegge in acciaio della testata di guerra, viaggianti col corpo stesso);

b. la testata di guerra era scoppiata precedentemente in quanto diretta ad un altro aeromobile ma il corpo del missile, ormai privo di testata ed ancora atto ad una sua veloce traiettoria, ha colpito il DC9 I-Tigi sfondandolo e trapassandolo, provocando la penetrazione di frammenti con tracce di esplosivo ed anche porzione di aerosoli con residui di esplosivo, veicolati nei moti vorticosi in cui si trovava il corpo del missile "spuntato".

Sull'impatto di corpi di missili aria-aria dopo lo scoppio della warhead, esistono molti documenti in cinematografia iperrapida dei balipedi statunitensi ed inglesi: si allega appunto una sequenza fotografica ove si seguono le fasi dello scoppio della testata e poi l'urto e lo sfondamento a causa del trapassamento del corpo vettore del missile stesso.

Non potrà però dimenticarsi che le testate di guerra, a bassa ed alta tecnologia, non sono certo destinate ad aerei civili, non protetti da blindature e relativamente poco veloci e di grosse dimensioni, abbastanza vuoti di sofisticate attrezzature d'emergenza, ma anche senza pericolose "Santa Barbara" di munizioni. Un DC9 è certamente un "soft non living target" in quanto ha le lamiere e le strutture sottili e relativamente fragili, non è certo un "hard non living target" come potrebbe essere un caccia o un bombardiere che addirittura hanno protezioni laterali in ceramica od in tessuto Kelvar o simile ad altissima resistenza ma leggero (tessuto antiproiettile). In questa ottica, l'impatto di un grosso corpo di missile aria aria, con parti laterali molto ingombranti, giustificherebbe il grande squasso della fusoliera, la presenza di schegge non di testata (che essendo invece di massa ingente ed ad altissima velocità, trapassano il DC9 come se si trattasse di cartone e poi si perdono fuori), l'assenza dei fenomeni di fiamma ed arrostimento all'interno della cabina, l'assenza di alcuni fenomeni patogeni sui passeggeri, etc., come nel fatto specifico in esame.

Se poi il missile aria-aria fosse stato di vecchia fabbricazione e di bassa tecnologia, non certo godeva di completa affidabilità balistica ed elettronica. Bastava una zolletta microscopica di ossido su un contatto od un transistore che ha subìto un urto e s'è sconnesso o semplice umidità di condensa per mandare in "tilt" l'elaboratore di calcolo e l'apparato elettronico direzionale e di mira e quello del comando della spoletta di prossimità.

Non potrà neppure dimenticarsi, tanto per citare uno dei molti esempi notissimi, che il 14 aprile 70 un DC8 della Ethiopian Airlines fu attinto da un missile SA-2 egiziano, a bassa velocità dato che proveniva da un combattimento tra aerei non vicini, che si infilò nella carlinga senza esplodere. Il 26 giugno 70 un altro DC8 dell'Alitalia della linea Teheran-Roma pilotato dal comandante Pizzo, si trovò in mezzo ad un combattimento aereo e venne attinto a sinistra della cabina di pilotaggio da un missile siriano Alkalai (a guida radar, che non si autoguidò in coda sulle fiamme dei reattori ma andò dritto verso il corpo) sfuggito al bersaglio costituito da un caccia israeliano. Sulla cabina, non trapassata, si arrestò tutto il missile senza che la testata esplosiva partisse.

L'ing. Spoletini e la parte del collegio peritale dei proff. Blasi e Cerra, e bene inteso la difesa dell'AM, è evidente ed incontestabile che hanno commesso un errore di principio ed uno di valutazione. Il primo avendo completamente dimenticato che un missile aria-aria non è solo costituito da un warhead ad effetto di scoppio o di scheggia ma anche di un corpo vettore con tutti gli accessori, che data la sua velocità ed il suo peso costituisce da solo un ingente mezzo di neutralizzazione e di danneggiamento in un soft non living target. Il secondo avendo dimenticato che la velocità di 700m/sec. produttiva delle brecce "A" e "B" è impossibile attribuirla a frammenti dell'aeromobile o durante il volo (237m/sec.) o all'urto sul mare (200m/sec., ma per il calcolo riportato all'allegato alla relazione "Luzzatti" sarebbe dovuta essere non superiore ai 24-26m/sec.) ma che invece è proprio quella di un grosso missile aria aria dopo lo scoppio e la perdita della warhead e del cappuccio tagliavento.

In questa ottica, hanno bene risposto, controdeducendo, i periti proff. Imbimbo, Lecce e Migliaccio, che le brecce "A" e "B" possono provenire da impatti di schegge di warhead (dopo aver subìto il ritardo dovuto alla resistenza dell'aria) provenienti dalla parte attiva (frammenti ad alta densità di massa e velocità) o dal rivestimento (lamiere del cappuccio tagliavento in plastica ed in lega leggera avionica): non hanno però introdotto il caso dell'urto dell'intiero corpo vettore del missile, che nella specie, apparrebbe, dati anche i presupposti (mancanza di schegge di warhead, assenza di focolai ustori, assenza di effetti sui generis e complessi da "positive blast injuries" sulle vittime, etc.), molto affidabile, se non certo."

Sugli effetti lesivi di esplosione sulle vittime il consulente infine nota che: "Nel campo specifico di fenomeni complessi balistico terminali da esplosione (blast and splint injures) in/o contro aeromobili in alta quota, non è facile ritrovare materiale esauriente al nostro studio. I lavori che rimangono cardine delle varie problematiche specifiche, sono quelli (seppur ormai datanti 50 anni) raccolti nel noto trattato "German Aviation Medicine: World War II" redatto e translato a cura del Department of the U.S. Air Force nel 1952 e pubblicato dal G.P.O. di Washington. I lavori più recenti riferiti alle ricerche del Kokinakis comparati con i dati pratici desunti dalla casistica di guerra aerea (Vietnam, Corea, Afghanistan, Libano, Iran/Iraq, Falkland, etc.) raccolti sia nelle pubblicazioni del centro di prove balistiche B.R.L. di Aberdeen che in quelle del White Sands Missile Range a New Mexico, fanno ancora parte del materiale a diffusione proibita perché strategica.

L'ufficio Studi Strategici aeronautici dell'AM, possiede copia di molti di tali documenti, che non sono divulgabili, ma oggi invece utilizzabili, unidirezionalmente e privilegiatamente, per la personale difesa giudiziaria degli indiziati dell'AM stessa attraverso i consulenti tecnici, anch'essi militari."

D'interesse come s'è visto in quest'ultima parte il rilievo sulla posizione dei consulenti delle parti militari, che possono usare "unidirezionalmente e privilegiatamente", per la difesa di quegli indiziati ed imputati, studi militari britannici e statunitensi classificati e quindi di vietata diffusione, ma in possesso dell'AM e di certo a disposizione dei consulenti militari.

Il consulente di parte civile in vero anche in altra parte del suo documento aveva già rilevato la posizione quanto meno anomala di tali consulenti di parte, in ispecie il colonnello Andrea Torri.

"Non potrà non apparire oltre modo stridente agli occhi del cittadino comune, che un tecnico militare dell'AM (tra l'altro, occorre dare atto, uno dei migliori e più validi tecnici europei) tale il colonnello dr. Andrea Torri, allora compì tali forse incomplete analisi (che tra l'altro implicavano la trasformazione irreversibile durante i processi di estrazione chimica delle tracce) senza essere stato sottoposto a giuramento: oggi, nella sua veste di C.T.P. di difesa dell'AM, non sarà più tenuto ad essere inteso quale teste o tecnico per chiarire o rispondere su quanto egli operò al tempo (vedi appunto il secondo comma dell'art.351 vecchio c.p.p. cui il processo si riferisce per stralcio).

Se allora, ausiliario irregolare o comunque atipico dell'Accusa, pur in buona fede commise un errore od una omissione, oggi che si trova all'opposizione dell'Accusa, non è più tenuto a rispondere del suo operato, nè a chiarire i punti rimasti oscuri: il che corrisponde a dire che le relazioni di allora a sua firma perdono di valore ai fini probatori giudiziari ... e i reperti forse anche inutilizzabili".

Dietro