3. Le attività a Borgo Piave.

Il PM, di seguito all'acquisizione il 3 ottobre dei nastri di Marsala, richiedeva allo Stato Maggiore dell'Aeronautica l'autorizzazione ad usare il centro tecnico di Borgo Piave per la decifrazione di quei nastri. L'autorizzazione veniva concessa il 18 successivo (v. nota SMA del 18.10.80). Il 4 novembre l'inquirente avvisava lo Stato Maggiore dell'Aeronautica che l'11 seguente avrebbe raggiunto Borgo Piave accompagnato dai membri della Commissione Ministeriale - Mosti e Manno -, del collegio peritale - La Franca e Cantoro -, della Selenia - Barale, Giaccari e Nucci -, e da un ufficiale di PG - Morena. In effetti quel giorno si presentarono a quel Centro i sopraddetti meno il perito Cantoro, Giaccari e Nucci della Selenia; ma più Chiappelli e Cucco della Commissione Itavia. Costoro erano ricevuti dal comandante del Centro generale Giuseppe Gullotta e condotti nella sala del Gruppo Sviluppo Sistemi Automatizzati, ove era presente il capitano Salvatore Di Natale, che in seguito diverrà consulente di parte per i militari AM imputati. Al Di Natale furono consegnati i nastri magnetici sequestrati, al fine di "determinare il tracciamento della situazione aerea a Nord di Palermo nell'intervallo di tempo fra le 18.45 GMT e le 19.15 GMT del 27.06.80 e di ottenere la disponibilità del tabulato relativo nella parte non classificata". Questo ufficiale precisava che per situazione aerea doveva intendersi la rappresentazione grafica non solo della traccia del velivolo direttamente interessato, ma anche delle tracce di tutti gli altri velivoli acquisiti dal sistema di registrazione.

In esito furono consegnati al Pubblico Ministero due tabulati: il primo relativo al periodo di tempo 18.43-19.04; il secondo al periodo di tempo 19.12-7.31. L'intervallo di tempo 19.04-19.12 - si affermava in verbale - era verosimilmente imputabile al tempo materiale per il cambiamento dei nastri. Esisteva poi un ulteriore intervallo di tempo - continuava il verbale - che andava dalle 19.22 alle 06.47 del giorno 28.06.80. Di Natale faceva presente, al riguardo del tracciato della situazione aerea a Nord di Palermo, che "al fine di garantire la genuinità e l'esattezza dei dati, occorreva una disposizione di tempo pari ad almeno una settimana di tempo". Il magistrato richiedeva quattro tracciati entro il 20 novembre e consegnava al capitano i due nastri magnetici per la decifrazione, chiedendogli anche quattro copie dei tabulati già presi in consegna (v. verbale di consegna 11.11.80). In una nota successiva con cui si trasmettevano i tabulati al magistrato il responsabile del Centro generale Gullotta precisava che il processo verbale di cui sopra doveva intendersi parzialmente modificato nel senso che "i due nastri magnetici occorrenti per la decifrazione erano stati riconsegnati brevi manu al termine della visita". (v. missiva AM-Centro Tecnico Addestrativo DA, 17.11.80)

Il Centro, in esito alle operazioni di riduzione dati, consegnò sia l'11.11.80 che il 17.11.80 dei tabulati palesemente manipolati. Da essi infatti vengono tolte dai prospetti mediante taglio le colonne di x e di y; prospetti che dopo il taglio vengono uniti con nastro adesivo e consegnati all'AG. Una copia integrale comunque perviene agli atti giacchè prelevata in quella occasione dal perito d'ufficio, prof. La Franca.

Sulla vicenda v'è un interessante commento nella relazione Gualtieri che merita di essere integralmente riportato. "Si deve dunque presumere - in conformità del resto a quanto dichiarato alla Commissione dal maggiore Di Natale - che l'11.11.80 furono effettuate copie dei nastri originali per ottenerne i giorni successivi i tabulati richiesti dal giudice e che tali copie rimasero a Borgo Piave.

Dal testo del processo verbale risulta che i suoi estensori mostrano di non conoscere l'esistenza dell'esercitazione Synadex e quindi il fatto che soltanto il nastro n.99 era relativo alla registrazione del traffico reale e il n.100 si riferiva alla registrazione dell'esercitazione.

Il primo tabulato consegnato al giudice nella stessa giornata (18.43-19.04) è presumibile sia stato tratto dal nastro n. 99. L'orario di inizio dell'estrazione dati - 18.43 - è frutto di una scelta operata in quel momento per osservare presumibilmente la situazione più prossima al momento dell'incidente: è noto infatti che il nastro, che si riferisce al traffico reale, ha come orario di inizio registrazione le h.11.20Z.

L'orario di interruzione dell'estrazione dati alle h.19.04 differisce da quello indicato nel verbale di sequestro del 3.10, dove si rileva che l'interruzione ha inizio alle h.19.00Z: tale differenza verrà attribuita ad un errore compiuto a Marsala dove si sarebbe trascritto l'orario iniziale indicato nella programmazione della esercitazione Synadex e non quello della effettiva interruzione della registrazione automatica del traffico reale. Anche i plottaggi trasmessi l'11.7 da Marsala a Martina Franca si interrompono alle h.19.00Z, anziché alle 19.04Z: si è affermato che in quella estrazione dati fu interrotta in quel momento perchè ciò che rilevava osservare era il periodo precedente l'incidente.

Il secondo tabulato (19.12-07.31) è presumibile sia stato tratto dal nastro n.100, quello attribuito alla registrazione dell'esercitazione Synadex. E' opportuno ricordare che la ricostruzione ufficiale dei tempi relativi all'esercitazione Synadex del sito di Marsala si è alla fine stabilizzata sulla seguente scansione: fino alle 19.04Z: registrazione normale del traffico reale; dalle 19.04Z alle 19.12Z: accecamento completo del sistema radar automatizzato Nadge per cambio del nastro e per l'introduzione di quello destinato a registrare esclusivamente l'esercitazione; dalle h. 19.12Z alle 19.22Z: esercitazione Synadex; dalle 19.22Z alle 19.47Z: "buco" nella registrazione automatica del traffico reale a causa del tempo impiegato per il nuovo cambio del nastro, ovvero per riavvolgere il nastro del traffico reale interrotto alle h.19.04Z ed osservare quanto era stato registrato relativamente all'incidente.

Dal verbale si può dedurre anche che il secondo nastro, quello utilizzato per l'esercitazione, non era vergine, contenendo anche la registrazione, tra le 06.47Z e le 07.31Z, di tracce di traffico reale da non confondere con le tracce del traffico reale pure registrate, come sarà appurato, durante l'intervallo dell'esercitazione, tra le h.19.12Z e le h.19.22Z.".

Allo stato delle conoscenze di quel tempo - ovviamente al di fuori della cerchia degli specialisti, che all'epoca erano quasi esclusivamente appartenenti all'AM o alle imprese costruttrici di sistema radar - le conclusioni della Commissione appaiono più che meritevoli e sicuramente frutto di intelligenti intuizioni. Ma la vicenda dell'interpretazione dei nastri radar non si ferma qui; ha invece ulteriori seguiti ( giacchè i sopralluoghi a Borgo Piave dureranno sino al 97, cioè all'anno di chiusura della fase presente - come si vedrà nel prosieguo della motivazione.

La Procura nello stesso mese chiedeva, come da accordi con la Direzione laboratori AM, al 4° Reparto dello SMA, di disporre il trasporto a Roma dei reperti selezionati presso l'aeroporto militare di Boccadifalco (v. nota Procura Roma 17.11.80).

Il comandante del distaccamento AM di Boccadifalco riferiva di aver consegnato, in ottemperanza a disposizioni del Procuratore della Repubblica di Palermo Guarino - una tale disposizione non si rinviene in atti - al comandante Cavallo del G222 dell'AM una serie di relitti e reperti, specificati nell'elenco che di seguito si riporta, per essere trasferiti ai laboratori dell'AM.

Gli oggetti erano i seguenti:

nr.1 troncone di coda;

nr.5 tronconi di fusoliera;

nr.1 troncone di alettone;

nr.1 troncone timone di coda;

nr.3 pannelli in alluminio;

nr. imprecisato di rottami di fusoliera di piccole dimensioni;

nr.1 bombola ossigeno;

nr.54 cuscini per sedili;

nr.29 spalliere di sedili;

nr. imprecisato di rottami di sedili;

nr.2 battellini di salvataggio;

nr.1 contenitore cilindrico in plastica trasparente;

nr.2 contenitori cilindrici in plastica dura;

nr.9 valigie contenenti effetti personali;

nr.6 borse da viaggio contenenti effetti personali;

nr.2 salvagenti;

nr.1 coppia di ruote in gomma.

(v. processo verbale di consegna Furci Rocco, 24.12.80).

Come si nota manca la sonda e c'è un battello di salvataggio in più - qui due battelli, nel precedente verbale un solo gommone - e ci sono indicazioni generiche sui rottami di fusoliera di piccole dimensioni e sui rottami di sedili.

Il comandante del G222 ha confermato di aver compiuto la missione in questione. Il G222 apparteneva alla 46a Aerobrigata di Pisa e la missione era partita da questa città per Palermo Boccadifalco e da qui a Roma Ciampino. L'equipaggio era composto dal capitano Luciano Cavallo, dal maggiore Pasquale Luciano Guidi, dal maresciallo Ferraro Giuseppe e del sergente maggiore Cosimi Alessandro, deceduto nell'82 per incidente aereo e dal maresciallo Tulini, anch'esso deceduto.

Il materiale a Boccadifalco era alla rinfusa; ne nacque discussione con il comandante dell'aeroporto che pretendeva che venisse portato via così come si trovava ed esso Cavallo che richiedeva un minimo di confezionamento.

A Ciampino il G222 era atteso dai carabinieri che asserirono di dover prendere in consegna quel materiale per le indagini. A Boccadifalco, ha riferito sempre Cavallo, fu redatto un elenco ma non dettagliato. Della missione ha redatto un rapporto che di certo fu trasmesso al Comando della 46a Aerobrigata. Non ricordava, detto Cavallo, se i carabinieri avessero rilasciato o meno una ricevuta. Oltre ai carabinieri, ricordava, salì a bordo dell'aereo anche il capitano Palermo dell'AM.

Sul materiale i suoi ricordi erano però vaghi. Non rammentava se tra il materiale vi fossero due salvagenti di colore rosso, non rammentava se vi fossero due contenitori tubolari per boe sonore (v. esame Cavallo Luciano, GI 05.08.91).

Altrettanto vaghi i ricordi del secondo pilota, il quale afferma che del materiale vide ben poco. Ricorda che c'erano delle scarpe, dei vestiti, qualche salvagente tipo giubbotto di colore rosso, forse anche qualche sedile. Più preciso sul rapporto di missione. Si trattava di una relazione compilata dal capo-equipaggio contenente il modello di carico redatto dall'addetto al carico e una copia della bolla di carico - questa bolla è compilata in tripla copia, le restanti due vanno rispettivamente all'ente emittente e al destinatario del materiale. Non fecero un verbale di consegna, perché chi prese in consegna il materiale sicuramente sottoscrisse la copia della bolla di carico che restava nelle mani dell'equipaggio che aveva effettuato il trasporto. Il rapporto di missione era stato inviato al comando della 46a Brigata.

Il materiale fu caricato su camion. Il comandante dei carabinieri che avevano operato si alterò, perché a sua detta doveva predisporre un servizio di vigilanza per pochi stracci il giorno di Natale (v. esame Guidi Pasquale Luciano, GI 06.02.92).

Il maresciallo ricorda ancora meno sul materiale, al punto da non riconoscere alcunché nelle foto dell'hangar di Boccadifalco. Ricorda che l'aereo giunse a Ciampino lato Ovest e che i carabinieri intervenuti, cinque o sei, operarono scrupolosamente, tanto da compiere una ispezione nel vano carico dell'aereo, per assicurarsi che nulla di quanto trasportato fosse rimasto a bordo (v. esame Ferraro Giuseppe, GI 06.02.92).

Il capitano dell'AM che era salito a bordo del G222, ha ricordato l'episodio, ha ricordato che i reperti furono scaricati alla rinfusa in un hangar di Ciampino, ove al tempo dell'esame testimoniale vi era il 93° Gruppo del 31° Stormo; ha riconosciuto dalle foto il materiale scaricato. Il responsabile dell'Arma che prese in consegna gli oggetti poteva essere il maresciallo Cilindro, comandante della Stazione, poteva essere stato presente anche il comandante della Compagnia capitano Marchisio o D'Ovidio (v. esame Palermo Sergio, GI 06.02.92).

Nessuno dei carabinieri - sia il comandante della stazione CC. AM di Palermo Punta Raisi da cui dipendeva il posto fisso CC. di Boccadifalco nel dicembre 80, sia il responsabile di questo posto fisso nello stesso periodo, che il comandante della stazione CC. AM di Ciampino nell'80 - ricorda di reperti del DC9 Itavia, il terzo escludendo altresì di aver presenziato all'arrivo e alle operazioni di scarico del detto G222 (v. esami Lazzarino Vincenzo, GI 10.02.92, Zizolfi Rosario, GI 10.02.92; Cilindro Antonio, GI 10.02.92).

Il 30 dicembre successivo l'ufficio comando dell'aeroporto di Ciampino inviava, in ottemperanza a ordine telefonico di tal colonnello De Giovanni, al laboratorio chimico di Via Tuscolana il materiale seguente:

nr.1 bombola ossigeno anteriore destro;

nr.1 alula del flap destro;

nr.26 cuscini color rosso;

nr.14 cuscini color celeste;

nr.5 (o sei) schienali color celeste;

nr.4 schienali color rosso;

nr.14 cuscini senza foderina;

nr.11 schienali con parti metalliche;

nr.13 scatoloni contenenti materiale vario (valigie, salvagenti, borse, vestiti, borsette donna, rottami metallici, foderine e pezzi di gomma piuma di sedili e nr.2 canotti salvagenti color giallo);

nr.2 rottami di carenatura di raccordo bordo uscita ala e fusoliera destra e sinistra;

nr.1 rottame raccordo vano carrello parte sinistra e fusoliera parte anteriore; 262x158;

nr.1 rottame parte anteriore terminale ala sinistra;

nr.1 rottame raccordo vano carrello parte sinistra fusoliera 126x177;

nr.1 rottame guida per poltrona;

nr.3 rottami costituenti un carrello porta vivande;

nr.1 rottame raccordo vano carrello parte sinistra fusoliera 64x46;

nr.1 rottame raccordo vano carrello parte destra fusoliera 160x46;

nr.1 rottame coda di coda;

nr.1 asse con due ruote;

nr.1 contenitore plastica ottagonale alto un metro;

nr.1 rottame di color rosso 174x57;

nr.1 rottame color rosso non identificato;

nr.1 contenitore plastica ottagonale alto 92 centimetri;

nr.1 contenitore plastica cilindrico altro un metro.

(v. nota a firma maggiore Francione Alberto, 30.12.80, con timbro probabilmente di ricevuta della Direzione laboratori).

Il 6 gennaio successivo l'ufficio Comando di Ciampino trasmetteva la detta ricevuta alla Procura, assicurando che quel materiale giunto il 23 dicembre precedente con G222 dell'AM da Palermo Boccadifalco, era stato custodito in apposito locale chiuso e sigillato fino all'invio alla Direzione laboratori (v. nota a firma Generale Giovanni Romano, 06.01.81). Questo elenco, si deve notare, menziona genericamente salvagenti e indica i canotti salvagenti in numero di due.

Quest'Ufficio successivamente richiederà al responsabile dell'aeroporto di Boccadifalco quanto non risultava trasferito e gli originali delle fotografie degli oggetti raccolti in quell'hangar. Il Distaccamento di detto aeroporto risponderà che i salvagenti e i contenitori erano stati consegnati a Cavallo, mentre il restante materiale non risultava giacente presso quel comando (v. nota GI 27.05.91 e risposta Boccadifalco 18.06.91).

Quest'Ufficio provvederà altresì per l'acquisizione delle copie della bolla di carico ma tale provvedimento avrà esito negativo sia presso la 46ª Aerobrigata di Pisa che presso l'aeroporto di Boccadifalco (v. decreti di acquisizione 07.02.92 e relative relate negative).

Il materiale trasmesso ai laboratori AM sarà colà esaminato e vi resterà sino a che non verrà trasferito agli hangars dell'aeroporto di Capodichino, per ordine di questo Ufficio a disposizione del collegio Blasi. Ma su queste vicende infra.

Qui per terminare questo capitolo è necessario invece dire del relitto avvistato, ma non recuperato, dell'oggetto recuperato e accatastato con gli oggetti dell'hangar di Boccadifalco, di quegli oggetti recuperati nei mesi immediatamente successivi e collegati - come si vedrà se a ragione o a torto - nella vicenda dell'inchiesta con il disastro di Ustica. Come è necessario dire degli accertamenti compiuti su quanto non appartiene al DC9, giacché per quanto vi apparteneva se ne dirà nelle parti relative alla ricostruzione sull'iron bird e alle perizie.

Il relitto che non fu recuperato era stato avvistato dalla motonave Carducci, mobilitata anch'essa per la ricerca e il soccorso. Nel suo giornale nautico si legge sotto sabato 28 giugno che ad h.07.15 era stato ricevuto da parte della Capitaneria di porto di Napoli l'ordine di dirigere per il punto situato in latitudine 39°49'N, longitudine 12°55'E per rotta 325, e che alle ore 13.48 era stato avvistato in latitudine 39°04'N e longitudine 13°10'E un relitto di circa 6 metri, longilineo di colore bianco con estremità triangolare rossa semisommerso.

"Detto bersaglio - continua il giornale - nonostante sia stato mantenuto sotto controllo per diverso tempo e non avendo la possibilità di metterlo a bordo dopo due ore di pendolamento sulla zona alle 15.45 se ne perdono le tracce e si presume che sia affondato" (v. estratto giornale nautico Carducci, 28.06.80).

Esaminato il comandante della Carducci ha riferito di non aver visto di persona questo relitto. Lo aveva avvistato l'ufficiale di guardia. Quando è giunto sul ponte gli è stato riferito che stava scomparendo. Nonostante ciò hanno virato e compiuto delle evoluzioni sulla zona di avvistamento, pendolando sino alle 16.00 circa, ma senza esito (v. esame Iaccarino Agnello, GI 16.04.91)

L'ufficiale di guardia è stato sentito sia dalla Procura di Genova che da questo Giudice. Secondo questo teste, che aveva visto l'oggetto dapprima ad occhio nudo e quindi lo aveva osservato con binocolo - il relitto era di forma cilindrica, ed aveva una parte di colore rosso-arancione ed una delle estremità aveva la forma di una pinna triangolare. Non ricordo di che colore fosse il resto, nè quale forma avesse l'altra estremità.

Questo ufficiale aveva riferito di essere stato interrogato nel settembre 80 da due persone, che si erano presentate l'una come dipendente Itavia e l'altra, di cui il cognome era forse Mannu, come militare dell'AM. Il colloquio era durato circa un'ora, ed era avvenuto presso gli uffici della Tirrenia a Genova a porto Colombo. I due gli avevano mostrato una sorta di catalogo, composto da fogli del formato protocollo, separati ma "tenuti insieme da un meccanismo a spirale". Quei fogli riproducevano degli oggetti di forma allungata, apparentemente missili o bersagli di quelli usati in Marina. I due gli chiedevano se riconosceva in quelle figure l'oggetto visto (v. esame D'Agostino Danilo, PM Genova 28.01.81 e GI Roma 22.04.91).

I due sono stati identificati e sentiti. Il primo, Manno, era all'epoca membro della Commissione d'Inchiesta Tecnico-Formale del Ministero dei Trasporti, presieduta dal dr. Luzzatti, quale membro esperto designati dall'ANPAC. Il secondo, Cucco, ingegnere dell'Itavia, autorizzato ad assistere ai lavori della Luzzatti come osservatore.

Entrambi ricordano di aver interrogato il D'Agostino. Secondo Manno costui riferì che l'oggetto galleggiante avvistato era di colore bianco e rosso, sui tre o quattro metri di lunghezza, con una sorta di appendice, e ne fece anche uno schizzo. Schizzo rinvenuto ed esibito, e dal quale si nota che l'oggetto era cilindrico lungo 6 metri con una sorta di pinna triangolare (v. esame Manno Gaetano Giulio, GI 23.05 e 07.06.91).

Secondo Cucco, egli e Manno si erano preparati sul Jane's Aviazione, giacché all'epoca si mirava ad appurare se l'oggetto fosse o meno un radio-bersaglio.

E così mostrarono al D'Agostino o il Jane's o fotocopie di parti del Jane's. L'idea di investigare sui radio-bersagli - afferma Cucco - era stata determinata dal rinvenimento di alette di color arancione da parte dei carabinieri, una prima in Sicilia e una seconda in Calabria.

Idea confermata dal rinvenimento altresì di una lente di materiale ottico particolare che poteva essere associato ad un sistema di guida sensibile all'infrarosso, per ordigno militare. Questa lente - continua Cucco - era stata ritrovata tra i relitti ripescati subito dopo il disastro, era stata da lui personalmente esaminata, nei laboratori dell'AM di via Tuscolana; si trattava di frammento di lente a forma semicircolare e da questo frammento si poteva desumere che avesse diametro di una decina di centimetri, spessore di due o tre centimetri e notevole curvatura (v. esame Cucco Alberto, GI 09.07.91).

Questo frammento fu visto anche dal presidente della Commissione Ministeriale, il quale però non ricorda dove fosse stato trovato, se nei cuscini, tra gli schienali o su qualche cadavere. Ricorda che se ne discusse in relazione alla possibilità di determinarne la provenienza dell'aeromobile, se cioè fosse una parte dell'aereo come un frammento di oblò. Ammette che nella relazione non se ne fa menzione, ma giustifica questa omissione asserendo che ciò fu dovuto al fatto che la Commissione non attribuì valore ai fini dell'indagine. Non ricorda, di questo frammento, particolari, tantomeno la curvatura e lo spessore; nè ricorda se esso fu attribuito all'aeromobile o ad oggetto diverso. Fu esaminato comunque all'interno dei laboratori AM di via Tuscolana e con probabilità potrebbe essere stato consegnato all'allora responsabile di quei laboratori il maggiore Oddone. Non ricorda, infine, se su tale reperto si fece l'ipotesi che facesse parte di un sistema di guida sensibile all'infrarosso per ordigno militare o di parte di un'attrezzatura subacquea (v. esame Luzzatti Carlo, GI 16.07.91).

Di questa lente nessuno fa menzione nei verbali di rinvenimento, nè viene più rinvenuta nei reperti.

Altro oggetto recuperato visto e mai più rinvenuto nei reperti è il casco con il nome del pilota. Di questo casco ne ha parlato il colonnello Lippolis, comandante all'epoca del Rescue Coordination Center del 3° ROC.

Costui, come risulta dal suo interrogatorio da parte del colonnello Barale, delegato dalla Commissione Pisano - acquisito insieme alla bobina di registrazione con decreto 11.07.91 - dichiara di essere stato chiamato a Palermo a breve distanza dal fatto dal Giudice che conduceva l'inchiesta e dalla sua "Commissione" formata - riferisce, da un medico, un anatomopatologo, un chimico, un fisico - e di aver visto tra i reperti un casco da pilota, di un americano, con il nome di costui John Drake.

Su questo casco egli aveva anche parlato nella relazione scritta. Ricorda in particolare che s'era pure accertato che questo pilota durante un'esercitazione s'era lanciato da un aereo in decollo da una portaerei, s'era salvato ma aveva perso il casco, che sarebbe stato ritrovato su una spiaggia. Il casco era rimasto però nelle mani della Commissione, perché s'era fatto anche "l'illazione che fosse stato un aereo americano ad impattare o ad urtare il nostro velivolo". "Del casco me lo ricordo perfettamente - aggiunge Lippolis - ...mi ricordo anche il nome John Drake..." (v. dichiarazioni Lippolis Guglielmo al colonnello Barale Nello - Commissione Pisano - 16.04.89).

La relazione della suddetta Commissione riferisce nell'annesso 27 su questo casco, affermando che esso, con la scritta John Drake, era secondo Air South, di un pilota che lanciatosi da una portaerei si era salvato.

Questo annesso non era stato però allegato alla edizione ufficiale della Relazione, inviata sia al Ministro della Difesa che all'Autorità Giudiziaria. E' stato acquisito solo a seguito dell'audizione del generale Pisano ad opera della Commissione Stragi (v. annesso 26, pervenuto il 3.11.89 a seguito audizione Pisano 12.10.89).

Proprio a questa Commissione Lippolis aveva confermato la vicenda del casco. "...dopo che diedi la mia ampia disponibilità e che si resero conto delle mie conoscenze - il giudice Guarino e i periti da lui nominati, nde - mi fecero determinate domande. Mi portarono anche a vedere dei pezzi che erano stati ritrovati: un casco con la scritta John Clark, - probabilmente intendeva dire: John Drake; nde - quello che loro definivano un missile o qualcosa di simile..." (v. audizione Lippolis Gugliemo, Commissione Stragi 16.01.90).

Lippolis ha confermato nuovamente dinanzi a questo Ufficio l'episodio dichiarando di ricordare perfettamente il fatto. Vide il casco, vide che recava il nome John Drake, fu compiuta una ricerca presso gli americani per sapere chi fosse questo John Drake, per accertare se avessero perso un pilota con questo nome. La ricerca fu compiuta presso Airsouth per via telefonica richiedendo al commander Zimmermann NSA che all'epoca vi prestava servizio e fungeva da interlocutore con il ROC, o a chi per lui. Airsouth, che aveva all'epoca come recapito telefonico il numero 72434-454 o 459 della rete di Napoli, aveva risposto che si trattava di un pilota caduto e ripescato. Gli americani non avevano però riferito di che aereo si trattasse, nè da quale portaerei fosse decollato. Nel ricordo di Lippolis affiora solo che il casco sarebbe stato recuperato diverso tempo dopo la caduta dell'aereo, cioè gli americani avrebbero risposto che la vicenda si sarebbe verificata diverso tempo prima del disastro di Ustica. Sulla vicenda fu redatta una relazione del Soccorso. Il colonnello non ricorda però se l'RCC da lui comandato era stato allertato per la caduta dell'aereo americano, pilotato da questo John Drake.

Ricorda invece che il casco era di fibra, non presentava rotture; aveva una parte interna spugnosa, una visiera e un cordone per l'auricolare. Ricorda che sull'esterno v'era il nome John Drake anche se non rammenta se lo scritto fosse frontale o sul lato. Ricorda che uno dei membri della "Commissione" di Guarino aveva asserito che quel casco era stato rinvenuto su una spiaggia siciliana. A contestazione del fatto che in Commissione Stragi aveva riferito che il nome era John Clark, afferma che può essersi sbagliato, di non ricordare però con precisione, e che i nomi comunque sono simili. Il nome però era riportato sui rapporti che faceva quotidianamente al comandante del ROC, generale Mangani, e che questi poi girava al COP a Roma. Non lo riconosce tra quello che è tra i reperti del MiG. Questo è un casco di manovra, quello "John Drake" era un casco da piloti (v. esami Lippolis Guglielmo, GI 01.07.91, 29.01.92, 23.06.92).

Ordinata l'acquisizione dei rapporti del comandante dell'RCC di Martina Franca al comando del 3° ROC, il decreto sortiva effetto negativo, giacché la Commissione appositamente costituita non rinveniva nell'archivio di quel comando alcuna documentazione del genere richiesto (v. decreto di acquisizione 24.06.92).

Sulla vicenda venivano altresì formulate più rogatorie alle autorità statunitensi.

Alla prima, del maggio 92, con la quale si chiedeva in quali circostanze il casco era stato smarrito e di procedere, ove ancora possibile, all'esame testimoniale del pilota che lo aveva perduto, fu risposto richiedendo, a causa del tempo passato dal disastro e dal fatto che il nome John Drake è estremamente comune, qualsiasi altra informazione utile per identificare il pilota e sul casco (commissione rogatoria 14.05.92 e risposta Ambasciata USA 11.06.92).

Con una seconda, del gennaio 93, venivano fornite tutte le informazioni in atti sul casco, e cioè: che era stato rinvenuto su una spiaggia siciliana al tempo del disastro; che era stato conservato in un deposito dell'aeroporto di Palermo-Boccadifalco; che era stato esaminato da un collegio di persone nominate dal magistrato inquirente nei giorni immediatamente successivi al disastro, che era di fibra, con una parte interna spugnosa; una visiera e un cordone per auricolare; che vi era scritto all'esterno, come già comunicato il nome John Drake; che non presentava rotture, che le autorità statunitensi in Italia, interpellate, al tempo, avevano affermato che effettivamente esisteva un pilota di nome John Drake che, decollato da un mezzo navale, a causa di un incidente aveva dovuto abbandonare il velivolo e lanciarsi in mare; che il casco nei vari spostamenti del materiale era andato smarrito.

A questa richiesta ha risposto il Dipartimento della Difesa riferendo che sull'oggetto il Navy Safety Center aveva condotto una ricerca computerizzata sui dati del periodo gennaio 77-marzo 93. In effetti c'erano stati quattro incidenti in quel periodo che avevano coinvolto un membro di equipaggio aereo con il nome di Drake. Nessuno di coloro però aveva come prima iniziale "J" e tutti gli incidenti erano accaduti negli Stati Uniti continentali. Anche l'Air Force Safety Agency aveva compiuto una ricerca nei suoi archivi. In effetti l'Aeronautica degli Stati Uniti ha un pilota di nome John Drake, ma costui non era mai stato coinvolto in incidenti nè assegnato al teatro europeo durante il periodo di tempo d'interesse.

La risposta si concludeva rilevando che l'asserzione che quel casco era stato perso in un incidente aereo della Marina era basata su un evento avvenuta prima del 77 o era frutto di mera deduzione. Si evidenziava altresì che ci sono diversi tipi di casco usati da persone diverse da membri di equipaggi aerei. Si raccomandava infine di contattare le autorità NATO per avere conferma o smentita sulle informazioni avute dal maggiore Zimmerman di Napoli (commissione rogatoria 23.01.93 e risposta Dipartimento della Difesa 29.04.93).

Alla terza, del febbraio 93, con la quale si fornivano tutti i dati relativi all'informazione del maggiore Zimmerman - fonte ed occasione della notizia, luogo di servizio dello Zimmerman e relativo recapito telefonico - a tutt'oggi non s'è ricevuta risposta (commissione rogatoria 12.02.93).

Altro oggetto recuperato visto e poi scomparso è il serbatoio del T33. Questo reperto ha vicende analoghe al casco. Fu mostrato a Boccadifalco al colonnello Lippolis, che lo identificò. Non fu mai fotografato nè trasportato a Ciampino. Quando lo si è cercato non è stato più rinvenuto.

Ne parla Lippolis per la prima volta in occasione dell'inchiesta della Commissione Pisano. Al colonnello Barale che insieme al capitano Santamaria di Martina Franca lo sta interrogando sulle operazioni di soccorso e recupero, Lippolis, riferendo sulla sua collaborazione al giudice Guarino e ai periti di costui, afferma "...dopo di che il giudice fu molto contento del mio contributo e a un certo punto se ne uscì dicendo: io ho trovato anche il missile, noi abbiamo anche il missile; dico: e che è 'sto missile? e così mi fecero vedere, mi portarono in un hangar e mi fecero vedere 'sto missile, il quale tutto mi pareva tranne che un missile, a me mi pareva proprio un... che ti posso dire ... una tanica di 33 insomma, forse una tanica di 33 dello stesso colore grosso modo, mancante dell'ogiva... era argentato, somigliava ad una tanica di 33, non era più lunga, e ci mancava la parte anteriore, quindi questo non poteva essere un missile che aveva colpito niente, perché sennò non lo trovavano..." (v. dichiarazioni Lippolis Guglielmo al colonnello Barale Nello 10.04.89).

Tali dichiarazioni sono state confermate dal Lippolis sia dinanzi alla Commissione Stragi che a questo Ufficio (v. audizione Lippolis Guglielmo, Commissione Stragi 16.01.90 ed esame dello stesso, GI 01.07.91).

Questo ufficiale spiega quindi che il serbatoio da lui visto a Boccadifalco corrispondeva come forma e come dimensioni alari al T33 (v. esame Lippolis Guglielmo, GI 23.06.92).

Specifica dopo aver preso visione del serbatoio ripescato nell'ultima campagna Wimpol del 92, che questo è grande quanto quello di Boccadifalco e ha due alette nel cono di coda mentre il secondo ne aveva soltanto una (v. esame Lippolis, GI 27.07.92).

Di questo oggetto si rammenta anche l'inquirente all'epoca della visita a Boccadifalco, che lo definisce corpo cilindrico ma si confonde stimandolo un serbatoio per l'acqua e non, come in effetti era, per il carburante (v. audizione Guarino dinanzi alla Commissione Stragi 03.12.91).

Il serbatoio del T33 è scomparso anch'esso, come gli altri reperti di cui non s'è avuta più alcuna traccia. Come s'è visto nel trasferimento da Boccadifalco a Ciampino fu effettuata una selezione nel materiale raccolto nell'hangar del primo aeroporto. Dagli atti non s'è compreso però chi abbia ordinato questa selezione, quali siano stati i criteri seguiti, chi l'abbia eseguita. Certo è che alcuni reperti sono stati lasciati nell'aeroporto palermitano e mai più ritrovati, tra gli altri il casco "John Drake", il serbatoio del T33, il carrello anteriore di un aereo, a detta di Lippolis della 2ª guerra mondiale.

I reperti erano stati divisi, come già s'è detto, in tre categorie da personale specializzato del SIOS. Ma nemmeno questa divisione è stata seguita da quelli che selezionarono il materiale, giacché di quelli sotto il punto 2c, cioè gli oggetti non facenti parte sicuramente del velivolo, alcuni sono stati trasportati a Ciampino altri lasciati a Boccadifalco, come la sonda meteorologica con antenna ad ombrello, contenuta in imballaggio di polistirolo. Ed anche questo oggetto non è stato più trovato.

Tra gli oggetti invece trasportati sono di rilievo innanzi tutti i due salvagenti di colore rosso di tipo marino con imbottitura galleggiante con sigle e targhette con scritte e numeri.

Questi oggetti furono individuati nei punti 39.13N-13.09E, da una motobarca del Doria, il giorno 29.06 alle 06.41.

Da un'indagine condotta dall'Interpol negli Stati Uniti, ed in particolare presso il Comando Generale della Guardia Costiera, è risultato che questi reperti sono giubbotti di fibra di vetro in dotazione alle forze militari. L'articolo era stato prodotto in grande quantità per molti anni e destinato alla Marina Militare e della Guardia Costiera degli Stati Uniti. Generalmente quel giubbotto non doveva essere utilizzato a bordo di velivoli militari statunitensi, ma gli elicotteri di soccorso potevano esserne dotati occasionalmente durante le operazioni di emergenza. L'uso di quel giubbotto militare comunque non era autorizzato a bordo di velivoli e navi civili o per il trasporto merci.

L'identificazione del primo giubbotto era stata effettuata tramite l'esame della forma e delle caratteristiche nelle fotografie scattate a Boccadifalco e portate a Washington e in base all'esistenza di targhette di tipo prettamente militare. L'indicazione DSA con numero stava ad indicare il numero di contratto. La ditta produttrice era la Safegard Corporation, Ohio, numero di telefono (606) 431-7650.

La sigla NSA indicava di solito "Naval Support Activity" ovvero un particolare tipo o postazione a terra della Marina Militare statunitense. OMB indicava di solito "Outboard Motor Boat" e quindi il giubbotto in questione doveva provenire da una piccola imbarcazione fuoribordo in dotazione ad una unità navale di supporto.

Il secondo giubbotto era del medesimo tipo. Su di esso apparivano, come s'è detto, le sigle CV60 UB4 DECU, che indicano la sua provenienza ossia la U.S.S. Saratoga con numero d'imbarcazione militare (Navy Vessel number) CV60. La sigla UB4 indicava con ogni probabilità "utility boat 4". La sigla DECU si riferiva probabilmente ad un particolare settore della nave, forse la zona ponte. Quindi quel giubbotto proveniva molto probabilmente da una delle scialuppe di salvataggio della Saratoga (v. rapporto Interpol 21.04.92).

Sulle sigle e le targhe è stato interpellato dapprima lo Stato Maggiore della Marina e questo organo ha riferito che il significato delle sigle "NSA-OMB" e "CV60 UB 4 DECU", era sconosciuto; ha riferito altresì di aver interessato la Marina degli Stati Uniti poiché il gruppo "CV60" aveva elementi di coincidenza con il distintivo della portaerei statunitense Saratoga; e di aver ricevuto risposta secondo cui la sigla NSA-OMB, non coincideva a nulla di noto agli Americani, e la sigla CV60 UB4 DECU stava rispettivamente il primo gruppo per Saratoga e il secondo per una imbarcazione di supporto logistico nr.4; mentre non v'era nessuna indicazione per "DECU" (v. rapporto ROCC 11.05.92).

Mostrate le fotografie di questi reperti all'ammiraglio Flatley, comandante della detta Saratoga, questi ha dichiarato preliminarmente: "che il salvagente si sia trovato nell'immediatezza del fatto è un'altra coincidenza". Ha poi aggiunto che quel tipo di salvagente viene utilizzato nel compimento di operazioni di trasbordo o sulle scialuppe per raggiungere la terra. A bordo della sua portaerei c'erano circa quattrocento esemplari di quel salvagente. A volte i marinai piuttosto che aggiustarli li gettano in mare e in un anno se ne perdono diversi. Ovviamente non erano salvagenti per piloti d'aereo, nè venivano usati sugli elicotteri. C'era anche un terzo tipo di salvagenti, un giubbotto meno ingombrante che veniva usato dai marines addetti alle operazioni di manutenzione sui ponti (v. esame Flatley James, GI 10.12.92).

L'ufficiale del SIOS che fu inviato a Boccadifalco per esaminare un casco ritrovato in mare poco tempo dopo il disastro, vide nell'hangar di quell'aeroporto i salvagenti, ma non collegò assolutamente le sigle che vi apparivano con unità militari (v. esame Bomprezzi Bruno, GI 22.06.92).

I salvagenti in questione sono stati esaminati da testi e periti; tuttora sono conservati presso l'hangar Batler di Pratica di Mare; furono fotografati nell'immediatezza del recupero e cioè quando furono raccolti a Boccadilfalco. Mai è emerso che uno di loro fosse ricoperto di mitili. In tal senso depone un pilota dell'Itavia che era stato imbarcato sul Doria nella qualità di vice-presidente dell'ANPAC. Costui asserisce infatti che il giubbotto US Navy recuperato e da lui visto sul ponte del Doria, non poteva "essere interessato all'incivolo in quanto ricoperto da telline". Di certo egli ha visto qualcosa di diverso dai nostri due salvagenti, giacchè su di essi non v'era alcuna scritta che riconducesse direttamente alla Marina degli Stati Uniti, nessuno ha mai parlato di oggetti con lunga permanenza in mare, nessun mitile appare nelle fotografie sulla superficie dei salvagenti in questione (v. esame Grilli Giorgio, GI 26.02.92).

Altri oggetti non appartenenti sicuramente al DC9 erano i "due ruotini con pneumatico collegati tra di loro da un asse metallico". Questo oggetto, nonostante fosse stato identificato già a pochi giorni di distanza dal disastro, s'è prestato a ricostruzioni fantastiche, giacchè da alcuni è stato stimato come carrello anteriore di un aereo da caccia.

In effetti la Commissione Itavia sin dal 14 luglio dell'80 aveva accertato che si trattava di ruote costruite dalla ditta Marini di Alfonsine e da questa spedite a Palermo proprio con il volo IH870 del 27 giugno 80 (v. relazione Commissione d'Inchiesta IH, 14.07.80).

La Questura di Ravenna il giorno seguente trasmetteva alla Procura la documentazione relativa alla spedizione di ruote anteriori per veicoli industriali inviati dalla S.p.a. Marini di Alfonsine all'impresa Spalletti Ing. Mariano di Palermo (v. nota della Questura di Bologna, 15.07.80).

Sentito il titolare della ditta produttrice, costui esaminando la bolla di consegna e la fotografia dell'oggetto ha riconosciuto che si trattava di un pezzo per spruzzatrice di emulsione, più precisamente delle due ruote anteriori direzionali, gemellate e collegate da un mozzo trasversale di pochi centimetri di lunghezza, su cui veniva montato una sorta di perno; il tutto serviva di supporto per i due serbatoi di una spruzzatrice. Ha aggiunto che la Spalletta di Palermo si occupava della costruzione di strade (v. esame Marini Roberto 31.10.90).

Questo oggetto non è stato trasferito da Boccadifalco a Ciampino e comunque non è tra i reperti oramai accentrati nell'hangar di Pratica di Mare, nè si trova più a Boccadifalco. Altro oggetto di quelli classificati come non appartenenti all'aeromobile, ma presumibilmente a bordo dello stesso secondo la relazione SIOS più volte menzionata era la rete in fibra plastica, verosimilmente impiegata - spiega quella relazione per fissare carichi da stiva. Questo oggetto non è tra quelli trasportati da Boccadifalco a Ciampino e comunque oggi non è tra i reperti a Pratica di Mare, nè si trova più a Boccadifalco.

Già la relazione tecnica del prof. Giulio Cantoro nominato nel collegio della Procura di Palermo aveva escluso che potesse trattarsi di parte del DC9, ed aveva stimato che dovesse essere parte di imbracatura o rete di sollevamento e fissaggio merci di impiego più probabilmente navali. I responsabili Itavia avevano affermato - aggiunge la relazione Cantoro - che quelle imbracature non facevano parte della dotazione dei loro aeromobili, nè passeggeri, nè cargo, e i tecnici del RAI avevano espresso il parere che non potesse trattarsi di imbracatura usata nel settore dell'aviazione civile (v. relazione Cantoro Giulio 26.11.80)

Terzo oggetto sicuramente non appartenente, sempre secondo la relazione SIOS, all'aeromobile la sonda meteorologica con antenna ad ombrello di cui s'è già detto. Questo reperto non è nemmeno partito per Ciampino, è rimasto come s'è già osservato a Boccadifalco, non si sa per decisione di quale Autorità, e colà non s'è più trovato.

Sulla base della tecnologia di costruzione e della scritta su tale oggetto il perito sopra menzionato lo aveva definito trasmettitore di sonda meteorologica probabilmente di costruzione francese (v. relazione Cantoro, citata).

Di conseguenza si formulava commissione rogatoria alle Autorità Giudiziarie francesi perché si accertasse se quell'apparecchio fosse stato costruito in Francia e in caso positivo a chi fosse stato ceduto e in quale occasione usato (v. commissione rogatoria Francia, 21.07.92).

Altri oggetti sicuramente non appartenenti al DC9, i contenitori, due in materiale fibroso uno in materiale plastico, per boe sonore.

Un discorso a parte meritano i due battellini o canotti di salvataggio come vengono definiti nelle varie relazioni di recupero.

Il rapporto SIOS li definiva anzi lo definiva, giacchè ne rileva uno solo, gommone giallo pluriposto senza copertura e lo stimava come oggetto non del velivolo bensì probabilmente presenti a bordo del velivolo.

Questi oggetti, recuperato il primo dalla De Turris della Guardia di Finanza e il secondo dal rimorchiatore Prometeo, sono invece del velivolo perché ne sono gli scivoli.

Così li definì anche la Blasi, specificando che l'uno era lo scivolo anteriore e l'altro posteriore probabilmente perché di lunghezza diversa. In vero quell'esemplare di DC9 ha soltanto due scivoli dai portelli anteriori di sinistra e di destra ed essi sono di eguali dimensioni.

Ma oltre questa stranezza nel 91 se ne aggiungerà un'altra. Nel corso della prima campagna di recupero Wimpol, quella cioè del 91, viene rinvenuto e portato alla superficie un terzo scivolo, eguale per dimensioni ad uno dei due ripescati nell'immediatezza del disastro, e con ogni probabilità appartenente al DC9, giacchè le bombole del gas sono in tutto simili e recano delle scritte di revisione, similari in italiano.

Diversi da questi scivoli potrebbe essere il battellino di salvataggio recuperato dalla Waller e consegnato alla De Turris. Questo oggetto non corrisponde come colore agli scivoli, giacchè questi sono gialli e il primo oggetto invece era arancione. D'altra parte gli scivoli ben si differenziano dai semplici canotti di salvataggio giacchè mostrano su uno dei lati minori l'apparecchiatura di aggancio alla fusoliera dell'aereo.

Questi gli oggetti indicati nella relazione SIOS. Questa relazione però non distingue nella voce sub3 a (1) ove riporta tutti i rottami metallici e di materiale fibroso, tre reperti individuati dalla relazione Cantoro come non appartenenti al DC9.

Così concludeva la detta relazione su tali reperti:

1. relitto costituito da due superfici di lamiera di lega leggera con interposto a sandwich materiale espanso leggero di colore marrone. Le dimensioni sono di circa 120x45cm. Il relitto è in evidenza nella fotografia ril. 8 della Polizia Scientifica.

Forma a V fortemente allungata, verniciatura in rosso con bordatura in bianco su di una faccia, in giallo con bordatura in bianco sulla faccia opposta. Bordatura avvolgente in lamiera di lega leggera non verniciata, con rivettatura molto distanziata, su di un lato lungo e privo di bordatura sull'altro lato lungo. La tecnologia di costruzione molto elementare e grossolana ed i materiali impiegati, permettono di escludere che possa trattarsi di relitto derivato dall'aeromobile tipo DC9.

2. Relitto della stessa natura del precedente illustrato al punto 1, ma di sagoma rettangolare di circa 150x60cm.

Sulla superficie colorata di giallo reca il numero 5643 a grandi caratteri scritti a mano libera con pennarello blu, il numero è cancellato cifra per cifra con tratti di pennarello.

Più in piccolo in posizione anteriore al numero cancellato, si legge il numero 5436, sempre scritto a mano libera e con pennarello blu.

Anche questo relitto rivela all'esame un sistema di costruzione artigianale.

Le origini, la natura e lo scopo dell'oggetto cui tali relitti appartenevano non sono stati ancora identificati.

Come per il precedente e per gli stessi motivi si può escludere l'appartenenza ad un aeromobile tipo DC9.

3. Relitto metallico in lega leggera a sandwich con interposizione di sagomato a nido d'ape in lega leggera; il relitto presenta anche una parte d'attacco in metallo pieno. La forma è ad ala sagomata e rastremata su di un lato, le dimensioni sono di 1,30x0,37mt. e lo spessore massimo 25mm. La verniciatura è in colore arancione l'oggetto reca su entrambe le facce il contrassegno tricolore ad anelli concentrici della aviazione militare italiana. Su entrambe le facce, con frecce indicanti i punti di attacco, si legge l'indicazione tecnica in lingua italiana relativa ai dati di serraggio con chiave dinamometrica: "bullone attacco ala - coppia serraggio max. 1,7kg."(v. relazione prof. Giulio Cantoro, 26.11.80).

Per tutti e tre il perito escludeva l'appartenenza al DC9. (v. relazione Cantoro, citata).

Questi oggetti, saranno esaminati dalla Blasi, ma in seguito scompariranno. Di essi infatti non sono state più rinvenute tracce nè all'aeroporto di Boccadifalco nè altrove.

Ma non solo dei pezzi sopra indicati s'è persa traccia. Si sono perduti nei vari spostamenti fino a Capodichino anche pezzi menzionati nelle varie relazioni di recupero e non rilevati dal SIOS a Boccadifalco.

Tra gli altri una parte del DC9, ripescato dal Doria alle 18.12 del 28 giugno. Si trattava di una parte della fusoliera di rilevanti dimensioni - 2,70x1,70 - con portellino. Questo enorme frammento dell'aereo, che sarebbe facilmente individuabile, non esiste sulla ricostruzione sull'iron bird.

Mancano anche le tre cassette con le scritte "booster explosive" recuperate dal Buccaneer e non inviate a Palermo, bensì a Compamare Gaeta, perchè non ritenute pertinenti al disastro.

Alcuni di questi oggetti di sicura provenienza aeronautica rinvenuti nella stessa area dei relitti del DC9, avevano fatto supporre la caduta di altro aereo in quella zona e nel tempo del disastro, e conseguentemente supporre anche la collisione tra il DC9 e questo velivolo. Oltre queste supposizioni s'erano diffuse nei giorni immediatamente successivi al disastro voci che indicavano specificamente il tipo e l'equipaggio di questo secondo aereo, voci raccolte e pubblicate dalla stampa.

Scrissero su questo argomento ai primi di luglio il Paese Sera, l'Unità e il Corriere della Sera.

Il primo quotidiano il 3 luglio titolava in primo "Trovati vicino al DC9 inabissato relitti di un aereo militare USA" con sopratitolo "Sembra avvalorata l'ipotesi di una collisione in volo" e sottotitolo "si tratta di un seggiolino catapultabile, di due salvagenti e di una cintura da pilota diversa da quella del DC9, due canotti rossi- mancherebbe un Phantom" (v. Paese Sera 03.07.80).

Questo giornale continua il 5 successivo. "Sono i relitti chiave del giallo di Ustica" sulle fotografie del giubbotto NSA - OMB non civile e un contenitore di uso incerto - è il contenitore per boe di forma ottagonale, nde.

Quindi nel corpo dell'articolo l'indicazione di un altro giubbotto militare, il cordame di un paracadute, la cinghia da pilota diversa da quella del DC9 per colore e meccanismo di attacco (v. Paese Sera 05.07.80).

Quello stesso giorno l'Unità pubblica un articolo dal titolo: "Sono molte le prove: caccia USA ha speronato il DC9 dell'Itavia?" Viene elencato uno "sconcertante inventario" dei rottami recuperati. Tra gli altri i battellini recuperati dalla motonave Helene Waller, battellini che sono di colore arancione e non giallo come gli scivoli del DC9, le bretelline d'ancoraggio del pilota nei meccanismi diversi da quello in dotazione agli aerei italiani, una rete di paracadute (v. Unità 05.07.80).

Sempre questo quotidiano l'indomani ritorna sull'argomento con un articolo dal titolo e dal contenuto più dettagliato. "Oltre all'altro materiale americano recuperato tra Ponza e Ustica c'è anche un pezzo di fusoliera di un jet militare USA, ma non se ne sa più nulla. Il grosso frammento trasportato a Napoli da uno dei mezzi di soccorso. Strisce bianche e rosse, e quindi non si tratta di relitti del DC9 dell'Itavia. Due piloti di una base NATO mancherebbero all'appello".

Bianco e rosso erano i colori di caccia antisommergibili presentati il 30 maggio precedente dall'ammiraglio Shean, comandante delle forze NATO in conversazioni con giornalisti napoletani, in cui aveva rilevato che quei velivoli erano impiegati nel medio e basso Tirreno e nel Mediterraneo occidentale per il controllo di 54 unità navali sovietiche, tra cui 15 sommergibili atomici.

Non solo. La notizia secondo cui non avrebbe fatto ritorno da una missione proprio la sera del disastro un Phantom sulla portaerei Saratoga, per più giorni non aveva avuto risposta sino al lunedì precedente l'articolo, giorno in cui era stato emesso un laconicissimo comunicato: Non manca alcun aereo della NATO.

Infine si riportava la notizia secondo cui sarebbero mancati all'appello da otto giorni due piloti statunitensi il capitano Reinhold e il sergente Davitt, partiti proprio il venerdì della sciagura dalla base di Verona (v. Unità 06.07.80).

Questa notizia veniva ripresa dal Corriere della Sera, che ribadiva la scomparsa di Reinhold e Davitt e del frammento di carlinga lungo circa 6 metri e dipinto a strisce bianche e rosse (v. Corriere della Sera 07.07.80). Sul medesimo giornale l'indomani la notizia della smentita ufficiale della NATO di una scomparsa di suoi piloti.

Tutti i giornalisti che avevano scritto gli articoli sopra riportati ne confermavano il contenuto (v. esame Baraldi Sergio, GI 03.05.91 e Purgatori Andrea, GI 04.05.91).

I giornalisti dell'Unità in particolare confermavano le notizie sulla scomparsa dei due piloti. Il primo, Vasile, ha ricordato che ci furono delle smentite da parte delle autorità americane e che comunque la fonte di quelle notizie era stata il collega della redazione di Napoli Faenza (v. esame Vasile Vincenzo, GI 03.05.91).

Costui ha confermato di aver raccolto notizia sui due piloti americani scomparsi da una persona di cittadinanza americana, che ben conosceva per averla invitata più volte nella sede NATO di Bagnoli in occasione di manifestazioni e conferenze stampa, di cui però non ricorda il nome. Questa persona era sicuramente un dipendente della NATO o del consolato statunitense a Napoli, ma poteva essere anche un appartenente ai servizi di sicurezza. Appariva sui quarant'anni; parlava correttamente l'italiano anche se con una leggera inflessione americana.

Faenza, pochi giorni dopo il disastro, lo aveva incontrato casualmente nei pressi della redazione napoletana dell'Unità in via Cervantes, mentre stava raggiungendo la sede dell'U.S.O. in calata S. Marco. Avevano preso un cappuccino e nel mentre l'americano gli aveva raccontato che due piloti, ovviamente statunitensi, di una base, che all'epoca dell'esame testimoniale il teste non ricordava più, erano stati messi fuori quadro operazioni per un grosso guaio che avevano cagionato. Erano stati già portati via e destinati ad un servizio operativo fuori dell'ambito NATO.

Il teste aveva cercato delle verifiche - nonostante fosse impegnato sull'attentato al consigliere Amato ad opera delle Brigate Rosse e sul conseguente arresto degli attentatori, tra cui il noto Seghetti - ma l'ufficio statunitense del comando NATO lo aveva invitato a rivolgersi ai comandi militari americani ed in particolare al comando aereo di Verona. Ma di lì a poco era sopraggiunta una smentita ufficiale dell'Ambasciata americana di Roma (v. esame Faenza Vito, GI 21.05.91).

Sulla questione veniva formulata rogatoria alle autorità degli Stati Uniti per conoscere se v'era stata collisione tra il DC9 Itavia e un velivolo militare statunitense, con a bordo i detti capitano Reinhold e sergente Davitt, e per conoscere altresì se tale notizia era stata smentita da un comunicato dell'Ambasciata a Roma, firmato dal funzionario Charles Loveridge, come indicato dalla stampa dell'8 luglio 80 (commissione rogatoria 14.05.92).

Nell'agosto successivo la risposta. Proprio il signor Loveridge di cui sopra - che però non riferisce se vi fu o meno quel comunicato - informava l'ufficio del Dipartimento di Giustizia - che risponde -, che l'ufficio stampa dell'Ambasciata non aveva più alcuna documentazione per il periodo in questione e che pertanto non era possibile esaudire la richiesta (v. nota Dipartimento di Giustizia USA 13.08.92).

Del seggiolino catapultato e della cintura di sicurezza a croce, se di cintura tratta, diversa per meccanismo di chiusura e di coloro da quelle usate dai velivoli DC9 di cui si parla nel Paese Sera del 5 luglio sopracitato - della cintura appare anche la fotografia - nessuna traccia nè nelle relazioni di recupero, nè tra i reperti.

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