Capitolo III

Le considerazioni finali.

E il disastro di Ustica, come la vicenda di Castelsilano, ben si inquadra in quel permanente stato di tensione che genera nell'88 l'abbattimento del Pan Am su Lockerbie e quello dell'UTA sul deserto del Tenerè nell'89.

Proprio negli ultimi tempi di questa istruzione, nel marzo scorso, il dibattimento per la strage del DC10 UTA al Tenerè. Il fatto perseguito con grande tenacia dalla magistratura francese - che ne ha assunto l'istruzione, sostituendosi di fatto alle autorità del Niger di cui non s'è fatta mai alcuna menzione - non solo presenta notevoli somiglianze con il disastro di Lockerbie, ma si inserisce in quella catena di eventi generati dallo scontro tra l'Occidente e la Libia - in proprio o come punta avanzata e violenta del mondo islamico - catena nella quale come è emerso potrebbero collocarsi sia Ustica che Castelsilano.

Per la strage del Tenerè sono stati accusati e condannati all'ergastolo, sempre nel marzo scorso, il cognato di Gheddafi, Abdallah Senussi, e cinque appartenenti ai Servizi libici. Con l'attentato il regime libico mirava ad imporre alla Francia il disimpegno militare nel Ciad, abbandonando così N'djamena nelle mani di Tripoli. Non solo: probabilmente mirava anche ad eliminare un altro personaggio già emerso in questa inchiesta, cioè Muhammad Yussuf Al Megarief, leader di una parte della opposizione al regime, che avrebbe dovuto viaggiare su quel velivolo.

Sempre tra fine inverno scorso e questa primavera una prima soluzione nel contrasto tra Regno Unito e Jamahirija, su Lockerbie , con l'accettazione da parte della seconda sia dell'applicazione del diritto del territorio commissi delicti, ovvero lo scozzese, al caso, sia della celebrazione del processo in un Paese terzo, cioè i Paesi Bassi; che del trasferimento all'Aja degli accusati, indicati come agenti dei Servizi libici. Anche in questo caso un atto di terrorismo imputabile ad agenti che appaiono organi di una entità statale, che appaiono cioè agire per un soggetto di diritto internazionale. Si dirà più oltre quali problemi avrebbe dovuto porre una situazione del genere, problemi ovviamente non risolti.

In tutti e tre questi casi, che avevano comunque aree di coincidenza e connessioni, la collaborazione è stata poca o punta.

Ultimo rilievo su queste indagini è lo strano verso che esse sempre prendono. Si parte da piste siriane e palestinesi - che specialmente in quelle di Lockerbie erano apparse molto fondate - e a un certo punto si dirotta su quella libica. Segno comunque del persistente fortissimo attrito tra Occidente e Jamahijria, che potrebbe attenuarsi se le controversie in questione trovassero soluzione non solo negli ordinamenti interni, ma anche in quello internazionale - come potrebbe provare l'accettazione da parte di Tripoli del verdetto della Corte internazionale di giustizia dell'Aja, del 3 febbraio 94, che ha attribuito al Ciad la fascia di Auzou (114.000 km2), cui è conseguito il ritiro ordinato dalla Libia delle sue truppe di occupazione - ma potrebbe anche aggravarsi se le forze del fondamentalismo dovessero prevalere pur in questo Paese di limitate dimensioni ma di peso, specie per la sua leadership carismatica tra Maghreb e Machrek, sull'intiera umma islamica del Nord Africa e Medio Oriente.

Una volta provato uno scenario esterno complesso e posto che un velivolo si nascondeva nella scia del DC9, che altri si sono inseriti e hanno seguito da presso la rotta di quel velivolo e poi se ne sono distaccati, lanciando emergenza, che nei dintorni di Ponza e in altre aree del Tirreno vi erano aerei militari in esercitazione, che probabilmente vi navigava anche una portaerei, che dopo l'evento si son verificate tutte quelle attività e fatti che si sono elencati, si deve tentare di dare un ordine provato e ragionevole a queste tessere per ricavarne un quadro quanto più possibile completo.

In primo luogo gli antefatti. Era in atto, e durava già da tempo, un'emorragia gravissima nell'Aeronautica e nella Difesa, determinata da un massiccio trasferimento di piloti in Libia, organizzato da una regolare società, addirittura capeggiata da ex generali, che solleticava i nostri ufficiali AM con stipendi altissimi ed altri benefici, provvedeva al loro alloggio e sistemazioni, forniva l'istruzione militare dei libici. Nessuno s'è mai posto il problema di queste perdite.

Ma ancor più follemente nessuno s'è mai curato del pericolo che con questa emorragia ne derivava alla sicurezza dello Stato. Nessuno s'è mai preoccupato non solo che si trasferissero ad uno Stato potenzialmente ostile professionalità militari, ma che ne potessero scaturire anche - come avvenne - rivelazioni e vere e proprie attività di spionaggio su informazioni sensibilissime come i più volte detti "buchi" nella rete radar, quei varchi cioè che consentivano la penetrazione nei nostri spazi e addirittura voli di trasferimento dal Mediterraneo nel Nord-Italia e verso l'Est europeo. Come provato dai corridoi per i MiG che raggiungevano la Jugoslavia, in particolare la base di Banja Luka - ma anche Sarajevo, Spalato e Belgrado - per manutenzioni e riparazioni varie, e poi ritornavano in Libia usufruendo di corridoi italiani e facendo tappa a Malta, e così usando l'Ambra 13. E' provato anche dai C130 inviati per la militarizzazione a Venezia e trasferiti di nuovo in Libia, sempre sull'Ambra 13. Quella notte ne era poi previsto proprio il passaggio di un esemplare, come risulta dalla documentazione maltese e italiana, autorizzato per il 26 più 72 ore, con relativo nulla osta del SIOS/A comunicato a S.I.S.MI e Civilavia. Un C130 che poteva quindi partire in uno qualsiasi dei quattro giorni tra 26 e 29. Possibilità di cui erano a conoscenza non solo la nostra Difesa e i nostri Servizi, ma anche l'orecchio statunitense, che comunque aveva sensori a Venezia alle Officine Aeronavali. Velivolo che però non parte e resta a Tessera sino al 4 luglio successivo con la giustificazione - che si rivela immediatamente una mera scusa - di ulteriori lavori, in vero di minimo rilievo e senza i quali il velivolo avrebbe potuto affrontare il volo sino al Paese nordafricano. Come provato da quei velivoli libici, che guidati da piloti sovietici o siriani o palestinesi - molto più preparati dei libici, che non erano in grado di allontanarsi dalle loro basi sul territorio - si affacciavano sul Tirreno per spiare movimenti occidentali in quelle acque; operazioni di spionaggio riferite dall'assistente dell'Addetto navale statunitense, che determinarono le reazioni che lo stesso specifica. Come provato dalle disponibilità a Malta per velivoli e navi almeno fino alla stipula del Trattato di protezione militare del 2 agosto di quell'anno; disponibilità che consentivano di compiere lunghe traversate a quei velivoli, le cui autonomie avrebbero impedito il raggiungimento dalla costa africana di aeroporti europei. E in tal senso parlano chiaro i documenti maltesi. Come prova la carcassa del MiG sulla Sila, la cui caduta s'approssima sempre più al giorno del disastro e ad esso si connette e comunque si colloca in quel periodo di tempo e in quello stato di tensione.

E questo tenendo conto solo delle evidenze oggettive, senza alcun ricorso a prove soggettive. Tutti, quelli che dovevano provvedere, erano a conoscenza di queste penetrazioni; nessuno se ne curava; non pochi ne lucravano in giochi di potere e denaro. Quasi si chiudeva, la Difesa, al tramonto ed altri apparivano come delegati alla bisogna. Con le intercettazioni di cui parla Coe, le coppie di velivoli che facevano una sorta di navetta sul Tirreno per intercettare le operazioni di spionaggio; i P3 antisommergibili che vigilavano sul canale di Sicilia - proprio su quelle unità sottomarine, che seguivano i movimenti della flotta ed in particolare delle portaerei; le esercitazioni diurne e notturne, come provato per il 16 dicembre precedente; esercitazioni statunitensi, inglesi, francesi ed anche tedesche, che comunque si svolgevano, con notificazioni o meno alle autorità italiane, nelle acque e nel cielo del Tirreno; come ammesso da tanti dell'AM sino al più alto livello e dalle documentazioni radaristiche e cartacee. Questo in quel periodo e in quel giorno.

Ma quel giorno anche un particolare traffico, di certo a conoscenza da tempo delle nostre autorità militari e pubblicizzato anche dalla stampa, del trasferimento verso l'Egitto; trasferimento che prevedeva l'arrivo per il 28 al Cairo proprio di due colossali quanto indispensabili velivoli per i preparativi di una grande base in un aeroporto di quella città, cioè un Galaxy e uno Startlifter; e prevedeva con ogni probabilità quei movimenti di avvicinamento all'Egitto di F111 che hanno lasciato traccia qui in Italia. E quel giorno anche la presenza del velivolo del Presidente Carter, il numero uno dell'Air Force, e di tutti quegli altri uomini di Stato e di Governo che avevano preso parte al G7 di Venezia, e stavano per raggiungere Ankara per il Consiglio Atlantico.

Più erano le ragioni di allerta o allarme e fors'anche i progetti di reazione; progetti concepibili e realizzabili solo da pochissime strutture militari. Quelle che disponevano dei velivoli d'attacco, quei velivoli che lasciano le tracce radar di cui a lungo s'è detto; e delle capacità di guidacaccia. Non solo. A questo punto se s'è realizzata una situazione di tal genere, ci si deve porre il problema di quale fosse l'obbiettivo di quell'allarme o vera e propria operazione. Ritornano qui alla mente i grandi inquinamenti che hanno parlato di questa operazione, ma in termini tali da renderla incredibile. Cioè tentare di comprendere se si volesse scoraggiare i passaggi dando un preciso segnale di voler abbattere chi usasse quei varchi e quelle aerovie o se si mirasse a un preciso passaggio. Senza voler dare credibilità a chi potrebbe non meritarla, non bisogna dimenticare che il leader libico ha sempre sostenuto che quella sera si puntasse contro di lui. Certo pur richieste, non sono state mai addotte prove in tal senso.

E al di là della carcassa del MiG - che è un velivolo inseguito, raggiunto dal fuoco degli inseguitori e quindi caduto non solo per la semplice ragione che avesse finito il carburante - resta la considerazione che nelle mire e nei mirini di quelle forze che potevano portare a compimento un'operazione del genere, non v'era altri come avversario principe nell'area del Mediterraneo, e per tutte le ragioni che s'è detto, che quel leader. Ed esso, aveva in quel particolare momento necessità di visitare paesi europei, come la Jugoslavia con cui intratteneva tanti rapporti, e la Polonia, in particolare con la quale aveva in corso una trattativa di primario interesse, grano contro petrolio. Al punto urgente, che di lì a qualche giorno sarà Jaruzelski a raggiungere Tripoli. E proprio quella sera un velivolo libico non di linea proveniente da Tripoli che stava risalendo verso Nord e avrebbe dovuto impegnare l'Ambra 13, improvvisamente devia, a pochi minuti dal disastro, nel canale di Sicilia verso Est, abbandonando il percorso stabilito dal piano di volo per raggiungere con ogni probabilità Luqa. E questa manovra avviene proprio in quel tempo di cui manca, al radar di Marsala, la registrazione.

Altre ipotesi - ne sono state proposte infinite in cui poco è mancato che venissero chiamati in causa aerei e aeronautiche di Paesi al margine e oltre il Mediterraneo e in cui gli attori spesso si scambiavano vicendevolmente le parti di aggressori e quelle di vittime, per non parlare delle combinazioni con altre stragi e le inversioni di modalità di esecuzione - anche suggestive ma senza alcun conforto di prove - tra le altre il progetto di attacco ad aereo francese con carico di uranio per l'Iraq da parte di velivoli israeliani - si sono mostrate del tutto irrealistiche sia per la supposizione di alleanze assolutamente improbabili sia per la impossibilità in concreto di portare velivoli in quell'area e ancor più di guidarne la caccia.

Di fronte a questo scenario non è semplice individuare, con i soli strumenti del diritto interno, le responsabilità giuridiche. E questo si sottolinea proprio perchè qui ci si astiene, come di dovere, dal considerare quelle politiche di più vasto ordine.

Certo se la caduta dell'aereo civile è stata determinata da quasi collisione, che ha cagionato la rottura dell'ala di sinistra, cui è conseguito quel break up che s'è descritto dai periti di Ufficio, Misiti e gli altri successivamente alla ipotizzata da loro esplosione, e da Casarosa e Held più di recente ed in modo completo, a partire cioè dal sorpasso stesso; la causa diretta dell'evento sarebbe la condotta del pilota dell'aereo sorpassante, ma questi che di certo ha agito mosso non da dolo diretto, non può non aver previsto la quasi collisione con il velivolo civile i cui ben conosceva la posizione dal momento che volava proprio approfittando della sua ombra radar. Lo ha sorpassato accettando questa eventualità. Ma quand'anche si versasse nell'ambito di questo dolo, la sua condotta sarebbe stata pur sempre determinata da un'esigenza di difesa da un attacco più che probabilmente mortale.

Quanto al dolo di coloro che attaccavano è difficile accertare se essi abbiano agito solo nell'intento d'inseguire o colpire il velivolo nella scia, certamente non civile, o se avendo di certo visto, direttamente o a mezzo radar il nostro DC9, ne abbiano previsto la possibilità del danno e l'abbiano accettata.

Non diverse le conclusioni anche se la caduta è stata determinata da una qualche esplosione esterna, come di missile a prevalente effetto di blast; così come descritto dai consulenti di parte civile. In questo caso si tratterebbe di vera e propria aberratio ictus. Resterebbe perciò comunque la strage, secondo il diritto interno. Ma l'azione è principalmente un atto di guerra, guerra di fatto non dichiarata - com'è d'abitudine da Pearl Harbour in poi, sino all'ultimo conflitto nei Balcani - operazione di polizia internazionale, di fatto spettante alle grandi Potenze, giacchè non v'era alcun mandato in questo senso; azione coercitiva non bellica esercitata lecitamente o illecitamente, da uno Stato contro un altro; o atto di terrorismo, come poi s'è voluto, di attentato a un capo di Stato o leader di regime. A tal punto però di sicuro si è sull'incerto confine tra definizioni giuridiche e quelle politiche. Non esiste, o comunque ancora non è possibile affermarne l'esistenza, un terrorismo oggettivo la cui determinazione sia valida per tutti gli Stati. Valida per quelli dell'Occidente, e per la Libia - che, già s'è scritto, considera azioni di terrorismo contro di essa tutte le azioni militari e le iniziative politiche ai suoi danni da parte degli Stati Uniti - l'Iran, l'Iraq o le fazioni tuttora esistenti del Libano. Certo la strage resta, come restano ignoti i suoi autori. Ma il fatto si inserisce in un contesto su cui l'ordinamento interno appare incompetente.

E quindi potrebbe essere scriminata. Infatti qui si superano i limiti del diritto interno, perchè sia quelli che attaccavano che quelli che erano attaccati non agivano uti singuli, bensì con ogni probabilità, essendo soggetti in divisa - certamente i primi che con ogni probabilità i secondi - come organi di Stati o soggetti con personalità giuridica nell'ordinamento internazionale.

In effetti i militari, cioè gli appartenenti alle forze armate di uno Stato, sono considerati quali organi dello Stato in quanto soggetto di diritto internazionale. E la loro attività è imputata dall'ordinamento internazionale allo Stato come soggetto dello stesso ordinamento. Questo ordinamento, nè può essere altrimenti - in ossequio al principio generale per cui l'organizzazione di un ente non può dipendere che dall'ordinamento in cui l'ente medesimo figura come soggetto -, determina i presupposti dell'imputazione. Presupposto ovvio è il riferimento alla organizzazione giuridica degli Stati - e questo vale per i militari. Ma non solo: l'ordinamento determina l'imputazione anche autonomamente, facendo riferimento alla organizzazione effettiva degli Stati. Si richiama questo principio, spesso dimenticato dalla politica per viltà o grette stime di bassi interessi, perchè esso deve applicarsi quando non si riesca a ricostruire l'esatta collocazione giuridica di persone che operano comunque a danni di persone fisiche o altri interessi di altri Stati. Tali attività vengono poste in essere esplicitamente in nome di ordini di regimi di altri Stati - come è successo per l'esecuzione in territorio europeo degli oppositori al regime nella campagna conseguente all'ultimatum di Gheddafi del primo semestre 80 - o sono addebitabili ai Servizi di quella Jamahirija come negli attentati del Tenerè o di Lockerbie. Gli autori di queste azioni appartengono alla organizzazione effettiva della Jamahijria e ne consegue perciò non solo la responsabilità penale per quelle persone fisiche nell'ordinamento interno francese o scozzese, bensì anche quella della Libia nell'ordinamento internazionale. Ma tali responsabilità, come accadrebbe presso di noi se gli ignoti autori della strage divenissero noti, e queste imputazioni, che sono lo si ripete di carattere giuridico, il più delle volte vengono lasciate cadere, a seconda degli incerti venti della politica. Con buona pace di coloro che sostengono la reale effettività del diritto delle genti. E comunque la qualità della loro volontà inciderebbe su una qualificazione delle condotte che spetta essenzialmente all'ordinamento giuridico internazionale definire, ordinamento che dovrebbe dare anche il giudizio sull'illegittimità o meno dell'azione. Cioè in quel giudizio, per ritornare ai fatti in oggetto, su chi ha dato causa al tutto, ai "passaggi" e all'"ingorgo".

Giudizio che apparendo appunto di pertinenza dell'ordinamento internazionale ed anche di natura politica, non può essere pronunciato in questa sede. Ma su cui soccorrono elementi di fatto che sono emersi in questa istruzione. I passaggi sono stati consentiti, e proprio di quei mezzi che rafforzavano, con opere e tecniche qui e in Jugoslavia, il dispositivo militare di chi era potenzialmente ostile e doveva per impegni internazionali essere boicottato. Avremmo dovuto, a rigore di alleanza, impedirli. Ma qualcuno li voleva e li favoriva. E qui non regge la teoria del doppio Stato, quella teoria che per essere troppo semplice diviene semplicistica e rischia di essere anzi è divenuto di comodo o di parte. E in effetti essa appare un'utile invenzione, che serve a determinate parti per dare un'interpretazione unilaterale e quindi con finalità quasi politiche degli eventi che hanno turbato l'esistenza della prima Repubblica. A questo titolo si potrebbe adottare una teoria più completa quella del triplo o dei multipli Stati, tanti quante sono state le fedeltà delle forze politiche o d'ogni altro genere a Stati, o ideologie, alleati od ostili al nostro Paese. Di Stato, almeno in termini giuridici, è ovvio ce n'era uno solo. E le volontà e le attività di esso si determinavano, così com'è scritto nella Carta e nelle leggi che ne seguono, ivi compresi i trattati d'alleanza. Vi sono poi stati di fatto tanti quanti i partiti, le parti le fazioni. E vi sono quelli che lavorano per il re di Prussia - nell'accezione odierna, perché al tempo, nel 700, travellier pour le roi de Prussie significava militare per un soldo estremamente basso -, per l'allora URSS, per la Libia, Israele e ne ricevono aiuti di ogni genere, da quelli culturali a quelli monetari. Con singoli e gruppi in buona come in mala fede. Vi sono poi gli oltranzisti che difendono con ogni mezzo, anche oltre le leggi, le alleanze, non solo quelle scelte dalle maggioranze e dai governi, ma anche le altre; vi sono partiti armati che hanno progetti di presa del potere o di scardinamento dell'ordinamento per sostituirlo con altri di ideologie e colori i più disparati. E qui certo il pensiero corre a quella Alleanza Atlantica, che tanto ha determinato e tuttoggi determina la politica del nostro Paese. Certo in un'alleanza, quand'anche si ponesse il principio dell'eguaglianza formale, il peso dei singoli Stati - ma questo da sempre e ovunque; a far tempo per la nostra storia, dalla Lega Delia e dal Patto Cassiano - è proporzionale al loro rilievo economico, politico, militare, ed è ben difficile, se non irrealizzabile, che gli associati siano in posizioni paritarie, sempre che non ve ne sia qualcuno in posizione leonina.

La realtà è più complessa di quanto non abbiano immaginato alcune ricostruzioni giudiziarie, che sono durate lo spazio d'una istruttoria e sono cadute alla prima verifica dibattimentale o comunque non dureranno a lungo.

Le reductiones ad unum che muovono queste ricostruzioni e seguono non di rado le mode nei migliori casi, quando non si ispirano a finalità politiche - tutto deriva dalla strategia della tensione, tutto è mosso dalla Stay Behind o dalla P2, tutto è voluto dalla mafia o dal suo terzo livello, e da sempre è manipolato dai Servizi di primo rango, CIA KGB Mossad, a seconda dei gusti e senza nemmeno conoscerne la varietà - impediscono la ricostruzione dell'effettiva realtà e determinano quel manicheismo giudiziario tipico del nostro Paese, che di necessità si trasforma in manicheismo politico e addirittura impedisce, a tutt'oggi, l'attuazione di quel regime democratico che nell'Occidente è pur sempre stimato il migliore. Forse questa non è la sede per trarre queste somme, ma non si deve dimenticare che sono state proprio le stragi, nella ricerca delle cui cause si sono compiuti e ancora si compiono errori, che hanno segnato l'anormalità e le anomalie dell'Italia rispetto al resto d'Europa e dell'Occidente. Ci si augura solo che la saggezza della politica non cada nell'interpretazione particulare o nell'ansia della giustizia ad ogni costo, che poi snatura l'essenza stessa della giustizia, perchè si rivela sempre di parte.

In questo caso sì è trattato di relazioni doppie. Se in questa sede fosse consentito si direbbe con linguaggio non paludato, da una parte il vincolo dall'altra i rapporti illeciti. Che se fossero poi tenuti per affari e denaro, avrebbero una ancor più grave definizione. E d'altra parte la nostra storia non manca di precedenti; di trattati stipulati e poi salti di campo, o "ribaltoni" come con neologismo di bassa lega vengono chiamati, addirittura in corso di conflitto.

Graduare le colpe, in una fattispecie del genere, se le cose sono andate come s'è scritto e lo si è scritto perchè le prove sono in tal senso, non è opera semplice; determinare cioè chi ne avesse di maggiori o minori, tra chi si prendeva i passaggi, chi voleva impedirli, chi aveva l'obbligo di non concederli ed invece li consentiva.

E questo avveniva perchè esistevano due anime; due anime della politica, dei militari, dei Servizi, e su questi "partiti" soccorrono proprio le parole di chi avrebbe dovuto esser messo al corrente degli eventi, ma che comunque conosceva tutti quegli ambienti e ne dà il seguente impietoso giudizio, anche se limitato al Servizio militare e ai suoi interlocutori politici. "Alcune lotte dei Servizi ... la lotta tra Maletti e Miceli è chiaramente una lotta tra due tendenze del Servizio, una filo-israeliana e l'altra filo-araba ..., la protezione dell'onorevole Moro nei confronti del generale Miceli era totale" (v. esame Cossiga Francesco, GI 30.07.92).

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