Capitolo II

La figura di Federico Umberto D'Amato

1. I rapporti con gli Anglo-americani a partire
dal 43. La rete di Angleton.

Indipendentemente da ogni valutazione di carattere giuridico che non rientra nella competenza di questa inchiesta e tanto più di ordine morale, ci si deve soffermare sulla statura del prefetto D'Amato, che più volte è emerso nell'inchiesta, e sul peso del suo potere. È lui stesso che redige una sintesi della propria carriera dinnanzi alla Commissione parlamentare d'inchiesta sulla loggia massonica P2.

Agli inizi nel 43-44 nel periodo tra Repubblica Sociale e arrivo degli Anglo-americani a Roma fu ufficiale di collegamento, tra la polizia italiana e l'OSS il Servizio americano al tempo della 2a guerra mondiale dal quale nel breve volgere di anni sarebbe nata la Central Intelligence Agency. In quel periodo ottenne dei risultati a tal punto lusinghieri che fu insignito delle più alte decorazioni statunitensi tra cui la medaglia della Libertà. Le sue operazioni ebbero ad oggetto precipuamente personaggi dell'intelligence nazista e fascista che avevano come luogo di incontro l'hotel Excelsior, nei mesi prima del passaggio del fronte. Al 5 giugno 44 egli riversò parte del suo patrimonio all'OSS di James Angleton e Raymond Rocca.

La rete di Angleton si basava sul Servizio della Marina e su D'Amato, il primo che si era per tempo volto contro i tedeschi, il secondo di natura antitedesca. Questi conosceva i luoghi ove alcuni vertici dell'OVRA risiedevano nel territorio della Repubblica Sociale; tra gli altri l'ultimo capo del Servizio creato dal fascismo; Ciro Verdiani già a Zagabria; Vincenzo Di Stefano; rispettivamente a Venezia e Bologna. Dopo lo sfondamento della linea gotica nel marzo 45 essi furono portati in uniforme americana da D'Amato a Firenze; furono, nonostante il parere di Angleton, che li vedeva come archivi dell'intelligence tedesca e sovietica nell'Italia del ventennio fascista arrestati, ma condannati a pene minime; a tal punto che nell'ambito di pochi mesi furono reintegrati nell'amministrazione di Pubblica Sicurezza, Verdiani fu nominato addirittura ai primi del 46 questore di Roma sotto la protezione dell'allora Ministro dell'Interno Giuseppe Romiti, socialista.

Proprio con l'autorizzazione di questo Ministro - D'Amato ha sempre sostenuto di non aver mai posto in essere attività senza l'autorizzazione del Governo - egli continuò le relazioni con Angleton. Come per esempio nella operazione di controllo e sovvenzione di due collaboratori del Ministero degli Esteri di Vichy, che portati a Roma attraverso un sacerdote francese e un diplomatico giapponese presso la S. Sede, continuarono a lavorare per la rete, che il Giappone, nonostante la resa, mantenne in piedi in Europa.

L'intelligence della Marina fu la prima a porsi sin dai primi del 46 il problema non solo di evitare perdite territoriali, ma di restaurare il potere dell'Italia post-bellica in aree già di sua influenza, ovviamente con l'aiuto degli Stati Uniti. Che furono convinti ad incoraggiare le relazioni del Governo italiano con gli esuli albanesi, in particolare con l'organizzazione pro-italiana Bally Kombetar, in un progetto di rovesciamento del regime di Enver Oxha. Quella intelligence aiutò Angleton e la sua Agenzia anche in operazioni di infiltrazione nel Servizio jugoslavo OZNA. L'ufficio codice e cifre della Marina sempre in quei primi del 46 forniscono ad Angleton materiali di decifra che ausiliarono i codebreakers di Washington. Di tutte queste operazioni, per i suoi legami con Angleton, D'Amato era a conoscenza e di certo le favorì per effetto delle preoccupazioni da lui condivise sulla tensione alla frontiera orientale con la Jugoslavia di Tito. Frontiera, sulla quale al tempo, nella prima metà del 46, quando il Paese era percorso dalle fortissime conflittualità che precedettero ed accompagnarono il referendum istituzionale, erano schierate ben undici divisioni titine fronteggiate da due sole divisioni inglesi; divisioni titine spalleggiate nelle Venezie da agguerrite quinte colonne. Al qual proposito si deve ricordare il colonnello AM Vittorio Santini che fornì alla stazione statunitense fotografie aeree della Venezia Giulia. Come Junio Valerio Borghese, che fu avvicinato dalla struttura di Angleton e probabilmente le prestò assistenza in funzione antititina.

2. Gli "importanti incarichi" per Romita e il
referendum istituzionale.

D'Amato, lo ricorda lui stesso alla Commissione e in quel suo richiamo senza specificazioni si possono cogliere venature di monito, svolse in quel periodo precedente il referendum, stando al Commissariato di Castro Pretorio, "importanti incarichi" per il Ministro Romita. E proprio al riguardo del referendum istituzionale voci per anni hanno tenuto il campo. Su asseriti brogli, su interruzioni nella comunicazione dei dati in arrivo, su manipolazioni come la stampa presso il Poligrafico dello Stato di un numero eccessivamente superiore alla bisogna di schede, o accorgimenti manovrati del Ministero dell'Interno come le cifre delle regioni a maggioranza socialcomunista gettate sulla bilancia all'ultimo momento, cioè "il milione di voti nel cassetto" di cui parlava Romita; numeri non controllabili pervenuti da regioni monarchiche guadagnate nell'ambito di tempo brevissimo alla causa repubblicana; uso tempestivo di quattro milioni di schede già segnate e scaricate al Viminale in sacchi dell'immondizia.

Voci, solo voci a carico di quella levatrice del parto istituzionale che fu l'Amministrazione dell'Interno, che non hanno mai avuto sostegni di prova e che colpivano principalmente Romita e secondo alcuni quel suo braccio che all'epoca aveva ricevuto importanti incarichi cioè D'Amato. Ma anche su costui solo voci e nessun indizio o prova. E per il quale si deve pur sempre dire, indipendentemente dalla sua correttezza o da brogli, che egli probabilmente collaborò nelle operazioni di sgravo della nuova forma istituzionale dello Stato, e certamente ne conosceva scena e retroscena. E tali cognizioni non potevano non determinare il potere e la carriera, che lo portarono alla gestione, oltre che di brillanti operazioni come l'arresto delle cellule OAS in Italia, di tutte le infiltrazioni e le fonti nei terrorismi, negli estremismi, nei partiti di opposizione, quali si stanno rivelando nelle acquisizioni degli ultimi tempi negli archivi del Ministero degli Interni.

3. I verbali del Consiglio dei Ministri dell'8, 10, 12
e 13 giugno 46.

Di sommo rilievo in questa problematica anche i verbali del Consiglio dei Ministri all'epoca, di recentissima pubblicazione. Il referendum tenne luogo sotto il 1° Governo De Gasperi (10 dicembre 45 - 13 luglio 46). Dei suoi risultati si cominciò a discutere dal primo Consiglio immediatamente successivo all'interpello popolare del 2 giugno, l'8 di questo stesso mese. In effetti quel Consiglio ebbe ad oggetto oltre lo statuto della Sicilia e l'amnistia e indulto per reati comuni, politici e militari e questioni minori, le contestazioni sui dati del referendum, la nuova istituzione dei decreti e delle sentenze, l'emblema e il sigillo dello Stato e il giorno festivo per la celebrazione del referendum stesso.

Il verbale parla chiaro e merita di essere riportato nelle parti concernenti il referendum.

"Nenni - Fa notare quanto sia inopportuno il passo fatto da Cattani in merito al calcolo dei voti pel referendum istituzionale.

Cattani - Prega il Presidente di riferire sul passo prima che Nenni faccia degli apprezzamenti. Rileva che non è lecito a nessuno fare apprezzamenti senza conoscere i termini della richiesta, mettendo così in dubbio la sua buona fede.

Nenni - Si limita a deplorare.

De Gasperi - Non si deve qui scivolare sul piano di una polemica ma è necessario attendere il responso della Corte di Cassazione. Gli argomenti discussi oggi in Consiglio non devono essere divulgati. Quanto al passo di Cattani, fa presente che questi gli portò un telegramma di alcuni professori di Padova in cui si rilevava che il computo dei voti doveva esser fatto in base al numero degli elettori votanti. In effetti un giornale ha accennato ad una differenza di un milione tra i votanti per la Costituente e quelli pel referendum. Era, perciò, logico temere che ci fosse uno scarto che rendesse incerto l'esito. Cattani si limitò a prospettare tale rilievo, mentre Cassandro svolse a fondo gli argomenti in favore della tesi sopra cennata. Egli raccomandò la massima riservatezza, che fu osservata da Cattani ma non da Cassandro il quale fece al riguardo delle dichiarazioni ai giornalisti.

Interpellato Romita. Egli chiarì le cifre e si potè così osservare che i dati pubblicati dal giornale non erano esatti. Comunque occorre rimettersi alla decisione della Magistratura.

Non si può fare perciò alcun appunto al nostro collega. L'importante è che noi dobbiamo accettare la decisione della Corte di Cassazione.

Cattani - Fa noto che Cassandro nel recargli il telegramma gli fece presente che era necessario parlarne al Presidente. Egli si recò da De Gasperi perché fosse chiarito che era opportuno comunicare tutte le cifre relative al referendum. Esclude qualunque mala fede nei giornalisti del Risorgimento Liberale. Insistè perché fosse reso noto il numero dei voti nulli. Propose che il Presidente facesse in proposito un'apposita dichiarazione, ma De Gasperi non aderì. Rivendica la lealtà del suo partito e della sua persona che ha svolto una campagna di concordia e di accettazione del risultato del referendum. Deplora gli atteggiamenti di taluni giornali di destra e di sinistra nonché della radio e anche del Governo che ha dato la sensazione di voler nascondere le cifre. Invece occorre rendere pubblica la cifra complessiva dei votanti. Prega i colleghi dei vari partiti di far smettere questa campagna pericolosa nell'attuale momento.

De Gasperi - Ci si è limitati a correggere talune cifre.

Cattani - Il contegno del Presidente è stato perfetto. Ma bisogna che si comunichi chiaramente il risultato.

Nenni - Prende atto di quanto è stato dichiarato da Cattani. Si poteva fare un passo personale presso De Gasperi. La differenza delle cifre poteva dar luogo ad apprezzamenti contrastanti, ma il passo suscitò nel Paese una emozione che si poteva evitare.

Lombardi - Rileva che il passo di Cattani, di cui non mette in causa la buona fede, ha suscitato una polemica di carattere politico. Contesta che un articolo dell'"Italia libera" sia sobillatore: egli vi apporrebbe la firma. Chiede sia accelerata la proclamazione.

Togliatti - Muove un rimprovero cordiale a Cattani di non aver compreso la situazione politica che è tesa. Si è vinta una battaglia e si deve conquistare l'altra parte restia ad accettare i risultati del referendum. Occorre un senso maggiore di responsabilità nell'interesse di tutti.

Romita - Non entra nel merito: rileva soltanto le conseguenze. Ha chiamato Selvaggi ed ha fatto opera di pianificazione. Intervenne poi il passo di Cattani ed allora a Napoli, Bari e dovunque si determinò l'opinione che il Ministero degli Interni avesse manipolato i dati. Egli partecipò le cifre che venivano comunicate.

Nenni - Protesta contro la legge che è sbagliata giacché non consente, anche a distanza di una settimana dalla votazione, di poter far comunicare i dati relativi al risultato delle elezioni. Questo è uno scandalo di cui, però, non fa carico a Romita.

Romita - Spiega la causa del ritardo: lentezza dei Magistrati. Mancano ancora 22 su 31 circoscrizioni. La vera garanzia è che i verbali sono in mano della Magistratura, non del Governo. I sacchi andavano dalle Corti d'Appello alla Cassazione.

Cattani - Richiama l'origine della controversia: il rilievo fatto dai giuristi e il modo con cui il Ministero dell'Interno ha dato le notizie. Di qui l'iniziativa del Segretario del Partito Liberale che egli fa sua, che risponde a un sentimento di responsabilità, di ottenere che si facessero note le cifre. Le dichiarazioni che il Segretario ha fatto erano limitatissime: egli non disse nulla. Polemizza coi giornali irresponsabili.

De Gasperi - Invita alla calma. Richiama quanto era stato stabilito sulla procedura e nelle istruzioni date."

Da queste righe emergono già e con evidenza le spaccature, i guasti, i veleni che affliggeranno per quasi mezzo secolo la vita della prima Repubblica. Nascono quei mali che perdurano tutt'oggi, primo tra gli altri la lentezza della Magistratura che è indicata come causa prima se non unica per il ritardo nella proclamazione - a una settimana di distanza dalla votazione - dei risultati delle elezioni. Spuntano i sacchi, i sacchi dei verbali che vanno, di certo provenienti dagli uffici elettorali, alle Corti d'Appello, e di qui alla Corte di Cassazione. Appare con chiarezza l'origine della polemica - fatti tutti sui quali il Presidente del Consiglio richiama all'obbligo di non divulgazione - e cioè un telegramma di alcuni professori di Padova in cui si rilevava che il computo dei voti doveva essere fatto in base al numero degli elettori votanti, ed un giornale aveva accennato ad una differenza di un milione tra i votanti per la Costituente e quelli per il referendum. E quindi il fatto che ancora quell'8 di giugno non si conoscesse ancora né la cifra complessiva dei votanti né il risultato delle elezioni.

Di rilievo anche il verbale del successivo Consiglio, quello del 10 giugno, che ebbe due sedute, una serale alle 20.00, l'altra notturna alle 00.45. Il Presidente, sempre De Gasperi, comunica il testo della dichiarazione della Corte di Cassazione - riunitasi alle 18,00 precedenti nella sala della Lupa nel palazzo del Parlamento per la proclamazione dei risultati del referendum - già letto al Re. Da non dimenticare il passo dell'ultimo capoverso della proclamazione: "la Corte... emetterà in altra adunanza il giudizio definitivo sulle contestazioni, le proteste e i reclami presentati agli uffici delle singole sezioni o agli uffici centrali circoscrizionali o alla stessa Corte concernenti lo svolgimento delle operazioni relative al "referendum"; integrerà i risultati con i dati delle sezioni ancora mancanti; ed indicherà il numero complessivo degli elettori votanti e quello dei voti nulli". Sui punti di maggiore interesse così il verbale:

Bracci - La dichiarazione della Corte di Cassazione va intesa nel senso che la Corte è persuasa che le cifre date non possano essere spostate. Quindi siamo liberi di decidere. La legge, poi, dispone che "proclamati i risultati del Referendum, i poteri passano al Presidente del Consiglio". E tale condizione si è verificata.

Cevolotto - I risultati proclamati dalla Corte sono realmente incompleti, ma in realtà l'avvenuta proclamazione dei risultati è il verificarsi della condizione per il passaggio dei poteri. Sarà però prudente non parlare per ora di repubblica.

Brosio - C'è stata una proclamazione, sia pur ambigua che deve farci ritenere superata in diritto o in fatto la pregiudiziale relativa al numero dei votanti.

Se questo non riteniamo, occorre chiamare qui il Presidente della Corte di Cassazione perché si spieghi oppure bisogna invitare la Corte a riunirsi subito e pronunciarsi.

Cianca - La Corte di Cassazione ha agito in base all'art.17 e noi dobbiamo trarne tutte le conseguenze.

Gullo - Nella dichiarazione della Corte di Cassazione è detto: "visto l'art. 17", quindi è chiaro che noi dobbiamo decidere.

Molè - Dobbiamo regolarci in base all'art.2 della legge.

De Gasperi - Ma è appunto sull'interpretazione dell'art.2 che è sorta una contestazione. Io personalmente credo che la proclamazione sia avvenuta e che sia produttiva degli effetti previsti dalla legge. Potremmo, intanto, emanare il decreto, senza la parte che riguarda il sigillo dello Stato. Di ciò potremo decidere dopo il 18.

Corbino - Dal verbale della Corte di Cassazione risulta la mancanza del dato relativo ai votanti. È da presumere che la Corte nel fare la proclamazione ha ritenuto che i risultati non potranno essere mutati. In sede politica noi dobbiamo tener conto della maggioranza, di 11 milioni di votanti che hanno diritto a veder rispettate le forme.

Togliatti - Tutta questa discussione giuridica non interessa. Qui si tratta di una trasformazione dello Stato che avviene o per fatti rivoluzionari o per fatti legali. Essa è avvenuta per fatto legale e urge ridurre il periodo d'incertezza. In questa situazione dobbiamo aver coraggio e dar subito la sensazione del definitivo.

Scelba - Noi nella nostra coscienza morale siamo sicuri della decisione popolare, quindi dobbiamo decidere senza preoccuparci del verbale della Corte di Cassazione che è del tutto regolare secondo la legge.

Bracci - Aderisce perfettamente alla tesi di Togliatti. Si rifiuta di risolvere la questione come giurista; vuole, invece, che sia risolta in sede politica.

Il problema è di saper che cosa fa il Re.

Gasparotto - Il dispositivo della Corte di Cassazione è nella prima parte, la seconda è soltanto sussidiaria.

Scoccimarro - Noi abbiamo il dovere di trarre le conseguenze della "proclamazione" di oggi. È da aggiungere che almeno in via provvisoria occorrerebbe prendere provvedimenti contro gli agitatori dell'Italia Nuova.

Cevolotto - Non è d'accordo con Scelba sui criteri di interpretazione della legge. Fermo resta che la Corte sapeva le conseguenze della sua proclamazione. È d'accordo con Scoccimarro per le misure da prendere contro l'Italia Nuova. Se si arrestasse Selvaggi si farebbe cosa giustissima.

Gronchi - Non crede che le pubblicazioni dell'Italia Nuova debbano rimanere senza smentita e senza relative sanzioni.

Noi dovremmo però conoscere l'atteggiamento del Sovrano e propone perciò di fargli avere una dichiarazione del Consiglio dopo la quale questo dovrebbe nuovamente riunirsi e decidere.

Nenni - Se stasera il Consiglio dei Ministri commettesse un atto di debolezza e non traesse le conseguenze dovute dalla proclamazione avvenuta, getterebbe il paese nell'anarchia.

I miei collaboratori della Costituente dicono che la Corte di Cassazione ha fatto quel che doveva.

Io non posso accettare che le nostre decisioni debbano dipendere da quel che farà il Re.

Romita - Se noi oggi esitiamo, che cosa faranno domani esercito, funzionari e polizia che si sono già schierati per la repubblica e che saranno di nuovo turbati?

Brosio - Noi abbiamo scelto la forma legale e non possiamo abbandonarla non solo per scrupoli giuridici, ma anche per ragioni politiche. Occorre dunque una ragione giuridica e a me pare che questa consista nel presumere che la corte l'abbia superata implicitamente in fatto o in diritto.

De Gasperi - Propone, se si è d'accordo, di inviare un Ministro dal Re a notificargli che il Consiglio ritiene che la proclamazione oggi avvenuta sia produttiva dell'effetto di decadenza della monarchia.

Cattani - Un passo presso il Re non può essere fatto che dal Presidente, ma egli non può parlare di unanimità del Consiglio, tutt'al più di maggioranza. Io personalmente ritengo che la proclamazione della Corte sia un atto imperfetto (quali che siano i motivi di tale imperfezione) e come tale non può produrre per ora gli effetti previsti dalla legge. Quindi giuridicamente dissento da molti Ministri presenti. Politicamente se deve tenersi conto della maggioranza nervosa, deve tenersi conto anche della minoranza pur essa nervosa. Sarà saggezza politica non precipitare i tempi e non dare motivi alla minoranza di ritenersi tradita nei suoi diritti. Il passo presso il Re può avere solo lo scopo di concordare una formula che salvi le pretese di ogni parte e salvare così la pace del paese.

De Gasperi - Decide di recarsi dal Re e sospende la seduta.

La seduta viene ripresa alle 0,45

De Gasperi - Due testimonianze che modificano la situazione sono quelle di Ruini e di Stone: Ruini ha espresso il parere che la decisione della Cassazione nulla ha mutato della situazione giuridica del Re. Stone si è presentato al Re per conto suo e gli ha detto anche a nome di Morgan che la questione è aperta e la decisione della Cassazione non è sufficientemente decisiva. Il Re ha riferito di aver dichiarato a Stone di essere disposto ad allontanarsi, ma che, essendo la decisione provvisoria, delegherebbe al Presidente del Consiglio i poteri fino alla decisione definitiva. Con ciò terrebbe conto dello spirito della legge e delle esigenze democratiche. Accenna poi a quanto Stone ha dichiarato sulla eventuale provvisorietà della proclamazione della Corte di Cassazione.

Su tale punto si svolse la discussione col Re al quale fece presente che non si poteva prescindere dal risultato del referendum. Inoltre facendo propria la tesi di Bracci prospettò al Re una formula che dà riconoscimento alle funzioni di Capo dello Stato. Il Re insistè sul criterio di delegare i suoi poteri in modo da ottenere la obbedienza delle forze militari al capo provvisorio. La casa reale sentì i pareri di Ruini, Scialoia e Visconti Venosta. Egli, perciò, fece presente che vi era già un pronunciato della Cassazione che era invitata a svolgere i suoi lavori con calma ed accurata elaborazione dei dati. Il Re dichiarò che si sarebbe ritirato ed assicurò che avrebbe mantenuto la sua parola e la sua lealtà. Egli, perciò, si riservò di riferire al Consiglio.

Bracci - La situazione è difficile. La formula da lui suggerita è sostanzialmente questa: che il Sovrano, di fronte ai risultati provvisori della Cassazione, cedeva i poteri al Presidente del Consiglio in base alla legge del marzo.

De Gasperi - In sostanza il Re è pronto a dare atto con lettera che non sconfessa il referendum, che cede i poteri e si ritira. Così esercito e marina obbediranno senza difficoltà.

Bisogna, quindi, decidere per domattina. Si può sentire il parere del Consiglio di Stato.

Chiede se sia accettabile la soluzione che il Presidente del Consiglio eserciti per 4 o 5 giorni i poteri quale rappresentante della Corona, il che non intaccherebbe i risultati del referendum.

Nenni - Propone che il Consiglio dei Ministri riconosca con propria decisione l'applicabilità dell'art.2 e contemporaneamente aderisca alla delega dei poteri da parte del Re.

Togliatti - Approva il criterio.

Molè - Chiede quale sia l'atteggiamento degli Alleati.

De Gasperi - L'intervento alleato non è sostanziale: ritiene che si tratti solo di passi personali di Stone.

Sulla proposta di Nenni rileva che sia più opportuno avere la lettera del Re prima di adottare una decisione del Consiglio. Rileva che il Re ha accennato che la delega dei poteri andrebbe fatta con la formula della luogotenenza. A suo parere, questa è difficoltà superabile.

Lombardi - Chiede se la Corona si propone di raggiungere altri scopi. Prevede che per domani, giornata festiva, ci saranno manifestazioni repubblicane.

Cianca - Dalla relazione di De Gasperi si delinea una manovra di un monarca che non è più re. Si devono considerare tutti i rischi. Oggi il Consiglio ha preso atto che i risultati del referendum sono stati favorevoli alla repubblica e perciò, da questo dato di fatto, dobbiamo trarre le conseguenze.

Togliatti - Possiamo rinunciare a una cosa: di prendere quelle misure che avevamo già stabilito come effetto dell'esito del referendum. Ma non possiamo accettare una investitura da parte del Re. Sapevamo che le contestazioni venivano risolte in un secondo tempo e questo era stabilito allo scopo di evitare un colpo da qualunque parte. Abbiamo già un ricorso respinto, quello di Selvaggi. Noi ci atteniamo alla legge. La parte repubblicana è calma. La parte monarchica invece è turbolenta: c'è una intervista di un Generale che va sconfessata. Dobbiamo ignorare la dichiarazione del Re, diversamente non possiamo più controllare il Paese.

Si preoccupa dell'atteggiamento dei monarchici e ritiene che questi abbiano un piano prestabilito. La stessa Magistratura sarà messa sotto inchiesta, perché è risultato che alcuni giornali avevano in precedenza conosciuto la pronuncia della Cassazione. Noi non possiamo disorientare il Paese, lasciando tutto di nuovo in discussione.

Brosio - È evidente la tattica di portare le cose dalla legalità alla illegalità. Noi abbiamo l'interesse opposto. D'altra parte se non si fosse d'accordo fra Corona e Governo, si potrebbe facilitare la guerra civile. In tal caso, dubita sull'atteggiamento delle forze armate. Dobbiamo perciò, avere la preoccupazione di rimanere calmi. Propone di accettare la luogotenenza. La dichiarazione della Cassazione può dar luogo ad equivoco e pertanto sono sorte discussioni in proposito. Noi dobbiamo affermare che la Repubblica c'è e che, perciò, assumiamo i poteri dello Stato, pur accettando la delega dei poteri. Contro i generali prenderà provvedimenti.

Scoccimarro - Sarebbe d'accordo con Brosio. Ma chiede se tale situazione può lasciare il tempo all'altra parte di organizzarsi. In ogni modo bisogna esser calmi. Tuttavia ha impressione, dalle dichiarazioni fatte da Lucifero e Infante che questi abbiano un piano prestabilito. Stone sapeva già prima il responso della Corte. Il Re ritiene che sia necessaria una sua delega e noi l'accettiamo.

Ma bisogna che si sappia che nell'eventualità di sciopero questo potrà determinare delle conseguenze. Il generale Infante deve essere diffidato e punito. Il Re, se si allontana, deve essere sorvegliato. Ma il Governo deve dare al Paese un orientamento: alla forza si risponderà colla forza. La Cassazione deve finire il lavoro al più presto. I giornali devono essere sequestrati, se fanno campagne come quelle del "Giornale della sera". Chi terrà le masse dall'assalire i nuclei monarchici? Se il Governo si mostrerà impotente, si muoverà il popolo. Forse il Re non c'entra, ma chi gli è intorno matura un piano. Noi non precipitiamo e non drammatizziamo ma non possiamo lasciarci ingannare. Si comprenda che non è più tempo di scherzare.

Riassume: la Corte di Cassazione faccia presto; il Re sia sorvegliato, Lucifero e Infante siano allontanati.

De Gasperi - Il pericolo è che lasciamo cadere questo referendum per nostra inerzia.

Cattani - Si dimentica che noi viviamo in regime armistiziale. Né il Re, né nessuno può far atti di forza. Noi non dobbiamo precipitare nulla. Ci sono state interviste scandalose di generali. Ma non c'è da perder la testa. Qui si vuole stabilire una tirannia: arresto del Re, sequestro di giornali. Egli non condivide tale indirizzo. Proprio noi susciteremo la guerra civile? Ritiene che debba assicurarsi la pace e la libertà del Paese. Non c'è da drammatizzare, ma da accettare una via di saggezza.

Bracci - Ha la sensazione che la Monarchia svolga un piano. Ha raccolto una frase; lasciate scatenare le forze di sinistra e gli Alleati reagiranno. Pensa che le forze monarchiche siano in atteggiamento passivo e si appoggino agli Alleati. Bisogna difendere le forze repubblicane.

Noi non possiamo accettare la delega luogotenenziale, in quanto abbiamo già riconosciuto la vittoria della Repubblica. Ritiene, pertanto, che il Re debba consentire al passaggio dei poteri in base all'art.2. Senza esagerare, il Governo deve essere forte. L'intervento degli Alleati c'è: prega il Presidente di segnalare che questo atteggiamento, con il movimento monarchico in atto, può portare a gravi conseguenze.

Cevolotto - Gli avversari provocano: noi non dobbiamo accettare le provocazioni, ma dobbiamo anche evitare gli urti. Dobbiamo informare la stampa che il risultato non muterà malgrado ogni verifica. Si tratta di un periodo di pochi giorni. Intanto occorre mostrare la forza necessaria.

De Gasperi - Propone di redigere un comunicato nel quale si confermi il risultato del referendum e si faccia appello alle masse repubblicane perché consapevoli della loro forza restino ferme senza raccogliere le provocazioni.

Cattani - Il Governo d'Italia deve parlare a tutti gli Italiani.

De Courten - E necessario agire presto e fare una dichiarazione anche per le forze armate.

Si propone il comunicato: "Il Consiglio dei Ministri ha preso atto della proclamazione dei risultati del referendum fatta a termini di legge dalla Suprema Corte di Cassazione e che assicura la maggioranza alla Repubblica e si è riservato di decidere nella seduta di domani sui provvedimenti concreti che ne derivano. Il Consiglio confida nel senso di civismo di tutti gli Italiani e fa appello al Paese che si è manifestato nella sua maggioranza repubblicano perché consapevole della sua forza e del suo buon diritto non si presti a provocazioni di elementi faziosi nella sicurezza che nessuno potrà più strappargli la vittoria raggiunta nella legalità della consultazione popolare della quale il Governo rimane interamente garante. In conformità della precedente deliberazione la giornata di martedì 11 giugno è considerata festiva a tutti gli effetti".

Cattani - Vota contro questa dichiarazione, perché la ritiene pericolosa per la pace degli Italiani."

In questo verbale la constatazione dei mali del tempo e il presagio di quelli del futuro. I risultati sono incompleti, la proclamazione ambigua, persiste la mancanza del dato relativo ai votanti. Il pragmatismo dei politici: la discussione giuridica che non interessa, la trasformazione dello Stato che avviene o per fatti rivoluzionari o fatti legali, le proposte di arresto per chi contesta e il sequestro dei giornali. E poi le fughe di notizie dalla magistratura, le iniziative dei generali, l'intervento dell'ammiraglio Stone , che stima provvisoria la decisione della Cassazione.

Il Consiglio dei Ministri tornava a riunirsi nella tarda serata del 12 giugno 46. Anche questa seduta veniva interamente dedicata al Referendum istituzionale, al conflitto con il Quirinale sui risultati del referendum, all'ordine pubblico. È nel corso di questa seduta che il Presidente De Gasperi rende noti i saluti pervenuti alla neo Repubblica Italiana da parte della Costituente francese e del ministro inglese Bevin. Che non tutto procedesse alla perfezione nella elaborazione dei risultati definitivi del referendum si nota dalle risposte che il Ministro della Giustizia Togliatti fornisce a Scoccimarro che aveva avanzato richiesta di conoscere i tempi in cui si sarebbero ultimati i lavori della Cassazione. Togliatti così risponde "lo spoglio delle schede sezionali è cominciato stamane. A un certo momento è venuto l'ordine di mutare il criterio dello spoglio, limitandosi ai voti attribuiti. C'è del caos. Il lavoro, però, potrà essere esaurito in 4 giorni, riuscendo in un'ora ad effettuare lo spoglio delle schede di 70 sezioni". Ma non era soltanto il caos della Cassazione che preoccupava il Consiglio dei Ministri, vi erano anche e soprattutto i contrasti con il Quirinale. È Scoccimarro a sollevare il problema raccomandando "di tenere gli occhi aperti sul Re e di seguire le sue attività". Il tutto nasceva ovviamente dalle lettere che il Re aveva inviato al Presidente del Consiglio dei Ministri in cui - secondo Togliatti - vi era un "subdolo tentativo di influenzare la Magistratura, perché impone una tesi. Si spostano i termini della contestazione: bisogna vedere l'esito delle decisioni in merito agli elettori votanti". Ciò che inoltre preoccupava era il passaggio dei poteri dalla monarchia alla Repubblica qualora il Re e i suoi fedeli avessero opposto resistenza.

L'indomani 13 giugno 46 - com'è storicamente noto - il Re lasciava il territorio nazionale. Partenza che produceva l'effetto di distendere l'animo degli italiani.

Il 19 giugno il Consiglio dei Ministri si riuniva, dava lettura del giudizio definitivo della Cassazione sui ricorsi relativi alle contestazioni sui dati del referendum istituzionale e dopo un breve dibattito approvava il seguente testo: "Il Consiglio dei Ministri prende atto del giudizio definitivo della Corte di Cassazione sulle contestazioni, le proteste ed i reclami e rileva che la Magistratura competente ha eliminato ogni dubbio di fatto e di diritto circa la netta decisione repubblicana del referendum e la conseguente perfetta legalità della posizione assunta il 10 giugno dal Governo".

Nella medesima seduta veniva approvato il primo decreto legge della neonata Repubblica concernente le nuove formule per l'emanazione dei decreti ed altre disposizioni conseguenti alla mutata forma istituzionale dello Stato.

Anche il consiglio del 13 giugno è dedicato esclusivamente al referendum.

"De Gasperi - Riferisce le impressioni manifestategli dall'Ambasciatore Charles, e cioè che questi aveva la sensazione che la Corte di Cassazione non avesse emesso una decisione definitiva. Comunica di aver fornito in merito gli opportuni chiarimenti.

Per quanto riguarda Trieste ha fatto presente la delicatezza della situazione.

Informa poi il Consiglio sulla visita dell'Ammiraglio Stone: anche questi ha avuto l'impressione che la Corte dei Conti (rectius: Corte di Cassazione) abbia voluto sfuggire ad una decisione precisa. Gli Americani non intendono che il Governo assuma una posizione in contrasto con le decisioni della Corte di Cassazione. Soggiunge che Stone ha riferito ciò anche al Re e ha detto inoltre che bisogna chiarire la situazione della Cassazione chiedendo se la seconda dichiarazione è da ritenersi decisiva. L'Ammiraglio Stone ha anche approvato la proposta del Re di affidare al Presidente del Consiglio i poteri di Capo provvisorio dello Stato. Egli ha chiesto poi cosa accadrebbe se la Corte di Cassazione non decidesse in maniera inequivocabile. Ha risposto che essendo vicini alla Costituente, la questione sarebbe ad essa devoluta. Ruini osserva che non essendo decisivo il responso della Cassazione sarebbe inopportuno proclamare la Repubblica. Ritiene logico invece il passaggio dei poteri di Capo provvisorio dello Stato a De Gasperi.

Informa, altresì, che Orlando ha confermato che il Re gli ha espresso il pensiero di ritirarsi delegando De Gasperi, in quanto è suo desiderio trascorrere tranquillamente i cinque giorni che precedono il verdetto della Corte di Cassazione. Egli crede che si possa ancora attendere per la proclamazione fino ad una decisione della Cassazione. Pacciardi ha chiesto se De Gasperi è stato investito dei poteri di Capo dello Stato: riteneva che la dimostrazione di questa sera dovesse eventualmente essere energica. Gli prospettò, pertanto, che l'atteggiamento del Governo si è già dimostrato energico e lineare e che si tratta, sul terreno pratico, di trovare una via di compromesso.

Bisogna ora decidere la linea da seguire.

Gronchi - Ha cercato di raccogliere informazioni sugli stati d'animo dei giudici nei quali nota una certa perplessità. Ritiene che per il giorno 18 la Corte non riesca ad esaminare i 21 mila ricorsi presentati. Dai verbali di votazione, più che frode appare la mancanza di pratica dei presidenti dei seggi. In molti di essi, per esempio, manca il numero dei votanti. Le anzidette sensazioni fanno pensare che si vada al di là del 18 giugno.

Chiede se è possibile far presente alla Cassazione la situazione in cui essa si è venuta a trovare.

Togliatti - Comunica di aver ricevuto la sentenza della Cassazione sul ricorso Selvaggi-Sogno. Essa respinge il ricorso, ma non entra nel merito fuorché sulla questione di Bolzano e di Trieste per la quale dichiara che non può dir nulla. Mentre sul primo punto (mancato conteggio del numero dei votanti) la Cassazione è entrata nel merito, non ha ritenuto utile invece la comparizione dei reclamanti essendosi limitata alla proclamazione dei risultati che non può essere differita.

Ha parlato con Ruini che ha confermato quanto già riferito e poi con Pagano e Pilotti, il quale ultimo confermava che tutte le leggi prendono in considerazione il numero di tutti i votanti.

Ha chiesto, prospettando la gravità della situazione politica, se si poteva addivenire alla definitiva proclamazione per il 18, ma non è possibile in quanto si devono controllare, attraverso tutti i verbali (35 mila), il numero dei votanti. Inoltre vi sono i ricorsi che possono anche richiedere l'esame delle schede che, tra l'altro, non sono qui e forse sono distrutte. Alla fine la questione potrebbe anche essere portata all'esame del Governo.

Hanno fatto presenti le difficoltà di applicare le leggi e particolarmente quella sul referendum che contiene affermazioni contraddittorie, per il significato che può assumere la parola votante. Non è possibile dare alcuna indicazione delle schede nulle. Non si può, quindi, parlare di 400-500 mila schede nulle.

(...)

Nenni - Ormai il conflitto esiste: se si risolve domattina tanto meglio.

Si tratta di vedere se questo conflitto può essere trascinato fino al 18 senza che si acuisca.

Oggi a Napoli ci sono stati dei morti e vi è stato pure l'assalto ad una caserma. Vi sono, altresì, cose che avvengono contro la nostra volontà. Ci troviamo ora di fronte alle dichiarazioni di Togliatti che esclude che per il 18 giugno la Corte di Cassazione riesca alla proclamazione definitiva dei risultati.

Propone di anticipare la Costituente e chiede che il Ministro dell'Interno acceleri gli scrutini, in modo che i neo-deputati possano essere convocati immediatamente. La loro presenza fisica è già un atto di forza. L'Assemblea si autoconvocherà.

Data la situazione odierna è necessario che il conflitto sia aperto, tanto più che il Governo non ha fatto nulla per determinarlo. Ritiene pertanto indispensabile fare appello alle forze popolari ed alle forze partigiane. La migliore soluzione sarebbe comunque procedere alla riunione dell'Assemblea.

De Gasperi - Chiede se è possibile sapere quando la Corte di Cassazione potrà finire i suoi lavori: il 18 giugno sarebbe un termine felice. Se si va oltre tale data è il fallimento della legge sul referendum, perché la Costituente ha un potere dovuto alla sua sovranità.

Cevolotto - Si tratterebbe di indurre i Magistrati a vedere solo quelle questioni che possono modificare i risultati del referendum.

Togliatti - Se verrà accolto il ricorso di Selvaggi, la maggioranza può spostarsi ad un quinto. In tal caso ogni ricorso può determinare un risultato nuovo.

Nenni - La questione è un'altra; quando c'è un conflitto fra Governo e Corona ci vuole l'arbitro: o il popolo o l'Esercito o la Costituente.

Cevolotto - Qualcuno dei Magistrati ha già capito la situazione. Si tratta ora di farla capire agli altri.

Togliatti - Come Ministro per la Grazia e Giustizia non può parlare ai Magistrati nel senso voluto.

Scoccimarro - Chiede a Brosio come si comporterebbe l'Esercito in caso di conflitto.

Brosio - Comunica che i militari sentono soprattutto il senso della legalità: se gli ufficiali riconoscono che c'è una base legale allora accettano. In massima però c'è fedeltà al Re. Egli prenderà comunque contatti coi Comandi del Nord.

Scoccimarro - Occorre prendere una decisione entro le ore 11 di domani, giacché teme che la Cassazione per il 18 non esaurisca i suoi lavori.

Il Consiglio ritorna all'interpretazione della legge.

Nenni - Rende note le cifre dei votanti che, secondo i dati degli uffici elettorali, risultano di 24.837.000 circa.

Bracci - Noi non possiamo valutare chi potrà risolvere il conflitto: forse l'Ammiraglio Stone.

Nenni - Non c'è nessuno che possa contrastarci.

Gasparotto - Giuridicamente abbiamo ragione noi. C'è però una specie di giudizio inibitorio della Corona che chiede una sospensione in attesa di precise decisioni. Vale la pena di complicare la situazione nel supremo interesse della Nazione?

Romita - A Napoli c'è stato un conflitto con 4 morti. Ha mandato rinforzi. A Taranto ha avuto luogo un altro conflitto.

Cianca - Ci sono delle violazioni della legalità da parte della Monarchia che sta giocandoci. Noi dobbiamo questa sera nominare il Capo del Governo come Capo provvisorio dello Stato.

De Gasperi - Bisogna valutare le forze. Se si dice che la Patria è in pericolo le forze vengono da sè.

Abbiamo affermato il principio, ma se domani insistiamo nel nominare il Capo dello Stato dobbiamo sapere su che cosa bisognerà appoggiarsi".

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