Capitolo II

Gli altri fatti di maggior rilievo.

1. Gli scandali.

Il 1980 è attraversato anche da una serie di scandali che rimarranno per lungo tempo nella coscienza del Paese. Il 4 marzo l'on.le Franco Evangelisti, ministro della Marina Mercantile, a seguito delle polemiche generate da un'intervista rilasciata ad un quotidiano, si dimetteva. Nell'intervista venivano riportate dichiarazioni del ministro relative ai suoi rapporti finanziari con Gaetano Caltagirone, il costruttore accusato di bancarotta e al momento latitante. In particolare il deputato aveva affermato di aver ricevuto finanziamenti da Caltagirone per la Democrazia Cristiana. Sempre a marzo si dimetteva Giorgio Mazzanti, presidente dell'ENI, a seguito degli sviluppi dello scandalo ENI-Petromin. Mazzanti era accusato di aver pagato altissime tangenti ai partiti politici per ottenere forniture privilegiate di petrolio.

A ottobre un ennesimo scandalo indigna il Paese: una gigantesca frode valutata intorno ai duemila miliardi ai danni dello Stato. Petrolieri contrabbandieri, eludendo i controlli, facevano passare il gasolio da autotrazione per gasolio da riscaldamento, così lucrando l'enorme differenza di carico fiscale fra i due tipi di carburante. I vertici della Guardia di Finanza, uomini di affari e politici saranno travolti dallo scandalo. Il ministro Bisaglia sarà costretto a dimettersi. Verrà coinvolto anche il nome di Sereno Freato già collaboratore di Moro. L'inchiesta porterà all'arresto del generale Raffaele Giudice, Comandante della Guardia di Finanza dal 76 al 78 ed all'emissione di un mandato di cattura per il generale Donato Lo Prete, ex Capo di Stato Maggiore della Guardia di Finanza.

Con riferimento al Ministro Bisaglia il senatore Giorgio Pisanò a fine ottobre lo aveva accusato nel corso del dibattito sulla fiducia al Senato di essere implicato in una colossale frode di oltre duemila miliardi relativa ad evasioni fiscali su prodotti petroliferi. Pisanò faceva anche riferimento a strane morti che si erano succedute, tra le quali quelle di cinque autotrasportatori periti in incidenti e quella del giornalista Mino Pecorelli, direttore del settimanale "OP", assassinato il 20 marzo del 79. Questi nel 78 aveva pubblicato su "OP" un'inchiesta intitolata "Manette e petroli", nella quale si riferiva con dettagli appunto dello scandalo dei petroli. Emergeva così che Pecorelli era in possesso di una fotocopia di un dossier del SID; cioè del ben noto fascicolo M.FO.BIALI, il cui originale non è mai stato rinvenuto al Servizio. Fatti che porteranno alla incriminazione per il trafugamento di notizie concernenti la sicurezza dello Stato per il generale Gian Adelio Maletti ed il capitano Antonio La Bruna.

Il 23 novembre si verifica un terribile sciagura nazionale. Il terremoto dell'Irpinia, che mette a nudo, ancora una volta, le gravi carenze organizzative dello Stato. Il terremoto è stato violentissimo, valutato tra il nono ed il decimo grado della scala Mercalli; il bilancio degli effetti sarà gravissimo: 2600 morti e 8000 i feriti. Anni dopo ne deriverà l'ennesimo scandalo relativo per gli interventi pubblici destinati alla ricostruzione in Irpinia delle zone colpite. Migliaia di miliardi sperperati e finiti nelle mani di politici e della camorra. I risultati dell'inchiesta della Commissione parlamentare presieduta dall'allora on.le Scalfaro, trasmessi alle competenti procure rimarranno praticamente lettera morta.

2. I rapporti internazionali. Gli Euromissili. Il Summit di Venezia.

A metà degli anni 70 lo schieramento in Europa Orientale dei missili a medio raggio SS20 puntati sulla parte occidentale del continente cominciò a suscitare sensi di crescente preoccupazione negli europei. L'URSS assumeva trattarsi della sostituzione di vecchie e obsolete armi nucleari; in realtà gli SS20 erano un'arma di micidiale potenza. Ma la pericolosità non era soltanto nel potere distruttivo dell'arma, bensì anche che essa fosse puntata sull'Europa. Non si trattava di confronto tra Unione Sovietica e Stati Uniti con relativo scambio di colpi intercontinentali tra le due superpotenze. Si trattava di una conflittualità potenziale che avrebbe direttamente coinvolto il vecchio continente; il teatro di guerra sarebbe stato l'Europa. In fin dei conti l'Unione Sovietica avrebbe potuto attaccare l'Europa senza minacciare direttamente il territorio statunitense. Questi ultimi avrebbero potuto, temevano gli Europei, anche decidere di contenere la propria risposta, o comunque decidere interventi intempestivi.

Il primo a dare l'allarme era stato il Cancelliere tedesco Schmidt nell'ottobre del 77 nel corso di una conferenza a Londra: "Una limitazione delle armi strategiche che riguardi solo gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica costituirà inevitabilmente una minaccia per la sicurezza dei membri dell'Europa occidentale dell'Alleanza di fronte alla superiorità militare sovietica in Europa, se non riusciremo ad eliminare le disparità tra le potenze militari in Europa, in parallelo con i negoziati Salt". Dopo un periodo di incertezze su iniziativa della Francia si svolse alla Guadalupa l'incontro tra gli Stati Uniti, la Germania, la Gran Bretagna e la Francia. Sulla questione dei missili in Europa i quattro Paesi rappresentati dai rispettivi leaders concordarono quello che poi fu chiamato l'approccio "a due binari", cioè da una parte lo stazionamento dei missili Cruise e Pershing II statunitensi in Europa, dall'altra la progressione dei negoziati sul controllo degli armamenti a medio raggio con l'Unione Sovietica. Nella circostanza venne deciso inoltre di promuovere una operazione di salvataggio finanziario della Turchia, la cui cronica crisi economica minacciava il fianco sud della NATO. L'incontro della Guadalupa si differenziava dagli altri incontri per la riservatezza dei colloqui. Erano presenti ai colloqui solo i capi di governo affiancati da un solo assistente. Nessuna dichiarazione conclusiva o comunicato finale.

Ovviamente gli altri Paesi europei interessati alla questione dei missili, come il Belgio, i Paesi Bassi e l'Italia si risentirono per essere stati esclusi dai colloqui. L'Italia in quel periodo era governata da una coalizione di "solidarietà nazionale" poco gradita agli Stati Uniti. La vicenda diede però l'incentivo a fare dei vertici dei sette Paesi più industrializzati un veicolo più formale e visibile dei dibattiti politici.

La vicenda degli Euromissili approdò in Parlamento nell'autunno del 79. La Camera dei deputati ne discusse in due sedute, il 31 ottobre ed il 4 dicembre. Il dibattito fu acceso ma non incandescente. Il grosso nodo era la preoccupazione della scelta e del conseguente voto del Partito Comunista Italiano sulla vicenda. Il segretario del PCI, Enrico Berlinguer, nel suo intervento alla Camera affermò che se l'equilibrio era stato incrinato doveva essere riportato alla parità, ma a livelli più bassi e non più alti. Per tale motivo chiedeva al governo l'impegno di sospendere o rinviare di almeno sei mesi ogni decisione sulla installazione dei missili, di invitare i sovietici a condurre una moratoria sulle loro armi e contestualmente aprire trattative fra le due alleanze per fissare nuovi equilibri militari in Europa.

Nella seduta del 6 dicembre il Parlamento votò una risoluzione che impegnava l'Italia ad aderire al progetto missilistico della NATO. Il 12 successivo, il Consiglio Atlantico riunitosi a Bruxelles deliberava il programma missilistico e la contestuale offerta di negoziati all'Unione Sovietica. Era il successo della politica del doppio binario stabilita dalle quattro potenze alla Guadalupa. L'Italia con l'installazione nel proprio territorio di 112 Cruise tornava ad assumere nello scenario internazionale un ruolo determinato e decisivo. Al nostro Paese spettava l'onere di stabilire la località e di partecipare alle spese di allestimento. La località scelta sarà Comiso in Sicilia. Località nella quale, dopo vistose polemiche, giungeranno il 31 marzo 84 i primi Cruise.

Il missile Pershing II era una più che potente arma balistica ad altissima velocità supersonica, capace di raggiungere in pochi minuti qualsiasi obiettivo sul teatro europeo e di colpirlo anche se collocato in profondità, consentendo così di raggiungere anche bunker-comando del Patto di Varsavia in Polonia e nella parte occidentale dell'Unione Sovietica. Armato con testate a penetrazione W85 con potenza selezionabile da 5 a 50 kilotoni, disponeva di un sistema di guida ad alta precisione e la sua gittata era di 1300 chilometri. Veniva montato su un rimorchio TEL basato sull'H575. Di questo esemplare ne sono stati schierati 108 in Germania nel 1983. I Cruise della classe Tomahawk erano invece missili da crociera lanciati da terra, che somigliavano a dei velivoli senza pilota, subsonici ma estremamente precisi. La struttura del missile era a forma di siluro con ali uscenti da metà fusoliera e quattro derive di coda cruciformi ripiegabili. Il suo sistema di guida gli forniva una eccezionale accuratezza permettendone l'impiego contro bersagli protetti grazie alla testata nucleare W80 da 200 kilotoni; la sua autonomia era di 2800 chilometri circa.

La situazione internazionale ed il costante rafforzamento del dispositivo nucleare della NATO erano stati oggetto proprio nel mese di giugno di importanti riunioni dei vertici del Consiglio Atlantico. La riunione del gruppo di pianificazione nucleare della NATO, inauguratasi il 3 giugno a Bodoe in Norvegia, aveva inizio con un particolareggiato rapporto del Segretario alla Difesa degli Stati Uniti, Harold Brown, che illustrava la situazione degli schieramenti nucleari dei due blocchi. L'Italia era rappresentata dal Ministro della Difesa Lagorio accompagnato dal Capo di Stato Maggiore della Difesa, ammiraglio Giavanni Torrisi. Lagorio ribadiva la necessità di accompagnare lo sforzo di ammodernamento militare con offerte di negoziato al Patto di Varsavia e di procedere a una sollecita ratifica da parte del Senato americano del Salt 2. Dalla riunione emergevano nuovi particolari sulla consistenza delle forze nucleari sovietiche in Europa. Contrariamente a quello che si era ritenuto, i sovietici oltre a intensificare l'installazione di nuovi SS-20, avevano continuato a mantenere in linea anche i missili balistici a medio raggio SS-4 Sendel e SS-5 Skean, mentre da parte occidentale era già iniziato il ritiro di mille ogive nucleari, pur se si trattava di ordigni ormai superati. Il ritiro da parte della NATO degli ordigni nucleari costituiva un aspetto politico di particolare importanza, in quanto rappresentava una prova tangibile dell'apertura verso il disarmo nucleare. Mentre la conferma del mantenimento da parte sovietica del deterrente nucleare superato accanto a quello di più recente installazione, cioè i missili SS-20, preoccupava e allarmava non poco l'Occidente.

3. Il vertice a Venezia dei sette Paesi più
industrializzati del mondo.

L'invasione sovietica dell'Afghanistan e lo scompiglio che essa provocò nell'alleanza diede all'Italia, che ospitava il summit a giugno dell'80, un'eccellente opportunità per far sì che gli argomenti politici di maggior rilievo venissero formalmente ed esplicitamente inseriti nell'ordine dei lavori dei sette Paesi alla vigilia del vertice per elaborare un'agenda delle questioni politiche e bozze di possibili dichiarazioni per i leaders.

Il 12 e il 13 giugno, il vertice dei Sette, fu preceduto dalla riunione dei nove paesi della CEE, rappresentati dai rispettivi capi di Governo. In quel periodo sussistevano forti contrasti tra gli Stati Uniti ed i Paesi europei, in particolare modo sul ruolo europeo nei confronti della politica sul Medio Oriente. Gli Europei reclamavano la propria parte nella politica sul Medio Oriente, che fino a quel momento era stato monopolio degli Stati Uniti. Questi invece ribadivano la propria posizione di principale mediatore in quello scacchiere, difendendo a spada tratta quello che veniva stimato dall'Amministrazione Carter il suo più importante successo in politica estera, gli accordi di Camp David. E pertanto il presidente americano Carter era contrario a progetti che non si inquadrassero nella cornice di Camp David. Al fine di trovare una distensione agli attriti tra i Paesi europei e gli USA il Ministro degli Esteri, Emilio Colombo, che in virtù della presidenza italiana della CEE rappresentava i "nove", si recava negli Stati Uniti per una serie di incontri con esponenti politici statunitensi, culminati in colloqui con Muskie e con Carter. Nonostante i punti di attrito tra Europa ed USA fossero non pochi, la visita di Colombo e l'annuncio ufficiale della ripresa dei negoziati tra Israele ed Egitto, alla vigilia del vertice CEE di Venezia, dove sarebbe stata varata l'iniziativa dei " nove per il Medio Oriente", contribuivano a sdrammatizzare un clima particolarmente teso. Il 12 giugno pertanto aveva inizio la riunione dei "nove" che doveva servire da piattaforma di lancio per quella che si voleva un'azione diplomatica autonoma dell'Europa per il Medio Oriente. Ma il progetto della CEE, dibattuto tra le ambizioni a un proprio ruolo sulla scena mondiale e i richiami alla solidarietà provenienti da oltre Atlantico, ne usciva fortemente ridimensionato nonostante le pressioni francesi per l'assunzione di una linea ben precisa e determinata. Il vertice si concludeva il 13 con l'approvazione da parte dei "nove" di un documento scaturito dopo una lunga contrattazione che appariva privo di qualsiasi spunto polemico nei confronti degli Stati Uniti e senza contrapposizioni con gli accordi di Camp David.

I punti qualificanti della dichiarazione erano i seguenti: necessità che il popolo palestinese potesse "esercitare pienamente il suo diritto all'autodeterminazione", nel quadro di un "regolamento globale di pace"; richiesta che tutte le parti interessate al conflitto, compresa l'OLP, fossero "associate" al negoziato (originariamente il termine doveva essere "partecipazione", ma era stato poi sostituito per evitare nuovi punti di contrasto con Washington); riconoscimento del diritto "all'esistenza e alla sicurezza di tutti gli Stati della regione, ivi compreso Israele" nonché dei diritti legittimi dei palestinesi; riconoscimento che il problema palestinese non era un semplice problema di profughi (come invece era stabilito dalla risoluzione dell'ONU 242, che gli USA avrebbero voluto mantenere inalterata) ma invece un problema di popolo; accordo sulla questione di Gerusalemme, sulla quale i "nove" non accettavano alcuna iniziativa unilaterale che avesse come obiettivo il mutamento dello status della città. Per quanto riguardava i territori occupati da Israele, la Comunità sosteneva la necessità di un ritiro israeliano e condannava gli insediamenti ebraici in queste regioni in quanto rappresentavano un ostacolo alla pace; le garanzie del regolamento di pace, affermava la dichiarazione, avrebbero dovuto essere fornite dall'ONU. I "nove" si dichiaravano disposti a partecipare a un sistema di garanzie internazionali "concrete o obbligatorie anche in loco" con possibilità cioè di inviare truppe europee; come prima mossa la CEE decideva d'inviare nei Paesi mediorientali una missione diplomatica con compiti esplorativi.

La discussione di tutti questi argomenti ha indotto a supporre che a Venezia fosse presente una qualche delegazione palestinese di altissimo livello che consigliasse i nove o qualcuno in particolare di essi. Tale supposizione è più che credibile, perché gli Europei in quella occasione avrebbero deciso di sposare quella causa. Ma si è supposto anche che questa delegazione dovesse rimanere anche durante il G7, proprio per assistere al confronto ed anche agli scontri tra Europei ed Americani su quella questione, e all'esito di essa. Ed anche questa ipotesi è più che credibile. In vero si è anche supposto che quella delegazione, essendo rimasta segreta, segretamente dovesse allontanarsi dal nostro Paese, e proprio in quel volgere di giorni al termine del G7, ed avesse approfittato di un qualche passaggio verso il Nord-Africa o il Medio Oriente, proponendosi di viaggiare proprio su qualche velivolo di cui era stato programmato il volo quel 27 giugno 80. Ma questa è rimasta una mera supposizione, senza prove né indizi. Al rango di semplice fantasia deve, allo stato, esser considerata.

Altri temi toccati nella giornata conclusiva della riunione erano il Libano - a proposito del quale si sosteneva la necessità di difenderne indipendenza e sovranità - e l'Afghanistan - la CEE chiedeva il totale ritiro sovietico e il diritto all'autodeterminazione per il popolo afghano.

Nessun altro riferimento ai problemi che pure coinvolgevano direttamente il territorio europeo come le iniziative libiche, le compagnie della resistenza armena, la conflittualità tra Iran e Iraq, o a questioni altrettanto gravi di altri continenti, che sarebbero potuti cadere nell'ambito di interessi europei.

Le reazioni alla dichiarazione sul Medio Oriente furono contrastanti. Il premier israeliano Begin attaccò duramente il documento, definendolo un vergogna e paragonandolo agli accordi di Monaco del 38. Quel Governo faceva inoltre sapere che non avrebbe permesso alla missione CEE di recarsi in Israele. Più articolata invece la reazione dell'OLP. L'organizzazione palestinese riconosceva che nella dichiarazione erano contenuti diversi punti positivi - come il riconoscimento del diritto all'autodeterminazione - ma sottolineava l'assenza di un riferimento preciso a uno Stato palestinese, il mancato riconoscimento dell'OLP come unico e legittimo rappresentante del popolo palestinese e la mancanza di effetti pratici.

Conclusa la riunione dei "nove", il Paese si preparava all'incontro più atteso, il vertice dei sette Paesi più industrializzati del mondo, che si sarebbe tenuto il 22 e il 23 proprio sempre a Venezia. La riunione era stata preceduta dal viaggio del presidente Carter in Europa. Il 19 giugno Carter giunge a Roma ed il 20 avvia colloqui con il presidente della Repubblica Pertini ed il presidente del Consiglio Cossiga. Tema dei colloqui la situazione internazionale. Pertini non mancava, in occasione del ricevimento al Quirinale, di criticare coloro - prima fra tutti la Francia - che intendevano creare nel mondo occidentale "direttori e consolati" ribadendo la parità dei diritti e dei doveri per tutte le nazioni nell'ambito della CEE. La protesta del Capo dello Stato non era casuale, in quanto era emerso da alcuni organi di informazione che USA, Gran Bretagna, Germania Federale e Francia avevano consultazioni periodiche e segrete, aventi come argomento le crisi internazionali.

Il 22 giugno pertanto si apriva nel monastero già dei Benedettini sull'isola di San Giorgio il sesto vertice dei Paesi più industrializzati del mondo rappresentati: l'Italia da Francesco Cossiga, il Canada da Pierre Trudeau, la Germania Federale da Helmut Schmidt, la Francia da Valery Giscard d'Estaing, la Gran Bretagna da Margaret Tatcher, gli Stati Uniti da Jimmy Carter. Fine della riunione: l'elaborazione di un'unica strategia economica e politica.

Il summit - in un clima di forte tensione a causa del fenomeno terroristico che stava colpendo intensamente l'Italia e determinò imponenti le misure di sicurezza a tal punto da letteralmente isolare quell'isola protetta anche da una cordone di vigilanza subacquea - era stato preceduto da due eventi importanti. Il primo l'incontro tra Carter e Schmidt sullo scottante tema degli euromissili; il secondo un messaggio inviato da Mosca al presidente francese Giscard d'Estaing concernente l'Afghanistan, i cui contenuti dovevano essere diffusi ai partner europei.

L'incontro tra Carter e Schmidt ebbe a tema le diverse posizioni che i due leader avevano sul problema degli euromissili. Il primo non era d'accordo con il secondo sulla intenzione di quest'ultimo di recarsi a Mosca a fine giugno allo scopo di interrompere l'installazione degli SS-20 in cambio di analoghe mosse da parte della NATO. Il cancelliere tedesco si proponeva di sfruttare i tre anni necessari per lo spiegamento dei Pershing II e dei Cruise, al fine di raggiungere un accordo con Mosca per la riduzione degli arsenali missilistici. Per il presidente Carter una iniziativa del genere avrebbe significato un palese cedimento e di qui l'invito del presidente americano a non concludere accordi che potessero mettere in dubbio l'installazione degli euromissili. Per tale motivo alla vigilia del summit s'imponeva un incontro chiarificatore tra i due leader. L'incontro, si apprese in seguito, fu definito burrascoso. Carter così lo descrisse "lo scambio di opinioni più spiacevole che io abbia mai avuto con un leader estero". Ma nonostante i toni accesi consentì di smussare quei contrasti che rischiavano di rendere più difficili i lavori del vertice.

Il messaggio di Breznev a Giscard d'Estaing concerneva l'Afghanistan. Il Cremlino annunciava che avrebbe iniziato il ritiro di alcuni reparti impegnati in Afghanistan in quanto la loro presenza non era più necessaria. Gli obiettivi sovietici - secondo gli osservatori - erano quelli di dissuadere i leaders che si erano riuniti a Venezia da un'aperta condanna della presenza sovietica in Afghanistan, e di seminare discordie tra il presidente Giscard ed il presidente Carter. L'intervento però non centrò il bersaglio desiderato dai sovietici in quanto spinse il dibattito a concentrarsi sulla presenza sovietica in Afghanistan piuttosto che sulle misure da adottare contro l'Unione Sovietica, sulle quali sarebbe stato difficile addivenire ad un consenso unanime. Tutti convennero che un ritiro parziale delle truppe sovietiche, se confermato, sarebbe stato utile solo in quanto fosse stato il primo passo di un ritiro totale e permanente. Pertanto la risposta occidentale fu chiara e secca. In un documento approvato nelle prima giornata dei lavori e letto dal presidente Cossiga, si affermava che il ritiro sovietico, se voleva rappresentare un reale contributo alla soluzione della crisi afghana, doveva essere permanente e doveva, soprattutto, continuare sino alla completa evacuazione dei reparti dell'Armata Rossa dall'Afghanistan. I "sette" dopo aver definito inaccettabile l'occupazione sovietica, dichiaravano che l'Afghanistan doveva essere messo in condizioni di riacquistare la propria indipendenza e la sua sovranità. Tutte le delegazioni manifestavano però un forte scetticismo sulla probabilità di un progressivo ritiro sovietico. La conferma di queste previsioni negative si verificava qualche giorno più tardi. L'Ambasciatore sovietico Rebig consegnava il 27 giugno all'incaricato d'affari italiano nella capitale afghana un messaggio nel quale si affermava che non ci sarebbero stati ulteriori ritiri di truppe sovietiche fino a quando non fossero terminate le interferenze straniere in Afghanistan.

Nel corso degli incontri l'intero dibattito politico fu pertanto dedicato all'Afghanistan ed ai rapporti Est-Ovest con particolare riferimento alle visite che il cancelliere Schmidt aveva in programma per la fine di giugno. Nella circostanza i leaders approvarono tre risoluzioni: la prima sulla presa in ostaggio di diplomatici; la seconda sul problema dei rifugiati nel mondo; una terza sulla pirateria aerea.

Dopo il summit di Venezia del 22 e 23 giugno si riuniva ad Ankara nei giorni 25 e 26 giugno il Consiglio Atlantico al quale partecipavano tutti i Ministri degli Esteri dei Paesi della NATO. Dalle riunioni emergeva la linea della fermezza. Veniva ribadita la decisione di installare gli euromissili, lasciando però aperta la possibilità di riprendere i negoziati con il Cremlino.

4. La strage di Bologna. La connessione tra le due stragi.

Non pochi nel corso di questi lunghi anni dai fatti hanno proposto e sostenuto un collegamento tra Ustica e Bologna. La breve distanza tra i due eventi, solo trentacinque giorni; il comune luogo, di origine del volo del DC9 e di esplosione dell'ordigno; le somiglianti modalità di rivendicazione con il coinvolgimento di Marco Affatigato; lo stesso contesto politico e storico, caratterizzato da forti tensioni e conflittualità interne ed esterne, hanno indotto - anche alcune tra le più raffinate menti del nostro tempo, come il Prefetto Parisi già a capo del S.I.S.DE e della Polizia di Stato - a stimare che quei fatti fossero connessi. Lo stesso PM ritorna sulla questione, rilevando gli elementi in pro della correlazione e cioè - 1. la parziale coincidenza degli esplosivi; 2. l'esistenza in quel periodo di settori della estrema destra eversiva che nelle loro prassi di lotta "politica" prevedevano anche il ricorso a stragi indiscriminate; 3. l'uso, per le deviazioni delle inchieste, del medesimo nome di Affatigato; 4. le indicazioni, di fonte indiretta e non verificabile, dell'esistenza di tale collegamento, ma con prospettazioni anche contrastanti (ordigno all'interno del DC9 o attacco aereo); 5. l'esistenza di una congiuntura nei rapporti tra l'Italia e la Libia, in cui l'uso di mezzi violenti per condizionare le decisioni di politica estera del nostro Paese non solo era prevedibile, ma addirittura dimostrabile, nel senso che era "possibile individuare coincidenze temporali tra momenti molto significativi di questa congiuntura e i fatti delittuosi". Cosicchè quell'ufficio ne traeva come ulteriore approfondimento di tale correlazione la possibilità di coinvolgimenti di settori della destra eversiva, già responsabili di attentati terroristici, nell'abbattimento del DC9 su mandato di agenti libici.

In effetti più appaiono gli elementi di prossimità delle due stragi. E molti si sono preoccupati che il giudicato di quella di Bologna impedisse una ricostruzione diversa da quella dell'ordigno interno in quella di Ustica, come non pochi si sono appoggiati a quel verdetto per sostenere proprio la tesi dell'esplosione interna come causa della caduta del DC9. D'altra parte non pochi hanno temuto che l'esplosione esterna o comunque una matrice internazionale per Ustica finisse per infirmare la ricostruzione della strage di Bologna. Altri per salvare questa ricostruzione hanno sostenuto che in entrambi i casi ha agito il terrorismo interno di estrema destra, per Ustica in particolare come manovalanza di quello di matrice libica, escludendo così che attentatori diversi dai condannati di Bologna, di estrazione esterna, medio-orientale o nordafricana, potessero avere agito direttamente a Bologna. Non è semplice delineare i partiti in tale questione. Indipendentemente dalla ricostruzione dei fatti per Ustica. Chi propende per la esplosione interna, a parte intenti di discolpe di istituzioni, tende, ravvisando una comune matrice internazionale - o teme, a seconda delle fazioni di questo partito - a sconvolgere il giudicato sul 2 agosto. Chi tende a un'esplosione esterna o comunque a una causa di scenario esterno teme anch'esso che questa soluzione si riverberi su quel giudicato. Tutti partono, consapevolmente o no, dal presupposto che le due ricostruzioni simul stabunt simul cadent. L'unica soluzione, come s'è detto sopra, potrebbe essere il mandante esterno l'esecutore interno.

In vero, a parte la necessità dei fondamenti probatori, la situazione in fatto non è così semplice, né ragionamenti semplicistici possono condurre a facili soluzioni, compiacenti e di soddisfazione a destra e a manca.

La prima ipotesi di collegamento tra i due eventi viene avanzata in una sede autorevole: la riunione del Comitato Interministeriale per la Sicurezza (CIIS) del 5 agosto 80, riunitasi a Palazzo Chigi sotto la presidenza del Presidente del Consiglio, Francesco Cossiga. Nel corso della riunione - come si è già fatto cenno in altra parte - il Ministro Bisaglia aveva "sottolineato la possibilità di un collegamento tra l'attentato di Bologna e l'incidente, accaduto alla fine dello scorso giugno, ad un DC9 dell'Itavia in viaggio da Bologna a Palermo, incidente che, secondo i primi accertamenti richiamati dall'on.le Formica, potrebbe essere dovuto ad una collisione in volo oppure ad una forte esplosione". Nessuno dei presenti, tuttavia, ha ricordato, o voluto ricordare, l'intervento di Bisaglia - e questo non è normale, considerata la loro qualità e la gravità dei fatti.

Ma senza dubbio la circostanza più inquietante è rimasta l'utilizzazione del nome di Affatigato nelle due vicende. La prima volta con la rivendicazione - rilevatasi subito infondata - che asserisce la sua presenza a bordo dell'aereo Itavia; la seconda volta, invece, con il coinvolgimento - anche questo rivelatosi infondato - nella esecuzione dell'attentato alla stazione ferroviaria di Bologna.

Anche la stampa, nazionale e internazionale, aveva avanzato ipotesi di collegamento tra i due eventi delittuosi. Il Corriere della Sera nell'edizione del 4 agosto riportava che il giornale svizzero "Tribune Dimanche" aveva accostato la strage di Bologna a quella dell'aereo caduto ad Ustica.

Va comunque detto subito che la supposta relazione tra i due fatti, il più delle volte, è stata strumento di deviazione, di sviamento delle indagini, di intossicazione. Alcuni, partendo dal presupposto che a causare l'esplosione del DC9 dell'Itavia fosse stato un ordigno esplosivo, hanno sostenuto che la strage non avesse però conseguito lo scopo che gli esecutori si erano proposti, in quanto non era stata percepita dall'opinione pubblica come atto terroristico bensì come un incidente. A tal fine pertanto si sarebbe resa necessaria un'altra azione terroristica, appunto la strage di Bologna. C'è chi invece ha avanzato ipotesi che l'aereo di Ustica sia stato abbattuto nel corso di un'azione di guerra e che al fine di distogliere l'attenzione dell'opinione pubblica sull'evento sarebbe stato effettuato l'attentato alla stazione di Bologna. Altri ancora hanno supposto che l'aereo fosse stato abbattuto, in quanto vi erano trasportate armi o parti di armi dirette in Libia, e che i libici, pertanto, per ritorsione avessero effettuato la strage di Bologna servendosi, nella esecuzione, di manovalanza attinta nell'ambiente dell'estrema destra con il quale erano da tempo in contatto. E chi, infine, ha presunto che la strage di Ustica fosse avvenuta nel contesto di un'operazione con finalità di abbattimento dell'aereo, su cui avrebbe dovuto viaggiare il leader libico Gheddafi, e che i libici per rappresaglia avessero commissionato la strage di Bologna; e chi, invece, ha chiamato in causa gli Stati Uniti, che avrebbero compiuto l'atto come sanzione nei confronti dell'Italia, rea di aver messo in guardia il leader libico, con il preavviso dell'operazione nei suoi confronti.

Sono state pertanto svolte indagini al fine di accertare eventuali collegamenti tra l'ambiente dell'eversione di destra e la Libia. L'attenzione è stata rivolta innanzitutto alla figura del criminologo Aldo Semerari. Questi era stato arrestato nel corso dell'operazione di polizia del 28 agosto 80 con l'accusa di essere stato uno degli ideatori del programma della strategia eversiva che aveva avuto come punto di arrivo l'esecuzione dell'attentato alla stazione ferroviaria di Bologna. Nel corso dell'istruttoria bolognese emerse che durante il mese di dicembre 80 Semerari, dopo essere stato interrogato dai magistrati inquirenti, aveva cominciato a dare chiari segni di sofferenza per la condizione di detenzione. In altre parole sarà accertato, nel prosieguo delle indagini e dopo l'uccisione del criminologo avvenuta a Napoli nel 1982, che Semerari "stava per crollare". Veniva pertanto verificato, in quel contesto, come il pericolo di un possibile cedimento psicologico da parte di Semerari costituisse un pericolo per coloro che erano coinvolti nell'ambito delle indagini che avevano portato al suo arresto. Che il Semerari fosse sul punto di rivelare quanto era a sua conoscenza sui gruppi della destra eversiva non era assolutamente una ipotesi, giacchè segnali in tal senso erano stati manifestati sia ai suoi familiari, che a ufficiale di PG. Non si ha certezza tuttavia che i segnali inviati da Semerari siano mai giunti ai destinatari. Sta di fatto, comunque, che egli l'11 aprile 81 verrà scarcerato e dopo circa un anno sarà trovato a Napoli con la testa mozza.

Ma l'interesse sulla figura del criminologo nasce anche da altra circostanza: i suoi viaggi in Libia ed i suoi contatti intercorsi in Italia con l'ambiente libico. Queste vicende furono seguite al tempo dall'Ufficio Istruzione di Bologna, in quanto i riferimenti ai viaggi di Semerari in Libia erano nati all'interno di quelle singolari riunioni di cui si è già fatto ampiamente cenno nella parte dedicata alle interferenze del Capo Centro CS di Firenze nell'inchiesta di Bologna ed in quella sulla strage di Ustica. Proprio nel corso di quelle riunioni emerse ben delineata la figura di Semerari come persona legata alla Loggia massonica P2 di Licio Gelli ed all'ambiente libico, nel qual Paese aveva compiuto due viaggi. Uno dei quali sarebbe stato effettuato nella tarda primavera del 1980.

Di questi viaggi si trovano riferimenti nel rapporto datato 2 luglio 81 che il capitano Pandolfi dei Carabinieri di Bologna aveva trasmesso al giudice di Bologna, incaricato dell'istruttoria sulla strage della stazione. In questo documento si legge, relativamente a Semerari: "Le ulteriori investigazioni hanno permesso l'acquisizione di notizie fiduciarie sufficienti a delineare la posizione ed il ruolo del prof. Semerari nell'ambito del "Centro di potere occulto" meglio conosciuto come loggia "Propaganda 2". Lo stesso curerebbe, per conto della P2, i rapporti con la Libia ed esattamente con il regime di Gheddafi (colonnello) nella persona dello stesso illustre rappresentante".

A suffragio di queste ipotesi si cita un passo della deposizione rilasciata da Lex Matteo, il quale afferma: "... proseguì sempre con riferimento alla destabilizzazione la cui matrice non era duplice, rossa o nera, ma unica, che il Semerari aveva effettuato viaggi negli Stati Uniti ed in Libia..."; quindi: "... dal contesto del discorso era manifesto che si riferiva per entrambi i viaggi negli Stati Uniti ed in Libia (prima in Libia poi negli Stati Uniti) a tempi recenti... di tali viaggi egli fece cenno a questa estate... si trattava del giugno luglio della scorsa estate"; e continua ancora: "... parlando del viaggio in Libia del Semerari precisò che l'incontro del Semerari era stato con Gheddafi, se ben ricordo per il tramite della polizia libica".

Nel corso delle indagini veniva altresì contattata una fonte informativa, qualificata ed attendibile, ma "da cautelare", che in un primo incontro affermava che: - Semerari Aldo sarebbe, per conto della loggia massonica P2, il curatore dei rapporti con la Libia; detto Stato cederebbe armi, droga, tangenti in cambio di informazioni riguardanti la sicurezza. Lo stesso per questa attività e per le azioni terroristiche si servirebbe anche di malavita comune (camorra ecc.) politicizzata a destra. - Gelli Raffaello curerebbe lo smistamento del materiale proveniente da tali rapporti. Per altro la Toscana sarebbe una base importante per le armi provenienti sia dalla Libia che da paesi dell'Est.

In un successivo incontro, la fonte ricostruiva storicamente i contatti, i rapporti e gli interessi di personaggi della loggia P2 con la Libia. In particolare riferiva che: - Mutti Claudio avrebbe parlato di Semerari ai libici durante un convegno tenutosi nel marzo 74 all'hotel Hilton di Roma, al quale avevano partecipato l'inviato personale di Gheddafi, Jalloud Ahmed, palestinesi e rappresentanti della eversione di destra italiani. - Semerari Aldo si sarebbe recato per la prima volta, nel 78, in Libia per scopi "turistici"; vi si sarebbe recato una seconda nella tarda primavera del 1980. La fonte asserisce che fu ospitato presso il "Centro arabo per i legami esterni" in Tripoli, centro nel quale era stato addestrato Ahmed Mergheni, capo della banda che attaccò nel gennaio 80 la città tunisina di Gafsa. Nella stessa circostanza il Semerari sarebbe stato ospite, successivamente, presso il campo di addestramento di Raz Hilal, nel quale ci sarebbero stati trecento istruttori cubani e numerosi tedesco-orientali specializzati in esplosivo. Al riguardo gli uomini-rana che attaccarono la nave libica ormeggiata nel porto di La Spezia - rectius Genova; nde - sembra provenissero proprio da questa base. Compito specifico del prof. Semerari sarebbe quello di curare l'invio in Libia di gente da addestrare e l'acquisto delle armi leggere da utilizzare in Italia ed in Germania (...)" (vedi rapporto DCPP datato 28.11.91 e relativi allegati).

Le dichiarazioni di Lex Matteo trovavano conferma in quelle del prof. Romano Falchi, collega del Semerari. Questi ribadiva di aver appreso dallo stesso Semerari che esso si era recato nel 78 in Libia su invito del Capo della Polizia di quel Paese. E che tra il 79/80 si era recato negli Stati Uniti su invito dell'FBI (v. esame Falchi Romano, GI Bologna 12.05.81).

Il Giudice Istruttore di Bologna trasmetteva l'informativa del capitano Pandolfi alla Direzione del S.I.S.MI per gli accertamenti. Dal carteggio della 1a Divisione del Servizio, concernente la strage di Bologna, si rileva che il Centro S.I.S.MI di Firenze con missiva del 17 dicembre 80 a firma del Capo Centro Mannucci Benincasa aveva già informato che "1.Da fonte gravitante nell'ambiente di estrema destra si è appreso che il noto prof. Semerari Aldo, inquisito dall'AG di Bologna in ordine alla strage della stazione FF.SS. del 2 agosto c/a, tramite la mediazione di personalità molto influente nel mondo politico nazionale e con vaste relazioni internazionali, ha avuto a Tripoli due incontri nella decorsa estate con il leader libico Gheddafi: uno prima, l'altro dopo la strage. 2. La notizia è da ritenere estremamente attendibile e per la natura e modalità di acquisizione da utilizzare modificandone, per quanto possibile, la forma onde non compromettere la fonte (...)". La 1a Divisione trasmetteva, a sua volta, la missiva del Centro CS di Firenze al Raggruppamento Centri CS di Roma ed al Centro CS di Bologna. Quest'ultimo Centro in risposta riferiva notizie fornite da una fonte fiduciaria, definita di buona attendibilità ed inserita in campo libico: "La personalità del mondo politico italiano che potrebbe aver mediato agli incontri avuti dal noto prof. Aldo Semerari in Tripoli, prima e dopo la strage di Bologna, potrebbe essere l'on.le Vito Miceli del MSI. Il predetto sarebbe tuttora in contatto con il mondo politico libico, nonchè interlocutore privilegiato in Italia da parte di personalità del Governo libico (v. missiva Centro CS di Bologna datata 11.04.81 in atti trasmessi dal GI di Bologna in data 07.11.92). Il Raggruppamento Centri CS di Roma, dal canto suo riferiva invece che "non sono stati acquisiti elementi utili, atti a smentire o confermare i presunti contatti avuti dal prof. Semerari Aldo col leader libico Gheddafi, prima e dopo la strage di Bologna del 2 agosto 80" (v. missiva del Raggruppamento Centri CS di Roma datata 18.02.81 in atti trasmessi dal GI di Bologna in data 07.11.92).

Nessun riscontro pertanto è stato accertato sulla possibilità che Semerari si fosse realmente recato in Libia, nè tantomeno alcun timbro è stato rilevato sul passaporto in uso al criminologo, che possa in qualche modo ricondurre a tracce di visite in quel Paese. Deve essere tuttavia rilevato che in una informativa del Raggruppamento Centri CS di Roma proprio in relazione ai viaggi di Semerari in Libia, si suggeriva, dopo aver precisato che nulla risultava a quell'organismo, alla 1a Divisione che "una verifica di questo genere potrebbe essere tentata (se non già fatto) esaminando i passaporti sinora usati da Semerari sui quali dovrebbero risultare apposti: 1) il timbro bilingue (arabo-italiano) delle Questure, espressamente richiesto dalle Autorità libiche; 2) il visto di ingresso dato dai Consolati libici espressamente richiesto per gli italiani che si recano in Libia. L'apposizione di tale visto, comunque può essere evitata in casi eccezionali e di provata urgenza - caso rarissimo - ma sempre, comunque, dietro intervento delle Autorità centrali libiche".

Alla luce di quanto precisato nella nota del S.I.S.MI, pertanto, non è da escludere che il viaggio o i viaggi di Semerari in Libia possano essere avvenuti senza registrazioni nel passaporto del criminologo dei relativi timbri. Un'accortezza del genere sarebbe stata più che giustificata, in quanto l'apposizione di timbri del Paese libico avrebbe sicuramente attirato l'attenzione delle polizie di alcuni Paesi occidentali o nord-africani, notoriamente in contrasto con il regime di Gheddafi. Ciò, per esempio, nel caso che il Semerari con lo stesso passaporto si fosse recato negli Stati Uniti, in Israele o in Egitto.

Comunque rapporti di Semerari con il mondo arabo erano stati già segnalati, continua la nota del S.I.S.MI, già nel 68, anche se non furono acquisiti al tempo elementi di conferma (v. missiva Raggruppamento Centri Cs di Roma datata 14.08.81, in atti trasmessi dal GI di Bologna in data 07.11.92). Ed un'interessante conferma ai viaggi di Semerari giungeva da Di Blasi Antonio, Capo Centro del S.I.S.MI a Tunisi, che aveva competenza anche su alcuni Paesi del nord Africa, tra i quali la Libia. Questi ha dichiarato che "i personaggi di maggior rilievo che in quel periodo compivano visita in Libia erano l'avvocato Michele Papa e il professor Semerari". (v. esame Di Blasi Antonio, GI 06.02.91).

Tuttavia a riferire di contatti tra Semerari ed ambienti libici intervengono anche dichiarazioni di elementi di spicco dell'eversione di destra. Paolo Bianchi, che riferisce di un traffico di armi con la Libia attraverso l'isola di Pantelleria, nel quale era coinvolto Aldo Semerari che era stato in Libia nel 79 o 80 (v. esame Bianchi Paolo, GI in data 10.08.82). Paolo Aleandri, che ha dichiarato di aver mantenuto contatti insieme a Semerari con un libico, che gli era stato presentato come "colonnello di un nucleo preposto ad azioni speciali come capo del Servizio di sicurezza di Idi Amin". Aggiungendo che il libico aveva riferito di essere dei servizi segreti e di risiedere all'ambasciata libica, e di essersi rivolto a loro, cioè a Semerari, Signorelli e Calore, per richieste di acquisto di motovedette prodotte dall'Oto Melara e di mine magnetiche subacquee (v. esame Aleandri Paolo, GI Roma 27.10.82 e confronto Calore-Aleandri, GI Bologna 13.12.84). Infine Sergio Calore, che ha rivelato che nel corso del 78 aveva partecipato ad un incontro a casa di Semerari con un esponente libico alla scopo di avviare rapporti di carattere economico per l'acquisto di materiale militare (v. interrogatorio Calore Sergio, PM Firenze 01.03.84).

Le indagini di polizia giudiziaria hanno portato a importanti riscontri alle dichiarazioni dei testimoni. Il libico è stato identificato in Ibrahim Milady, cittadino libico, che nel 78 era giunto a Palermo, città nella quale aveva lavorato per qualche mese alle dipendenze del consolato libico, e vi aveva avuto anche una relazione sentimentale con una ragazza palermitana, tal Elli Patrizia. Costei ha confermato il rapporto nel corso della sua audizione in Corte di Assise a Bologna ed ha ricordato di aver accompagnato il Milady nella villa di Semerari, ma non ha saputo indicare gli argomenti discussi tra le persone intervenute in quella circostanza (v. udienza innanzi alla Corte di Assise di Bologna, 08.02.88).

Queste vicende come si è visto sono state percorse da altre AG; in nessun caso sono stati accertati, comunque, collegamenti né con la strage alla stazione ferroviaria di Bologna né tanto meno con quella relativa all'evento di cui è processo.

Ipotesi di connessione è stata avanzata da ambiente di estrema destra. Nel numero di luglio del 93 del periodico "La spina nel fianco" veniva pubblicato un articolo dal titolo "Una strage per un massacro" a firma di Marcello De Angelis, recante nel sottotitolo "L'aereo di Ustica sarebbe stato abbattuto dal "fuoco alleato" con la collaborazione dei nostri Servizi. Un'altra strage nella stessa città da cui era partito il DC9, Bologna. Sarebbe servita a coprire il "pasticcio" di Ustica? Il S.I.S.MI fornì poi tutto un castello di false prove culminato con il "ritrovamento" di una valigia sul diretto Taranto-Milano contenente due tipi di esplosivo: quello rinvenuto sui resti dell'aereo e quello rinvenuto tra i resti della stazione. La strage di Bologna venne rivendicata da una telefonata dei NAR, la telefonata la fece un maresciallo dei Carabinieri del S.I.S.MI".

De Angelis, soggetto che nel passato aveva militato nella cellula eversiva "Terza Posizione" - fratello di Nanni De Angelis, che nel 1980 dopo l'arresto si tolse la vita in carcere - riferiva che "nell'ambiente romano dell'estrema destra, di cui all'epoca faceva parte, si parlava nell'anno 80 di attentato per eliminare Gheddafi e di un coinvolgimento dei servizi francesi". Aggiunge che l'articolo a sua firma lo aveva scritto di propria iniziativa, sulla base sia di documenti attinti dall'avvocato Stefano Menicacci negli atti del procedimento penale sulla strage di Bologna, che su quelli di un articolo a firma del giornalista Sandro Provvisionato, apparso sul periodico "L'Europeo". In relazione alla circostanza relativa all'autore della telefonata di rivendicazione a nome dei NAR sulla strage di Bologna, secondo De Angelis sarebbe stato il maresciallo Sanapo , personaggio coinvolto come è noto nella vicenda del rinvenimento dell'esplosivo sul treno Taranto-Milano avvenuto a gennaio del 1981; il teste specificava di aver appreso queste circostanze da un documento del Ministro dell'Interno (v. esame De Angelis Marcello, GI 01.10.93).

Il documento - realmente esistente, datato 4 maggio 90 a firma del Capo della Polizia Parisi - segnalava alla Questura di Bologna che la Questura di Foggia aveva riferito che nel corso di un pubblico comizio il consigliere provinciale del Movimento Sociale Italiano, Vincenzo Caruso, aveva testualmente riferito: "Mi assumo la responsabilità delle parole che sto per dire: la telefonata anonima della strage alla stazione ferroviaria di Bologna è stata fatta dal maresciallo dei Carabinieri Sanapo che ha dato la colpa agli estremisti di destra". Caruso però ha smentito recisamente di aver mai fatto affermazioni di tal genere. Ha riferito di aver conosciuto il maresciallo Sanapo, ma di non aver mai parlato con lui di vicende connesse alla strage di Bologna. Afferma che probabilmente il suo discorso è stato frainteso. Ha ammesso di aver effettivamente parlato del maresciallo Sanapo nel corso del comizio, ma non nei termini che erano stati riferiti. E' bene riportare per intero la parte della dichiarazione: "In altri comizi la destra era stata attaccata da avversari politici che l'avevano indicata come responsabile delle stragi. Poiché ritenevamo questa accusa lesiva dal punto di vista politico - ricordo che si sarebbe votato il 6 maggio - cercai di contrapporre a questa accusa il fatto che il maresciallo Sanapo, venuto a conoscenza dei fatti relativi al depistaggio, avrebbe dovuto denunciarli subito anziché tenerli nascosti per così tanto tempo come invece aveva fatto; nel corso del comizio, quindi, ho effettivamente parlato del maresciallo Sanapo, ma escludo nel modo più assoluto di aver detto che fosse lui l'autore della telefonata anonima fatta in occasione della strage di Bologna (v. esame Caruso Vincenzo, GI Bologna 31.01.74).

Anche il giornalista Paolo Guzzanti autore di un libro sul Presidente Cossiga congettura uno scenario in cui i due episodi sono collegati. Guzzanti nel paragrafo dedicato alla vicenda di Ustica scrive che a Cossiga, come Capo del Governo, sarebbero state nascoste le reali circostanze della vicenda. Nel libro si legge: "avendo saputo che gli americani stavano tendendo una trappola a Gheddafi (che consideravano un loro mortale nemico, tant'è che Reagan bombardò Tripoli così come Bush - e oggi si aggiungerebbe Clinton; nde - ha bombardato Bagdad), probabilmente avvertirono i libici del fatto che per Gheddafi era pronto un missile sul Mediterraneo, mentre era in volo verso Vienna. I libici cambiarono i piani di volo, Gheddafi non salì su quell'aereo, e "accadde qualcosa" per cui un missile partì, un caccia libico finì schiantato sulla Sila, e un DC9 dell'Itavia con 81 persone a bordo fu abbattuto e si inabissò presso Ustica. Gli americani imprecarono contro gli italiani che ancora una volta avevano tradito schierandosi con il nemico libico; mentre gli italiani, raggelati dall'esito che la loro delazione aveva avuto, decisero di fare tutto il possibile per depistare, imbrogliare, mentire. E mentirono a tutti, a cominciare dal capo del Governo, il mite e sidereo Francesco Cossiga, questo pericoloso collezionatore di soldatini di piombo, questo "master" dello spionaggio, il cupo e periglioso gladiatore. Ma c'è di più, come si sa. C'è la strage di Bologna. Una strage che poi fu depistata in tutte le direzioni possibili tranne che in quella che sembrava esser giusta. Bologna fu "bombardata" - proprio così: bombardata - con quell'ordigno del 02.08.80, probabilmente per rappresaglia e intimazione contro gli italiani". Sentito a testimone Guzzanti ha però dichiarato che le considerazioni espresse nel libro sono proprie riflessioni basate su quanto letto nel corso degli anni (v. esame Guzzanti Paolo, GI 20.01.92).

Al GI di Bologna il giornalista dichiarava, in relazione alla affermazione che la strage del 02.08.80 fosse stata commessa dagli americani, "che vi è una relazione temporale fra la vicenda del MiG libico, quella di Ustica e quella di Bologna. Da tale relazione desumo una connessione fra i tre episodi. Ora, inoltre, sono io a chiedere a Lei se c'è stato, cosa che mi sembra, un qualche pentito o un qualche teste che ha espresso una tesi analoga alla mia. Ricordo di aver letto qualcosa del genere. Ritengo che la strage di Bologna possa ben essere stata una rappresaglia per l'atteggiamento filo-libico italiano. Se i fatti di Ustica sono andati come io penso, è legittimo immaginare che ci sia stata una reazione del genere della strage di Bologna. Comunque, è evidente, le mie sono solo riflessioni e parole. Se avessi a disposizione elementi concreti li avrei rappresentati alla magistratura. Voglio solo aggiungere un altro argomento: l'ipotesi che la strage di Bologna sia riferibile al maggiore alleato dell'Italia, la desumo dall'intensità a dalla forza del depistaggio." (v. esame Guzzanti Paolo, GI di Bologna 20.01.92).

Altra indicazione di ipotesi di connessione giungeva dall'on.le Zamberletti sulle cui dichiarazioni e teorie si è già detto. Questi ha da sempre supposto una responsabilità libica nell'esplosione alla stazione ferroviaria di Bologna; ciò sulla base della singolare coincidenza temporale tra l'attentato e la firma degli accordi italo-maltesi. Il parlamentare ha anche ritenuto una sinergia fra l'interesse libico alla vendetta e l'interesse di un non meglio definito gruppo di estrema destra. Nel contesto delle dichiarazioni l'on.le Zamberletti forniva anche una propria valutazione di collegamento tra la strage di Ustica e quella di Bologna "Chiestomi quale valutazione abbia dato del fatto di Ustica, dico che se la caduta dell'aereo è stata determinata da una bomba, Ustica può aver rappresentato, - nel contesto che ho sopra delineato - una minaccia, un avvertimento, magari posto in essere dallo stesso gruppo terroristico tenuto conto del fatto che l'aereo partiva da Bologna." (v. esame Zamberletti Giuseppe, GI di Bologna 07.03.92).

Le somiglianze tra i due eventi, ben vagliate, tuttavia non sono così solide come si vorrebbe.

In primo luogo l'esplosivo. Tra i due esplosivi v'è solo parziale coincidenza. In quello usato per l'attentato alla stazione del capoluogo emiliano vi erano, come emerse dai residuati nel cratere di esplosione - ed accertò il primo collegio peritale -: nitroglicerina, nitroglicol, tritolo, T4 ed altre sostanze di natura chimica all'epoca non individuate, ma caratterizzate da comportamenti analitici simili al tritolo. Da cui si deduceva che fosse stato usato esplosivo per usi civili di tipo gelatinato: a. per la contemporanea presenza di nitroglicerina e nitroglicol; b. per la verosimile presenza del nitrato ammonico; c. per la presenza di bario, che sotto forma di solfato viene aggiunto, in varie proporzioni, ad alcuni tipi di esplosivi gelatinati al fine di assicurare l'alta velocità di detonazione; d. per la presenza di tritolo e T4, usato per la fabbricazione di alcuni esplosivi di tipo gelatinato, e derivati dall'impiego di tritolo da recupero, cioè proveniente da sconfezionamento di cariche di esplosivo; tritolo che in questi casi contiene molto frequentemente una aliquota di T4. Veniva presunto anche, dai periti di quella inchiesta, che la presenza del T4 sarebbe potuta derivare dall'uso di un detonatore secondario confezionato con T4, flemmatizzato o plastico a fine di miglioramento della innescabilità della carica di esplosivo da mina. Così come veniva notato l'impiego in alcune formazioni di esplosivi gelatinati di nitrato sodico, impiego che avrebbe giustificato la riscontrata concentrazione sodica nel terreno del cratere di esplosione.

A seguito del ritrovamento di confezioni di esplosivo il 13 gennaio 81 alla stazione di Bologna all'interno di una carrozza del convoglio Taranto-Milano, si accertava che uno dei due tipi di esplosivo rinvenuti (otto ordigni di confezione artigianale in barattoli per prodotti alimentari, ciascuno innescato con un detonatore commerciale, collegato ad un tratto di miccia ordinario) era costituito da una massa untuosa o stuccosa, relativamente omogenea e di colore fondamentalmente ambrato, costituita da esplosivo per impieghi civili gelatinato del tipo stabilizzato con solfato di bario. E che tale esplosivo possedeva molti punti di contatto, per corrispondenza di composizione quantitativa, con quello usato per la strage del 2 agosto 80. L'altro tipo invece era esplosivo di impiego militare, il Compound B ovvero miscela di tritolo e T4. I periti - sono gli stessi che avevano effettuato la perizia sull'esplosivo usato per l'attentato alla stazione ferroviaria di Bologna - per la presenza in esso di frammenti con parte della superficie colorata in bruno formulavano l'ipotesi che l'esplosivo analizzato fosse costituito da materiale di recupero dallo scaricamento di munizioni. Di questo esplosivo i periti supponevano che in una piccola quantità potesse essere entrato nella composizione della carica esplosiva della strage del 2 agosto 80.

A conclusione parzialmente diversa giungeva la perizia di comparazione, disposta dal GI di Venezia nell'89 tra l'esplosivo usato per la strage di Bologna e materiali rinvenuti nel lago di Garda. I periti incaricati, infatti, dopo aver descritto le conclusioni della prima perizia sull'esplosivo usato per la strage alla stazione ferroviaria, esprimevano le seguenti considerazioni: "La presenza sul luogo dell'esplosione di residui di TNT e T4, unitamente a nitroglicerina e nitroglicol, non autorizza a considerarli presenti nella carica solo quali arricchitori. Infatti il ritrovamento di nitroglicerina e nitroglicol indica la presenza probabile, ma non esclusiva, di esplosivi gelatinizzati e/o pulverulenti di produzione per uso civile, perché questi sono prodotti pure in ambito militare. Semmai sarebbe la presenza del bario, che anche nella prova nr.2 si legge agli stessi livelli di arricchimento avendo usato il Sismic2, a decidere per un gelatinato di provenienza civile; il bario è usato però anche in esplosivi militari inglesi per bombe da mortaio e aereo, quale il baratolo, al 20% bario e 80% TNT.

L'ipotizzata presenza di nitrato ammonico non può essere considerata quale conferma della presenza esclusiva di esplosivi gelatinati o pulverulenti, in quanto tale sale è parte fondamentale di esplosivi militari, quali gli amatoli di varia formulazione, laddove il nitrato si compone con il tritolo in varie percentuali.

Nel mentre si è d'accordo sulle difficoltà di trovare il T4 da solo, si deve affermare che lo stesso è presente, insieme al TNT, quale componente a varie percentuali nelle tritoliti, esplosivo militare di varia formulazione e nazionalità, che trova largo impiego nel munizionamento controcarro e nelle bombe di aereo e di abbastanza facile reperimento con attività di recupero dai suddetti ordigni.

Il tritolo, pur concorrendo nella formulazione dei gelatinati quali arricchitore e nei pulverulenti, nonché nelle tritoliti quale esplosivo di base per poter usare T4 senza uso di flemmatizzanti, può essere reperito tranquillamente anche come esplosivo puro sia da scaricamento da granate, che nelle cariche di mine di vario tipo, che in pani di varia dimensione e peso da cariche di interruzione o "saponette" di varia pezzatura.

Data l'entità e la qualità dei danni registrati ed il tipo di cratere epicentro dell'esplosione e la conoscenza a letteratura di quanto sopra esposto, si sarebbe dovuto ritenere più probabile che nella carica fossero presenti, unitamente ad una quantità di gelatinato o pulverulento (civile o militare), tritolo e tritolite in percentuali maggiori ai primi. Ciò anche alla luce del fatto che sul posto i danni sarebbero stati causati dall'effetto diretto dell'esplosione (tipico di un esplosivo ad altissima velocità) e non da soffio, con conseguente onda retrograda.

La verifica della rispondenza delle valutazioni del precedente paragrafo e la comparazione degli esplosivi del Garda con quelli detonati a Bologna, sono valutabili attraverso le prove di scoppio nr.1-2 e 8. La lettura dei dati di tali esperienze evidenzia: - la presenza allo stesso livello circa di grandezza di tutti i residui esplosivi visti in cromatografia sui campioni di Bologna (e cioè nitroglicerina, ione ammonio, T4, tritolo) a dimostrazione che anche una carica composita di esplosivo condensato, pur se di recupero da ordigni militari, potrebbe aver lavorato sul posto; una carica che, per sua configurazione e composizione, risulterebbe più adeguata ai danni provocati. - Il confronto tra le prove 1-8 e 2 evidenzia la possibilità di far lavorare l'esplosivo del Garda anche con esplosivo civile, ottenendo sempre gli stessi risultati ed in particolare evidenziando gli stessi livelli di arricchimento di sali di bario. - Il cratere prodotto dalle cariche 1-8 è più simile all'originale, mentre nella 2, dove c'è anche il Sismic, si sono avute quote diverse (anche se ciò può essere attribuito alla configurazione della carica) per un diverso potere brisante e disomogeneità della carica. - Si è avuta presenza dello ione ammonio come a Bologna, sia con le cariche 1-8 utilizzanti amatolo a base di TNT e nitrato ammonico, sia nella prova 2 dove è stato utilizzato il Sismic. - La nitroglicerina è pur evidenziata sia là dove era presente quale componente di esplosivo pulverulento militare (polvere di lancio per razzo da 320mm. - campione 8) sia quale componente del Sismic. - Gli esplosivi TNT e T4, presenti nelle prove sperimentali 1-2-8 in quantità dieci volte inferiore di quanto non sarebbe stato nella carica ipotizzata dai PTU (a base di gelatina da cava per usi civili), hanno lasciato minori tracce di quelle evidenziate nell'attentato; il comportamento poi del T4 in tutte le prove di scoppio ha evidenziato la sua tendenza, quale esplosivo ad altissima velocità e sensibilità, ad apparire in cromatografia in quantità ridottissime pur essendo presente in carica a livelli del 20-30% del totale; tale scarsissima rilevanza non può quindi essere assunta come indice di utilizzo di tale esplosivo come semplice arricchente o come impurità, caratteristica del TNT delle lavorazioni di fabbriche utilizzanti esplosivi di varie provenienze.

Pertanto pare di poter asserire che esplosivo del tipo condensato delle specie tritolite e (forse) amatolo simile a quello dei campioni 11-13 e 4 del Garda, unitamente ad un esplosivo a base di nitroglicerina del tipo Sismic2 di uso civile o equivalente militare, contenente sali di bario, possono essere stati impiegati nell'attentato alla stazione FS di Bologna" (v. rapporto DCPP datato 06.10.93 e relativi allegati).

La Corte di Assise d'Appello di Bologna, pertanto, sulla base di quanto rilevato da quest'ultima perizia disponeva un incarico peritale in cui si chiedeva, tra l'altro, di effettuare la comparazione tra l'esplosivo recuperato dal lago di Garda, l'esplosivo sequestrato sul treno Taranto Milano e l'esplosivo utilizzato nell'attentato alla stazione ferroviaria di Bologna. Il collegio peritale alla fine delle indagini chimico-analitiche e ad alcune prove di scoppio, traeva le seguenti conclusioni: "Non è possibile, sulla scorta di analisi di tracce di residui esplosivi recuperati dopo il brillamento di una carica, definire con certezza la costituzione originaria della carica medesima; per quanto concerne l'esplosivo da mina di tipo gelatinato, che si ipotizza essere stato impiegato nella carica esplosa a Bologna, può essere evidenziata una buona similitudine (a parte la presenza di T4) con l'analogo esplosivo repertato in due degli otto contenitori ritrovati sul treno Taranto - Milano, mentre non esiste praticamente alcuna corrispondenza con i reperti tratti dal lago di Garda; per quanto riguarda le tritoliti (classe di miscele esplosive di impiego militare a base di tritolo e di T4, di cui il Compound B è la composizione più nota), si può stabilire una buona similitudine del materiale presumibilmente utilizzato come detonatore secondario nell'ordigno della stazione di Bologna sia con il materiale contenuto nei sei degli otto barattoli del treno Taranto - Milano, sia con talune sostanze esplodenti rinvenute nel lago di Garda; nella ipotizzata carica di Bologna, il T4 era presente in percentuali presumibilmente variabili dal 2% all'8%: ciò significa che , nel caso di impiego di un detonatore secondario di tritolite al 60% circa di T4, il peso del medesimo doveva variare tra il 3,3% ed il 10% del peso globale della carica."

Infine il GI di Bologna nel 92 dava incarico ai periti Brandimarte e Marino di accertare se potesse giungersi ad un giudizio di identità tra l'esplosivo della stazione di Bologna e quello rinvenuto sul treno Taranto - Milano e comparare le risultanze delle perizie effettuate per la Corte d'Appello di Bologna con quelle compiute per il GI di Venezia, ovviamente con riferimento soltanto gli esplosivi. I periti dopo aver ripercorso le ricerche dei precedenti collegi peritali, così concludevano: "Gli approfondimenti eseguiti, anche sulla scorta dei dati risultanti dalle analisi chimico - strumentali compiute nel corso di perizie successive a quella svolta nel 1980, consentono di formulare le seguenti ipotesi in base alle quali sarà poi possibile una "rilettura" della tabella schematica di raffronto riportata alla pagina della perizia comparativa eseguita per Corte d'Assise d'Appello di Bologna.

a. Tra gli esplosivi rinvenuti nel lago di Garda, ne esistono alcuni privi del tutto sia di pentrite che di tetrile, entrambe specie esplosive non evidenziate in tracce sui reperti concernenti la strage del 02.08.80 alla stazione di Bologna. Tra questi vanno annoverate le tritoliti, miscele esplosive di uso prettamente militare, costituite dagli esplosivi tritolo e T4, dei quali sono state rinvenute tracce nei reperti della strage suddetta.

b. Diversamente deve affermarsi per le sostanze esplosive repertate sul treno Taranto-Milano, particolarmente per la tritolite contenuta in sei degli otto barattoli sequestrati. Infatti, come è stato detto al precedente paragrafo 2-punto b, la miscela in questione presentava la formulazione caratteristica del Compound B (59% di T4, 40% di tritolo e 1% di cera) mentre le tritoliti repertate nel lago di Garda presentavano varie composizioni centesimali (dal 29% di T4 e 71% di tritolo al 61% di T4, 38% di tritolo e 1% di impurezze), ma nessuna di esse rispecchiava esattamente la composizione del Compound B, per la totale assenza di cera.

c. Nella ipotesi formulate nella prima perizia del dicembre 80, il tritolo e il T4 vennero considerati: come facenti parte della miscela costituente l'esplosivo da mina (per effetto di rilavorazione di tritolo ottenuto da scaricamento di teste in guerra, e quindi contenente T4); ovvero, il tritolo come costituente usuale dell'esplosivo da mina ed il T4 come carica di rinforzo a se stante (detonatore secondario), aggiunta sotto forma di compresse di T4 flemmatizzato, o di esplosivo plastico al T4 (ad es. il C4, costituito dal 90,7% di T4 e dal restante 9,3% di sostanza plastificante e olio minerale).

A tali ipotesi, nella seconda perizia del 06.12.81, relativa alla comparazione dell'esplosivo rinvenuto sul treno Taranto-Milano con quello presumibilmente usato nella strage di Bologna, ne venne aggiunta una terza che prevedeva l'impiego di una tritolite come carica di rinforzo a se stante.

d. Pur non potendo affermarsi una identità, si riscontrano forti analogie tra gli esplosivi rinvenuti sul treno Taranto-Milano e quelli utilizzati sulla strage di Bologna, sia per quanto concerne l'esplosivo da mina, sia per quanto attiene al T4 ed al tritolo che potrebbero essere stati presenti nella carica esplosa nella stazione di Bologna, sotto forma di carica aggiuntiva di tritolite.

Il raffronto tra la ipotizzata carica esplosa alla stazione di Bologna con gli esplosivi rinvenuti nel lago di Garda si limita soltanto ad una forte analogia con la carica di tritolite.

e. L'esplosivo rinvenuto nel deposito di Arbizzano, era esclusivamente costituito da pani di C4 ( esplosivo plastico contenente il 90,7% di T4) che, come è stato già evidenziato al punto c. del presente paragrafo 3., poteva essere stato impiegato come carica aggiuntiva per la strage di Bologna. Quanto precede è l'unico punto di contatto ipotizzabile tra questi due episodi, fatta eccezione per la presenza nel deposito di Arbizzano, di una notevole quantità di accenditori chimici a ritardo. In merito va rivelato che nella prima perizia sulla strage di Bologna, non essendo stata rinvenuta, nonostante il setacciamento di una rilevante quantità di detriti, nessuna parte meccanica od elettrica, sicuramente riconducibile ad un timer elettronico o ad un congegno meccanico di innesco a ritardo, venne appunto ipotizzata (v. pag.117-121 della relazione peritale depositata nel dicembre 80) la presenza di un innesco chimico ritardante.

Va peraltro osservato che esperienze eseguite in altre occasioni, hanno dimostrato che qualsiasi tipo di congegno di innescamento, posto a contatto o vicinissimo alla carica, verrebbe completamente polverizzato, e quindi in ogni caso è molto difficile rinvenire alcun reperto proveniente dall'innesco.

In definitiva la tabella esaminata, di cui all'incarico peritale, va interpretata, anche sulla scorta di quanto riportato nelle precedenti perizie, nel senso che gli esplosivi rinvenuti nel lago di Garda potrebbero effettivamente essere entrati, limitatamente alla tritoliti, a far parte della carica esplosa nella stazione di Bologna.

Naturalmente tale affinità sussiste anche per la tritolite (Compound B) rinvenuta tra gli esplosivi sequestrati sul treno Taranto-Milano. La succitata affinità va aggiunta a quella, già evidenziata, tra l'esplosivo da mina repertato sul treno di cui sopra e l'analogo materiale esplodente di cui si ipotizza l'impiego per la strage del 2 agosto 80." (v. relazione di perizia tecnico-comparativa datata 07.03.92 trasmessa dal PM di Bologna in data 08.02.98).

In conclusione indipendentemente dalla composizione, se in percentuali, maggiori o minori del TNT e T4 (da ordigni militari) rispettivamente o nitroglicol e nitroglicerina (da mina) e dalla provenienza, se da esplosivo d'uso civile o militare per recupero, indipendentemente dalla presenza provata di bario o quella ipotizzata di nitrato ammonico, l'ordigno era stato di manifattura artigianale e conteneva tutti i componenti descritti e con ogni probabilità quelli ipotizzati. E con altrettanta probabilità questa composizione, anche se poteva derivare dall'indisponibilità di materiale di un solo tipo, era con ogni probabilità finalizzata, oltre che a rendere difficile le indagini peritali, ad impedire che si accertasse la provenienza degli esplosivi.

Sui reperti di Ustica invece si rinviene soltanto T4 e TNT e in una precisa proporzione, che ne faceva presumere l'origine militare e coincideva con la proporzione presente nelle cariche di teste di guerra di missile.

Sui reperti nessun altro esplosivo è stato rinvenuto, tanto meno quelli che furono rinvenuti nell'ordigno di Bologna, cioè nitroglicerina, nitroglicol, bario, nitrato di ammonio.

Molto s'è scritto e discusso sull'esplosivo del DC9. In primo luogo s'è già detto del mancato rinvenimento del TNT ad opera dei laboratori AM, che accertarono solo la presenza di T4; e ciò del tutto colpevolmente, perché all'epoca erano già in uso metodi che facilmente rilevavano la presenza del TNT.

S'è considerato poi che quei reperti, di cui uno era di proprietà di un passeggero dipendente della SNAM che nelle proprie attività usava esplosivi, erano stati conservati sino ad allora in ambiente militare e precedentemente trasportati su nave militare. Ne nasceva così la ipotesi della contaminazione. Ma gli elementi a disposizione non hanno consentito, come si dirà più oltre, di verificarla con certezza.

Non solo: un'indagine condotta dalla Marina Militare su richiesta dell'Ufficio - di cui si farà riferimento nella parte delle perizie - ha accertato che sul ponte delle navi ove furono collocati quei reperti non era possibile che accadesse l'inquinamento. Sui ponti delle navi non dovrebbero assolutamente esserci tritoliti cioè tritolo e T4, dal momento che vi passano solo proiettili d'artiglieria e siluri, che sono comunque conservati in sala siluri. I tecnici della Marina scrivono nella relazione che anche l'eventuale sfregamento dei bagagli recuperati con le testate dei siluri non avrebbe potuto determinare la contaminazione di esplosivo in quanto i quantitativi di T4 rinvenuti nell'esperimento erano in una quantità così minima da non poter consentire un inquinamento dei reperti. Deve peraltro essere osservato che al più potrebbe essere stato un inquinamento dovuto alla presenza occasionale sulla nave di panetti dei guastatori, ovviamente in tempo precedente il recupero dei bagagli. Lo sparo dei proiettili lascia solo tracce delle polveri da sparo, che sono a base di nitroglicerina e nitrocellulosa, mentre il lancio dei siluri avviene normalmente utilizzando aria compressa.

A Boccadifalco e a Ciampino di certo non v'erano residui di T4 e tritolo. A rigore questi due esplosivi potrebbero essere stati solo nei laboratori AM. Ma allora potrebbe prender quota anche l'ipotesi dell'inquinamento voluto, proprio con finalità di sviamento delle indagini. Sia perché le ricerche condotte in quei laboratori rilevarono solo il T4, indirizzando l'inchiesta verso la tesi dell'esplosione interna, sia perché dalle conclusioni della perizia Malorni-Acampora risulta la presenza di una miscela di TNT e T4 in proporzioni vicine a quelle originali del Compound B. Dopo la detonazione la proporzione a causa delle diverse caratteristiche dei due esplosivi si modifica nel senso che rispetto alla composizione iniziale si trova una quantità maggiore di TNT e conseguentemente una minore quantità di T4. Aver trovato quantità relative di TNT e T4 simili alla composizione iniziale porta all'ipotesi di una contaminazione.

In conclusione si può affermare, da tutte le perizie sopra prese in considerazione, che appare più che sufficientemente sicuro che sui reperti raccolti sul luogo dell'esplosione nella stazione di Bologna vi era presenza di tracce di: a. nitroglicerina; b. nitroglicol; c. nitrato di ammonio; d. nitrato di sodio; e. solfato di bario; f. tritolo; g. T4. La presenza dei primi sei costituenti, cioè nitroglicerina, nitroglicol, nitrati di ammonio, nitrati di sodio, solfato di bario e tritolo induce a ritenere che si fosse usato esplosivo da mina. In commercio all'epoca, come tutt'oggi, vi erano esplosivi di tal genere, cioè di mina, pulvirulenti (a basso contenuto di nitroglicerina) e gelatinati (ad alto contenuto di nitroglicerina). Al tempo però non fu effettuata una determinazione quantitativa della nitroglicerina, che peraltro non avrebbe fornito indicazioni assolutamente (o sufficientemente) probanti, giacchè non è mai possibile, sulla scorta di analisi di tracce di esplosivi recuperati dopo il brillamento di una carica, definire con certezza la sua composizione quantitativa originaria. All'epoca fu avanzata l'ipotesi della presenza di esplosivo da mina gelatinato (cioè ad alto contenuto di nitroglicerina) sulla base della presenza del solfato di bario.

Quanto alla presenza del settimo costituente, cioè il T4, furono avanzate soltanto ipotesi; precisamente due: che quella presenza fosse attribuibile ad un'impurezza dell'esplosivo da mina gelatinato, dovuta all'impiego, nel corso della fabbricazione, di tritolo proveniente da sconfezionamento di manufatti militari e quindi contenente T4, o che tale esplosivo provenisse da una carica aggiuntiva con lo scopo di migliorare l'innescabilità dell'esplosivo di mina, contenente T4 flemmatizzato - cioè con aggiunta di cera al fine di diminuirne la sensibilità all'urto e allo sfregamento del T4 - o plastico - cioè disperso in materiale plastico, che per la sua plasmabilità permette il confezionamento di cariche estemporanee di qualsiasi forma, innescabili mediante il semplice inserimento di un detonatore -, o una tritolite, - classe di miscele esplosive di impiego militare a base di tritolo e T4 in varie proporzioni ed eventuali piccole quantità di cera in funzione di flemmatizzanti, di cui il compound B (60% di T4 + 40 % di tritolo + 1% di cera aggiunta fuori cento come flemmatizzante) è la composizione più nota ed, attualmente, di più frequente impiego - e in questo caso le tracce di tritolo avrebbero avuto doppia provenienza, dall'esplosivo da mina gelatinato e dalla tritolite.

Nel caso vi fosse stata connessione tra il fatto di strage del 2 agosto 80 e il possesso dell'esplosivo rinvenuto il 13 gennaio 81, dal momento che due (degli otto) barattoli contenevano un esplosivo da mina gelatinato con i medesimi composti chimici rinvenuti alla stazione, e i restanti sei tritoliti, in particolare il compound B, costituito come sopra descritto, tale ritrovamento porterebbe a privilegiare l'ipotesi di T4 proveniente da carica aggiuntiva di tritolite. E quindi il tritolo poteva provenire o dall'esplosione di un esplosivo da mina o da questa tritolite con funzione di booster o detonante secondario.

Comunque sempre carica confezionata di manifattura artigianale e non ordigno militare.

Anche la comparazione con il materiale scoperto nel lago di Garda non dava i risultati sperati, giacchè se anche lì furono ritrovate tritoliti, che avrebbero potuto presentare una qualche analogia con le tracce di tritolo e T4 rinvenute sui reperti della carica esplosa alla stazione, nessuna di esse rispecchiava esattamente la composizione del Compound B repertato sul treno Taranto-Milano, per l'assenza di cera. Anche se è da tenere presente che le indagini condotte sui reperti della stazione non potevano mettere in evidenza la presenza o l'assenza di cera, a causa delle limitatissime quantità di esplosivo analizzate e la bassa percentuale di cera presente nella composizione del Compound B. D'altra parte, lo si deve ribadire, che non è possibile, come verificato anche nelle numerose prove di scoppio effettuate nel corso delle indagini sul materiale rinvenuto nel lago di Garda, sulla scorta di analisi di tracce di esplosione recuperate dopo il brillamento di una carica, definire con certezza la sua composizione quantitativa originaria.

Nessuna utilità è provenuta da altra vasta perizia di comparazione disposta pur essa dal GI di Venezia sui materiali recuperati in Savorgnano di S.Vito al Tagliamento, Ribis di Reana del Rojale, zona Vercelli, S.Pietro al Natisone, Abbadia Alpina di Pinerolo, Mariano del Friuli ed Arbizzano di Negrar. Da quella ricerca soltanto che nel deposito di Arbizzano vi erano 18 pani da 450 gr. di esplosivo plastico C4 costituito da 90.7% - di T4 e da 9,3% di plastificante ed oliominerale (oltre 30 accenditori a matita di tipo chimico).

Quanto al disastro di Ustica le diverse indagini peritali, effettuate anche in tempi diversi - sino ai documenti Acampora e Malorni - hanno accertato la presenza di solo tritolo e T4. Sulla anomalia, in verità, di tali presenze, riscontrate anche molto tempo dopo l'incidente su reperti relativamente distanti da qualsiasi presunto centro di esplosione ed in zone palesemente schermate rispetto all'azione diretta della supposta esplosione già s'è scritto nell'esame della perizia esplosivistica Brandimarte - Ibisch - Kolla del 14.04.94.

Non v'è alcuna traccia degli altri componenti rinvenuti alla stazione di Bologna. E queste due specie di esplosivo, tritolo e T4, portano se combinate, all'ipotesi, se non alla certezza, della presenza di un esplosivo militare della classe delle tritoliti; solo se separate, il T4 potrebbe farsi risalire a un booster e quindi a un ordigno di confezione artigianale. Mentre a Bologna proprio per la presenza delle tracce già dette di nitroglicerina, nitroglicol, nitrato di ammonio, nitrati di sodio e solfato di bario, si è di fronte a esplosivo di mina e quindi alla confezione artigianale. Questa la sicura differenza.

Che infine, indipendentemente dalla provenienza su cui già s'è scritto, l'esplosivo di Ustica non abbia alcuna somiglianza con quello di Bologna lo si trae con certezza anche dalla inconsistenza della tesi - pur sostenuta, sinanche dalla Commissione Pratis - secondo cui il Compound B sarebbe stato di facile reperibilità - e quindi facilmente usato da organizzazioni terroristiche per finalità di terrorismo - giacchè proveniente da proiettili fuori uso alienati dalle Forze Armate e scaricati da ditte specializzate. Ma il prodotto di tali operazioni, come rileva la consulenza Algostino ed altri, erano "saponette" per lavori di mina e similari. Queste saponette erano di TNT, ma spesso conservavano, per la grossolanità del procedimento, anche tracce di T4. Quello rinvenuto sui bagagli e il gancio del DC9 non era TNT in proporzioni da far presumere la presenza di saponette contenenti piccole quantità di T4 come quelle provenienti dall'impiego di Compound B. E quindi se si fosse trattato di attentato, come s'è voluto dalla Pratis e da altri, si sarebbe impiegato, come si scriveva chiaramente in quella consulenza, non l'esplosivo più usato per finalità di terrorismo e nemmeno quello di più facile approvvigionamento. Si sarebbe invece usato un esplosivo militare composto da TNT e T4 in proporzioni "militari". Sino all'80 non era mai stato utilizzato per attentati Compound B.

Su Ustica - oltre l'eventualità della contaminazione - null'altro si può dire. Se non ribadire l'impossibilità di correlare le quantità delle varie specie esplosive rinvenute in tracce dopo l'esplosione con l'originaria composizione quantitativa dell'esplosivo presente nella carica, ed aggiungere che comunque nell'evento del DC9 si sono verificate azioni di dilavamento dell'acqua di mare, di sublimazione e di degradazione ad opera di microrganismi, tutte più accentuate per il tritolo che per il T4.

Anche il fatto che in occasione delle due stragi si siano usate le rivendicazioni sopra specificate, analoghe se non identiche, palesemente con finalità d'inquinamento delle inchieste ma rivelatesi immediatamente solo dei tentativi maldestri, indica soltanto che vi era un unico centro, sicuramente nell'ambito dei Servizi e simili, con verosimiglianza quello militare o gli eredi dei vecchi Affari Riservati, che sfruttava ogni delitto di terrorismo per canalizzare le prime indagini in determinate direzioni, impedendo che quanto meno nei primi e più determinanti passi si imboccasse la via giusta, e di fatto proteggendo i veri autori, di cui quel centro era sicuramente a conoscenza.

Quanto ai personaggi, come Del Re, i fratelli Cozzolino, Elmo ben si può dire che essi siano uomini di tutte le stagioni. Del Re aveva rapporti con estremisti di destra, ma negli stessi tempi era tesoriere dei radicali ed affiliato ad associazioni alternative omosessuali; i Cozzolino, anche se sono stati usati in altre inchieste, provengono pur sempre da quella cultura mafiosa, che non fa scelte esclusive, ma è pronta a schierarsi con chicchesia purchè vincente. Lo stesso si può dire per Elmo. E costoro, pur di accontentare l'inquirente sanno trovare sempre le soluzioni, che aggradano non solo a costui, ma anche alla pubblica opinione che colpevolizza a seconda dei tempi - ieri il terrorismo, oggi la mafia - somministrando ricostruzioni infondate, contraddittorie, senza possibilità di verifiche.

I progetti stragisti al tempo di Ustica, in quell'80, non apparivano una esclusiva del terrorismo di destra. Essi erano patrimonio precipuo del terrorismo di matrice mediorientale, che pur privilegiano obiettivi israeliani e statunitensi, da un certo tempo in poi, per la precisionedopo il settembre nero di Giordania, ai primi 70 con la strage di Monaco - in Italia la prima strage di questo genere è Fiumicino 27.12.73 - decise di esportare il terrore a mezzo stragi indiscriminate sul territorio europeo. E a tal fine ogni organizzazione di rispetto della resistenza palestinese costituì ovunque sul nostro continente, di sicuro in Italia, propri depositi di armi e di esplosivo - il cui smantellamento è iniziato solo negli anni 80 e da parte delle fazioni fuori del Fronte del rifiuto.

E questa strada stava per essere presa anche dal terrorismo di sinistra, che pure per anni era rimasto caratterizzato dalla scelta di obiettivi mirati e simbolici, ma sempre tali da creare nelle istituzioni e nella pubblica opinione il terrore. Giacchè proprio in quel periodo esso stava mettendo in cantiere, specialmente ad opera della frazione di Guerriglia Metropolitana, la fazione capeggiata da Senzani, attentati di grandi dimensioni e quindi con modalità stragiste, come quelli a danno del palazzo del Ministero di Grazia e Giustizia in via Arenula e della Democrazia Cristiana in piazza Don Sturzo a mezzo di lanci di missili; e in tale prospettiva accumulava armi ed esplosivi.

Su tale strategia, che però non ebbe il tempo di decollare - o almeno non si è mai avuta prova che fosse decollata- di certo influì la prossimità e la frequentazione, da parte di quella fazione, di organizzazioni eversive, specie di altri continenti, e di rappresentanti di Stati, con tradizioni di stragi nella lotta politica e negli affari esteri.

Senza tener conto che proprio in quel periodo, come s'è detto, si stavano costituendo gli arsenali di quelle organizzazioni palestinesi sotto lo sguardo benevolo della nostra intelligence o di quella parte che seguiva direttive di politici che avevano a cuore, o ritenevano di strumentalizzare, quella causa, e con l'avallo degli Stati protettori del terrorismo e anch'essi di quella causa. E si introduceva per ogni via, di terra, di mare o aerea, esplosivo che poi viaggiava lungo la penisola per essere stivato nei più disparati depositi. E quelle organizzazioni e quei Paesi colpivano aerei e ogni luogo pubblico, come tuttora accade in quasi tutti i Paesi costieri della sponda meridionale del Mediterraneo.

Sulla conflittualità tra il nostro e la Libia già s'è sufficientemente scritto, e il livello di essa era tale che avrebbe giustificato di per sé qualsiasi operazione di terrorismo, specie se si considera l'assenza nella dirigenza di quel Paese di qualsiasi scrupolo in tal senso, come provato negli anni a seguire Ustica dai disastri del Tenerè e di Lockerbie.

Sono queste comunque considerazioni che non toccano le ricostruzioni del fatto a giudizio, per il quale, come s'è detto, si è dissolta nel corso dell'istruzione l'ipotesi dell'esplosione interna, mentre quella dello scenario esterno s'è via via rafforzata in ispecie con il progresso delle conoscenze in campo radaristico, in particolare con l'acquisizione di nozioni ed interpretazioni presso la NATO e le più complete letture negli ultimi tempi dei dati radaristici.

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