Capitolo II

Le relazioni tra la Libia ed altri Paesi.

1. Le tensioni tra la Libia e l'Egitto.

Con l'Egitto la tensione era altissima tanto da sfiorare più volte, se non spesso, il conflitto militare. A seguito degli accordi di Camp David del settembre 78, la Libia, insieme alla Siria, l'Algeria e l'OLP, a seguito dell'incontro di Damasco, espresse la propria condanna nei confronti del Cairo. Condanna che provocò nel 79 da parte del Consiglio della Lega Araba - a seguito della firma del Trattato di Washington - una serie di risoluzioni che prevedevano tra l'altro il ritiro degli ambasciatori arabi e la rottura dei rapporti diplomatici con l'Egitto, nonché il trasferimento della sede della Lega Araba dal Cairo a Tunisi. Forti momenti di tensione si ebbero anche a seguito dell'avvio delle relazioni diplomatiche tra l'Egitto e Israele e dallo scambio di ambasciatori avvenuto il 26 febbraio 80; ma non si verificarono - come pure si temette - azioni terroristiche contro l'Egitto di Sadat e la rappresentanza diplomatica israeliana al Cairo.

Nel marzo 80 però la Libia rafforzò il proprio dispositivo bellico orientale costruendo basi aeree e fortificazioni militari ai confini con l'Egitto. Il minore impegno militare sulla penisola del Sinai d'altra parte consentì all'Egitto di accrescere le proprie difese lungo il confine con la Libia così da poter tempestivamente intervenire qualora si fosse giunti a livelli di crisi. E' proprio in questo delicato frangente che gli Stati Uniti inseguirono una line a di forte appoggio all'Egitto, fornendo aiuti civili e militari.

Ad infiammare ulteriormente le relazioni trai due Paesi contribuì la riunione di oppositori libici in esilio che si svolse al Cairo il 15 giugno, e alla quale parteciparono circa 1800 persone convenute anche da altri Paesi. Durante questo convegno furono anche prospettati atti di rappresaglia contro la Libia. Dura la reazione di Gheddafi che minacciò ritorsioni al Paese ospitante. Minacce alle quali il Cairo rispose rinforzando ulteriormente il dispositivo bellico alla frontiera con la Libia, che, a sua volta, interpretò questa decisione come una vera e propria dichiarazione di belligeranza, fortificando a sua volta il proprio apparato militare nella zona orientale, ai confini con l'Egitto. Una escalation perciò forte e rapidissima. Tuttavia, la tensione, nonostante fosse giunta a livelli altissimi, non sfociò in scontri armati. Sono proprio di questo periodo gli aiuti americani all'Egitto. Un' interessante ricostruzione della tensione tra i due Paesi è esposta in uno studio per la Commissione Stragi dal titolo "La situazione mediterranea nel 1980". In questo documento si legge: "il 17 giugno, la miccia della tensione militare, si e' accesa nel deserto del Nord Africa. Il presidente egiziano Sadat, che ha da poco assunto anche la carica di primo ministro, dichiara lo stato di emergenza nella regione al confine con la Libia (Keesing's, 21.11.80, p.30586). Nella terza settimana di giugno, cioè nei giorni in cui la forza di battaglia della Saratoga controlla il mare a sud della Sicilia, inizia ad operare sui cieli del Mediterraneo un ponte aereo statunitense di sostegno all'Egitto.Il ponte aereo è parte dell'operazione Proud Phantom, il cui obiettivo ufficiale è un'esercitazione della durata di tre mesi, durante i quali un gruppo di volo di Phantom del 347° stormo tattico dell'Aeronautica americana verrà trasferito dalla base di Moody, Georgia, all'aeroporto di Cairo ovest, apparentemente per addestrarsi assieme ai piloti egiziani. Nei mesi precedenti, infatti, l'Aeronautica egiziana ha ricevuto trentacinque Phantom americani, nel quadro delle misure legate alla firma del trattato di pace con Israele (Aviation Week and Space Technology, 28.01.80, p.22 e 10.06.80). Il ponte aereo americano per l'Egitto è sostenuto dagli aerei da trasporto militari: i C-5 Galaxy e i C-141 Starlifter. Un Galaxy puo' trasportare centodieci tonnellate di materiali ed uno Starlifter duecento uomini. Saranno necessari quaranta voli e tre settimane per preparare l'aeroporto di Cairo ovest ad accogliere i dodici Phantom americani e i circa seicento specialisti di supporto.

I Galaxy e gli Starlifter impegnati nel ponte aereo si muovono dalle loro basi, tra Stati Uniti, Europa occidentale ed Egitto. Passato l'Oceano Atlantico, atterrano a Francoforte, nella Repubblica Federale Tedesca, o a Torrejon, in Spagna. Fanno poi tappa a Sigonella, in Italia, prima di sorvolare il Mediterraneo ed atterrare al Cairo. Scaricati mezzi ed uomini, gli aerei compiono il percorso inverso. Gli spostamenti di caccia ed aerei radar, decisi in precedenza dagli americani assieme agli alleati europei ed egiziani, hanno aumentato le capacità di sorveglianza e protezione delle rotte aeree sul Mediterraneo.

Il ponte aereo del Cairo ha molti obiettivi. Nella terza settimana di giugno, nei giorni in cui la Saratoga è impegnata a sud della Sicilia e il Presidente Carter giunge a Roma, un primo gruppo di ottanta specialisti del comando delle comunicazioni dell'Aeronautica americana arriva al Cairo, portando "un sistema mobile di comunicazione satellitare TSC-94 per le prime comunicazioni" (Aviation Week and Space Technology, 23.06.80, pp.20-21). La radio satellitare permette al Presidente egiziano Sadat di comunicare direttamente ed immediatamente col Presidente americano Carter, in modo da coordinare tempestivamente le comuni iniziative in difesa dell'Egitto o, con maggiore probabilità, di attacco alla Libia.

Il secondo obiettivo del ponte aereo è permettere la costruzione - attorno ad una pista già esistente - di un aeroporto di fortuna, con tutte le attrezzature necessarie a garantire l'autonoma operatività del gruppo di Phantom che arriverà. Tra i primi militari americani che arrivano al Cairo, ci sono trenta uomini del 435° stormo dell'Aeronautica americana di base a Rhein - Main, nella Germania Ovest. A questi uomini spetta il compito di scaricare il materiale in arrivo col ponte aereo.

Tra i primi ad arrivare al Cairo, ci sono anche gli ingegneri del "Cavallino rosso", un'unità dell'aeroporto di Hurlburt, in Florida. Gli ingegneri portano con sè trattori e ruspe, per costruire: abitazioni prefabbricate con aria condizionata, centri di comunicazione; linee elettriche e tubature d'acqua per sessanta moduli abitativi. Insomma, tutto il necessario per costruire edifici in sostituzione dell'accampamento di tende che ha ospitato i primi arrivati.

Col passare dei giorni, il ponte aereo continua a pompare materiali ed uomini sulla pista di Cairo Ovest: specialisti in intelligence e armieri esperti anche di armi nucleari; un sistema di comunicazioni completo; quattro generatori; una clinica mobile con un dottore e due specialisti; un automezzo dei pompieri; lavatrici; una cucina da campo; docce e latrine; un serbatoio refrigerato da cinquemila galloni.

Ma qual è il vero obiettivo del ponte aereo e dell'operazione Proud Phantom? La rivista americana Aviation Week and Space Technology fa domande e riceve risposte (ibidem). Per alcuni, la missione serve ad addestrare in loco i piloti egiziani all'uso dei nuovi Phantom. Secondo il generale di brigata John T. Chain, direttore delle operazioni dell'Aeronautica americana, gli americani vogliono invece addestrarsi in modo più realistico, misurandosi coi MiG-21 guidati dagli Egiziani, a quello che in gergo militare viene chiamato il dissimulate air combat. Altri aviatori suggeriscono alla rivista che si tratta di una sperimentazione dell'Aeronautica americana in vista della forza di rapido impiego.

Tante spiegazioni per una sola missione insospettiscono la rivista americana, che riceve da un anonimo analista una quarta ipotesi: "nel Medio Oriente, la maggior preoccupazione dei governanti è l'Aviazione. Può bombardare il palazzo ed è la prima linea di difesa ... è anche la prima forza da impiegare per un colpo offensivo ... l'apparizione dei jet significa un incoraggiamento ad un atteggiamento marziale contro i libici? Vogliamo che l'Egitto, che ha probabilmente il più grande esercito del Medio Oriente marci all'interno della Libia per conquistare i pozzi di petrolio e cacciar via Gheddafi?".

Questo sospetto, che l'esercitazione Proud Phantom, nasconda la preparazione di un attacco militare americano-egiziano alla Libia, diventa pubblico il 23.06.80, il giorno in cui la citata rivista viene distribuita nelle edicole degli Stati Uniti. Tra le varie informazioni relative al ponte aereo, la rivista annuncia che un secondo gruppo di specialisti in comunicazioni dell'Aeronautica americana "partirà il 26 giugno diretto al Cairo" (v. La Situazione nel Mediterraneo nel 1980, Commissione Stragi, 15.05.95).

Riferimenti dell'invio di velivoli americani a sostegno dell'Egitto in funzione anti libica si rilevano anche dalle notizie Ansa consegnate dal giornalista Annibale Paloscia a seguito della sua testimonianza, concernente alcuni episodi narrati nel libro dal titolo "Il complotto. Uccidete Gheddafi" pubblicato nel 91 e definito dallo stesso autore una fiction con personaggi immaginari, ma sullo spunto di fatti realmente accaduti (v. esame Paloscia Annibale, GI 15.02.91).

Dai lanci dell'Ansa era così possibile trovare riferimenti - oltreché ad un fallito attentato a Gheddafi che sarebbe avvenuto il 5 aprile dell'80 - anche ad un'intervista al vice Presidente dell'Egitto Hosni Mobarak, rilasciata nel giugno 80 al giornale egiziano "Al Ahram", in cui l'alta carica del Cairo riferiva dell'arrivo in Egitto, nel mese di luglio, di una squadriglia di caccia bombardieri USA "F4 Phantom" per un'esercitazione di addestramento congiunto tra l'aviazione egiziana e quella statunitense (v. flash Ansa del 27 giugno 80).

Alla luce di quanto sopra ed al fine di accertare se questi velivoli provenienti da basi europee o statunitensi avessero attraversato il mar Tirreno la sera del 27.06.80, venivano richieste ed acquisite sessantuno copie del quotidiano egiziano "Al Ahram" relative al periodo giugno-luglio 80, inviate dall'ambasciata d'Italia al Cairo, in cui si faceva riferimento a detta esercitazione. Inoltre nell'aprile del 92 con due distinte rogatorie dirette il 24 e il 28 alle competenti autorità civili e militari del Cairo, si richiedeva l'acquisizione di testi di stampa, radio e televisione concernenti le sopra specificate notizie e della documentazione presente presso le Autorità militari e competenti per il controllo del traffico aereo, concernenti l'arrivo di velivoli militari statunitensi, in territorio egiziano nell'anno 80. Entrambe le richieste non hanno avuto però esito positivo; infatti dal vaglio della documentazione pervenuta il 15.07.93, si rilevava che il Ministero della Difesa egiziano riferiva che le Autorità competenti contattate non erano in possesso di alcun elemento conoscitivo sulla questione, poiché il fatto si era verificato al di fuori dei confini della Repubblica Araba d'Egitto.

Tuttavia, grazie nuovamente all'interessamento dell'Ambasciatore italiano al Cairo, si ottenevano le traduzioni di articoli stampa dei quotidiani locali del 27 e del 29.06.80. In essi si annunciava l'arrivo in Egitto, per il mese di luglio, di una squadriglia di dodici F4 Phantom statunitensi per effettuare l'esercitazione suesposta. In proposito sul quotidiano Al Ahram del 29.06.80, il Ministro della Difesa egiziano, generale Badawi, in un intervista specificava che lo scopo delle operazioni era puramente addestrativo.

Di conseguenza venivano in data 25 marzo e 5 aprile 93 richieste al Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti informazioni sulla predetta esercitazione e sulle operazioni di addestramento dell'Aviazione statunitense nell'estate dell'80. Le risposte dell'Autorità statunitensi furono entrambe negative: nessun documento in possesso alla loro Aeronautica parlava di esercitazione congiunta Stati Uniti - Egitto che avrebbe avuto luogo nel giugno del 1980. La prima esercitazione del genere, la "Bright Star 81", si ebbe, a dire del Dipartimento, nel novembre 1980. L'Aeronautica militare ha comunque schierato in Egitto degli aerei da combattimento, il 9 e il 10 luglio, mediante un volo non stop di 13 ore dagli Stati Uniti. La squadra d'anticipo che doveva appoggiare questo schieramento era stata trasportata in Egitto il 28.06.80 a bordo di due aerei da trasporto C-141 e CS. Questi aerei furono riforniti di carburante in volo, sopra il Mediterraneo, da aerocisterne KC-135, che avevano preso il volo dalla base della RAF di Mildenhall, nel Regno Unito.

Per quanto riguardava le esercitazioni nei cieli italiani, l'Autorità rogata evidenziava che la maggior parte degli aerei statunitensi di stanza in Europa, che erano in volo nel pomeriggio del 27 giugno 80, parteciparono a due esercitazioni in nord Europa. Il Dipartimento comunque non era in grado di poter confermare se nella zona di interesse vi fossero stati dei voli locali di addestramento di routine, in quanto normalmente questo tipo di voli non veniva registrato.

Tuttavia nell'aprile del 95 il giornalista Andrea Purgatori consegnava degli articoli stampa apparsi su giornali americani, sul detto rischieramento di caccia Phantom americani nella Repubblica d'Egitto e sul ponte aereo militare americano, avvenuto anche il giorno 26.06.80 per garantire loro la necessaria assistenza a terra (v. esame Purgatori Andrea, GI 20.04.95).

Dalla lettura di questi articoli emergevano nuovi elementi sulla così detta "Operation Proud Phantom"; precisamente che in data 10.07.80, era giunto, come noto, in Egitto, dopo un volo senza scali durato 13 ore, uno squadrone di dodici velivoli F-4 Phantom. I velivoli per tre mesi dovevano essere impiegati per compiere esercitazioni congiunte con l'Aeronautica egiziana per consentire a quest'ultima di familiarizzare con il sistema d'arma F-4 e per dar modo ai piloti dei velivoli americani di acclimatarsi all'ambiente desertico del Golfo Persico. Quest'ultima necessità, si leggeva, era stata dettata dai molteplici interessi degli Stati Uniti in quell'area legati alle situazioni critiche ancora in corso, come il sequestro del personale dell'ambasciata americana da parte degli integralisti islamici in Iran e l'invasione dell'Afganistan da parte dei sovietici.

Inoltre secondo la rivista specializzata americana "Aviation Week and Space Technology" distribuita nelle edicole il 23.06.80, l'esercitazione oltre agli scopi già descritti ne nascondeva un altro; secondo il rapporto come si è già detto, di un anonimo analista sul Medio Oriente la preoccupazione dei governanti locali era la forza aerea, in quanto forza molto "versatile" sia per sferrare un attacco che per una difesa di "prima linea". Il rischieramento di dodici velivoli in Egitto, nazione con il più grande esercito del Medio Oriente, probabilmente poteva costituire un incoraggiamento ad un atteggiamento intransigente nei confronti dello Stato libico, spianando probabilmente la strada a una probabile invasione della Libia, alla conquista dei pozzi di petrolio e alla "detronizzazione del colonnello Gheddafi".

Va anche rilevato che il maggiore libico Idriss Sheibi si rivolge, proprio in questo periodo all'Egitto, dove avevano trovato asilo, numerosi dissidenti libici, per attuare il piano insurrezionale della guarnigione di Tobruk, che si risolse nel sangue nell'agosto dell'80 e portò all'arresto di cittadini italiani che avevano accettato l'incarico di mediatori tra gli insorti e gli egiziani. Ma su questa vicenda si farà riferimento più oltre.

Non deve dimenticarsi infine che nella già citata autobiografia il presidente francese Giscard d'Estaing aveva sottolineato pure un progetto del presidente egiziano Sadat di rovesciamento del regime di Gheddafi, per il quale nutriva una radicale avversione. Propositi che Sadat gli aveva rilevato nel corso di una visita a Parigi a febbraio del 77. Sadat gli disse "che avrebbe preso una decisione la primavera successiva, in marzo probabilmente, e che non avrebbe mancato di avvertire (...) Per tenerci in contatto decidemmo di servirci di Remì Journiac, mio consigliere per gli affari africani. In effetti, tre settimane dopo, Journiac ricevette un messaggio dall'Egitto in cui si annunciava che il presidente Sadat desiderava vederlo. Il presidente Sadat rimase a colloquio con lui a lungo, confermandogli le sue intenzioni, ma rimanendo nel vago quanto al dispositivo dell'azione, fissata verso la fine di marzo. "Dipenderà -disse - dalle provocazioni di Gheddafi. Avvertirò il presidente Giscard d'Estaing in tempo utile".

Journiac tornò a Parigi e io iniziai a tener d'occhio il calendario. Quando un programma dal Cairo mi annunciò che un elicottero militare, con vari ufficiali a bordo, si era schiantato presso il confine libico, compresi che si trattava delle Stato Maggiore che stava preparando l'operazione.

Il mese di marzo trascorse senza notizie e rividi Sadat solo il 24 luglio successivo, a pranzo con le rispettive famiglie. Quando ci ritirammo in biblioteca per il caffè si limitò a dirmi: "A proposito di quanto avevo in programma per il mese di marzo, gli americani sono intervenuti per chiedermi di rinunciare".

Quali americani? Per quale motivo? Spettava a lui precisarmelo, ma non aggiunse nulla. Il progetto venne ripreso a distanza di anni, all'inizio del 1981 e in forma diversa, dopo l'entrata in carica del presidente Reagan. Le elezioni francesi del mese di maggio interruppero i contatti.

Ero rimasto contrariato dalla rinuncia a quell'operazione. Un cambiamento di regime in Libia sarebbe servito all'Egitto e all'Africa, evitando la crisi sanguinosa del Ciad. L'elemento che aveva complicato e avvelenato il processo di pace in Medio Oriente, con continue pressioni e ricatti nei confronti degli stati arabi moderati, sarebbe stato eliminato.

Un successo avrebbe facilitato l'azione interna del presidente Sadat e forse gli avrebbe salvato la vita".

2. Le tensioni tra la Libia ed il Ciad.

Sempre nell'80 il regime di Gheddafi si trovava impegnato anche nel contenzioso con il Ciad, originato dall'occupazione da parte delle truppe di Gheddafi della "striscia di Auzou" e dalle successive iniziative a sostegno delle fazioni filo-libiche esistenti nel Paese, rivolte a destabilizzare i regimi di N'Djamena che ostacolavano le mire espansionistiche di Tripoli. Tale situazione ebbe ovviamente riflessi nei rapporti tra la Libia e la Francia. Quest'ultimo Paese appoggiava una delle due fazioni in lotta, quella di Hissane Habrè, mentre Gheddafi appoggiava la fazione del Presidente Ueddei Gukuni, palesemente anti-francese. L'esercito libico pertanto a dicembre dell'80, dopo una continua attività dell'aviazione ai confini e nella parte settentrionale del Paese, entra con i suoi carri armati a N'Djamena, capitale del Ciad, determinando così la vittoria della fazione di Gukuni e la conseguente ascesa al Governo di costui. L'alleanza tra Gukuni e Gheddafi però non durerà molto in quanto il primo, resosi conto della mire espansionistiche del secondo chiese a sua volta, nel 1981, aiuto alla Francia, che intervenne pesantemente cosicché Gheddafi, in quello stesso anno, dovette ritirarsi dal Ciad.

Il contenzioso tra i due Paesi per la striscia di Auzou, dove, come si è detto, erano stati scoperti importanti giacimenti di uranio, durerà ancora per lungo tempo. La vicenda è stata solo da pochi anni risolta dalla Corte Internazionale dell'Aja con sentenza del 93, per effettto della quale veniva attribuita al Ciad la fascia che nel 72 era stata occupata dal regime libico. Ma l'interesse del regime libico per il Ciad, deve sottolinearsi, non era soltanto economico, ma anche strategico - il Ciad rappresentava per la Libia la via verso l'Africa centrale - e quindi resterà come linea guida di non poco peso della politica estera di Tripoli.

3. Libia-Malta.

La Libia era in tensione anche con il governo laburista di Dom Mintoff. L'isola di Malta per la propria posizione geografica costituiva un punto strategico di notevole importanza per l'equilibrio e gli interessi di quei Paesi che si affacciano nel Mediterraneo, di quelli che lo usano per le rotte delle loro flotte mercantili ed ovviamente per le Potenze nella cui sfera quella regione ricadeva. Nel 1980 a seguito della totale indipendenza dalla Gran Bretagna i rapporti tra i due Paesi subiscono una forte incrinatura, determinata da una serie di fattori: una sempre più ingombrante presenza libica nel contesto socio-politico dell'isola, poco tollerata dai maltesi che si sentivano più vicini al mondo occidentale che a quello nord-africano; continui tentativi del governo di Tripoli di indirizzare le linee della politica estera di Dom Mintoff verso obiettivi di interesse libico; controversia per la spartizione della piattaforma continentale sul banco di Medina, rivendicata da entrambi i Paesi.

La situazione di attrito comportò, tra l'altro, da parte maltese, la rescissione dell'accordo con la Libia per le forniture petrolifere e la stipula, proprio a giugno dell'80, di un nuovo contratto con l'Arabia Saudita a condizioni più favorevoli; la chiusura dell'emittente di una radio libera, le cui trasmissioni erano essenzialmente incentrate sulla propaganda contro Paesi arabi che osteggiavano le linee politiche di Gheddafi; ed infine la stipula di un contratto con la Texaco Oil Company, per prospezioni petrolifere nella zona di mare, oggetto del contenzioso con Tripoli.

Da parte libica si ebbe, invece, a giugno dell'80 l'interruzione delle forniture di petrolio a Malta e successivamente un'azione intimidatoria di una nave militare libica nei confronti della piattaforma petrolifera dell'ENI "Saipem II", che aveva ricevuto l'appalto della Texaco per le ricerche petrolifere sul banco di Medina. Vicenda che sarebbe stata minimizzata all'epoca sia da Malta che dalla Farnesina, così come si legge in un appunto del S.I.S.MI (v. volume 19 atti Stato Maggiore in acquisizione del 20.04.95).

La tensione tra i due Paesi sfocerà nella richiesta di aiuto e assistenza militare da parte di Malta all'Italia. La trattativa, iniziata a gennaio dell'80, si concluse con la sigla dell'accordo il 2 agosto 80 a Malta. I libici - ricorda Zamberletti - non furono entusiasti dell'accordo e lo esposero apertamente nel corso di una riunione alla Farnesina, invitando il Governo italiano a desistere dall'accordo. Interventi in tal senso giunsero da Santovito e Andreotti (v. esame Zamberletti Giuseppe, GI 07.05.92).

Zamberletti rileva che l'accordo nasceva da una esigenza di garanzia della neutralità dell'isola. La trattativa aveva visto all'origine seduti allo stesso tavolo quattro Paesi, due di sponda europea, Italia e Francia, e due di sponda africana, Libia e Algeria. Ma a seguito della tensione tra la Libia e Malta, la Francia abbandonava le trattative e così l'Algeria per non entrare in contrasto con il vicino Paese. Pertanto con l'abbandono dei restanti Paesi, l'accordo, nato dall'esigenza di garantire la neutralità dell'isola, diventa, di fatto, un accordo italo-maltese in funzione antilibica (v. esame Zamberletti Giuseppe, GI 02.11.95).

3.1. Gli attentati a firma del "Fronte di Liberazione Maltese".

Sono di questo periodo anche una serie di attentati nell'isola contro obiettivi libici, rivendicati dal Fronte nazionalista o di liberazione maltese. Nell'elaborato della Commissione Stragi, di cui si è già fatto cenno, si rivela che secondo uno studioso dei Servizi francesi, gli attentati sarebbero stati frutto della collaborazione tra lo Sdece di Alexander De Maranches, ed il Sis inglese diretto da Arthur Franches. I due Servizi avrebbero organizzato alcuni attentati, rivendicandoli a nome di un sedicente "Fronte di liberazione di Malta". Ovviamente non v'è alcun riscontro alle asserzioni del giornalista francese. Deve essere tuttavia rilevato che in Italia negli anni'80 si diffuse la voce di una supposta responsabilità francese nell'attentato avvenuto il 14 agosto 80 ai danni dei ripetitori di Monte Capanna dell'Isola d'Elba; ripetitori usati da "Radio Corsica International". L'episodio venne collegato ad altro attentato verificatosi contro l'abitazione di Bastia, del principale animatore della radio, dell'anno precedente.

Anche il S.I.S.MI si interessò della vicenda. In un appunto datato 14 ottobre 85 a firma dell'ammiraglio Martini, trasmesso agli organi di polizia, veniva riferito in relazione all'attentato al ripetitore a Monte Capanna che si era "fiduciariamente appreso che il sabotaggio di cui sopra sarebbe stato effettivamente eseguito da specialisti dello "Sdece", peraltro impiegati anche in analoghe operazioni nel Ciad". Al punto 2 dell'appunto veniva precisato, tuttavia, che l'attività informativa svolta per acquisire ulteriori informazioni non aveva conseguito alcun risultato.

Gravissima l'ingerenza di un Paese straniero ed alleato che provoca anzi organizza ed esegue attentati in territorio altrui. Di questi comportamenti e tendenze si deve tener presente per valutare le ipotesi di coinvolgimenti anche in fatti gravissimi di alleati, amici ed altri con cui si fanno commerci ed affari.

Un attentato rivendicato dalla stessa organizzazione era stato compiuto in Italia nell'80 a danno della nave libica "Dat Asswari" ormeggiata presso i cantieri navali riuniti di Genova dal 30.06.79 al 13.05.85 per lavori di riparazione e trasformazione. Dopo le operazioni di imbarco di materiale bellico dallo stabilimento "Oto Melara" di La Spezia, questa nave avrebbe fatto ritorno in Libia.

Il 29 ottobre di quell'anno alle ore 04.00, a bordo di essa, si verificava un'esplosione di notevole potenza, causata da un ordigno collocato sotto chiglia, a tre o quattro metri di profondità. L'episodio veniva rivendicato con comunicato del "Fronte Nazionale Maltese", di contenuto avverso al regime libico di Gheddafi, che stigmatizzava l'Italia per connivenze con quest'ultimo, fatto pervenire al quotidiano "Il Corriere della Sera" di Milano insieme ad una fotografia che inquadrava, fra l'altro, la banchina ove era ormeggiata quella nave.

Dai primi accertamenti esperiti, emerse che i sabotatori - escluse responsabilità da parte di coloro che erano autorizzati a trattenersi presso la nave stessa, ovvero sulle banchine - erano giunti via mare o addirittura via subacquea. Infatti, il cantiere era completamente recintato, chiuso con cancelli automatici e sorvegliato 24 ore su 24 da guardiani che dovevano trovarsi sia a bordo delle navi in riparazione che sulla banchina. I due guardiani in servizio quel giorno, che si trovavano rispettivamente uno a bordo verso prua e l'altro sulla banchina, dichiararono di non aver visto alcuna persona sospetta nei pressi della nave, evidenziando altresì che la zona era sufficientemente illuminata.

L'autorità marittima mercantile (capitaneria di porto di Genova) non espletò alcuna inchiesta in ordine alle cause ed alle circostanze ditale evento in quanto non competente ad instaurare procedimenti d'inchiesta per i sinistri occorsi alle navi militari italiane o straniere, a meno che in tali sinistri non risultassero coinvolte navi mercantili; circostanza quest'ultima non riscontrata nel caso di specie.

Il S.I.S.MI, con nota del 07.08.81 riferiva che la presunta responsabilità dell'attentato alla nave libica Dat Assawari nel porto di Genova, da parte di "uomini rana", appariva inverosimile e che comunque non si era trovato fino al quel momento alcun riscontro. La richiesta di informazioni al Servizio era stata avanzata dal titolare dell'inchiesta sulla strage di Bologna nell'ambito dell'inchiesta concernente le notizie giunte al giornalista Andrea Pamparana di Critica Sociale, alcune delle quali pubblicate ed altre invece rinvenute nel corso della perquisizione eseguita presso la redazione di Critica Sociale.

A distanza di sei anni ed esattamente in data 16.05.86, veniva rinvenuto, in una casermetta del porto di Genova, dove anni prima avevano preso alloggio i militari della marina libica in occasione del ricovero della "Dat Asswari", un "Shorthand Note Book" con scritte in lingua araba ed inglese.

Questo documento, tradotto, portava alla luce una linea di navigazione da Tripoli al porto di Genova datata 28 giugno 79 - 30 giugno 79. Nel tragitto di navigazione è compreso l'itinerario Lampedusa - Pantelleria ed emerge la località costiera "Punta Spadillo" con la segnalazione delle relative zone di pescaggio "...le reti sono distese ad una distanza di 8 miglia dalla costa bisogna controllare attentamente durante la navigazione nella zona della costa. Di solito ci sono segnali nella zona delle reti sia di giorno che di notte ...". Infine, nella tappa da Pantelleria a Genova, l'estensore del documento dettava "bisogna fare attenzione e controllare le zone di addestramento del sommergibile."

La suddetta località fa ritornare alla memoria il traffico di armi di cui scrive Pamparana nell'articolo "Il grande labirinto", che come luogo di sbarco prevedeva proprio "Punta Spadillo", località inclusa in un terreno di una società a capitale interamente libico. Infatti tra gli appunti che lo stesso aveva consegnato alla magistratura, a seguito della sua deposizione, si faceva riferimento alla nave libica, erroneamente riferita al porto di La Spezia. L'appunto così recitava: "Semerari sarebbe stato poi presso il campo di Raz Hilal dove ci sono trecento istruttori cubani e molti tedeschi orientali specializzati in esplosivi. Gli uomini rana che attaccarono la nave libica a La Spezia sembra provengano da questa base". Fu questo l'appunto che la magistratura inviò al S.I.S.MI per i dovuti accertamenti e che generò la risposta del 07.08.81 di cui sopra.

3.2. La memoria di parte civile sull'"affare maltese".

Anche la parte civile è intervenuta sulla importanza di questo Paese, in risposta ad affermazioni contenute a pagina 45 della memoria del generale Melillo, depositata in data 09.05.96. L'ufficiale aveva scritto, a proposito dell'ipotesi che un MiG libico volasse nascosto all'ombra radar del DC9 Itavia, che "Non si ha alcuna cognizione precisa della destinazione del velivolo, ma si può dire che certamente non potrebbe essere stata l'isola di Malta, poiché a quell'epoca i rapporti fra Malta e la Libia erano molto tesi in vista del trattato di collaborazione (firmato il 2 agosto) tra l'isola e l'Italia che aveva scalzato i libici, i quali perciò non godevano più dell'uso di basi in quel territorio (erano decisamente sgraditi al Premier Dom Mintoff)".

La parte civile, pertanto, non credendo che l'ufficiale avesse introdotto l'argomento per pura casualità, ha ritenuto opportuno approfondire l'argomento. Appare utile riportare integralmente lo scritto: "L'isola di Malta divenne completamente indipendente dalla corona inglese nel 79 dopo 150 anni di dominio. La Libia, fin dal 73, condusse una politica di buon vicinato con il governo della piccola isola, dando assistenza in campo economico e militare. Personale militare libico era presente sull'isola, con compiti di istruzione e direzione del traffico aereo. Società libiche furono incoraggiate ad investire nell'isola, che riceveva inoltre petrolio libico a prezzi agevolati (che veniva in gran parte rivenduto sul mercato di Rotterdam), aiuti e prestiti.

Per il governo maltese il problema più grave era, una volta raggiunta l'indipendenza, come reperire le risorse economiche necessarie alla popolazione, visto che Malta aveva vissuto, fino ad allora, grazie al turismo e soprattutto all'affitto che l'Inghilterra pagava per l'uso del porto di La Valletta, utilizzato dalla sua flotta militare in ambito NATO, anche se formalmente la NATO non avrebbe potuto avere basi militari all'infuori dei confini dei paesi membri.

La Gran Bretagna tentò ripetutamente di mantenere la disponibilità del porto, ma il governo maltese guidato da Dom Mintoff fu irremovibile e la flotta inglese, poco tempo dopo l'indipendenza, dovette lasciare l'isola. Si trattava della perdita di una base importantissima per l'equilibrio strategico del Mediterraneo e in Medio Oriente. L'isola rappresenta il crocevia delle rotte mediterranee e la sua importanza strategica e militare è nota fin dall'antichità. Perduti i proventi dell'affitto del porto, venne in aiuto la Libia, la quale, nell'ottobre 79, investì 50 milioni di dollari nell'economia dell'isola. La Libia già forniva petrolio a prezzi preferenziali, per l'accordo che consentiva la presenza sull'isola ai militari libici, che in particolare, fra l'altra, gestivano la torre di controllo dell'aeroporto internazionale di La Valletta.

Ma un mese dopo, nel novembre 79, con un atto che sapeva avrebbe causato una crisi con la Libia e forse la rottura dei rapporti, il governo maltese notificò a quello libico la sua intenzione di compiere ricerche petrolifere all'interno delle proprie acque territoriali. Malta sperava di poter emulare il suo ex padrone coloniale, e diventare autosufficiente con il petrolio sottomarino, o forse diventare addirittura esportatore di petrolio. A tale scopo firmò un contratto con la Texaco Oil Company americana, che avrebbe dovuto eseguire ricerche sui "Banchi di Medina" che sono una zona di mare a basso fondale, situata circa a mezza strada fra la Libia e Malta, rivendicata sia da Malta che dalla Libia.

Il governo maltese rivendicò come acque territoriali quelle fino a 98 miglia (180km) a sud della sua costa meridionale, opponendosi a quello libico che rivendicava la sua giurisdizione per 2/3 del tratto di mare compreso fra la Libia e Malta, e cioè fino ad una distanza di 66,5 miglia dalle coste meridionali maltesi. Inutile dire che in un caso i banchi di Medina erano territorio situato in acque maltesi, nell'altro in acque libiche. E' chiaro che nel mese di novembre deve essere maturato qualcosa che ha convinto il governo maltese ad opporsi a quello libico.

I due governi decisero che avrebbero portato la controversia al giudizio del tribunale internazionale dell'Aia entro il 30 giugno 80. Nel frattempo nessuno dei due paesi avrebbe eseguito delle ricerche petrolifere. Ma sembra che, mentre Malta rispettava questa clausola, la compagnia di Stato libica iniziasse invece ad eseguire ricerche petrolifere nella zona contesa. E' ovvio che a questo punto il governo maltese avesse ben poche possibilità di cavarsela nei confronti del potente e agguerrito vicino, se non fosse venuto in suo aiuto qualcuno. Malta trovò aiuto da una altro potente vicino all'Italia. Solo grazie all'appoggio italiano Malta potè affrancarsi dalla dipendenza economica, e quindi politica che si andava prospettando nei confronti della Libia.

In Italia la situazione economica era, nel 1980, pesante. L'inflazione sfiorava il 20% annuo e la più grande industria italiana, la Fiat, aveva messo in cassa integrazione per 18 mesi 29.000 operai ed era stata costretta, per finanziare un esteso programma di ristrutturazione tecnologica, a vendere alla Banca di Stato libica una importantissima quota azionaria, che faceva della Libia il secondo azionista della Fiat. Dal punto di vista energetico poi la situazione era disastrosa, quasi da emergenza. Nel ben mezzo della seconda crisi energetica internazionale, causata dall'avvento del regime di Khomeini, l'Italia s'era vista tagliare i rifornimenti petroliferi dall'Arabia Saudita a causa dello scandalo poi definito ENI-Petronim, riguardante il solito giro di mazzette e bustarelle che contraddistingue il costume politico nazionale. (Lo scandalo ENI-Petromin, avvenuto nel marzo 80, potrebbe essere letto come un'azione occulta tesa a rendere l'Italia ancor più dipendente dal petrolio libico, e quindi di appoggio alla Libia nell'affare maltese. Si può inoltre affermare che in Italia esistesse allora, e probabilmente ancora oggi, una robusta lobby filo-libica.

La Libia era il maggior fornitore di petrolio d'Italia, e l'Italia il primo partner commerciale della Libia. Migliaia di italiani lavoravano nel paese africano, centinaia di imprese italiane eseguivano le commesse richieste dallo Stato Libico, fra le quali le più importanti aziende pubbliche e private di praticamente tutti i settori industriali e commerciali. Da 1/3 alla metà di quello che la Libia incassava con la vendita di petrolio, stimata quell'anno in 18/20 miliardi di dollari veniva in Italia. Nel 1980 inoltre tutte le industrie militari italiane, quasi totalmente in mano pubblica, avevano in corso importanti commesse per le forze armate libiche. La cosa era di mole tale che, alla fine del 1980 l'Italia risultò essere il maggiore esportatore di armi della CEE. (Italia 133 Ml di Ecu, Germania 99, Olanda 76, Francia 39)

Il sospetto che qualche maligno ha pur avuto che tutto questo vorticoso giro di miliardi (di dollari) si tramutasse anche in giganteschi finanziamenti alla quasi totalità delle forze politiche italiane è stato nettamente smentito dal fatto che le vicende giudiziarie che presero il popolare nome di tangentopoli Italo-Libica, segno che almeno in quel settore era tutto trasparenza e rettitudine. Non abbiamo che da compiacercene.

Cade in conseguenza anche il sospetto che a causa di affari e tangenti esistesse, per tutti gli anni 70 e 80, una complice acquiescenza nei confronti del terrorismo arabo presentandola come cinica ragion di stato e lungimirante politica estera. Certo in Italia esisteva una forte lobby filolibica legata a questi interessi. Fiorivano i comitati di amicizia, scrittori o giornalisti documentavano le atrocità di cui si erano macchiate le truppe coloniali italiane ed il capo della Loggia P2 (un tipo famoso!) si presentava alle delegazioni commerciali libiche come "il capo dei servizi segreti italiani". Il giornalista Mino Pecorelli, assassinato nel 79, intitolava un numero del suo settimanale OP "Il partito del Colonnello".

Nonostante l'Italia non avesse proprio alcun interesse per creare attriti con la Libia offrì a Malta un trattato di assistenza politica militare, che prevedeva fra l'altro la difesa dell'integrità territoriale maltese ad opera, se necessario, delle forze armate italiane, un cospicuo aiuto finanziario e le disponibilità a fornire mezzi per la ricerca petrolifera, in cambio di una politica di neutralità. Questo trattato fu concepito proprio in funzione antilibica (come ci ha descritto nel suo pregevole libro "La minaccia e la vendetta" l'on.le Zamberletti) ed è ovvio che la "difesa dell'integrità territoriale maltese" si riferisse anche alla difesa dei banchi di Medina, considerati da Malta come territorio nazionale e come possibili banchi petroliferi (e che erano considerati allo stesso modo anche dalla Libia).

Ma è sicuramente riduttivo riportare la vicenda ad una semplice questione economica. In realtà l'importanza è data da altri più complessi fattori. L'URSS aveva da pochi anni (1974) perso la disponibilità del porto di Alessandria d'Egitto, ed era virtualmente senza un punto di appoggio per la flotta che non fosse al di là dei Dardanelli (a parte il marginale approdo di Tartus in Siria). In caso di crisi militare sarebbe stata costretta a richiamare nel mar Nero la squadra navale, lasciando il Mediterraneo al dominio della NATO senza neppure combattere.

Diversa la situazione nel caso che, in qualsiasi modo avesse potuto contare sull'isola di Malta. Tutti conoscevano, grazie al ruolo avuto nella II Guerra Mondiale, l'importanza strategica dell'isola, che domina le rotte mediterranee.

Nel 73 i paesi arabi giustificano l'embargo petrolifero nei confronti dell'Europa, adducendo il fatto che i rifornimenti USA a Israele erano partiti o transitati su territori europei. In caso di nuova crisi militare i rifornimenti che gli USA avrebbero inviato in Israele dovevano necessariamente evitare di dover sorvolare qualsiasi Stato europeo, ed erano ovviamente nell'impossibilità di sorvolare gli Stati arabi nordafricani. Per ottenere questo scopo (rifornire Israele senza coinvolgere l'Europa ed internazionalizzare un conflitto regionale) gli aerei da trasporto USA potevano seguire solo una rotta, quella che attraverso l'Atlantico con scalo alle isole Azzorre, attraversava il Mediterraneo in tutta la sua lunghezza, sorvolando il cielo maltese. Una militarizzazione di Malta avrebbe di fatto condizionato la possibilità di rifornire Israele e mutato i rapporti di forza strategici in tutta quella parte di mondo. Chi avesse avuto il controllo di Malta avrebbe potuto costringere ad un coinvolgimento europeo in un eventuale crisi arabo-israeliana che comportasse la necessità di rifornimenti USA (come è poi avvenuto nel 1982 e nella guerra del Golfo), oppure causare una spaccatura fra USA ed Europa ... insomma una questione della massima importanza. (come si ricorderà, nella crisi USA-Libia del 1986 Francia e Spagna non consentirono ai bombardieri USA F111 che andavano ad attaccare la Libia il permesso di sorvolo e si noterà che se la Libia avesse controllato Malta il bombardamento di Tripoli sarebbe stato impossibile).

Nel 1973, allo scopo di aiutare l'Egitto di Sadat in difficoltà nella guerra dello Yom Kippur, la flotta sovietica del Mediterraneo (Sovmedron) uscì dal porto di Alessandria d'Egitto per schierarsi davanti alle coste israeliane tenendo gli aerei USA, impegnati nel ponte aereo per rifornire Israele, sotto la minaccia dei missili antiaerei delle proprie navi. Questo costrinse gli USA a fare pressioni per un armistizio su Israele, in quel momento in vantaggio risolutivo sul piano militare. Quella che sembrava una sconfitta militare divenne per l'Egitto una grande vittoria politica personale del Presidente Sadat, artefice della guerra e del riscatto delle armi egiziane. Ma nel 74 l'Egitto cambiò alleanze, schierandosi con l'Occidente e costringendo la Sovmedron a lasciare il porto di Alessandria. Sadat avviò il processo di pace con Israele.

Chiunque avesse occupato militarmente Malta, avrebbero potuto installare batterie di missili antiaerei a lungo raggio che avrebbe minato la credibilità dell'aiuto militare USA a Israele, e più in generale la capacità USA di intervenire in Medio Oriente in difesa dei campi petroliferi vitali per l'economia europea e giapponese. Tutto il Medio Oriente sarebbe risultato indefinibile e forse oggi la storia sarebbe diversa. Se la Libia fosse riuscita a portare le sue armi a Malta, il prestigio di Gheddafi sarebbe cresciuto enormemente in seno al mondo arabo e avrebbe potuto esercitare un ricatto continuo permettendo l'approdo alla Sovmedron.le

In nessun caso Malta poteva cadere in mani libiche, ma si doveva fare senza dar modo all'URSS di poter intervenire direttamente nella questione (si deve dire che l'URSS non mostrò mai la minima voglia di farlo). Si era nel momento di maggior potenza militare dell'Unione Sovietica che fra l'altro, invadendo l'Afghanistan, aveva messo i campi petroliferi dell'Arabia Saudita nel raggio d'azione delle sue truppe aeroportate. Per contro l'America era completamente fuori gioco, impegnata nella vicenda degli ostaggi dell'ambasciata di Teheran e senza capacità di reazione diplomatica, politica e militare.

Anzi si deve ricordare che proprio in quell'estate del 1980 gli USA non eseguirono manovre nel Mediterraneo centrale, forse per non aumentare la tensione nell'aerea, ma forse anche per riguardo a Gheddafi a seguito dell'intervento da questi effettuato presso il regime iraniano di Khomeini per chiedere la liberazione degli ostaggi americani.

Era una regola non scritta, ma tacitamente accettata e rigidamente rispettata sia dalla NATO sia dal Patto di Varsavia.

Nel 1980 l'Europa era annichilita dallo schieramento degli SS20, missili nucleari di nuova generazione che rendeva non più credibile il deterrente atomico USA, dalla crisi economica, dal terrorismo interno. Decine di Tir dei paesi del Patto di Varsavia, trasformati in laboratori elettronici, giravano per l'Europa a controllare e catalogare la resistenza di ponti e strade al passaggio delle divisioni corazzate sovietiche . Il 1980 è sicuramente stato l'anno più pericoloso per la pace mondiale e l'eventualità di una terza guerra non è mai stata così vicina. L'estrema debolezza politica, economica e militare dell'Occidente, e soprattutto il virtuale annientamento di ogni capacità di reazione potevano causare il disastro di una terza guerra mondiale.

A questo punto gli avvenimenti si susseguono incalzanti durante l'estate del 1980. Il primo giugno il governo libico interrompe le forniture petrolifere a Malta. L'11 giugno inizia la mattanza degli esuli libici presenti in Italia, con il primo omicidio ed il corso di questi eventi è meglio ricostruito infra... . Il 27 giugno viene abbattuto il DC9, partito da Bologna e viaggiante con due ore di ritardo, mentre di seguito ad una distanza pari a meno dieci minuti di volo da un Boeing 707 dell'Air Malta (volo KM153). Il 10 luglio vengono sequestrati dalla Libia due pescherecci italiani con a bordo 19 marinai (verranno rilasciati due anni dopo). Il 18 luglio viene ritrovato un MiG23 sui monti della Sila. Il 2 agosto prende posizioni, sui banchi di Medina, la nave da ricerche petrolifere dell'ENI Saipem 2 a dimostrazione soprattutto ad uso interno maltese (le elezioni si sarebbero tenute entro breve tempo) della giustezza della politica filo-italiana di Mintoff contro l'area politica filo-libica molto forte nell'isola. E' la dimostrazione "politica" che l'Italia agisce seriamente e che il trattato produce i suoi effetti.

Il 2 agosto l'on.le Zamberletti, per conto del governo italiano firma il protocollo d'intesa con il governo maltese relativo al trattato fra le due parti che esclude la Libia dal controllo dell'isola. E' il coronamento di un lavoro diplomatico iniziato l'anno prima, che disinnesca, rendendola neutrale, una possibile futura crisi politico militare incentrata sull'isola di Malta.

Il 2 agosto salta in aria la stazione di Bologna.

Il 6 agosto una parte dell'esercito libico si ribella e tenta un colpo di stato contro Gheddafi. I congiurati saranno sconfitti dall'intervento di unità militari della Germania orientale che riescono ad impedire la cattura del colonnello Gheddafi. Di questo colpo di stato Gheddafi accuserà l'Italia, arrestando tre imprenditori italiani ritenuti i fiancheggiatori degli insorti. (verranno rilasciati dopo sei anni. Per almeno uno di essi si sa per certo che fosse un funzionario o un confidente dei servizi segreti italiani: il suo nome venne fuori durante il rapimento Casella, come quello di un agente dei Servizi segreti che trattò con i rapitori del giovane).

Il 24 agosto un sottomarino ed una nave da guerra libici intimarono, con la minaccia di prenderla a cannonate, alla nave italiana Saipem-2 di interrompere le ricerche petrolifere sui banchi di Medina iniziate per rispettare le clausole dell'accordo Italo-Maltese, ed andarsene. Si sfiora la battaglia fra le navi italiane intervenute a difesa della Saipem e le navi libiche. Gli F104 di Trapani Birgi pattugliano il cielo di Malta.

Il 26 agosto il governo maltese mise in stato di allerta la sua forza aerea (quattro elicotteri). Il 27 agosto il personale militare libico espulso dall'isola di Malta. Il 2 settembre l'Italia si impegna a garantire l'integrità territoriale di Malta (dopo i fuochi, direbbero a Roma). Il 3 settembre il premier maltese Dom Mintoff vola a Roma per approfondire le intese Italia- Malta. Il 4 settembre, su richiesta maltese, si riunisce il consiglio di sicurezza dell'Onu per esaminare "l'azione illegale" della Libia. Il 9 settembre si ratifica l'accordo fra l'Italia e Malta, che prevede fra l'altro l'esclusione delle navi americane e sovietiche dai porti dell'isola. Il 20 settembre Dom Mintoff rivela le clausole finanziarie dell'accordo con l'Italia: Un aiuto (regalo) di 60 milioni di dollari per il periodo 79-83. Un prestito di 15 milioni di dollari. Un contributo di 4 milioni di dollari all'anno per 5 anni. Totale 95 milioni di dollari dell'epoca e Malta è grande come un piccolo quartiere di Roma.

Il trattato italo-maltese, di durata decennale, è stato rinnovato nel 90 ed è tuttora valido. Perché? Non certo per tenere fuori Malta le navi USA, di cui Italia è tradizionalmente alleata, o le navi URSS, di cui è tradizionalmente amica.

Questa la storia della vicenda Italia-Libia-Malta dell'estate 1980 che potrebbe rispondere all'interrogativo del generale Melillo sul perché lanciare missili sul Tirreno in tempo di pace.

Oggi ci sembra un'altra epoca, e sembra di parlare di storie vecchie di mille anni, ma nel 1980 chi controllava Malta aveva i poteri di:

-Internazionalizzare qualsiasi conflitto arabo-israeliano.

-Abbassare la capacità di proiezione di potenza degli USA, con conseguente cambiamento strategico di tutta la situazione in Medio Oriente, di Israele e dei campi petroliferi sauditi.

-Permettere l'approdo alla Sovmedron, con conseguente aumento della capacità di proiezione di potenza dell'URSS, e cambiamento di situazione strategica nel Mediterraneo, riportando la situazione ad ante 1974.

-Acquisizione di enorme prestigio, e quindi potere politico, da parte del leader che avrebbe "conquistato Malta", che da punto di vista storico e molto importante per i popoli arabi" (v. memoria Cinti-De Stefano depositata in data 12.07.96).

4. Libia-Francia.

I rapporti tra la Libia e la Francia dopo un periodo di relativa tranquillità - la Francia aveva anche venduto alla Libia aerei Mirage - subirono un'incrinatura a tal punto profonda da cagionarne quasi la rottura, dovuta in primo luogo al contenzioso esistente tra la Libia ed il Ciad per la "striscia di Auzou" ed all'invito rivolto agli abitanti dell'isola di Reunion, che godeva del protettorato francese, di costituire un movimento di liberazione; in secondo luogo all'appoggio fornito ai fuoriusciti tunisini che nel gennaio dell'80 avevano attaccato il centro minerario di Gafsa, distante quattrocento Km da Tunisi, con l'obiettivo di rovesciare Bourghiba. I ribelli riuscirono in quella occasione ad impadronirsi della città per alcune ore, ma la popolazione rimase inerte e non scese per le strade, come invece era stato previsto, di modo che già nella stessa giornata l'esercito sferrava un attacco che costringeva i ribelli alla resa. Nell'operazione le truppe tunisine godettero dell'appoggio logistico della Francia, secondo quanto riferito ufficialmente da questo Paese. Il blitz appoggiato dalla Libia provocava la rottura delle relazioni diplomatiche con il governo di Tripoli. L'Ambasciatore libico a Tunisi veniva invitato ad allontanarsi e venivano chiusi contestualmente il centro culturale libico a Tunisi e quello tunisino a Tripoli.

Ulteriori motivi di frizione si ebbero a febbraio con manifestazioni antifrancesi in città libiche, sfociate nelle devastazioni delle rappresentanze diplomatiche francesi a Tripoli e Bengasi da parte di folle di dimostranti, che accusavano la Francia di avere aiutato Bourghiba in occasione del tentativo di occupazione di Gafsa. La Francia ritirò il proprio rappresentante a Tripoli. A marzo un nuovo e grave episodio raffreddò ancor di più i rapporti tra i due Paesi. Due Mirage libici tentarono di abbattere un velivolo francese antisommergibile "Atlantic", in missione di pattugliamento al largo delle coste tunisine. Ad alcuni osservatori, tuttavia, la reazione della Francia apparve blanda, anzi addirittura quasi conciliante, perché, si disse, persisteva il forte interesse al petrolio libico.

In questo contesto non può non essere rilevato che diverse sono state le voci che in questo processo hanno indicato nella Francia responsabilità nell'abbattimento del DC9 Itavia, ancorché nessuna di queste abbia raggiunto dignità di prova. Si ricordano tra l'altro le dichiarazioni del Capo del S.I.S.MI Martini alla Commissione Stragi, nelle quali venivano indicati per esclusione la Francia e gli Stati Uniti come possibili responsabili dell'evento. Responsabilità francesi sono state adombrate anche nella rivolta della guarnigione di Tobruk; guidata dal maggiore libico Idris Shehaibi. Va anche rammentato che nell'80 il quotidiano londinese "Evening Standard" nell'edizione del 17.12.80 avanzava esplicitamente l'ipotesi che il velivolo dell'Itavia fosse stato abbattuto da un missile lanciato da un aereo militare decollato da una portaerei francese.

5. Libia-USA.

Anche i rapporti tra la Libia e gli USA subirono dopo l'avvento di Gheddafi forti danni, che nel 74 vennero aggravati dalla nazionalizzazione da parte della Libia delle società petrolifere americane, a cui fece seguito, per ritorsione, l'embargo da parte degli USA delle forniture militari. Va detto che gli Stati Uniti non avevano ostacolato il colpo di stato di Gheddafi. Essi vedevano la rivoluzione di Gheddafi in funzione anticomunista. E per tale motivo non si mossero in aiuto del deposto Re Idris. Continuarono a comprare il greggio e a fare affari anche dopo l'evacuazione della base aerea di Wheelus Air. Negli anni successivi le relazioni libico-americane si sono mantenute instabili sino a raggiungere livelli di altissima tensione a seguito degli accordi di Camp David, che provocarono nel febbraio dell'80 la rottura delle relazioni diplomatiche.

Da parte libica la tensione dei rapporti ha comportato una serie di iniziative in funzione anti-USA; da un lato l'esercizio di pressioni sui Paesi arabi produttori di petrolio, finalizzate alla sospensione delle esportazioni di greggio verso gli USA; dall'altro appelli all'OLP perché bloccasse con azioni terroristiche il traffico navale americano nel Canale di Suez; infine con manifeste dichiarazioni di solidarietà alla dirigenza iraniana attraverso promesse di intervento in caso di iniziative militari statunitensi.

Gli Stati Uniti consideravano Gheddafi come il finanziatore del terrorismo internazionale e strumento dell'Unione Sovietica. Deve però essere rilevato che le relazioni tra i due Paesi almeno fino alla nomina di Reagan a Presidente permangono all'insegna dell'ambiguità. La rete di interessi americani in Libia resiste alle condanne di circostanza, ai discorsi iracondi ed agli atti di violenza. Da un lato quindi rapporti formalmente tesi, dall'altro invece economiche di alto profitto. E' sufficiente ricordare i contatti intercorsi tra il fratello del Presidente Carter, Billy, ed il regime di Gheddafi.

Così possono riassumersi gli avvenimenti di maggior rilievo di quel periodo: il 2 dicembre 79 l'ambasciata statunitense in Libia viene data alle fiamme da gruppi di dimostranti, che accusano gli USA di aver concesso ospitalità allo Scià Reza Pahlavi; il 6 febbraio 80 gli USA decidono la cessazione di fatto delle attività dell'ambasciata a Tripoli; in aprile 80 gli USA espellono alcuni diplomatici libici accusati di intimidazioni nei confronti degli studenti libici negli USA.

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