Capitolo III

Gli inquinamenti documentali.

1. La falsa direttiva NATO.

L'istruttoria ha dovuto tener conto di un'ampia e diffusa opera di disinformazione e depistaggio svolta non solo da ambienti appartenenti o riconducibili ad apparati interni, ma anche da quella che al tempo era l'"oltre cortina". In particolare per tutti gli anni della guerra fredda sino alla fine degli anni 80, molte vicende internazionali sarebbero state inquinate dalla "mano" dei Servizi segreti sovietici e fratelli che hanno ordito trame contro gli Stati Uniti e di riflesso nei confronti degli altri Paesi del Patto atlantico.

E proprio nel corso dell'inchiesta si deve registrare uno dei casi più clamorosi di disinformazione che gli Stati Uniti subirono qualche anno dopo l'incidente di Ustica. Il fatto, che risale all'83, consiste nella messa in circolazione di un documento falso che i sovietici - attribuendolo agli americani - avevano prodotto sulla minaccia alla sicurezza aerea del Mediterraneo costituita dalle esercitazione NATO. Si trattava di una falsa direttiva NATO di una pagina allegata ad una copertina modificata di un manuale NATO ("...a bogus one-page NATO directive attached to an altered cover of a NATO handbook - dichiarazione scritta del 6.12.91" di Thomas A. Johnson, v. rogatoria 13.03.91). In tale documento, inviato alle principali agenzie di informazione in forma anonima e per posta, i Comandi NATO ammettevano la responsabilità degli incidenti aerei avvenuti nell'80 e nell'82 in Italia. Da parte sovietica era evidente l'interesse di screditare gli Stati Uniti dinnanzi all'opinione pubblica già fortemente provata dalla vicenda di Ustica.

Proprio a tal proposito, agli atti del procedimento risulta un appunto del S.I.S.MI, datato 15.12.88, diretto al Segretario Generale del Comitato esecutivo per i Servizi di informazione e sicurezza in cui, tra l'altro, si accenna al falso documento di origine sovietica ed alle possibili implicazioni di carattere socio-politico da esso derivanti (v. nota nr.533/147.APSI/VD del 15.12.88-.1.a). Ma anche la stampa, e in più occasioni, si è occupata di questo falso documento e di altre "forgeries" prodotte dai Servizi sovietici. In effetti il 24.04.83 il quotidiano "Il Tempo" dedicava un'intera pagina ai "falsi" del KGB (titolo: "Come i Servizi Segreti sovietici disinformano l'Occidente - Quel giorno che Reagan scrisse a Juan Carlos"), tra cui compariva anche un articolo titolato nel seguente modo: "Le manovre nel giallo del DC9 dell'Itavia precipitato".

L'articolo era stato portato a conoscenza di questo Ufficio dal giornalista del Corriere della Sera Andrea Purgatori, che nel corso di diversi esami testimoniali accennava, tra l'altro, ad una conferenza stampa tenutasi presumibilmente poco tempo prima di quegli articoli dell'aprile 83 presso la sede dell'Ambasciata americana a Roma. L'incontro con i giornalisti era stato organizzato dall'allora Capo Ufficio Stampa, Joe Johnson, per sconfessare il contenuto del manuale orchestrato dai sovietici denunciandone la falsità (v. esami Purgatori Andrea, GI 08.03.91, 20.03.91 e 04.05.91). In effetti, l'articolo del quotidiano "Il Tempo" aveva già informato sulla smentita operata dalle autorità USA, sottolineando che la falsità del documento era evidente anche per un errore linguistico. All'agenzia Ansa di Napoli si era infatti rilevato che l'estensore del documento prodotto dai Servizi sovietici doveva essere di formazione inglese, poichè in un passo riportava la parola "manoeuvers" per manovre, mentre un americano avrebbe scritto "maneuvers".

Ad ogni modo l'istruttoria è proseguita con l'intento di individuare il giornalista che materialmente aveva redatto quell'articolo e quindi di entrare in possesso di una copia del falso documento. In tal senso si è proceduto ad esaminare la posizione di Venturini Franco, all'epoca redattore del quotidiano "Il Tempo" ed attualmente de "Il Corriere della Sera", e di Parboni Stanislao, all'epoca addetto all'ufficio stenografico del quotidiano "Il Tempo" ed attualmente vice capo servizio presso la stessa testata. Venturini confermava di aver partecipato alla conferenza svoltasi presso l'Ambasciata americana a Roma, nel corso della quale fu presentato un opuscolo sui falsi del Servizio sovietico, ma riferiva di non aver scritto l'articolo pubblicato sul quotidiano "Il Tempo" del 24.04.83, nè di aver conservato la copia del documento in questione consegnatagli in quell'occasione (v. esame Venturini Franco, GI 09.05.91). Parboni non aggiunge altro alla deposizione di Venturini; prenderà comunque atto che l'articolo, trovandosi a pagina 21, quindi una pagina "alta", poteva essere stato scritto da uno dei redattori del Servizio estero (v. esame Parboni Stanislao, GI 21.05.91).

Nel frattempo, venivano interessate per rogatoria le autorità americane, alle quali veniva chiesto di dare conferma o meno su questo caso di disinformazione e di inviare, in caso positivo, la copia del falso manuale. (v. rogatoria USA del 13.03.91).

Il 26.09.92 l'autorità statunitense inviava, oltre a copia del falso scritto, una dichiarazione del 6.12.91 di cui s'è accennato poc'anzi, rilasciata da Thomas A. Johnson, sostituto consulente legale presso l'Ufficio di consulenza legale del Dipartimento di Stato, con la quale veniva specificato testualmente che il documento costituiva "una falsa direttiva NATO di una pagina allegata a una copertina modificata di un manuale NATO che era presumibilmente stata ricevuta dall'agenzia di stampa italiana Ansa da una fonte anonima, e sono ora stati contraddistinti dalla scritta "falso" in grassetto. All'epoca, l'Ansa e diversi quotidiani rivelarono che i documenti erano dei falsi".

2. Il documento Remondino.

Il 13 maggio 92 si presentava spontaneamente il giornalista Ennio Remondino per consegnare un documento asseritamente proveniente da un organismo di sicurezza, classificato "Restricted Circulation - Cosmic" con la seguente composizione alfanumerica come elemento identificativo "ACC/SOPS-NZ PP 116".

Il giornalista riferiva di averlo ricevuto da un sedicente esponente della CIA a Nymiga (rectius: Nimega) nei Paesi Bassi, di nome George Mihara; nome sicuramente fittizio in quanto ad altri giornalisti costui si sarebbe presentato con altri nomi. Remondino teneva a precisare che da accertamenti svolti attraverso propri contatti con elementi dell'intelligence italiana e straniera aveva ricevuto conferme di genuinità non tanto sui contenuti quanto sulla forma del documento. Forniva anche una propria interpretazione delle sigle di identificazione del documento: ACC avrebbe dovuto stare per Allied Clandestine Committee; SOPS per Special Operation Plenning Staff; NZ avrebbe dovuto essere una sezione del SOPS; PP per Paper Position; D per 4° esemplare in uscita; il nr.98116 sarebbe stata la data secondo l'ordine in uso nei Paesi anglosassoni, cioè mese, anno, giorno; Rome sta per stazione di Roma. Il documento esibito, continuava il giornalista, sarebbe stata una relazione di ventuno pagine dei vertici Stay Behind, in cui sono elencati, in una sorta di sommario, quattro punti affrontati nel corso dell'incontro (punti 19, 20, 21, 22), di cui nel foglio esibito lo sviluppo del 21 intitolato "Switzerland" (v. esame Remondino Ennio, GI 13.05.92).

I quattro punti citati nel documento concernono: 19) Stazione di Roma ha dato assicurazione al Sops che il nuovo collegamento con Parigi, Giovanni Senzani, si trova sotto contratto. 20) Andreotti ha dato assicurazione al Sops che all'attività di Dalla Chiesa riguardo ad Ustica verrà posto termine prima che la situazione diventi irreversibile. 21) Finanziamento, attraverso canali svizzeri, del progettato piano di Avanguardia, al livello dello scorso anno. 22) Roma dovrà dare assicurazione a Parigi che non ci saranno ulteriori indagini sul conto di Durand.

Le indagini sull'attendibilità del documento hanno consentito di accertare, attraverso ricerche di archivio presso le competenti articolazioni del S.I.S.MI, che non vi era alcuna traccia dell'esistenza di questo documento, tanto da non essere in grado, quel Servizio, d'interloquire sulla sua autenticità. La classifica dei documenti ACC era, di norma, "Cosmic Top Segret"; la qualifica "Cosmic", apposta isolatamente, non aveva significato; la dicitura "Restricted Circulation Cosmic", apposta sul documento, non risultava usata in documenti noti al S.I.S.MI. il S.I.S.DE comunicava, invece, che l'accertamento richiesto rientrava nelle competenze dell'Ufficio Centrale per la Sicurezza (U.C.SI) ubicato presso l'Ufficio Centrale Sicurezza. Avviava pertanto accertamenti ad ampio raggio volti ad identificare la fonte del documento o di altri analoghi. In esito informava che non v'era traccia alcuna in ambito NATO del documento ACC/SOPS-N2 PP 116/D 98116 (v. rapporto Reparto Operativo CC., 27.08.92).

Non si è trattato altro, se ne può concludere, che di un falso alquanto marchiano, con l'intento di collegare la strage, inquinando questa inchiesta, all'organizzazione di Stay Behind in Europa e di chiamare in causa anche in questa vicenda il senatore Andreotti, con l'accusa di aver progettato di soffocare iniziative di Dalla Chiesa su questo gravissimo delitto.

3. Il carteggio Pelaia.

Il 24 novembre 88 i legali di parte civile hanno inviato a questo Ufficio i documenti di seguito elencati, loro spediti da un mittente anonimo: 1. una lettera in data 4 agosto 84 su carta intestata "Legione Carabinieri, Reparto Operativo, 1a Sezione" indirizzata al generale Pietro Musumeci, con firma indecifrabile, nella quale chi scriveva dichiarava di inviare con altra certificazione un documento classificato "Riservatissimo" in merito all'incidente dell'aereo civile Itavia abbattuto da un missile delle Forze Aeree USA il 27 giugno 80; 2. il processo verbale della perquisizione a Pelaia Francesco; 3. il processo verbale di interrogatorio reso da Pelaia al PM di Roma il 6 aprile 84; 4. le buste contenenti i predetti documenti.

Nella lettera, in particolare, il mittente assicurava al destinatario, cioè al generale Musumeci, chiamato Eccellenza, di non aver incluso nel processo verbale di perquisizione: 1.- documento classificato "Riservatissimo" inerente all'incidente aereo dell'aereo civile Itavia abbattuto da un missile delle Forze Aeree USA il 27 giugno 80 nella zona di Ustica; 2.- fotocopia del promemoria in allegato alla perizia autoptica del corpo del pilota libico eseguita il 23 luglio 80 dal prof. Rondanelli Erasmo e dal cardiologo Zurlo Anselmo. In allegato alla lettera una fotocopia del processo verbale di perquisizione nell'abitazione del Pelaia del 3 agosto 84. La lettera porta la data del 4 immediatamente successivo.

Il giorno seguente alla data della lettera dei procuratori e difensori di parte civile, il 25 novembre si presenta spontaneamente a questo Giudice il tenente colonnello Domenico Di Petrillo, il quale dichiara di avere appreso che i familiari delle vittime del disastro di Ustica, tramite i loro legali, avevano diffuso una lettera intestata alla Sezione del Reparto Operativo di cui era responsabile, datata 4 agosto 84 e diretta al generale Musumeci, verosimilmente sottoscritta da un sottufficiale. Esibitagli la lettera, l'ufficiale riconosceva per propria la sottoscrizione di essa, ma contestava di aver mai inviato quello scritto o qualsiasi scritto al generale Musumeci, riconoscendo peraltro di aver effettivamente eseguito la perquisizione in casa Pelaia su delega del PM Sica (v. esame Di Petrillo Domenico, GI 25.11.88).

Conferma, in tal senso, giungeva anche dal generale Musumeci che dichiarava di non essersi mai occupato delle vicende di Ustica, precisando, in relazione alla lettera apparentemente a lui indirizzata, che nell'84 non si trovava più in servizio. Osservava, inoltre, che non gli competeva il titolo di "Eccellenza", e di non aver mai avuto rapporti con il maggiore Di Petrillo, firmatario della lettera (v. esame Musumeci Pietro, GI 02.12.88).

Pelaia, escusso, dopo aver confermato di aver lavorato per il S.I.S.MI dal 1980 al 1981 con l'incarico di addetto culturale presso l'Ambasciata d'Italia in Lussemburgo e funzioni informative anche presso il Parlamento europeo a Strasburgo, e di aver subito una perquisizione nell'84, nel corso della quale gli erano stati sequestrati i documenti elencati nel processo verbale di sequestro, dichiarava di non essere mai stato in possesso di un documento riservatissimo relativo all'incidente di Ustica né di qualsiasi altro documento relativo a questa vicenda né tantomeno della fotocopia di un promemoria allegato alla perizia del corpo del pilota libico (v. esame Pelaia Francesco, GI 02.12.88).

4. La vicenda Montorzi.

Nel luglio dell'89 a Bologna - com'è noto da altre vicende processuali - l'avvocato Montorzi, legale di parte civile nel processo sulla strage di Bologna, rassegnava le dimissioni dall'incarico affidatogli dall'Associazione Familiari delle vittime della strage di Bologna. Tale decisione, a dire del Montorzi, sarebbe scaturita dal convincimento che vi sarebbero stati, nel processo per quella strage, inquietanti collegamenti tra i giudici, gli avvocati di parte civile ed i dirigenti del PCI bolognese. Queste dichiarazioni e la conseguente scelta suscitavano non poche polemiche e perplessità, in quanto il Montorzi il 5 luglio precedente si era recato in compagnia del giornalista Cristiano Ravarino dal noto Licio Gelli; incontro che sarebbe stato organizzato dallo stesso Ravarino. La vicenda diventò ancor più inquietante dal momento che il generale Notarnicola di lì a poco denunciava al GI di Venezia pregressi contatti tra l'avvocato Montorzi ed il Capo Centro del S.I.S.MI di Bologna.

Questi fatti ebbero forti ripercussioni nell'ambito del processo di appello che era in corso a Bologna. Il settimanale "L'Espresso" nell'edizione dell'8 ottobre 89 pubblicava un articolo dal titolo "In nome di Gelli", in cui veniva fatto riferimento, tra l'altro, ad un nastro registrato, diviso in due parti; di cui nella prima, una voce metallica, che in un italiano con un forte accento straniero, annuncia: "Le verranno svelati alcuni segreti della Repubblica italiana"... . "Ma torniamo al nastro e ai segreti in esso contenuti. Eccone un campione: il riciclaggio di denaro sporco da parte di un grande finanziere italiano attraverso la Boston Bank, i collegamenti tra la strage della stazione di Bologna del 2 agosto 80 e il disastro aereo di Ustica accaduto poco più di un mese prima, l'origine dell'informazione giunta all'economista Romano Prodi sul luogo, via Gradoli, in cui Aldo Moro era tenuto prigioniero...". "Tale nastro, sempre a dire dell'articolista sarebbe stato custodito nello studi dell'avv. Montorzi, e sarebbe stato asportato da ignoti. Al Montorzi la cassetta sarebbe stata consegnata dal giornalista Ravarino che l'avrebbe a sua volta ricevuta da Miami, e che dopo il furto quest'ultimo si sarebbe recato dai CC. a denunciare il fatto e per dire di correre seri pericoli per la propria incolumità." (v. rapporto DCPP 02.03.92).

Il Reparto Operativo dei CC. di Bologna, al quale il giornalista Ravarino si era rivolto per denunciare la scomparsa del nastro, a richiesta dell'Ufficio inviava il rapporto datato 20.07.89 che si ritiene utile riportare: "Alle ore 20.30 circa del 2 luglio corrente il comandante della Regione riceveva sulla linea telefonica diretta una telefonata da parte del nominato in rubrica (Ravarino) che asseriva di aver ricevuto minacce di morte a mezzo telefono ed aggiungeva di aver consegnato un micronastro all'avvocato Montorzi perchè lo facesse sentire al giudice Mancuso. Concludeva affermando di non aver saputo più nulla dell'incarico affidato al legale e che il micronastro era stato asportato dallo studio di quest'ultimo, unico oggetto tra tanti oggetti anche di valore, da ignoti ladri. Invitato presso gli uffici del nucleo operativo, il Ravarino riferiva che:

- presta la sua attività di giornalista per conto di una trentina di riviste, fra le quali alcune straniere;

- un mese e mezzo fa circa aveva ricevuto per posta, in busta cartonata, una microcassetta, con timbri postali di Miami (USA), che aveva ascoltato il giorno stesso;

- nella microcassetta era inciso quanto segue: "questo nastro contiene i seguenti argomenti che nei dettagli sono stati però registrati ad altissima velocità. Il modo con cui De Benedetti utilizza i narcodollari colombiani attraverso la Boston Bank; perchè il tiratore scelto non italiano di via Fani contemporaneamente reputò utile avvertire Prodi che Moro era nascosto in via Gradoli. In che modo nell'archivio di radio Praga è occultato l'archivio segreto del Partito Comunista Italiano. Perchè il 2 agosto coprì Ustica. Quello che Licio Gelli non ti ha detto sui vertici della P2". Subito dopo il nastro era incomprensibile;

- dovendosi recare in quel periodo ad Arezzo da Licio Gelli, aveva ritenuto di poterlo decriptare presso di lui, dato che immaginava che fosse in possesso di qualche apparecchio per renderlo comprensibile;

- aveva anche progettato di poter utilizzare il micronastro per esercitare una pressione sul "venerabile maestro" allo scopo di prendere visione dei suoi archivi sulla Repubblica di Salò e sul Governo Scelba;

- Gelli gli aveva consigliato di affidare il nastro ad un magistrato inquirente di assoluta fiducia ed egli aveva istintivamente pensato al dott. Libero Mancuso. Per tale motivo consegnò la cassetta all'avvocato Montorzi che a sua volta avrebbe dovuto dare il nastro al magistrato;

- all'avvocato Montorzi aveva riferito che il nastro conteneva un colloquio riservato da lui avuto con Gelli;

- aveva telefonato ai CC., perchè preoccupato per aver ricevuto - alcuni giorni dopo la comunicazione datagli dal legale che il nastro era scomparso - una telefonata con la quale una voce con accento straniero, pure esprimendosi in corretto italiano, gli aveva elencato nomi e indirizzi di due suoi lontani parenti americani ed italiani, aggiungendo: "smetta di atteggiarsi a detective, come vede sappiamo tutto di lei, la prossima volta non l'avvertiamo";

- aveva messo in collegamento questa telefonata con la sparizione del nastro;

- era sicuro di avere il telefono sotto controllo, perchè possiede un rilevatore elettronico, capace di segnalare i casi di intercettazione;

- aveva avuto la sensazione di essere pedinato;

- non voleva apparire affetto da manie di persecuzione.

Sentito l'avvocato Montorzi Roberto, questi riferiva che:

- era legale di fiducia di Cristiano Ravarino, imputato in un procedimento penale pendente avanti al tribunale di Bologna;

- effettivamente un paio di mesi fa aveva incontrato Ravarino per motivi del suo ufficio e nella occasione questi gli aveva consegnato alcune fotografie scattate durante una festa alla quale aveva partecipato Licio Gelli. Dall'assistito aveva ricevuto mandato di farle pervenire al dr. Mancuso, cui erano state promesse;

- tramite il suo sostituto, dr. Pizzi, le aveva inviate al magistrato;

- in altra successiva occasione effettivamente Ravarino gli aveva consegnato un nastro, contenente, a suo dire, una intervista a Gelli;

- al momento della consegna della microcassetta, Ravarino gli aveva riferito che l'intervistato aveva fatto alcune dichiarazioni riguardanti lui ed il dr. Mancuso, a cui poteva consegnare il nastro qualora lo avesse ritenuto di interesse;

- non avendo tempo da perdere e poichè la cosa gli sembrava di scarso interesse, aveva affidato il nastro alla sua segretaria Verbari Rita, con preghiera di ascoltarlo a tempo perso e di riferirgli eventuali frasi riguardanti lui ed il suddetto magistrato;

- la segretaria aveva parzialmente ascoltato il nastro, senza rilevare nulla di importante;

- alcuni giorni dopo la citata consegna, aveva subito un furto nello studio nel corso del quale i ladri avevano rubato il radioregistratore che si trovava sulla scrivania della segretaria ed al cui interno si trovava il nastro di Ravarino;

- aveva denunciato il furto al nucleo di PG;

- della mancanza della cassetta si era accorto in un secondo tempo come fatto conseguente al primo;

- era da escludere che i ladri nel consumare il delitto si fossero posti l'obbiettivo di asportare il nastro (v. rapporto Reparto Operativo CC del 30.12.94 e relativi allegati).

Anche il S.I.S.MI interessato dal CESIS interviene sulla vicenda, comunicando che non erano emersi ulteriori elementi in ordine all'acquisizione del nastro da parte del giornalista Cristiano Ravarino, nè in merito al suo contenuto, e ponendo in evidenza contraddizioni tra quanto dichiarato dal Ravarino - il plico proveniva da Miami e conteneva notizie sulle stragi di via Fani, di Bologna e di Ustica - e le dichiarazioni del Montorzi - secondo cui il nastro concerneva invece una intervista a Gelli. Il documento conclude affermando che la vicenda appare carente di dati certi per una concreta valutazione, ma che, tuttavia, in considerazione dell'ambigua personalità del Ravarino, definito millantatore ed opportunista che vive notoriamente di espedienti, alimentando intrighi e collusioni non sembra potersi escludere che il tutto sia stato artatamente montato per fini personali, al momento non chiari (v. missiva S.I.S.MI 01.12.89, in atti S.I.S.MI trasmessi dal GI di Bologna in data 07.11.92).

5. L'anonimo al GI di Venezia.

Il 3 gennaio 85, giungeva al Giudice Istruttore di Venezia una missiva anonima in busta con il timbro di annullo postale; "Roma Ferrovia-22.12.1984". Nella missiva si formulava l'ipotesi di connessione tra la strage di Peteano e quella di Ustica. L'anonimo scriveva: "il DC9 dell'Itavia caduto tra le isole di Ponza e Ustica il 27 giugno 80 non è stato un incidente tecnico. L'aereo è stato abbattuto perchè a bordo c'era una persona che non solo sapeva molte cose sulla strage di Peteano, ma che quasi certamente era uno dei responsabili, avendo egli reperito l'esplosivo T4 necessario per l'attentato del 31 maggio 72 ... . Questa persona è stata uccisa perchè si sospettava che colpita da una forte crisi di coscienza potesse parlare a lei dottor Casson agli inizi dell'autunno del 1980 ... il DC9 è stato abbattuto con un missile terra-aria in dotazione ai cacciatorpediniere della Marina. Il missile deve essere stato rubato dall'arsenale militare di Taranto (tale denuncia non è stata mai esplicata) ed è stato sparato da un motopescherecchio di altomare. L'attentato è stato commissionato da ex aderenti veneti e romani ad Ordine Nuovo ed è stato eseguito da nove mercenari stranieri. Essi dopo aver lanciato il missile Terrier contro l'aereo sono fuggiti in direzione di Alicudi, dove dopo aver raggiunto Catania, sono ritornati in aereo a Roma. Il S.I.S.MI era già sulle loro tracce dopo il furto dell'arsenale di Taranto, ma non fece niente per fermarli. Tali informazioni furono raccolte dai nostri agenti e poi confermate da alcuni riscontri eseguiti sui reperti dell'aereo, ma al magistrato è stato negato tutto. I periti dell'Aeronautica Militare di via Tuscolana a Roma incaricati dal magistrato di eseguire la perizia sui reperti recuperati hanno riferito al giudice notizie e dati falsi per mettere il magistrato su una pista sbagliata". L'anonimo estensore conclude affermando di essere "un ex agente del S.I.S.MI andato in pensione da poco", assicurando di aver raccolto le notizie da riscontrate indagini personali, invitando "ad indagare su questi fatti e vedrà che muro di gomma si troverà davanti".

Le indagini preliminari sui contenuti dell'anonimo, affidate dal GI di Venezia all'Ucigos, si concludevano con un nulla di fatto e confermavano l'impressione di una lettera inventata di sana pianta, a fini di disinformazione, tanto più che gli unici riscontri obiettivi accertabili - furto del missile terra-aria ed indicazioni relative alla lista dei passeggeri dei voli effettuati tra Catania e Roma tra il giugno dell'80 ed il luglio 80 - non trovarono alcuna conferma.

A ciò deve aggiungersi il madornale errore compiuto dall'anonimo, lì ove affermava che l'obbiettivo preso di mira dagli ex ordinovisti era persona che avrebbe dovuto parlare con il GI di Venezia nell'autunno dell'80 della strage di Peteano. Invero solo nell'82 il procedimento penale sulla strage di Peteano sarà affidato al giudice istruttore destinatario della missiva anonima.

Ignoti rimangono i motivi per i quali l'anonimo estensore indicò al GI di Venezia questa falsa pista. L'84 è l'anno della formalizzazione dell'inchiesta e solo il mese prima dell'invio dell'anonimo il Ministro della Difesa Spadolini, rispondendo a interrogazioni parlamentari sulle cause della sciagura aerea, aveva dichiarato che "l'inchiesta ha evidenziato che a provocarla è stata la deflagrazione di un ordigno probabilmente confezionato con esplosivo del tipo T4, ma che al momento non è possibile affermare se l'ordigno fosse stato collocato all'interno dell'aereo oppure provenisse dall'esterno dell'aeromobile".

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