Nell'89 è stata compiuta una sorta di consulenza, per incarico della Commissione Stragi, da parte dei professori Dina e Giusti sulla data della morte del pilota. A tal fine furono da quella Commissione esaminati tutti coloro che avevano ispezionato o dissezionato il cadavere, e cioè il dottor Scalise e i professori Zurlo e Rondanelli.
Il primo in quella sede dichiarò di aver effettuato nella sua carriera di medico condotto di Castelsilano poche autopsie, ma decine di ispezioni di cadavere su morti di campagna. Nel suo luogo di origine v'è una forte esperienza di cadaveri e carogne, continuava nelle sue dichiarazioni; l'intera popolazione di Castelsilano è abituata a vedere ammazzare gli animali. "Quando moriva un mulo o un asino si usava buttarli giù dal burrone e i ragazzi andavano ad assistere a questa scena e a vederli dopo tre o quattro giorni in fase di colliquazione, per vedere se il corvo o la volpe l'avesse sventrato. È una popolazione abituata a vedere gli animali in casa, e non solo la popolazione adulta, ma anche i bambini". In base a questa sua esperienza lo giudica dopo averlo spogliato - voleva appropriarsi anche delle mutande del morto - un cadavere "fresco".
Lo Scalise rispose in seguito a tutta una serie di domande d'ordine medico, che saranno poi esaminate da Dina e Giusti nella loro relazione scritta. Aggiunse, in questa deposizione, che diverse persone, tra cui suoi amici, avevano scattato fotografie, ma che tutti i rullini erano stati immediatamente sequestrati - anche in questo caso le fotografie sono sparite. Non si riesce nemmeno a comprendere nè il motivo dei sequestri nè chi via abbia provveduto. Non di certo l'AG anche sotto questo aspetto assente. Con probabilità i Carabinieri o qualcuno del SIOS o del S.I.S.MI già giunto sul luogo. La ragione, una sola, la stessa che determinò la sparizione delle fotografie scattate durante l'autopsia: impedire che si prendesse cognizione del reale stato del cadavere.
Il secondo, Zurlo, confermò di aver redatto, come richiestogli dalla locale Procura la perizia ad horas; di aver corretto l'aggettivo "avanzato", riferito allo stato di putrefazione, in "avanzatissimo"; di aver presentato un supplemento dopo pochi giorni. Dichiarò inoltre che la pelle delle dita era stata richiesta e consegnata ad un "ufficiale dei servizi segreti"; che qualcuno, non appartenente alla Compagnia dei Carabinieri di Crotone, aveva scattato fotografie alle singole parti del cadavere che venivano prelevate con due pinze da Rondanelli e dal suo aiutante; che a Rondanelli, mentre era nel suo studio era pervenuta una telefonata da un ufficiale che gli aveva rivolto domande diverse dai quesiti del magistrato. Rispose quindi a numerose domande di Dina e Giusti sullo stato del cadavere riesumato, risposte che come quelle di Scalise verranno vagliate dai due consulenti della Commissione nel loro elaborato.
Anche il terzo, Rondanelli, confermò le circostanze dell'autopsia, ribadendo in particolare che i Carabinieri avevano provveduto a portare il fotografo, che aveva scattato circa venti fotografie a mano a mano che i reperti da loro periti "venivano evidenziati tenendoli tra due pinze"; e ribadendo altresì che proprio da questo fotografo gli era stato chiesto se fosse possibile prelevare parti di cute al fine di ricavarne le impronte digitali. Confermò altresì che non era stato possibile procedere a una vera e propria perizia, con analisi dettagliata degli organi e prelievi per esami istologici; che anzi fu proprio detto di non procedere a questi rilievi, ma solo ad una sorta di ricognizione di cadavere, giacchè sia il Procuratore che gli altri "funzionari presenti" dovevano "concludere velocemente anche perché era stato preventivato un collegamento telefonico presso il mio studio con Roma per comunicare i risultati". Confermò infine di aver redatto la "memoria aggiuntiva" di una pagina e mezza e di averla consegnata alla segreteria della locale Procura. Rispose quindi a una serie di domande d'ordine medico-legale.
Lo scritto della consulenza così conclude "Riteniamo che il problema principale da risolvere concerna l'epoca della morte del pilota libico. Non è peraltro inopportuno spendere qualche parola circa le cause della morte.
In primo luogo però merita un breve commento la indagine medico-legale che è stata condotta.
Al riguardo, si fanno anzitutto rilevare le difficili condizioni ambientali: il dr. Scalise ha fatto la sua ispezione sul costone del monte in un pomeriggio caldo e assolato, circondato dai soccorritori e dai curiosi, dettando subito le sue osservazioni; i professori Zurlo e Rondanelli hanno effettuato l'autopsia in una sala settoria che, a loro parere per essere benevoli, non rispondeva ai requisiti previsti nel Regolamento di Polizia Mortuaria, anch'essi circondati da molte persone, e con ogni probabilità indotti a rispondere ai quesiti con la massima celerità.
Detto questo, però occorre anche porre l'accento su talune omissioni ed imprecisioni che compaiono nel verbale di ispezione cadaverica del dr. Scalise e nella relazione dei professori Zurlo e Rondanelli.
Nel verbale del dr. Scalise non è descritto alcun elemento oggettivo a carattere crono-tanato-diagnostico: non la temperatura del cadavere, non la rigidità, non la comparsa delle ipostasi, non la macchia verde putrefattiva. Si parla solo di "incipiente stato di decomposizione", il che è una interpretazione e non una descrizione e che comunque il dr.Scalise ha spiegato successivamente intendendo con quella frase la certezza di una putrefazione rapida poiché il cadavere era stato tutto il giorno al sole, ed in quel periodo la temperatura era elevata.
Anche i dati tanatologici contenuti nella redazione Zurlo-Rondanelli sono quanto mai scarsi: si accenna all'avanzatissimo stato di decomposizione del cadavere, alla necrosi gassosa, ai nidi di larve, allo stato della cute della mani. Otto anni dopo e anche all'udienza del 26 luglio 89 il prof. Rondanelli parla di sfilacciamento dei polmoni, di collasso del fegato, di milza trasformata in un sacchettino contenente liquame, di pancreas e surrenali non più rintracciabili, aggiungendo cioè questi dati che non comparivano nel verbale.
In ambedue le relazioni si nota un grande disordine espositivo e la sequenza abituale della relazione stessa non è rispettata. I termini tecnici spesso non sono impiegati nel significato abituale e gli errori contenuti nella relazione Zurlo-Rondanelli e nelle varie deposizioni sono numerosi. Errori tecnici rilevanti vista l'importanza attribuita al caso sia sul piano giudiziario sia sul piano politico, sono costituiti, per esempio, dalla mancata apertura delle arterie coronarie e dal mancato prelievo di organi per esami istologici e tossicologici.
Tutto ciò premesso, torniamo al nostro problema, attenendoci alle descrizioni e non alle interpretazioni per giungere ad una cronotanatodiagnosi possibilmente soddisfacente sul piano tecnico.
Il dr. Scalise, giunto fra i primi sul luogo dell'incidente, si è detto certo che si trattava di cadavere molto recente. Importa ricordare che egli non ha rilevato alcuna caratteristica putrefattiva nella sua ispezione del 20 luglio 80. Ha anche detto che vi era del sangue che cominciava a coagulare, e di aver toccato un piede amputato ed un occhio che era fuori dalla sua orbita e che indubbiamente essi erano freschi e che il cadavere non presentava rigidità.
Numerosi vigili del fuoco, che hanno tratto il cadavere nel burrone, hanno riferito che il paracadute che avvolgeva il cadavere era sporco di sangue, e che il cadavere non presentava rigidità.Il maresciallo Cisaria ha testimoniato della presenza di sangue color vermiglio e dell'assenza di qualsiasi traccia di putrefazione.Il maresciallo Raimondi ha descritto una pozza di sangue, fluida al centro e aggrumata ai bordi.Altri hanno descritto l'assenza di insetti e di cattivo odore del cadavere.
Questi elementi, pur nella loro frammentarietà, nondimeno sono talmente chiari da non consentire dubbi sul fatto che il cadavere osservato era molto recente. Ci sembra estremamente significativa la caratteristica del sangue, che non si era ancora del tutto addensato dopo essere stato versato, e che aveva sporcato il paracadute (e dunque ancora liquido) nel quale era stato avvolto il cadavere.
Quanto all'assenza di rigidità al momento del recupero del cadavere, essa può spiegarsi col fatto che non si era ancora instaurata, o col fatto che non poteva instaurarsi perché il cadavere era gravemente traumatizzato, o col fatto che era stata vinta nel suo formarsi a causa delle manovre di trasporto. Esaminando però le fotografie relative al sopralluogo, ed in particolare le mani del pilota, ci sembra di poter dire che almeno alle dita delle mani la rigidità era presente. Inoltre, cosa più importante, dalle fotografie del sopralluogo emerge con chiarezza il fatto che si tratta di un cadavere recente.
Gli elementi sopra segnalati consentono dunque di affermare che si tratta di cadavere di persona deceduta da non più di alcune ore.
Inoltre ricordiamo che se si fosse trattato di cadavere di persona deceduta da uno o due giorni, abbandonata in quel luogo, i soccorritori non avrebbero mancato di rilevare i segni della putrefazione che, in quelle condizioni ambientali, sono molto precoci ed evidenti: in particolare lo sviluppo dell'enfisema putrefattivo sarebbe già stato evidente in seconda giornata e avrebbe conferito al cadavere un aspetto gigantesco e un odore molto sgradevole.
Giunti a questo punto della discussione sembrerebbe inutile proseguire: dobbiamo peraltro farlo, poiché i periti Zurlo e Rondanelli hanno dato una interpretazione equivoca dei loro stessi risultati.
Non è questa la sede per proporre una trattazione dei fenomeni cadaverici: essa si trova in qualunque testo, anche elementare di medicina legale a cui si rimanda il lettore che voglia approfondire l'argomento.
Ricordiamo soltanto che le fasi della putrefazione tipica (escludendo pertanto la corificazione che riguarda i cadaveri sepolti in bare di zinco, la saponificazione, che riguarda i cadaveri mantenuti a lungo in acqua, e la mummificazione che si verifica in particolari condizioni ambientali) sono le seguenti: la fase cromatica - la fase enfisematosa - la fase colliquativa - la riduzione scheletrica.
L'andamento e la velocità di tali fasi sono condizionati soprattutto dalla temperatura ambientale. L'esperienza insegna che nei cadaveri lasciati all'aperto in estate, nei nostri climi, la fase cromatica è già evidente entro il primo giorno (macchia verde addominale, seguita dalla sua estensione e dalla formazione del cosiddetto reticolo venoso putrefattivo), mentre già in seconda giornata può essere evidente la fase enfisematosa (formazione di gas negli organi e nelle cavità). La formazione di liquame (fase colliquativa) segue nei giorni immediatamente successivi.
Quanto alla presenza di larve di ditteri, in punti particolari (orifizi, ferite) la deposizione dell'uovo si può verificare già in fase agonica e lo sviluppo della larva, se la temperatura è favorevole, avviene già dopo uno o due giorni, e lo sviluppo è molto tumultuoso.
L'andamento della putrefazione negli organi interni segue criteri differenziati. L'encefalo per lo più colliqua rapidamente: d'estate, può assumere un aspetto cremoso in due o tre giorni. Il cuore assume un aspetto a foglia morta, diventa flaccido e brunastro, e le sue pareti si assottigliano. I polmoni perdono liquido e si acquattano nelle docce paravertebrali. Il fegato assume un aspetto a nido d'ape, per la formazione di gas, e un colorito nerastro. La milza colliqua rapidamente. I reni rimpiccioliscono, diventano flaccidi e di colorito roseo rossastro. Pancreas e surreni vanno rapidamente in autolisi.
Se confrontiamo questi dati, che sono quelli della dottrina e dell'esperienza con quelli ricavabili dalla relazione e dalle deposizioni dei professori Zurlo e Rondanelli dobbiamo concludere su questo punto che essi sono perfettamente compatibili con l'indicata epoca della morte e cioè il 18 luglio 80.
Fattori ambientali che hanno accelerato la putrefazione sono rappresentati dalla elevata temperatura e dalla esposizione al sole per molte ore. La tumulazione ha rallentato la putrefazione rispetto all'andamento che essa avrebbe avuto all'aperto. Le vaste ferite, specie dei visceri, l'hanno favorita, mentre la grande perdita di sangue può averla rallentata.
In conclusione anche sotto questo punto di vista non si notano contraddizioni con quanto rilevato il 18 luglio. Non ci sembra quindi giustificata la retrodatazione della morte che è stata affermata in alcune deposizioni e che sarebbe contenuta in una relazione peritale supplementare dei professori Zurlo e Rondanelli.
Poche parole infine sulla natura delle lesioni riportate dal pilota. Si tratta di lesioni di ordine traumatico, riferibili genericamente ad un grande traumatismo. La natura delle lesioni tende ad escludere che esse si siano prodotte per una esplosione del velivolo o per cause diverse da quelle indicate, e cioè per impatto dell'aereo al suolo: l'asportazione della calotta cranica, lo sfondamento del torace, le fratture del bacino e degli arti sono compatibili con il brusco arresto del velivolo al suolo e con l'urto del corpo del pilota contro le strutture solide della cabina dell'aereo e con la successiva proiezione del corpo all'esterno.
In base agli elementi disponibili, si ritiene che la morte del pilota libico dell'aereo MiG23 si sia verificata in occasione e per causa dell'incidente aereo del 18 luglio 80.
La retrodatazione della morte non trova conforto negli elementi di ordine cronotanatodiagnostico". (v. relazione professori Mario Alberto Dina e Giusto Giusti, 24 agosto 89).
La vicenda del cadavere del pilota è certamente una delle più tormentate dell'inchiesta. Su di essa non sono di ausilio né le testimonianze né gli accertamenti tecnici, perché tutti gli atti in forte contrasto tra loro. Sarebbero state sufficienti le fotografie scattate durante l'autopsia - si ricordi che nella ventina scattate ve n'erano una o più dell'intera salma - od anche quelle riprese dai privati accorsi sul luogo il 18 luglio. Di certo non sono valide quelle in atti, in primo luogo perché non risulta chi le abbia fatte, nè in secondo luogo - come ebbe a rilevare uno dei periti al maggiore medico AM precipitatosi a Crotone - quando siano state scattate.
Contraddizioni tra verbale di sopralluogo e testimonianze. Nel sopralluogo si legge di un sasso intriso di sangue misto a materia cerebrale e che non si notano rilevanti quantità o rigagnoli di sostanze ematiche. Il maresciallo Cisaria parla di sangue coagulato di colore vermiglio; il maresciallo Raimondi di un rigagnolo a partire dalla testa, i cui lati esterni erano coagulati, mentre al centro appariva fresco.
Contraddizioni sullo stato della salma, nello stesso medico che procede all'ispezione cadaverica; da un lato attestazione di freschezza e di assenza di rigidità cadaverica; dall'altro l'incipiente stato di decomposizione tanto da consigliare l'immediato seppellimento del cadavere per spappolamento dei visceri addominali, evitandone anche la conservazione in cassa nella camera mortuaria del cimitero. Da un lato questo stato unito allo schiacciamento di tutte le ossa craniche e a fratture varie ed esposte con brandelli di carne in tutte le parti del corpo; dall'altro il desiderio di appropriarsi, da questo corpo così ridotto, delle mutande del morto. Da un lato testi che affermano che il cadavere non emanava cattivo odore e che addirittura, pur essendo rimasto all'aperto per alcune ore, non v'erano tracce di mosche né di altri insetti, dall'altro testi che dichiarano che quel cadavere addirittura non si poteva tenere per il fetore.
È questo uno strano cadavere che nel giro di pochissime ore - raggiunto e visto qualche tempo dopo che la notizia s'era sparsa in paese quando Carabinieri ed altri erano discesi nella forra, ispezionato alle 17.00 (mezz'ora prima del sopralluogo), chiuso in cassa prima di sera - dapprima si presenta fresco e inodoro, poi deve essere immediatamente tumulato per l'incipiente decomposizione e per il fetore.
A questo punto si devono condividere le critiche mosse dalla Relazione della Commissione parlamentare al dottor Scalise. Costui nella sua ispezione non descrive alcun elemento oggettivo di carattere tanatologico: non la temperatura del cadavere, non la rigidità, non la comparsa delle ipostasi, non la macchia verde putrefattiva. Riferisce soltanto dell'incipiente stato di decomposizione, che a detta dei relatori è una interpretazione e non una descrizione. Frase che comunque lo Scalise spiega asserendo che con essa intendeva la certezza di una putrefazione rapida, poiché il cadavere era stato tutto il giorno al sole ed in quel periodo la temperatura era particolarmente elevata. A dire il vero quel cadavere non era stato tutto il giorno al sole; se era caduto qualche tempo dopo le 11.00 e la visita era avvenuta alle 17.00, era rimasto esposto cinque ore e rotti. Non solo: non si era al solleone né vi è alcuna notizia di giornata particolarmente calda; si trattava di un'ordinaria giornata di luglio in un territorio collinare.
Scalise in definitiva non si è preoccupato di nulla, o qualcuno anche a lui ha suggerito di fare in fretta e di non preoccuparsi di nulla. La causa di morte come l'ora apparente dell'incidente erano evidenti, e non è andato per il sottile. L'unico fatto che lo colpisce - e colpisce anche chi legge e scrive oggi - è lo stato di putrefazione che stranamente comincia a meno di sei ore dalla morte e lo induce ad ordinare la immediata tumulazione di quella salma.
Di essa poi si deve fare autopsia, così come richiesto dall'AM, ma un'autopsia superficiale senza esami dei tessuti e degli organi, come disposto dall'AG e da coloro che la consigliavano. Al punto tale da far ritenere che essa fu fatta solo per acquisire quella documentazione fotografica che fu compiuta non da PG e quindi su disposizione dell'AG, ed immediatamente dopo scomparve.
L'evoluzione della decomposizione di questa salma comunque colpisce non solo Scalise, ma anche Zurlo e Rondanelli. Prima però di affrontare le questioni della perizia, è bene ricordare le vicende della riapertura del loculo, della esposizione nella camera mortuaria, della operazioni di dissezione. Tutte queste fasi furono caratterizzate dalla emanazione di straordinario fetore della salma, impossibile a sopportarsi anche da parte degli addetti ai lavori. Coloro che provvidero a smurare il loculo furono costretti a fuggire subito dopo la riapertura; la salma fu lasciata nella cassa, aperta, nell'unico vano che fungeva da camera mortuaria nel cimitero di Castelsilano; l'indomani l'odore che tuttora permaneva insopportabile, costrinse all'uso delle maschere.
Ritornando all'evoluzione della decomposizione, si deve ricordare che i periti già nell'immediatezza della compilazione dell'elaborato peritale ebbero un ripensamento, e corressero quell'avanzato, al riguardo dello stato di decomposizione, che già di per sé era segno di straordinarietà, in avanzatissimo, superlativo, segno più che evidente di una situazione che colpì particolarmente quei periti. E che li indurrà di lì a poche ore addirittura a redigere un supplemento di perizia per retrodatare il tempo della morte.
Molto s'è detto su questo supplemento di perizia. Esso in effetti non è stato rinvenuto negli uffici della Procura ove sarebbe stato depositato. Ma da questo mancato rinvenimento non si può dedurre che esso non sia mai esistito. In primo luogo non v'è alcuna ragione per porre in dubbio la parola dei due periti, che proprio per essere stati nominati tali dovevano godere della fiducia dell'ufficio giudiziario. Non solo: le dichiarazioni provengono da entrambi e sono sostanzialmente concordi. Non si vede per quale ragione tutti e due dovessero sostenere questa tesi e accordarsi in tal senso. S'è criticata la brevità di questo supplemento, ma non v'era motivo perché dovessero scrivere un lungo testo, anche perché a quell'epoca non vi erano contrasti e nessuno aveva sostenuto tesi contrarie. Una pagina e mezza era più che sufficiente per esporre il ripensamento. Ripensamento che non deve assolutamente essere inteso in senso negativo, ma al contrario come segno dell'onestà intellettuale di quei periti. Periti che probabilmente non erano i migliori in senso assoluto, ma godevano della fiducia, come si è detto, di quell'Ufficio che li aveva nominati; in particolare il Rondanelli che aveva proceduto per incarico di quell'AG a diverse riesumazioni, mentre Zurlo era proprio medico-legale. Senza tener conto - anche su questo s'è discusso - che lo smarrimento di un atto, indipendentemente dall'efficienza degli uffici di segreteria e di cancelleria, è sempre possibile in un'inchiesta.
Ma al di là di tutte queste considerazioni, v'è un fatto che sgombra il campo da ogni dubbio e perplessità sull'esistenza di questo supplemento. È certo cioè che se non fosse esistito questo supplemento di perizia, supplemento che con la sua retrodatazione metteva in discussione la data di caduta del MiG, non vi sarebbe stata alcuna necessità di inviare con la massima urgenza a Crotone un ufficiale medico, quell'ufficiale che stava seguendo il caso, per incontrare i due periti ed interrogarli sulla data della morte. Questo il 25 di luglio, quando il 23 i periti avevano avuto già un appuntamento e colloquio telefonico con ufficiale AM del Ministero a Roma - probabilmente lo stesso Simini - cui avevano riferito per filo e per segno le vicende dell'autopsia e alle cui domande precise e specifiche avevano già risposto. Una novità deve aver determinato la missione. E una novità grave, perchè la missione fu disposta con immediatezza ed eseguita con urgenza, addirittura con volo speciale. E la materia dell'incontro era stata così importante e riservata, che colui che lo aveva organizzato, il capitano Inzolia, ha sempre negato l'evento, che solo casualmente, come s'è detto, è stato scoperto.
I periti con l'autopsia avevano accertato quanto già s'è scritto: in particolare, oltre i danni al sistema osseo, avevano accertato che al posto della massa cerebrale era stato rinvenuto solo liquame; che la milza, i polmoni e il fegato presentavano il tipico stato colliquativo in quanto i polmoni si sfilacciavano, il fegato era completamente collassato e la milza ridotta a un sacchetto contenente liquami; che le surrenali e il pancreas erano praticamente scomparsi per necrosi colliquativa; che la pelle delle mani si era sfilata a mo' di guanto, per il fatto che la cute, completamente disidratata, si era incartapecorita e quindi scollata dai tessuti sottocutanei in conseguenza del processo di colliquazione.
A Zurlo e Rondanelli è stata mossa critica da parte della Relazione della Commissione parlamentare per la mancata apertura delle arterie coronarie e il mancato prelievo di organi per esami istologici e tossicologici. Ma v'è da ricordare che in tal senso fu richiesto da chi dispose la perizia e da coloro che davano consigli, che oltretutto imposero anche tempi strettissimi in vista dell'appuntamento - bisognava raggiungere Crotone da Castelsilano - con il Ministero di Roma.
I periti della Commissione parlamentare tentano poi di dare una soluzione alle questioni poste da Zurlo e Rondanelli. E quindi ricordano, come già s'è scritto, le fasi della putrefazione tipica; le condizioni dell'andamento e della velocità di tali fasi; e che l'andamento della putrefazione negli organi interni segue criteri differenziati.
Ma in effetti i professori non sono precisi sugli archi temporali entro cui questi fenomeni si verificano. Solo per l'encefalo affermano che il fenomeno accade d'estate nell'arco di due o tre giorni. Per il resto alcun termine, alcuna condizione. Specificano invece le condizioni che accelerano e quelle che decelerano la putrefazione. Cause di accelerazione ovviamente la elevata temperatura, l'esposizione al sole, le ferite dei visceri; cause di decelerazione la tumulazione, le grandi perdite di sangue. Ma al riguardo del nostro caso si deve ripetere che l'esposizione - almeno quella presunta - non si protrasse per l'intero giorno, bensì per un numero limitato di ore, e comunque quando quel cadavere fu ispezionato era "fresco". Si deve anche dire che quell'area, quel comune, ove il cadavere fu rinvenuto e poi tumulato, nonostante la latitudine non soffre di eccessive temperature; basta ricordare che Castelsilano, nel cui cimitero avvenne la tumulazione, è un comune sito a 915 metri sul mare, quasi a mille metri di altitudine. Il cadavere è rimasto sempre a questa altezza, sia nella fase della tumulazione, che in quella della estumulazione nella notte tra il 22 e il 23 alla sala mortuaria aperta al rigore di quel clima montano.
Quanto all'altra causa di rallentamento, quella della perdita di sangue, essa deve aver operato a pieno, in quanto in quel corpo così ridotto con le lesioni di cui più volte s'è detto, le perdite emorragiche devono essere state gravissime. Quindi presenza e con grande peso, di un'altra causa di decelerazione della putrefazione. Assenza o quasi invece di quelle di accelerazione. Quindi nessun fattore esterno che abbia contribuito alla decomposizione; presenza al contrario di fattori esterni che avrebbero dovuto contribuire alla decelerazione di questi processi.
Nonostante ciò nell'ambito di pochi giorni un passaggio rapidissimo da cadavere fresco a cadavere devastato dalla putrefazione, senza determinanti fattori esterni. A tal punto devastanti da indurre i periti in un primo momento a correggere il loro giudizio sullo stato di decomposizione, quindi re melius perpensa a redigere un supplemento di perizia. Non si dimentichi che questi periti non hanno visto ed esaminato il cadavere di cinque giorni prima; constatano e valutano la situazione quale appare ai loro occhi il giorno della perizia. E in questa occasione accertano l'avanzatissimo stato di putrefazione. Quello che appare straordinario è il passaggio, la trasformazione che subisce quella salma, da un originario stato di "freschezza" a quella situazione di decomposizione.
In effetti in accordo a quanto rileva l'AG di Crotone si deve affermare che i fenomeni putrefattivi non obbediscono a regole precise, ma hanno evoluzione diversa a seconda delle circostanze e delle persone. Cioè la putrefazione resta influenzata da una miriade di circostanze, molte delle quali neppure possono essere oggetto di verifica da parte dei periti. È noto, tanto da essere citato in numerosi testi scientifici, che ogni qual volta si sono riesumate le vittime di fucilazioni, ciascuna salma ha presentato caratteristiche diverse e differente stato di putrefazione.
A questo punto si deve ribadire, sempre in accordo con essa, quanto espresso dalla predetta AG sui limiti delle perizie. Compete al perito di esprimere, in particolare nelle perizie autoptiche, soltanto una ipotesi in gran parte soggettiva, compresa in un arco di tempo tanto più ampio quanto più gravi siano i fenomeni esaminati, riservando al magistrato il giudizio sull'epoca della morte. Questi infatti, a differenza del perito, ha la possibilità di tener conto di altri elementi di prova che non possono essere rilevati sul cadavere, ma che possono consentire, concordemente al parere dei periti od anche in modo difforme, di esprimere il giudizio.
E nel caso emergono aliunde evidenze secondo cui quel velivolo non cadde il 18 luglio, bensì in data antecedente, e non di pochi giorni. E che perciò quel pilota non morì il giorno del rinvenimento ufficiale. A sostegno di questa ipotesi stanno le numerose prove che si sono elencate nelle pagine precedenti. Contro cui nulla possono le uniche testimonianze - per altro contraddittorie - della Carchidi e di Piccolo, secondo cui un apparecchio scomparve dietro un'altura, s'udì un botto, e si vide del fumo, senza alcun'altra constatazione della effettiva caduta del velivolo.
D'altronde da più d'una di queste prove si rileva, come già s'è visto, che il cadavere fu rimosso nell'immediatezza e per un qualche tempo - di vigilanza o di esami delle parti del relitto - esso non era affatto sul luogo. Se lo si è rimosso, s'è dovuto provvedere anche alla sua conservazione. Che di certo non durò solo alcuni brevi giorni, ma quantomeno il tempo che fu necessario a Clarridge per richiedere, organizzare ed inviare il suo team in Calabria, e a questo team di lavorare sul relitto. Questa conservazione potrebbe aver determinato, una volta riportato il cadavere sul luogo del fatto, quella "freschezza" da tutti riscontrata. E questa freschezza artificiale potrebbe aver determinato la rapidissima decomposizione constatata, oltre che da Scalise, Zurlo e Rondanelli, da tutti coloro che ebbero modo di osservare o comunque contatto anche solo olfattivo con quella salma. Non v'è altra via per spiegare questi fenomeni. E d'altronde questa interpretazione esattamente s'attaglia agli altri elementi di prova.
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