Oltre le vigilanze di reparti dell'Esercito, che già pongono in forti dubbi le date ufficiali ed impongono la riconsiderazione delle versioni forniteci dai rapporti, altri fatti di maggior peso e del tutto incontestabili.
Quel capitano Inzolia - che viene, come ufficiale, incaricato di dirigere il sopralluogo e le conseguenti operazioni dei carabinieri subito dopo la notizia del fatto dal comandante della Legione Livi; che raggiunge il luogo di caduta per primo, esamina i reperti, ed è presente il giorno dell'autopsia del pilota libico; che riceve il maggiore Simini e i periti medico-legali - questa persona è colui che la notte del 27 di giugno, a brevissima distanza di tempo dal disastro, chiede notizie del DC9.
Infatti sulle registrazioni delle conversazioni del soccorso di Martina Franca alle ore 22.03Z tal maresciallo dell'Aeronautica Malfa di Crotone chiama il SOC di Martina Franca per chiedere, per conto del capitano dei Carabinieri di Crotone, "particolarità o informazioni di un incidente di un DC9". Alle giuste rimostranze dell'interlocutore di Martina Franca che chiede le ragioni della richiesta, facendo presente che lì al Soccorso hanno i minuti contati, possono ricevere solo informazioni importanti per la ricerca e non possono dire ancora nulla di sicuro, quel maresciallo Malfa ribadisce soltanto che era il capitano dei carabinieri di Crotone che voleva sapere delle "informazioni circa questo incidente".
A dire il vero a quell'ora e nel tempo precedente quando il capitano avrà richiesto al maresciallo di informarsi, ancora ben poco si sapeva sulla natura dell'evento. Gli stessi media parlavano di scomparsa del velivolo; gli stessi addetti ai soccorsi, quanto meno in una prima fase, non avevano escluso l'ipotesi della interruzione delle comunicazioni radio e del dirottamento.
Colui che fa la richiesta invece già parla d'incidente - come il suo intermediario, che pure è un militare dell'Aeronautica. Egli nulla sa sia perché non allertato dalla rete dell'Arma sia perché non informato da radio o televisione, non facendo alcun riferimento alla compagnia o al volo, dati che sicuramente i media potevano aver già riferito.
Questo maresciallo Malfa, che all'epoca fungeva come comandante dell'aeroporto S.Anna di Crotone, esordisce, come consueto alla quasi totalità dei testi in questo procedimento, asserendo di non ricordare nulla. "Quando è successo il fatto di Ustica, noi eravamo all'oscuro di tutto. Quella notte non feci alcuna telefonata. Escludo di aver fatto telefonate". Solo dopo aver ascoltato il contenuto della telefonata delle 22.03Z immediatamente ricorda. E già questa immediatezza della memoria induce a ritenere che egli ben ricordasse, pur senza questa sollecitazione, quella eccezionale telefonata, così come potrebbe indurre a stimare che egli sapesse e sappia più di quanto ha ammesso.
Ricorda che quella telefonata pervenne dal capitano Inzolia. Pervenne al centralino dell'aeroporto e da qui il centralinista, un aviere di leva, la trasferì alla sua abitazione, sita nelle zona logistica, di sicuro passate le 10-10.30 di sera. Egli infatti ben ricorda di aver ricevuto la telefonata a casa. Inzolia voleva avere informazioni su un DC9 che era scomparso. Come già detto egli ribadisce che al momento in cui Inzolia fece quella richiesta, egli era totalmente all'oscuro della vicenda. Così come nulla sapevano alla torre. Inzolia non indica a quale compagnia appartenesse l'aereo nè fornisce altri dati. E qui c'è immediatamente da sottolineare che se egli avesse appreso dell'evento dalla televisione o dalla radio avrebbe certamente detto della compagnia e della rotta.
Dopo aver chiesto alla torre e averne ricevuto la risposta negativa già detta, Malfa raggiunge di persona - si sarebbe potuto accontentare di quella risposta e girarla al capitano, ma di certo non era stato sollecitato blandamente - la torre e si mette in contatto con Martina Franca, facendo quella telefonata che rimarrà registrata, usando la linea diretta torre - SOC. Sui risultati della telefonata riferisce immediatamente al capitano, chiamando sempre dalla torre, sicuramente presso il comando della compagnia. Aveva già specificato, a precisa domanda, che tra le vittime non v'era nessuno della zona di Crotone (v. esame Malfa Sebastiano, GI 05.08.91).
Inzolia, che sulle altre vicende cui aveva partecipato aveva assunto gli atteggiamenti già esposti, su questa ne assume non dissimili anzi più gravi, che ne determineranno l'odierna posizione processuale.
Come teste dichiara di non essersi mai interessato al disastro di Ustica nè il giorno dell'evento nè in tempi successivi. Non ricorda come ne è venuto a conoscenza, ma possibilmente, afferma, attraverso i media, e cioè i giornali o la televisione. E più facilmente attraverso i primi piuttosto che la seconda, giacchè all'epoca viveva in caserma nell'edificio della compagnia, in una piccola stanza - ove non c'era nemmeno apparecchio telefonico - giacchè l'alloggio di servizio era ancora occupato dal suo predecessore.
E quindi non attraverso note o altre comunicazioni per il suo ufficio - che altrimenti avrebbe esibito - nè attraverso la televisione. Con ogni probabilità dai giornali, come poi ammette; ma questo significa solo l'indomani mattina, come quindi riconosce. E perciò quel suo interessamento la sera a breve tempo di distanza dal disastro trae origine da informazione o notizia di altro canale.
Esclude poi che quella sera abbia chiamato o fatto chiamare l'aeroporto di Crotone per sapere notizie sul DC9. A questo punto egli riferisce che probabilmente del fatto egli ne è venuto a conoscenza solo l'indomani mattina dai giornali. Ed aggiunge che una chiamata del genere sarebbe stata impossibile perché l'aeroporto all'epoca chiudeva al tramonto del sole.
Contestatogli il contenuto della telefonata, ribadisce di non essersi interessato alla caduta del DC9, dichiarando di non riuscire ad immaginare a che titolo avrebbe potuto interessarsi a quell'evento, che sicuramente non ricadeva nella sua giurisdizione. E in effetti egli qui, non si sa quanto consapevolmente, sottolinea una circostanza fondamentale per l'interpretazione del fatto e cioè l'assoluta carenza di competenza sull'evento, giacchè quel velivolo non avrebbe dovuto sorvolare ne sorvolò il territorio di Crotone o territori circostanti.
Non avrebbe potuto d'altronde, insiste, nemmeno chiamare l'aeroporto perché a quell'ora era già chiuso. Avrebbe soltanto potuto chiamare il distaccamento, ove conosceva un tenente dell'Aeronautica Militare, trasferito da poco e di cui non ricorda il nome.
Contestatogli che dagli atti risulta il nome di colui che fece la telefonata da Crotone a Martina Franca, ricorda che v'era anche un sottufficiale di nome Sebastiano, quindi immediatamente aggiunge, di cognome Malfa. Di costui ricorda anche che aveva un figlio che a metà anni 80 si sarebbe arruolato nell'Arma dei Carabinieri. Si sovviene pure che questi è sottufficiale in provincia di Ragusa, quanto meno sino a dicembre 90, poiché di là gli manda gli auguri di Natale, mentre il padre è già in pensione e vive a Siracusa. Esclude comunque di aver chiamato quella sera sia il tenente che il sottufficiale Malfa.
Contestatogli che la persona che fece quella telefonata è proprio il maresciallo Malfa, ripete di non essersi interessato all'aereo di Ustica. Ma aggiunge che se lo fece, fu per curiosità, giacchè non riesce a vedervi altri motivi.
Contestatogli che quella telefonata è l'unica in tutta Italia d'interessamento al disastro pervenuta quella sera e in quella notte, e contestatogli altresì che avrebbe dovuto ricordare l'episodio perché a sole tre settimane di distanza sarebbe intervenuto per ordine del colonnello Livi in agro di Castelsilano sul luogo di caduta del MiG23, e i due fatti sin dall'immediatezza erano stati ritenuti connessi al punto che la Procura di Roma che procedeva sul disastro di Ustica aveva richiesto a pochi giorni di distanza della caduta del MiG l'autopsia del pilota libico; contestatogli, si ripete, le dette circostanze, afferma di aver saputo soltanto dopo qualche tempo che l'autopsia era stata richiesta dalla Procura di Roma. E si ricorda che egli è sempre stato presente sui luoghi meno due giorni - 20 e 21 luglio - concessigli per la nascita di un figlio, v'è stato anche il giorno dell'autopsia; e ivi è stato restando accanto al magistrato della Procura locale, ufficio che agiva ben conoscendo le istanze romane.
Contestatogli che l'ipotesi della connessione era stata sostenuta in quello stesso torno di tempo anche dalla stampa, asserisce che in quel periodo non aveva tempo di seguire la stampa "perché impegnatissimo negli affari correnti e non direttamente interessato all'episodio". E qui è difficile capire cosa debba fare di più un ufficiale dei Carabinieri, un ufficiale di PG, un pubblico ufficiale, oltre quello che egli ha posto in essere, per essere definito direttamente interessato al fatto.
Contestatogli che il secondo evento, quello cui non era direttamente interessato e cioè la precipitazione del MiG23, ricadeva in altra giurisdizione, sicuramente non in quella di Crotone e cioè della compagnia da lui comandata, dichiara che fu inviato sul luogo, perché sia il comandante della tenenza di S.Giovanni in Fiore che il comandante della compagnia di Cirò Marina erano assenti. In un primo momento era sorto, ammette, il dubbio sulla competenza tra S.Giovanni in Fiore e Cirò Marina, giacchè non si conosceva con esattezza il luogo di caduta. Il dubbio, asserisce, venne dissipato solo al momento in cui fu raggiunto il luogo di caduta del MiG.
A dir il vero questo punto di caduta era stato sempre chiaro. Tutti i testi oculari, come s'è visto, avevano parlato di agro di Castelsilano e avevano riferito ai Carabinieri di Caccuri. Ma quand'anche vi fosse stata l'incertezza di cui parla Inzolia, questa avrebbe riguardato S.Giovanni e Cirò e non Crotone. E comunque sia S.Giovanni che Cirò avevano dei comandanti che reggevano in luogo degli ufficiali assenti.
Contestatogli da ultimo le dichiarazioni di Malfa nell'esame testimoniale, secondo cui proprio esso Inzolia lo avrebbe chiamato per assumere informazioni su un DC9 scomparso, egli ribadisce di non aver fatto questa telefonata.
Questo Giudice, anche su richiesta del PM, sospendeva perciò quell'esame apparendo indizi di falsa testimonianza e di favoreggiamento personale, ed invitava l'Inzolia a nominare un difensore di fiducia (v. esame Inzolia Vincenzo, GI 02.10.91).
All'interrogatorio del 13.07.92 tenta poi di dare una spiegazione a titolo, come egli stesso spiega, "meramente ipotetico e speculativo". In prima ipotesi - che, premette, è piuttosto inverosimile, giacchè, essendo al tempo senza famiglia, normalmente cenava fuori caserma - stima che possa aver appreso dell'incidente dalla televisione, e che per una sorta di dovere - parla di "fatto meramente istituzionale" - al fine di verificare che nulla fosse successo sul suo territorio, si sia rivolto all'unico organo tecnico cui poteva rivolgersi e cioè al distaccamento dell'Aeronautica presso l'aeroporto di S.Anna. In verità non si capisce come quel distaccamento o gli organi AM da esso contattati potessero riferire più e meglio delle stazioni che sottostavano a quel comando di compagnia su quanto fosse accaduto sul territorio. L'AM poteva riferire sulla natura della scomparsa o sulle cause della caduta, ma comunque di un velivolo che con la sua rotta Bologna-Palermo nulla assolutamente aveva a che fare con il territorio di Crotone. Egli stesso a conclusione della formulazione di questa ipotesi, la definisce improbabile.
La seconda dovrebbe essere, teoricamente, più verosimile. E cioè egli suppone che ci sia stata, come in tutti i casi di incidenti, una attivazione automatica, di richiesta di informazioni da parte del Gruppo o della Legione. In questo caso, è lo stesso Inzolia a precisarlo, non vi sarebbe stata però necessità che egli quale comandante si attivasse in persona, bensì sarebbe stata la centrale operativa della compagnia e cioè l'operatore di turno a formulare le richieste al distaccamento dell'AM Come per la prima conclude che si tratta di ipotesi. Dell'attivazione - che se vi fosse stata avrebbe lasciato documentazione a bizzeffe - ovviamente nessuna traccia.
Entrambe le ipotesi, ribadisce, non corrispondono assolutamente al ricordo.
Nel corso del lungo interrogatorio, Inzolia si sofferma sulla "cordialità" dei suoi rapporti con il maresciallo Malfa. Costui aveva conosciuto il padre del capitano ad Augusta, ove quest'ultimo, avvocato, frequentava le riunioni conviviali del locale circolo ufficiali dell'AM presso l'idroscalo. Allorché esso Inzolia aveva assunto il comando della compagnia di Crotone, Malfa che già prestava servizio all'aeroporto di S.Anna, gli si era presentato ricordandogli il rapporto di amicizia che lo legava al padre. (v. interrogatorio Inzolia Vincenzo, GI 13.07.92).
Inzolia non ha assolutamente saputo contrastare le contestazioni nè ha saputo dare una spiegazione ragionevole del suo interessamento. Egli stesso di quelle date dice che sono improbabili e non corrispondono al ricordo. Quel suo interessamento, che di certo non può nascere dal nulla, deve trovar ragione in un qualche evento verificatosi nel suo territorio o in quelli vicini. Cirò, S.Giovanni in Fiore od altri, evento di cui era venuto a conoscenza tramite la sua rete informativa. Non v'è altra spiegazione ragionevole. Egli sa, ricorda, ma non vuol riferire; in questo caso come in altri.
È stato sentito anche il suo diretto superiore, il colonnello Livi, che all'epoca dei fatti comandava la legione dei Carabinieri di Catanzaro. Egli fu informato del fatto nelle prime ore del pomeriggio e si recò sul luogo ove ebbe modo di vedere, seppur non da vicino, il relitto del velivolo che aveva urtato sul fianco di un canalone.
Non ricorda quale compagnia, se quella di Cirò o di Crotone avesse competenza sul luogo di caduta. Ricorda però che vi si recò uno dei comandanti di queste due compagnie, quello della compagnia non competente territorialmente. Esclude di aver deciso di mandare quel comandante; costui, appare dalle sue parole, agì d'iniziativa; egli avrebbe soltanto avallato questo comportamento. Ma poi preso atto che sia il comandante della compagnia che quello del Gruppo avevano dichiarato che la decisione era stata la sua, non ha "difficoltà a correggere quanto detto". La decisione fu presa "sul tamburo", fu quindi orale e di essa non dovrebbe esserci traccia scritta.
Esclude di aver sentito dire che gli aerei in volo fossero tre. Così come esclude che circolasse una voce secondo cui il velivolo precipitato era tunisino. Sin da subito si disse che era libico. Non ricevette mai notizie sul DC9 Itavia, così come non s'interessa mai al fatto, nemmeno su sollecitazione dei parenti delle vittime.
Ricorda di aver richiesto ausilio al comandante della zona militare di Cosenza, come ricorda dell'esistenza di una linea telefonica volante, sicuramente collocata dall'Esercito. Egli sul posto mandò per le operazioni di vigilanza uomini della compagnia speciale di Rosarno, normalmente impiegati per la ricerca di catturandi o di covi di sequestrati.
Dal comando della Legione fu trasferito al S.I.S.MI, alla direzione della 1a Divisione, succedendo al colonnello Notarnicola. Un altro personaggio, si deve osservare, passato al Servizio Militare, in una posizione di prestigio e in successione a colui che dal S.I.S.MI tanto si era interessato al caso del MiG, al punto tale che al riguardo della salma del pilota aveva elaborato con Tascio un piano, che proprio da loro due prese nome. I fili sotterranei della vicenda sono tanti e purtroppo a tutt'oggi ancora non si è fatta piena luce sulla intricata ed estesa rete.
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