Sul luogo si recarono anche ufficiali e sottufficiali dell'Aeronautica Militare. L'elenco di coloro che raggiunsero Castelsilano e l'area di caduta del velivolo straniero risulta dal quadro delle missioni che è stato compilato dallo Stato Maggiore di quest'Arma sulla base di documenti agli atti del 2° Reparto SIOS. Del personale dell'organizzazione centrale si recarono in Sila: il generale di Brigata Aerea Tascio Zeno - Capo del SIOS Aeronautica all'epoca; che lascia la riunione del pomeriggio presso il Sottocapo Ferri e raggiunge in aereo i luoghi in serata. Il colonnello Bomprezzi Bruno; il tenente colonnello Battista Giovanni; il tenente colonnello Di Viccaro Emanuele; il tenente colonnello Iodice Domenico; il tenente colonnello Somaini Enzo; il capitano Benedetti Luigi; tutti in servizio presso lo Stato Maggiore Aeronautica-SIOS nel 1980 e le cui missioni risultano nei carteggi acquisiti. Quindi il maggiore del Corpo Sanità Simini Giuseppe in servizio presso la Scuola Militare di Sanità. Del personale dell'organizzazione periferica SIOS: il tenente colonnello Tramacere Luigi, comandante 3° Nucleo SIOS; il maresciallo De Giosa Nicola; il maresciallo Linguanti Giulio; il maresciallo De Palma Antonio, tutti in servizio presso il detto Nucleo SIOS e il maresciallo CC. Caputo Salvatore sottufficiale dell'Arma dei Carabinieri in servizio presso il SIOS/Aeronautica nel 1980.
Il generale Tascio, capo del SIOS all'epoca come s'è detto, raggiunse il luogo una prima volta lo stesso 18 luglio verosimilmente, come leggesi in nota della scheda 1, su ordine verbale del Sottocapo di SMA, una seconda volta il 22 successivo; entrambe le volte allo scopo di acquisizione di dati tecnici. Nella prima occasione il generale individua - e in tal senso compila un appunto allegato alla documentazione della missione - i testi principali e ne raccoglie le deposizioni, cioè la Carchidi (anche se è chiamata Carchiri), Amantea Pietro, Piccolo Francesco, Piccolo Vincenzo, Cizza Amedeo. Le dichiarazioni riassunte coincidono con quelle che quei testi riferivano a PG e ad AG.
Di rilievo sono i "racconti e commenti" al termine del secondo foglio: "da dove veniva? ce ne erano altri? è un aereo militare (6950); il morto era". Di rilievo anche gli ultimi appunti sul foglio successivo, di mano diversa: "30' prima dell'impatto è stato visto girare da un pastore". Questo pastore è di sicuro Piccolo Giuseppe, che in effetti scopre qualche tempo prima della Carchidi quel velivolo provenire da Nord, evitare il costone sul Lesi e quindi virare di quasi 180 gradi per ritornare verso Nord.
Tascio sulla sua missione redige memoria per la Commissione Stragi, risponde a domande della stessa Commissione e dell'AG con dichiarazioni dettagliate, ma non pienamente coincidenti con quanto emerso. Alla Commissione così dichiara: "Il giorno 18.07.80 nelle ore pomeridiane mi trovavo in riunione con altri Capi Reparto nell'ufficio del Sottocapo di SMA, generale Ferri; alle ore 16.00 circa il generale Ferri mi informava del rinvenimento in località Castelsilano di un velivolo di nazionalità sconosciuta e mi incaricava di recarmi sul posto al fine di assumere immediate informazioni sull'accaduto.
Nell'assegnarmi l'incarico il sottocapo precisò che testimoni oculari avevano visto volare il velivolo a bassissima quota, avvertendo subito dopo il rumore di una sorta di esplosione: gli stessi testimoni avevano informato i Carabinieri i quali, recatisi subito sul posto, avevano individuato, secondo quanto assicuratomi dal generale Ferri, e piantonato i rottami di un velivolo con scritte in lingua straniera, rinvenendo il corpo del pilota morto con tratti somatici chiaramente non italiani.
Sono atterrato all'aeroporto di Lamezia Terme e di lì ho raggiunto Castelsilano a bordo di una vettura del locale Comando Carabinieri: sono arrivato a Castelsilano dopo le ore 21.00 e quindi nell'impossibilità di vedere subito i rottami. Ho incontrato la sera stessa il sindaco ed alcuni civili e militari che non conoscevo: l'ufficiale dei Carabinieri in loro presenza mi rese noto che il signor pretore aveva nello stesso pomeriggio autorizzato la rimozione della salma del pilota e ordinata la sua sepoltura.
Lo stesso ufficiale dei Carabinieri, alla presenza di altri militari e civili, mi mostrò il "processo verbale di descrizione, ricognizione e sezione di cadavere"; lessi il documento firmato dal pretore di Castelsilano dottor Ruggeri e dal cancelliere Sabaterrale (questo è, per lo meno il nome che io decifro, per cui potrebbe non essere quello esatto), ove sulla scorta della perizia fatta dal dottor Scalise, medico condotto, gli stessi affermavano che (dò lettura testuale di quanto scritto in questo verbale): "alle ore 17 del giorno 18 luglio 80 è stato rinvenuto un cadavere di sesso maschile, dall'apparente età di 25 anni, bocconi con le braccia aperte e le gambe divaricate di colorito scuro ma di razza bianca, capelli ondulati neri (crespati) corti". Dopo aver citato indumenti ed oggetti rinvenuti e consegnati ai Carabinieri verbalizzanti, il documento prosegue: "spogliato con la dovuta cautela il cadavere, il perito dà atto che è di sesso maschile, presenta schiacciamento di tutte le ossa craniche con fuoriuscita di materia cerebrale, nonché fratture varie ed esposte con brandelli di carne su tutte le parti del corpo. Incipiente stato di decomposizione, tanto da consigliare l'immediato seppellimento per spappolamento delle viscere addominali."
Preciso di non aver esaminato la salma, già avviata al locale cimitero per il seppellimento, e che non ho elementi di scienza diretta per riferire in proposito. Ho dovuto tuttavia prendere atto, anche per la mia totale ignoranza in materia di medicina legale, delle risultanze della perizia, secondo cui la morte nella fase attuale per referto espresso e sottoscritto: 1) "è da attribuire a frattura cranica conseguente ad urto violento contro corpo contundente duro"; 2) "la stessa morte è avvenuta presumibilmente verso le ore 11.30 di oggi 18 luglio 80" (cito testualmente dal verbale).
Al proposito nessun dubbio mi era dato di nutrire in ordine a tali dichiarazioni, sottoscritte dal pretore, dal cancelliere e dal medico condotto.
Nel corso del colloquio con l'ufficiale dei Carabinieri mi fu riferito che: il cadavere presentava traumatizzazioni multiple, che per alcune parti del corpo potevano essere assimilate ad una sorta di depezzamento; la temperatura esterna, notevole in quella stagione in tutta l'area, era rilevante sul luogo di ritrovamento del cadavere per il copioso incendio di sterpaglie in zona limitrofa; la zona di caduta del velivolo molto impervia era infestata di insetti e di animali randagi e nocivi; lo stato di talune parti del corpo più traumatizzate, esposte ai fattori di cui sopra, rendevano pienamente appropriata la richiesta del medico sanitario di seppellimento della salma.
All'alba del mattino seguente sono stato accompagnato sul luogo dell'incidente ed ho notato lungo il tragitto la presenza di numerosi carabinieri che presidiavano l'intero perimetro della zona nell'intento di impedire l'avvicinarsi di estranei. Dagli stessi carabinieri che mi accompagnavano mi fu riferito di tentativi di sciacallaggio posti in essere da taluni che sono stati intercettati ed allontanati dalle forze dell'ordine.
I rottami del velivolo erano distribuiti in area relativamente circoscritta ed il loro stato consentiva di identificare chiaramente ed inequivocabilmente un MiG23, aviogetto di linea delle forze aeree del patto di Varsavia, in uso anche presso aeronautiche di paesi arabi: nell'area si era sviluppato un incendio propagatosi nelle vicinanze per la combustione di sterpaglia.
In considerazione della necessità di decifrare alcune scritte in caratteri arabi e della mancanza di personale dell'Aeronautica Militare esperto in lingua araba, chiesi ed ottenni dal capo del secondo Reparto della Marina Militare, l'ammiraglio Geraci, la disponibilità di un linguista; la Marina Militare disponeva di un esperto che fu reso disponibile e che ha consentito la traduzione di alcuni scritti ritrovati nel luogo dell'incidente.
Il tipo di velivolo, i caratteri delle scritte, la documentazione rinvenuta con l'equipaggiamento del pilota, una carta geografica di parte del territorio libico ed una carta manoscritta con indicati i dati di una navigazione a circuito chiuso da Benina - Bengasi (nota base di rischieramento di velivoli MiG23 in Libia) hanno consentito di attribuire alla Libia la nazionalità del pilota e del velivolo (signor Presidente, mi riferisco sempre ad un rapporto di prima impressione). In relazione a tale nazionalità, il fatto poteva avere tre possibili spiegazioni: la tentata esecuzione di un atto ostile; la tentata fuga del pilota; un errore di pilotaggio.
Al fine di assolvere il compito assegnato (dare una di queste tre possibili spiegazioni con effetto immediato) e di produrre con urgenza un sintetico rapporto di prima impressione, effettuai alcuni voli con un elicottero dei Carabinieri, pilotato dal capitano Santoliquido, atterrando in posti raggiungibili con grande difficoltà con altri mezzi, al fine di interrogare i pastori della zona, i quali mi assicurarono l'abitudine a pascolare in giorni successivi sempre nelle immediate vicinanze (quella zona è molto impervia). Lo scopo era anche quello di accertare se il velivolo - nel suo tratto finale, prima dell'impatto - fosse stato visto volare in senso rettilineo oppure avesse effettuato virate nell'aria. Furono acquisite testimonianze dal capitano dei Carabinieri, alla mia presenza, debitamente verbalizzate: alcune di esse erano riferibili a persone che avevano visto l'aereo schiantarsi nella zona il mattino del giorno 18 luglio 80. Apparve anche molto chiaro - e venne verbalizzato - che nessuno aveva visto il velivolo virare, che nessuno aveva sentito il rumore del motore e che molti sostenevano la rettilineità della traiettoria di volo.
Dall'esame del relitto emersero i seguenti elementi che riepilogo con le relative considerazioni: il velivolo era chiaramente identificato con un MiG23, aviogetto monoposto denominato in campo NATO "Flogger" E (versione da esportazione): il velivolo era in dotazione a tutti i paesi del Patto di Varsavia ed a numerosi Stati arabi; sui resti del velivolo erano chiaramente visibili coccarde di colore verde oliva, che identificano i velivoli militari libici; il velivolo disponeva di cannone a bordo ma era sprovvisto di proiettili; il cannone non aveva sparato in quanto non sono stati rinvenuti i bossoli che dopo lo sparo non vengono di norma espulsi, ma si raccolgono in apposito contenitore interno al velivolo; non sono stati osservati nè rinvenuti i travetti (chiamati pylon) su cui vengono montati i missili ed i serbatoi esterni: il travetto è solidale con il velivolo e la sua mancanza non consente il trasporto in volo di carichi esterni, siano essi missili o serbatoi; non sono state rinvenute apparecchiature elettroniche atte a disturbare e/o ingannare i radar ne apparecchiature fotografiche da ricognizione; accanto al pilota sono state ritrovate carte di volo relative alla regione Nord-orientale della Libia ed un piano di volo con prue e tempi per una navigazione a circuito chiuso tra aeroporti libici nella regione menzionata; il pilota non era in possesso di alcuna carta geografica dell'Italia o di qualsiasi documento con indicazioni di obiettivi militari, di aeroporti o di frequenze radio italiane; nell'area dell'incidente non vi erano obiettivi militari italiani.
Emersero inoltre i seguenti elementi: l'apparente continuità di direzione mantenuta ed osservata nelle ultime fasi del volo, unitamente alla silenziosità ascoltata, accreditavano la tesi dello spegnimento motore prima dell'impatto, da attribuirsi a mancanza di combustibile; per quanto riguarda l'incendio, fu unanime la valutazione che, pur in mancanza di carburante sufficiente ad alimentare il motore, la violenza dell'impatto ed i circuiti elettrici alimentati dalla batteria di bordo avessero innescato l'incendio del carburante comunque residuo nei serbatoi e nei circuiti di alimentazione, come pure la combustione dell'olio idraulico e dell'olio motore copiosamente disponibili a bordo e dell'alcool di raffreddamento del radar e dei pneumatici; l'assenza di azioni del pilota al verificarsi dello spegnimento del motore e la mancata utilizzazione del dispositivo di lancio come il paracadute (aveva un seggiolino ribaltabile) tendevano ad accreditare l'ipotesi di uno stato emotivo confusionale o addirittura di un malore da parte del pilota. Gli elementi e le considerazioni di cui sopra, trasmesse integralmente alla Commissione d'inchiesta già nominata, mi inducevano a riferire al sottocapo di Stato Maggiore dell'Aeronautica che il velivolo non era allestito per il compimento di un atto ostile, causa la mancanza di armamento a bordo; che la quantità di carburante disponibile su quel velivolo non avrebbe consentito il rientro alla base di partenza, dopo il sorvolo del territorio italiano; che era lecito formulare una ipotesi di fuga da parte del pilota, tragicamente conclusasi per difetto di navigazione e conseguente innesco di uno stato emotivo che induceva fatali errori di pilotaggio: parlo sempre di conclusioni formulate alla data del 20 luglio 87 (sicuramente errore del trascrittore, 80 e non 87; nde) cioè prima ancora che la Commissione di inchiesta avesse completato la sua indagine, che in seguito non avvalorò completamente questa ipotesi. Riferii infine che l'analisi del "flight recorder", volgarmente denominata scatola nera, rinvenuto e consegnato da me alla Commissione di inchiesta, avrebbe contribuito a confermare questa ipotesi ed a formulare conclusioni più approfondite ed esatte: per completezza di informazione, riferisco che la Commissione di inchiesta, alla conclusione dei lavori, trasmise la relazione anche alla Procura della Repubblica di Crotone ed al Gabinetto del ministro della Difesa in data 21 ottobre 80.
Nei mesi successivi ho trattato per dovere d'ufficio alcuni sopralluoghi al relitto da parte di ditte incaricate di effettuare il recupero dei rottami come da autorizzazione del Gabinetto del ministro della Difesa; in data 18 ottobre 80, il 2° Reparto, a firma del Sottocapo di Stato Maggiore dell'Aeronautica, notificava al Gabinetto del ministro il termine delle azioni di recupero al 3 ottobre 80 e l'avvenuto trasporto dei rottami in Libia nei giorni 6 ed 8 ottobre a mezzo di due velivoli C130 libici" (v. audizione generale Zeno Tascio alla Commissione Stragi, 26.07.89).
Anche in sede giudiziaria il generale ha confermato quanto dichiarato alla Commissione. Intervenne su incarico del sottocapo, all'epoca il generale Ferri, il giorno stesso del fatto, raggiungendo il sito in Calabria intorno alle 22 e trovandovi già i carabinieri e ufficiali AM del 36° Stormo. L'indomani mattina compì sopralluogo sull'area di caduta del MiG. Non vide ne si interessò al cadavere del pilota, ne ordinò riprese fotografiche; copia di quelle esistenti potrebbe essere stata inviata al S.I.S.MI. Non ebbe modo di ritenere che l'evento si fosse verificato in data diversa da quella che appariva. Furono prelevate dal velivolo parti di interesse ai fini di una indagine sulle caratteristiche belliche di quella macchina; furono perciò prelevati il radar, il flight recorder e materiale dell'avionica di bordo. Il SIOS intervenne con il compito istituzionale di "analizzatore dei mezzi che minacciano la difesa nazionale e quindi anche di informatore del S.I.S.MI".
Quanto ai rapporti con gli Americani sulla vicenda non convocò nel suo ufficio il capo della stazione CIA a Roma, il noto Clarridge, che era nel "working group" su Ustica dell'Ambasciata americana. Nell'ambito di una situazione di collaborazione tra l'AM e l'Aeronautica statunitense richiese invece l'ausilio, tramite l'Addetto Aeronautico all'epoca Biankino, dell'FTD ente tecnico con sede nell'Ohio, con cui si procedette alla individuazione del numero di matricola del velivolo e alla ricostruzione della storia di quella macchina.
Il generale ha poi dato una lunga serie di risposte a numerosissime domande su fatti e circostanze particolari attinenti alla vicenda, che saranno prese in esame allorché saranno trattate le parti specifiche (v. esami Tascio Zeno, GI 24.10.89 e seguenti e interrogatori 29.05.92 e seguenti).
Altro ufficiale che si reca sul luogo dell'incidente è il colonnello pilota Bomprezzi Bruno, vice capo SIOS e capo del 2° ufficio del 2° Reparto; costui qualche giorno dopo l'incidente, trovandosi in licenza fuori Roma, come si legge nella scheda nr.2 della documentazione SMA già indicata, raggiunge d'iniziativa il luogo, avendo informato il generale Tascio, e al rientro redige l'appunto "cronistoria incidente di volo 18.7.80", allegato come si vedrà in più versioni alla scheda sopra specificata.
In effetti di questo appunto vi sono innanzi tutto tre copie diverse recanti in alto a destra le sigle "1/A", "1/B" e "1/C", tutte con stampigliatura "segreto" rispettivamente a timbro, a scrittura, a timbro; la terza vergata su carta intestata allo Stato Maggiore 2° Reparto con intestazione "appunto per il" e seguito illeggibile. Le tre copie sono sostanzialmente identiche. Nella premessa, nella successione dei capitoli - 1. analisi dei reperti; 2. testimonianze; 3. penetrazione sul territorio nazionale; 4. zona dell'incidente; 5. considerazioni; 6. conclusioni -, nella ripartizione in paragrafi. Nella prima copia vi sono delle correzioni a penna della prima stesura a macchina - nel 3° capitolo, superiore corretto in inferiore e 2000 metri corretto in tremila; nelle conclusioni "è senza dubbio la" in "appare la" e l'aggiunta "come pure un malore". Queste correzioni e l'aggiunta sono riportate nelle due copie successive.
Di rilievo le conclusioni che si riportano per intero: "...circa la presenza del velivolo si possono quindi avanzare due ipotesi:
1 il pilota, durante lo svolgimento di una regolare missione di addestramento, per un errore di manovra o per avaria agli strumenti di navigazione, deviava dalla rotta e sconfinava in territorio italiano;
2 il pilota stava mettendo in atto un piano di evasione finito tragicamente per superficialità nella pianificazione del volo.
Quest'ultima ipotesi è senza dubbio la più attendibile, corretta in: "quest'ultima ipotesi appare la più attendibile."
Come si nota nella prima stesura la seconda ipotesi, quella secondo cui "il pilota stava mettendo in atto un piano di evasione, finito tragicamente per superficialità nella pianificazione del volo" è ritenuta assolutamente prevalente, "è senza dubbio la più attendibile", rispetto alla prima, secondo cui "il pilota, durante lo svolgimento di una regolare missione di addestramento, per un errore di manovra o per avaria agli strumenti di navigazione, deviava dalla rotta e sconfinava in territorio italiano". In questa versione non c'è ancora l'aggiunta "come pure un malore".
Questa versione viene modificata da chi rivede il testo. Costui che già per la grafia appariva il superiore diretto dell'estensore, cioè il generale Tascio ( che in sede di esame testimoniale conferma questa ipotesi - "addolcisce", ovvero attenua la conclusione trasformando il "è senza dubbio la più attendibile" in "appare la più attendibile" e introduce per la prima volta l'ipotesi del malore, che viene riportata nel documento 1/B ma non in quello 1/C.
Esiste poi una quarta copia dell'appunto. Essa è in carta intestata dello Stato Maggiore AM - 2° Reparto, ed ha l'intestazione "Appunto per il sig. Ministro". Essa presenta delle differenze nella divisione in capitoli e nel testo di capitoli come quello "Penetrazione sul territorio nazionale". Nelle conclusioni comunque si afferma che l'ipotesi del progetto di fuga dalla Libia è "senza dubbio la più attendibile" e non vi è alcuna ipotesi di malore.
La quinta copia è una identica della quarta, cioè del documento in veste di "appunto per il sig. Ministro".
La sesta copia ha una forma dattilografica diversa e differenze di non rilevante entità nel contenuto dei capitoli sino al capitolo nr.4. C'è poi un capitolo nr.5 "Risultanze degli accertamenti", in cui si riporta evidentemente - i paragrafi sono: a. pianificazione della missione e b. svolgimento della missione - quanto asserito dai libici. Il vecchio 5° capitolo "Considerazioni" diviene il 6°, senza gli ultimi due capoversi.
Queste conclusioni sono diverse da quelle della prima versione. Innanzitutto mancano i capoversi 3°, 4° e 5°; in secondo luogo nel paragrafo a. si passa dal testo "il velivolo incorso nell'incidente è sicuramente di nazionalità libica e così si ritiene sia il pilota" a "il velivolo incorso nell'incidente è sicuramente di nazionalità libica, il pilota è arabo". Il paragrafo b. è identico. Nel paragrafo c. si passa dalla versione "... (1) il pilota, durante lo svolgimento di una regolare missione di addestramento, per un errore di manovra o per avaria agli strumenti di navigazione, deviava dalla rotta e sconfinava in territorio italiano; (2) il pilota stava mettendo in atto un piano di evasione, finito tragicamente per superficialità nella pianificazione del volo. Quest'ultima ipotesi è senza dubbio la più attendibile (corretta poi in "quest'ultima ipotesi appare la più attendibile")..."; alla versione: " ...(1) il pilota durante lo svolgimento di una regolare missione di addestramento, per un malore probabilmente avvertito alla quota di 12.000 metri o per avaria agli strumenti di bordo deviava dalla rotta e sconfinava in territorio italiano, (2) il pilota stava mettendo in atto un piano di evasione, finito tragicamente per la superficialità nella pianificazione del volo. (la prima ipotesi la più attendibile).". Il secondo capoverso quindi si modifica da "quest'ultima ipotesi è senza dubbio la più attendibile" (già modificato in "appare la più attendibile") a "la prima ipotesi la più attendibile" messa però tra parentesi.
La settima copia appare in tutto simile alla seconda, meno che nella parte finale del punto C1 delle conclusioni, giacchè nella seconda si legge "...deviava dalla rotta e sconfinava in territorio italiano", mentre nella settima si legge ( sicuramente per distrazione del dattilografo a meno che la Calabria non si considerasse già territorio libico - "...deviava dalla rotta e sconfinava in territorio libico".
L'ottava copia appare in tutto simile alla sesta.
Come si vede, una vicenda tormentata, stesure controverse oscillanti tra quelle che appaiono dettate da buona fede ed altre determinate da intenti di assecondare i libici. Nessun militare ammetterà questo sottile ma indecoroso procedere; solo il ministro della Difesa riconoscerà che nel caso le scelte furono determinate da ragioni politiche.
Bomprezzi, che nel 90 è in servizio presso l'Ambasciata d'Italia a Damasco, non ricorda di aver stilato il rapporto, pur ammettendo di essersi interessato alla strumentazione di bordo, alla configurazione del velivolo ed in particolare ai suoi apparati avionici.
Non riconosce nelle grafie a mano dell'appunto alcuna scrittura di suo pugno, mentre riconosce, anche se non con certezza, nelle correzioni quella del suo capo, cioè quella del generale Tascio.
Fece una valutazione dell'autonomia di quella macchina. E a tale fine compì anche un accertamento sulla presenza di serbatoi supplementari. Ma non ricorda i risultati di questo esame. Quel tipo di aereo però, secondo i dati a sua conoscenza poteva raggiungere l'Italia partendo da una base libica, ma con un profilo di volo a media o ad alta quota. Non riesce però a dire se questo risultato fosse possibile con o senza i serbatoi supplementari. (v. esame Bomprezzi Bruno, GI 05.11.90).
Immediatamente questo teste dà la misura di quale sarà il suo contributo alla ricerca della verità.
Bomprezzi ha compiuto - lo si è visto - anche altre missioni interessanti. Quella a Otranto, dove si reca per accertare la situazione della copertura radar, che aveva consentito al MiG23 di "forare" la nostra copertura. Ma per accertare questa situazione non prende i tabulati del giorno 18 luglio, bensì quelli del giorno di quella sua missione, (cioè il 30 luglio - nde) giorno in cui s'era svolta un'esercitazione nazionale, asserisce nazionale (invero si trattava dell'esperimento dei due G91 del 36° Aerostormo di Brindisi; nde) non ricordando che il 18 luglio s'era svolta un'esercitazione o addirittura NATO (v. esame Bomprezzi Bruno, GI 05.11.90). Ai primi di luglio 80 si reca, con il colonnello Argiolas Giampaolo e il maresciallo Zecchini Cesare a Palermo per visionare i reperti rinvenuti in mare dopo la caduta del DC9, raccolti in un hangar dell'aeroporto di Boccadifalco. Ricorda che vi erano spezzoni di rivestimento della fusoliera, bagagli, uno o due sedili della cabina di pilotaggio - che Argiolas riconobbe dalle cinghie di sicurezza - una sorta di rete di quelle usate per fissare i bagagli nelle stive, una radio sonda meteorologica, un battellino di salvataggio di impiego nautico, un canotto di tipo sportivo (v. esame Bomprezzi Bruno, GI 11.03.91).
In agosto viene mandato, mentre regge il SIOS al posto di Tascio in ferie, dal sottocapo Ferri, nuovamente in Sicilia per visionare un casco recuperato in mare - si tratta del reperto 80 dell'acquisizione 15 del 10.11.90. Si trattava, come scrisse nella sua relazione, di un casco per operatore di bordo su portaerei. Ferri dandogli l'incarico aveva affermato "sembra che ci sia il nome". Bomprezzi sul punto così continua "mi sembra che disse che il nome era Drake. Questo Drake mi ricorda qualcosa e lo associo al casco. Questo nome lo associerei a un casco di questo tipo. lo associerei a questo ... Io questo nome me lo ricordo su questo casco".
Non sa però rispondere a tutta una serie di contestazioni. Non sa spiegare perché il sottocapo dell'Aeronautica debba mandar d'urgenza il facente funzioni di capo del SIOS ad esaminare un casco che poteva apparire anche al profano di un Paese alleato. Non sa spiegare perché non si preferì farsi spedire questi oggetti a Roma evitando quella sua missione. Non sa spiegare perché il suo collega Lippolis abbia visto tra i reperti di Boccadifalco un casco con nome Drake a brevissima distanza di tempo dal disastro di Ustica e collegasse il suo ricordo a un casco di volo. Non collegò a quel tempo le sigle che apparivano sui salvagenti ad alcuna unità navale, giacchè egli come colonnello pilota non ha l'obbligo di conoscere le sigle delle portaerei (v. esame Bomprezzi Bruno, GI 22.06.92).
Queste affermazioni si commentano da sole, e saranno riprese in considerazione con il resto delle dichiarazioni di questo teste nei successivi punti di questo provvedimento. Comunque anche in queste altre due deposizioni atteggiamento di chiusura totale nei confronti dell'inchiesta.
Altro ufficiale mandato a Castelsilano con incarichi di rilievo è stato il colonnello Battista Giovanni. Costui, che all'epoca della caduta dell'aereo libico prestava servizio al SIOS nella sezione che si occupava dei Paesi dell'Africa del Nord e del Medio Oriente alle dipendenze del già detto colonnello Bomprezzi, fu mandato in Calabria per ordine del capo reparto, cioè di Tascio, con l'incarico di fotografare il MiG. Portò per la bisogna la propria Mamya C330 e la Hasselblad del SIOS, pur non ricordando con precisione il giorno della missione.
Raggiunse Castelsilano, come emerge da documentazione acquisita, il 22 luglio con volo in elicottero da Roma. A bordo di questo mezzo viaggiavano oltre Tascio anche due persone di lingua inglese - s'appurerà in seguito che si trattava dei due esperti americani Warren Walters e Larry Wilson.
A costoro egli non presta soverchia attenzione, giacchè impegnato a riparare il contatto del lampeggiatore elettronico della sua macchina. Fece dapprima delle riprese dei luoghi dall'elicottero; quindi passò alla macchina caduta. Sul luogo non v'era alcun cadavere. Le fotografie erano sia in bianco e nero che a colori con pellicole Kodak e probabilmente anche Ilford.
Mostrategli le fotografie acquisite presso lo SMA riconosce con certezza come di sua mano quelle di formato 6x6. Mostratigli degli ingrandimenti di alcune di queste fotografie e precisamente di quelle fotografie ove appaiono con evidenza dei fori, dichiara di non avervi mai fatto caso. La sua attenzione non era attirata dai fori, bensì dagli oggetti con scritte in cirillico e da altro.
Contestatogli che egli era addetto proprio all'ufficio competente per il Nord Africa e il Medio Oriente, competente cioè per la valutazione delle minacce provenienti dai Paesi di quell'area, Paesi definiti tutti ed in particolare la Libia "di interesse", e che pertanto doveva essere d'obbligo per il suo ufficio accertare le modalità di ingresso nel nostro spazio aereo e di caduta sul nostro territorio di un velivolo militare di quel Paese, risponde che non era suo compito. Ripete che non s'è accorto dei fori. Afferma che la sua partecipazione s'è limitata alla ripresa fotografica e di non aver partecipato a riunioni di valutazione del fatto.
Mostrategli nuovamente le fotografie ingrandite, riconosce per sue la 1381, la 1433 e molto verosimilmente la 1446. Esclude la 1401, la 1402, la 42. A parte il fatto che le fotografie in questione facevano parte tutte dei medesimi album trasmessi dallo SMA e non è risultato che vi fossero stati sul luogo altri fotografi dell'AM, pure in quelle sicuramente riconosciute dal Battista appaiono con evidenza fori, più fori, a contorni chiari, su diverse parti del velivolo, tra cui il serbatoio del carburante.
Ma il Battista oltre ad asserire di non essersi accorto dei fori che fotografava, afferma anche che la valutazione sull'incidente non ricadeva nella competenza della sua sezione. E a contestazione che secondo la normativa vigente, a partire dalla legge 801/77 la valutazione d'intelligence compete al SIOS, risponde ammettendo tale competenza, ma specificando che deve essere compiuta dal capo dell'ufficio con elementi della sezione interessata. Deve ammettere che egli faceva parte di questa sezione, ma per scrollarsi immediatamente responsabilità specifica che egli era competente sino all'Egitto; l'Africa del Nord (sic!) era fuori della sua competenza. Non ricorda però a chi fosse affidata in quel periodo questa competenza.
Battista è chiamato in causa anche dal colonnello Nobili. Costui ha sempre affermato di appartenere all'ufficio competente per la Libia, di essersi messo immediatamente a disposizione per lavorare sul caso, di essere stato però estromesso dalle indagini su ordine preciso di Tascio, comunicatogli da esso Battista. Di tutte queste circostanze non ricorda nulla, "escluderei, - conclude su quella contestazione - che ci fosse una disposizione del generale Tascio su Nobili in merito alle indagini sul MiG".
In seguito s'è occupato della Libia. Lo ha fatto in un periodo immediatamente anteriore all'83, anno in cui è avvenuto il suo passaggio al S.I.S.MI. In quel periodo era capo della Sala Situazioni, ma anche allora non s'è mai occupato della vicenda del MiG23 - vicenda che ha segnato e segna tuttora i rapporti tra Italia e Libia.
A contestazione del fatto che i fori su quel velivolo erano stati notati anche da altri, risponde che non ha ragione di dire che quei fori ci fossero; egli non li aveva notati; nè aveva mai sentito alcuno parlare di fori. Aggiunge spontaneamente che egli era in una sezione di analisi. Quindi altri dovevano andare presso di lui e dirgli le ragioni per cui quell'aereo si trovava in Italia e le cause per cui era caduto. Solo sulla base di quegli elementi avrebbe potuto compiere una valutazione. Ovvero, se ne deduce, se anche avesse trovato sul Flight Data Recorder la storia del volo e avesse visto sull'aereo le tracce dei colpi che ne avevano cagionato la caduta, non avrebbe potuto compiere l'analisi di quei dati; solo se altri glieli avessero forniti, egli avrebbe potuto operare (v. esame Battista Giovanni, GI 21.12.90).
Anche sul casco, che riferisce di aver visto, cade in una serie di contraddizioni. Esso era sicuramente di materiale rigido - non lo aveva preso in mano -, perché altrimenti non avrebbe notato in esso della ammaccature. Non sa quale tipo di casco usino le Aeronautiche del Medio Oriente e del Nord Africa, non sa di quale materiale sono fatti i caschi di volo, perché è del ruolo servizi e non è mai stato a bordo di un aviogetto da combattimento. Riconosce però in quello recuperato sul luogo di caduta del MiG23 quello visto in occasione della missione (v. esame Battista Giovanni, GI 22.06.92).
Queste testimonianze si commentano da sole. Sono assolutamente inaccettabili. E possono essere portate ad esempio, ma con mille altre, dello sbarramento di omertà e reticenza, quasi sempre opposto, anche in maniera irrazionale e beffarda, all'inchiesta.
Tra gli altri ufficiali mandati da Roma a Castelsilano, merita di essere ricordato il capitano Benedetti, all'epoca al SIOS attualmente al S.I.S.MI. Costui fu richiesto con urgenza nelle ore immediatamente successive al rinvenimento della carcassa del velivolo - al punto tale che fu svegliato in piena notte a casa, trasportato in macchina a Ciampino, e di qui in Calabria, su un velivolo a getto - per identificare quella macchina, che pure da tanti esperti sino ad allora non era stata riconosciuta.
Egli per ordine di Tascio sorvolò in elicottero la zona di caduta e dall'alto, in brevissimo tempo, definì quel mezzo sinistrato come MiG23 monoposto. Pur essendo così profondo conoscitore di quel tipo di velivolo, non gli fu dato modo di esaminarlo da vicino, giacchè fu di nuovo mandato a Roma, subito dopo quel breve incombente e la colazione in zona.
Proprio come conoscitore di quell'aereo, sa che all'epoca esso era dotato di missili Atoll AA2 di fabbricazione sovietica.
Nei giorni immediatamente successivi al suo ritorno a Roma, ebbe modo di vedere quelle parti dell'aereo che erano state trasportate a Roma. Nessuna di esse mostrava, così almeno sostiene oggi, segni di colpi, ma solo segni di impatto, torsione e frattura.
Il Benedetti è ritornato una seconda volta sul luogo di caduta del MiG23, allorché era stato necessario procedere al recupero dei rottami e alla loro restituzione ai libici. Ma di ciò nel paragrafo relativo (v. esame Benedetti Luigi, GI 21.12.90).
Gli altri del SIOS di Roma non riferiscono fatti direttamente utili alla ricostruzione della vicenda. Utili appaiono invece alcune delle dichiarazioni rese da elementi del SIOS periferico, gli appartenenti al terzo nucleo di Bari.
Tra costoro il colonnello Tramacere, comandante di detto nucleo. Questo ufficiale non raggiunge nell'immediatezza il luogo di caduta del MiG23, giacchè v'è già il capo reparto cioè Tascio; ma vi aveva inviato i due suoi sottufficiali, De Giosa Nicola e Linguanti Giulio. Egli si reca a Castelsilano solo quattro o cinque giorni dopo il fatto, ma dalla sua missione non emergono elementi di rilievo per la ricostruzione del fatto.
Appare d'interesse invece la sua attività volativa nei giorni immediatamente precedenti il ritrovamento del MiG. Egli il 16 luglio compie un volo di 100 minuti. Però definisce questo volo come di routine e ne descrive il percorso. Si decollava da Gioia del Colle; si raggiungeva Rocca Imperiale; qui si faceva attesa, quindi si usciva, si facevano virate, ci si insinuava a "biscotto" di attesa; poi si faceva penetrazione cioè discesa rapida; infine si tornava a Gioia del Colle con avvicinamento GCA. Tutto questo in 50-60 minuti. In seguito si riattaccava senza atterrare e, portandosi in zona riservata, la R61, si facevano manovre a vista. Quando il carburante scendeva al di sotto delle 500 libbre, si chiedevano istruzioni per l'atterraggio. In questa fase si facevano più atterraggi e decolli immediati ovvero si faceva il "touch and go". Non essendo rimasti provati questi percorsi, si era sospettato che fossero connessi alla vicenda del MiG23. E probabilmente per queste indicazioni e questi sospetti il Tramacere fu indicato dalla stampa come una persona a conoscenza di fatti o notizie di rilievo per la ricostruzione dei fatti, al punto tale da essere stato più volte interpellato da un giornalista sia sulla vicenda del MiG che su quella del DC9 (v. esame Tramacere Luigi, GI, 21.12.90).
Afferma infine che nessuno dei suoi uomini, in particolare i marescialli De Giosa e Linguanti, gli ha mai riferito alcunché sulle missioni a Castelsilano - e questo appare del tutto incredibile. Non sa nulla di richieste di plottaggi a Martina Franca da parte del S.I.S.MI (v. esame Tramacere Luigi, GI 22.06.92). Ed invece i due sottufficiali riferiscono circostanze di rilevante interesse.
Va comunque ricordato che il generale Tascio non mancherà di premiare il responsabile del Nucleo SIOS di Bari. A casa di Tramacere - nel frattempo raggiunto da comunicazione giudiziaria - è stata sequestrata una lettera di elogio datata 13.11.80 a firma del generale Tascio per la vicenda del MiG.
Il De Giosa non s'avvicinò mai ai resti del velivolo, giacchè rimase sempre in caserma presso i Carabinieri di Caccuri. Vide dei rottami solo qualche giorno dopo, allorché un elicottero dei Carabinieri, pilotato dal tenente Santoliquido, dopo averli imbragati dal punto di caduta, li aveva trasportati su di un camion, sul pianoro al livello stradale.
De Giosa, in quel periodo di permanenza a Caccuri, accompagnò anche il maggiore Simini - ne ricorda bene il nome perché è stato collega del figlio all'Accademia di Sanità Militare a Firenze - dall'aeroporto di Crotone al locale comando di compagnia dei Carabinieri. Era stato il generale Tascio in persona a ordinargli per telefono di prelevare a una determinata ora del pomeriggio all'aeroporto quell'ufficiale, che sarebbe giunto a Crotone con un biplano dell'AM, e condurlo presso il detto comando di compagnia dei Carabinieri, ove avrebbe dovuto incontrare un medico che aveva proceduto all'autopsia del cadavere del pilota.
De Giosa aggiunge anche che il pomeriggio precedente aveva ricevuto un'altra telefonata sempre dal generale Tascio o dal capo della sua segreteria, con la quale gli si chiedeva "se era disponibile la relazione medica sul cadavere". Egli immediatamente si era informato presso un maresciallo dell'Arma, che spesso si trovava nella stazione di Caccuri pur non appartenendo a quel comando. Dopo qualche ora costui gli aveva consegnato un bigliettino di poche righe, tra cui egli ricorda solo le parole "avanzato stato di decomposizione". Quella stessa sera aveva comunicato il testo dell'appunto alla segreteria del SIOS nella persona del maggiore Mazzone. Aveva chiamato da un telefono di un negozio, fuori dalla stazione ed aveva subito distrutto il biglietto.
Ecco spiegata la vicenda della missione di Simini e della ricerca della relazione sul cadavere, che di certo non è quella del 23, perché su questa era già stato più che abbondantemente riferito dai periti al Ministero nel corso della telefonata di quello stesso giorno. Anche il maresciallo incaricato probabilmente si sbaglia, non riesce ad ottenere la copia del documento e riferisce solo poche righe. Che di sicuro non sconvolgevano la verità del 23 e non avrebbero certo determinato una missione ad hoc, urgentissima, da effettuarsi con mezzo aereo.
A distanza di circa due ore dalla telefonata di Tascio, quella che gli preannunciava l'arrivo del maggiore, aggiunge ancora De Giosa, aveva ricevuto un'altra telefonata da un maresciallo del centro controspionaggio di Catanzaro o della compagnia di Crotone, non ricorda con esattezza, maresciallo che gli chiedeva se fosse a conoscenza dell'arrivo di un maggiore libico di nome Simini. Al che aveva risposto che si trattava di un ufficiale italiano e che ciò sapeva sia perché così gli era stato detto dal SIOS sia per il rapporto di colleganza con il figlio.
Anche il S.I.S.MI si muove, ma orecchia male. In questa prima fase in cui operano le strutture periferiche di Napoli e Catanzaro - ben diversa dalla successiva, nella quale si muoverà la 1a Divisione - compie errori, è impacciato, è messo da parte.
Ma quello che più colpisce è che tutti questi movimenti di SIOS, CC., S.I.S.MI avvengano alle spalle dell'AG, che spesso nulla sa o appare come l'ultima a sapere.
Il maggiore puntualmente atterrò quel pomeriggio a Crotone. All'aeroporto ad attenderlo c'era anche un maresciallo dei Carabinieri, che fece il viaggio di ritorno sino al paese a bordo della vettura dell'AM con targa civile - e che di certo è Lo Giacco. Durante il percorso l'ufficiale comunicò che il suo compito principale era quello di accertare se il cadavere fosse appartenuto a una persona circoncisa, così che se ne potesse accertare la razza. Circolavano infatti voci diverse sulla nazionalità di quel pilota, tra cui quella secondo cui fosse russo. De Giosa precisa però che in breve tempo si accertò che il pilota era libico e che aveva frequentato la Scuola di Volo Militare a Lecce.
Il maggiore comunicò anche, durante quel tragitto, che avrebbe dovuto incontrare uno dei medici dell'autopsia. Giunti al Comando Compagnia il De Giosa raccomandò al Simini di non rientrare all'aeroporto dopo il tramonto, perché quello scalo aveva disponibilità solo Acca-Iota; cioè dall'alba al tramonto. In effetti l'ufficiale si trattenne solo un'ora all'interno della caserma. Nel percorso di rientro all'aeroporto non fu presente il maresciallo dei carabinieri del viaggio precedente. In entrambe i tragitti guidò l'altro maresciallo SIOS, cioè Linguanti (v. esame De Giosa Nicola, GI, 23.10.92).
Sentito nuovamente, De Giosa conferma le sue dichiarazioni sul maggiore Mazzone e ben motiva le ragioni per cui non poteva sbagliarsi su di esse. In effetti Mazzone escusso sulla vicenda delle comunicazioni di De Giosa al 2° Reparto aveva escluso di essere stato "coinvolto" nel fatto del MiG23. Ammette di essere rientrato in questo Reparto, dopo un corso alla Scuola di Guerra Aerea a Firenze, il 30 giugno dell'80 con l'incarico di capo sala situazioni. Ammette di aver sostituito, nel periodo della caduta dell'aereo libico, il capo della segreteria, assente per ferie. Non ricorda, però, di essersi interessato della salma del pilota libico nè di aver ricevuto incarichi sulla questione da parte del generale Tascio. Non ricorda della missione del maggiore Simini. Esclude di aver fatto o ricevuto le telefonate di cui parla De Giosa. Se quelle telefonate vi sono state, egli le ha passate immediatamente al capo del Reparto.
De Giosa invece conferma e ribadisce che ben lo conosce, al punto tale da averlo chiamato qualche tempo prima della deposizione per comunicargli le proprie condoglianze per la morte della moglie. E lo conosce sia per averlo incontrato di persona più volte a Roma dove egli veniva per la consegna del corriere, sia per averlo sentito per telefono sempre per ragioni d'ufficio. Mazzone era la persona di fiducia dei capi reparto che si sono succeduti in quell'ufficio. Per questa ragione comunica a lui quei dati che gli erano stati chiesti. "Non mi sarei fidato di altri" afferma esplicitamente De Giosa.
Costui conferma anche la circostanza della frequentazione da parte dei libici di corsi alla Scuola di Volo Basico di Lecce per l'abilitazione al pilotaggio di 1° grado. Ricorda le lamentele di quegli allievi per la somministrazione di carne di maiale (v. esami Mazzone Giovanni, GI 05.11.93 e De Giosa Nicola, GI 16.11.93).
Mazzone è un altro dei testi di rilievo, di cui eventuali dichiarazioni veritiere avrebbero contribuito a forti progressi dell'inchiesta. Ma probabilmente proprio perché era la persona di fiducia dei capi, è così abile nel non ricordare.
Anche da Linguanti informazioni preziose. Appena giunti a Castelsilano, egli ricorda, si presentarono al generale Tascio e si misero ai suoi ordini. Mentre De Giosa fu assegnato al quartier generale presso la caserma dei carabinieri di Caccuri, egli fu destinato in zona di operazioni, cioè nel vallone ove era precipitato il velivolo. Ebbe così modo di vedere i rottami, assistere alle operazioni di recupero, seguire i lavori delle varie "commissioni" che si recarono ad esaminare quella carcassa, una del S.I.S.MI, la Ferracuti, le libiche per la restituzione dei pezzi. Accompagnò anche un alto ufficiale americano, ricorda un generale, comandante, gli era stato riferito, "del gruppo di MiG che l'Egitto aveva ceduto agli Stati Uniti dopo che il Governo egiziano da filosovietico era divenuto filoccidentale".
È questa una circostanza d'importanza fondamentale. Se si mosse dagli Stati Uniti un generale, comandante del Wing composto dai MiG ceduti da Sadat al governo USA, in seguito al suo passaggio di campo, dal blocco orientale all'Occidente, il fatto in sè non può esser considerato di minima importanza. S'è detto che quello precipitato era un esemplare superato e di scarso valore. A dir il vero gli interessamenti mostrano il contrario. E non solo quelli americani, ma anche quelli di altri Paesi, come si vedrà in seguito.
Al riguardo dei pezzi del MiG23, sottolinea di averli "visti bene". "La fusoliera - è bene ripetere per intero le sue dichiarazioni - era tutta foracchiata, come se fosse stata mitragliata. I fori erano del diametro all'incirca di 18-20 mm; io riferii al comandante Ferracuti il fatto dei fori sulla fusoliera ed egli accertò la presenza di quanto io gli facevo osservare, ma non fece alcun commento" (v. esame Linguanti Giulio, GI 21.12.90).
Questo in un primo esame. In un secondo è più preciso "confermo di aver visto dei fori sui reperti del MiG23 di circa due centimetri di diametro. Erano dei fori netti; saranno stati sette od otto circa; tutti sulla fusoliera, nella parte di coda, sul lato sinistro. Non ne notai su altre parti. Ritenni che si trattasse di colpi di cannoncino o mitraglia. Ricordo di aver riferito questo fatto al colonnello Somaini".
Linguanti ricorda anche utili circostanze sul pilota. Di costui - oltre alle voci secondo cui si sarebbe formato alla Scuola di Volo Basico a Galatina di Lecce, sarebbe stato contattato dai servizi americani e quindi indotto ad abbandonare la Libia - furono prelevate parti delle mani e del pene (per accertare se fosse circonciso, e quindi di razza araba), a lui consegnate in un contenitore.
Tale recipiente, nascosto in una carta geografica a mo' di cilindro, fu quindi consegnato al colonnello Somaini, che a sua volta avrebbe dovuto portarlo a Roma.
Quel cadavere era in avanzato stato di putrefazione; la sua sepoltura era "obbligata" perché, gli fu detto, "non si poteva tenere più" cioè non si poteva assolutamente stare vicino al cadavere. Tanto gli fu detto sia dagli abitanti del paese che da coloro che erano stati sul luogo di rinvenimento di quel corpo. E tali dichiarazioni lo meravigliarono per il fatto che nell'ambito di così poco tempo quel cadavere si fosse putrefatto. (v. esami Linguanti Giulio, GI 21.12.90 e 03.07.92).
Questo teste appare uno dei rarissimi che riferiscono fatti e notizie, mostrando ottima memoria e completo distacco all'Arma di appartenenza. Delle sue dichiarazioni dovrà tenersi conto in più occasioni, dalle considerazioni sullo stato del cadavere a quelle sul relitto.
Le voci riferite da Linguanti relative all'ipotesi che il pilota del MiG avesse frequentato la scuola di Galatina, non hanno trovato alcun riferimento tra gli atti acquisiti allo SMA. Lo stesso Tascio nel corso di un'audizione alla Commissione Stragi, a domanda di un commissario che gli chiedeva se gli fosse risultato che piloti libici compivano corsi di perfezionamento in Italia, risponde testualmente: "Non è nella mia conoscenza". Precisa inoltre che se ciò fosse avvenuto il SIOS/A avrebbe dovuto esserne a conoscenza. Ad ulteriore specifica domanda, risponde di non sapere se a Galatina di Lecce fossero stati tenuti corsi di pilotaggio a militari libici. (v. audizione Tascio Zeno, Commissione Stragi 31.10.89).
Va subito rilevato che la dichiarazione del generale Tascio non corrisponde al vero. Infatti in un appunto classificato "segreto" acquisito allo SMD, in cui venivano sintetizzate le riunioni che si erano succedute dopo il rinvenimento del relitto del MiG libico, si evince che lo "SMA ha in corso azione per tentare una eventuale identificazione del pilota attraverso i curricula di coloro che sono stati addestrati in passato a Lecce" (v. acquisizione SMA, 14.07.91). Questa verifica non poteva che effettuarla il SIOS/A. Si osserva però che alcuna documentazione in tal senso è stata rinvenuta presso lo SMA.
Altro personale dell'AM sentito sui fatti è quello che al tempo si trovava a Montescuro ed altri che pure intervennero sul luogo di caduta del MiG23.
È stato in primo luogo esaminato il colonnello Smacchia Mario, che aveva già reso deposizione al GI il 9.05.91, sulla sua missione a Castelsilano il 18 e il 19 luglio 80. Questo ufficiale ha confermato la testimonianza del contadino proprietario del campo di ceci danneggiato dagli elicotteri, che aveva dichiarato di aver visto passare dapprima tre aeroplani e poi solo due "che ritornavano" e che aveva dichiarato anche che se non avesse avvisato i Carabinieri, nessuno si sarebbe mai accorto dell'aereo. Ha confermato anche il rinvenimento della carta geografica di cui aveva già parlato nel precedente esame testimoniale. Questa carta era di produzione italiana; era al 500:000; vi erano segnate in rosso due rotte che partivano o arrivavano in zona di Crotone ed erano dirette la prima verso Gioia del Colle e la seconda verso Lecce. Sia questa carta che la fotocinemitragliatrice erano state consegnate, ha confermato anche questa circostanza, all'allora colonnello Brancaleoni (v. esame testimoniale Smacchia Mario, GI 08.02.94).
Di entrambi gli oggetti, in particolare la carta, che sarebbe stata di rilevante utilità per la comprensione dei fatti, non s'è trovata più alcuna traccia tra i reperti. Proprio questa sparizione induce a supporre che da essa potessero trarsi elementi di interpretazione di quel volo.
È stato anche sentito il maresciallo Di Ninno, in pensione dall'82, all'epoca del fatto in servizio presso l'ufficio "Sicurezza al Volo" della 3ª Regione Aerea di Bari e distaccato presso l'aerostello di Montescuro, e qui presente il 18.07.80, in qualità di sottufficiale addetto all'equipaggiamento per un corso di sopravvivenza a piloti AM Costui ha ricordato di essersi recato insieme al maggiore Pierotti, responsabile del corso ed al tenente pilota Di Caro sul luogo di caduta del MiG. La missione era stata sollecitata dal colonnello Brancaleoni, Capo di Stato Maggiore della 3ª Regione Aerea. Arrivato sul posto aveva notato la presenza di militari dei Carabinieri e di due persone in abiti civili, che seppe essere un ufficiale dei Carabinieri di Crotone ed il pretore. Era quindi disceso nel vallone con il Di Caro. Questi, che si era diretto verso la carlinga, gli aveva detto, ha ricordato, che "il pilota si trovava riverso sulla cloche della cabina e stringeva in mano un guanto bianco... era di colore... questo qui sembra che abbia avuto un infarto!". Ha precisato di non aver visto il cadavere in quanto mentre stava per dirigersi verso il punto d'impatto era stato richiamato dal capitano Smacchia, giunto nel frattempo sul posto, che lo aveva invitato a risalire mentre egli stesso scendeva nel vallone (v. esame Di Ninno Roberto, GI 01.03.94).
Qui riemerge stranamente la tesi sottolineata da Di Benedetto, il militare di fanteria che avrebbe vigilato il relitto diversi giorni prima della scoperta ufficiale, secondo cui il pilota era accasciato sui comandi - ma poi sarebbe stato, di lì a poco, rimosso.
È stato anche sentito il tenente colonnello Santaniello, il quale al tempo della vicenda ricopriva il grado di capitano, prestava servizio presso l'aeroporto di Lecce con le funzioni di capo gestione denaro ed era stagionalmente precettato per la gestione logistica dei corsi di sopravvivenza già detti a Montescuro. Per effetto di queste precettazioni il 18 luglio si trovava a Montescuro e la sera stessa aveva saputo della caduta del velivolo così come sapeva che il Pierotti e il capitano Smacchia insieme ad altri due militari si erano recati sul posto. Ha ricordato di aver parlato del fatto con il maresciallo Di Ninno e questi gli aveva riferito che "l'aereo procedeva a bassa quota ed aveva impattato contro uno spuntone di roccia... e il pilota era nella carlinga del velivolo" (v. esame Santaniello Andrea, PG 01.03.94).
È stato quindi escusso il generale Brancaleoni. Questi, confermando le dichiarazioni rese in precedenza, ha dichiarato di essersi recato sulla Sila il 18 luglio 80, di essere arrivato sul posto insieme al colonnello Ferracuti e di avervi trovato, oltre ad altre persone, il capitano Smacchia, inviatovi dal Comando di Regione. Da rilevare che in sede di Commissione Stragi aveva dichiarato, sul colonnello Ferracuti: "non ricordo se egli si trovasse già sul luogo o se sia venuto dopo". Ha ricordato che il capitano Smacchia gli aveva mostrato "il casco del pilota... una o due scarpe... un foglio di carta, mi sembra velina, sulla quale vi era disegnata una specie di rotta e delle crocette che potevano corrispondere ad aeroporti", sottolineando peraltro le perplessità proprie e del colonnello Ferracuti per non aver trovato cartine geografiche. Contestatagli la testimonianza di Smacchia nei punti nei quali costui aveva riferito del rinvenimento di una carta geografica a 500:000 di produzione italiana con rotte da Crotone a Lecce e Gioia del Colle e della consegna di tale documento insieme alla fotocinemitragliatrice proprio a lui, ha dichiarato di escludere categoricamente di aver preso in consegna i due oggetti. Ha inoltre affermato, a contestazione della nota dello Stato Maggiore Aeronautica in risposta a quesito della Commissione Stragi che chiedeva i nominativi degli ufficiali che per primi avevano visionato il MiG, secondo cui costoro erano egli stesso, Ferracuti e Tascio; ha affermato, si diceva, che tale nota era incompleta giacchè prima di loro sul luogo era arrivato Smacchia, trovato colà al suo arrivo. Da notare che il teste in sede di audizione in Commissione Stragi aveva dichiarato di aver incontrato "quasi sicuramente, ma non sono del tutto certo, l'allora capitano Smacchia... Ricordo di averlo visto ma non potrei giurarlo" (v. audizione Brancaleoni Mario, Commissione Stragi 21.03.91 e verbale s.i.t. 10.03.94).
È stato quindi esaminato Di Caro, ufficiale pilota AM al corso di sopravvivenza di Montescuro in quel periodo. Costui ha dichiarato di essersi recato insieme al capitano Smacchia e ad un sottufficiale sul posto dell'incidente e di essersi fatto calare nel dirupo. Aveva così constatato che "il velivolo era caduto per mancanza di carburante. L'impatto era avvenuto nella parte più alta del costone tant'è che i pezzi più leggeri erano situati in alto, mentre i più pesanti si trovavano nel vallone... il pilota aveva tentato di eiettarsi fuori in quanto si intravedeva una sequela iniziale di lancio non completata. Infatti il cannoncino del seggiolino non era del tutto estratto, il paracadute era in una iniziale spiegatura ed il pilota era nelle immediate vicinanze del seggiolino e dell'abitacolo riverso in posizione supina". Il pilota, precisava, era fuori dell'abitacolo e non all'interno, era "piccolo di statura, molto giovane, con il corpo rivolto verso l'alto. Aveva la mandibola spappolata ed una gamba si trovava dietro la nuca... il cadavere non emanava nessun odore". Ha ricordato di aver rinvenuto qualche oggetto del pilota ed "alcune cartine nautiche"; ricordandone una in particolare che raffigurava le coste libiche e su cui vi erano tracciate, con penna o matita di colore rosso, delle zone di lavoro sul mare e sulla zona libica, dichiarando comunque di non averne rinvenuto o visto alcuna nautica raffigurante il territorio nazionale. Aveva consegnato questo materiale al colonnello Ferracuti e da questi era stato congedato, senza richiesta di rapporto sul sopralluogo ma con l'intimazione di non parlare a nessuno della vicenda, in quanto coperta dal segreto di Stato. Mostrategli delle fotografie di una cartina geografica della Libia rinvenuta sul posto, ha dichiarato "non posso escludere ma nemmeno affermare che le fotografie che ho visionato riproducano la cartina nautica da me rinvenuta sul posto... ricordo che vi erano segnate delle linee di esercitazione che formavano dei rettangoli non regolari, che in queste foto non riconosco". Ricordando infine la presenza di Di Ninno sul posto, ha escluso di aver trovato o di aver riferito di aver rinvenuto il cadavere del pilota all'interno dell'abitacolo del velivolo (v. esame Di Caro Leonardo, PG 17.03.94).
Come al solito forti discordanze anche su circostanze di grande rilievo. È usuale in questa inchiesta, al punto tale da far ritenere che esse non dipendano solo da difetti di memoria, bensì anche da intenti di adeguamento o di "aggiustamento" delle dichiarazioni a seconda di interessi che non si mostrano con chiarezza ma pur s'intravvedono tra le diverse versioni.
Di interesse in questa deposizione di Di Caro, che di certo è il primo militare AM che si avvicina al relitto e al cadavere, è la dichiarazione secondo cui questo cadavere non emanava alcun odore, a differenza di altre dichiarazioni secondo cui già al momento della scoperta era inavvicinabile.
Messi a confronto Pierotti e Smacchia, il primo ha confermato le precedenti dichiarazioni, precisando di essersi recato sul luogo di caduta del MiG da Montescuro insieme al tenente Di Caro e ad un sottufficiale a seguito di disposizione impartitagli dal colonnello Brancaleoni; di non essere disceso nel vallone; di non aver notato il capitano Smacchia; di non aver redatto alcun rapporto sulla missione; che gli venne detto dal Brancaleoni di evitare di commentare l'accaduto. Anche il secondo ha confermato le dichiarazioni rese in precedenza, precisando dal canto suo di essersi recato sul posto di caduta del MiG accompagnato da un aviere autista; di avervi trovato il tenente Di Caro che si era già calato nel vallone e il maresciallo Di Ninno; di non aver notato la presenza di Pierotti; di essersi anch'egli calato nel vallone e di essersi diretto verso il presumibile punto di impatto; di essere stato il primo ufficiale AM a compiere il sopralluogo sul posto di caduta di quel velivolo; di non aver redatto alcuna relazione su tale sopralluogo; che al termine della missione il colonnello Brancaleoni gli aveva ordinato di evitare di commentare l'accaduto, dicendo "voi qui non avete visto nulla", ed aveva aggiunto, alla domanda di come ci si doveva comportare con i colleghi di Montescuro che erano a conoscenza della missione, "dite che non avete trovato il posto". In quest'ordine era sottinteso, ha anche detto il teste "era sottinteso che la storia doveva essere intesa come segreta o quanto meno riservata. Mi sembra forse che parlò di segreto, ma non riesco ad essere più preciso" (v. confronto Smacchia Mario - Pierotti Giampaolo, 18.04.94).
Emerge da questo confronto che vi fu, e sin dall'immediatezza del rinvenimento, una sorta di apposizione di segreto sull'evento. Addirittura quelli di Montescuro di ritorno all'Aerostello dovevano riferire che la missione aveva avuto esito negativo. Un segreto che ha tenuto a lungo e con ogni probabilità per molti versi tiene ancora. Segreto di fatto, che appare avere un valore di gran lunga superiore a quelli formali.
Sono stati quindi messi a confronto Brancaleoni, Smacchia e Di Caro al fine di verificare quelle dichiarazioni del secondo che indicavano nel primo la persona che ricevette dalle sue mani la carta di navigazione raffigurante il nostro territorio e la fotocinemitragliatrice, rinvenute nel luogo di caduta del MiG. Brancaleoni, preso atto delle affermazioni di Smacchia, ha dichiarato di non avere ricevuto da costui nè la fotocinemitragliatrice nè la carta di navigazione, ma di rammentare che tra le cose trovate sul luogo vi era un "documento d'identità o patente di guida o qualcosa di simile con la fotografia"; circostanza mai emersa in precedenza e confermata dal Di Caro. Smacchia ha invece confermato il rinvenimento della carta nautica, facendo rilevare mediante uno schizzo che sulla cartina era disegnato un cerchio di colore rosso con due rotte con direzione Nord e Nord-Est, e che tale cerchio racchiudeva la zona di Crotone. Brancaleoni, visto lo schizzo, ha dichiarato che esso poteva sembrare "più il tentativo di localizzare su una carta la zona di impatto del velivolo ed il relativo settore di avvicinamento che un possibile punto di sicuro riconoscimento del terreno per un pilota che debba raggiungere successivi aeroporti di destinazione". Smacchia, a domanda di Brancaleoni che gli ha chiesto se fosse sicuro di aver consegnato la carta a lui personalmente, ha risposto di essere sicuro "al 99 per cento" con il "dubbio che può anche darsi che vicino a lei vi fossero altre persone e che queste presero in consegna ciò che io portai" e ha precisato comunque di aver rivisto la cartina dopo due o tre giorni in una caserma dei Carabinieri dove si trovavano Brancaleoni, Ferracuti e forse anche Tascio. Brancaleoni ha ammesso di essere stato nella caserma dei Carabinieri di Caccuri la sera dell'evento e probabilmente l'indomani, ma ha escluso di esservi stato nei giorni successivi, dal momento che era ripartito il giorno dopo il fatto. Il generale ha anche precisato di non aver visto alcuna carta di navigazione aerea, "salvo un foglio in cui era disegnata una specie di rotta", ma poiché era "passato molto tempo dai fatti esaminati, quanto da me sostenuto è da me confermato fino ad eventuale prova oggettivamente contraria". Di Caro infine ha dichiarato di aver rinvenuto sul posto "una carta di navigazione aerea forse su scala 1:1.000.000 riproducente la costa libica", ricordando anche di averla consegnata al colonnello Ferracuti (v. confronto Brancaleoni Cherubino, Smacchia Mario, Di Caro Leonardo, GI 14.05.94).
Brancaleoni in verità è ritornato sui luoghi, atterrando a Crotone il 21 luglio 80 ad ore 17.30, cioè tre giorni dopo l'evento e pertanto appare probabile quanto affermato da Smacchia sulla sua presenza alla stazione Carabinieri di Caccuri "dopo due o tre giorni" (v. rapporto DCPP, 17.05.94).
Si deve quindi presumere che Smacchia dica il vero; la carta è stata portata in caserma, è stata vista dalle figure AM principali e cioè oltre che da Brancaleoni, da Tascio e Ferracuti, e poi sia sparita - anche se lo stesso Smacchia, sentito a distanza di pochi mesi e mostratagli la carta nautica rinvenuta indosso al pilota, carta raffigurante la costa libica, ha un certo ripensamento ed afferma di poter essersi sbagliato nel ricordo. Di notevole interesse il rinvenimento del documento di identità con fotografia, di cui parlano sia Brancaleoni che Smacchia; documento che sarebbe stato utilissimo, ma anch'esso sparito.
Dalla documentazione trasmessa dal SIOS/A non è emerso alcun rinvenimento sul luogo di caduta del MiG23 di documento di identità o patente di guida con fotografia del pilota; anzi in due appunti trasmessi a questo ufficio dallo SMA si legge "non sono stati trovati documenti di identità addosso al pilota. Sul casco di volo compare la scritta incompleta Ezz Edden Khal, impressa su striscia adesiva"; "unici elementi per stabilire l'identità e la nazionalità del pilota erano l'iscrizione del nome in lingua araba riportata su nastro adesivo applicato al casco di volo, e frammenti di appunti recanti rotte e dati di volo riguardanti il territorio libico" (v. documenti nr.3 e nr.29 della documentazione in possesso del SIOS/A, trasmessa all'ufficio dallo SMA in data 15.11.89 a seguito decreti di sequestro del 20.10.89 e 03.11.89).
È stato sentito, a seguito di tali dichiarazioni nuovamente Ferracuti, già presidente della Commissione italo-libica sulla caduta del MiG23, all'epoca dell'esame generale addetto militare presso l'Ambasciata negli Stati Uniti. Egli ha confermato le sue precedenti dichiarazioni, precisando di essersi trovato, già dai primi di luglio a Gioia del Colle, anche se il periodo di suo comando sarebbe iniziato ai primi di settembre, a causa del periodo di sovrapposizione di due mesi con il precedente comando. Avuta notizia dell'incidente egli seguì il suo comandante, colonnello Brancaleoni, che aveva deciso di recarsi sul luogo, usando un P166 da Gioia a Crotone e da qui un automezzo militare sino all'area di caduta. Non ricorda però se quella sera - sopraggiunse al momento in cui si stava tentando il recupero della salma del pilota - ci fosse già il generale Tascio; così come non ricorda se vi fossero già altri militari dell'AM Ha ricordato dei reperti appartenenti al pilota e al velivolo. Li aveva visti in un piccolo edificio del vicino Comune, forse la caserma dei Carabinieri o la sede del Comune stesso. Li avevano in mano i Carabinieri, presente un ufficiale, forse un maggiore o un tenente colonnello. Tra tali reperti ricorda una cartina geografica piuttosto malandata, su cui era tracciata a mano una rotta sull'area di Bengasi, Golfo della Sirte, Cirenaica. Non prese in consegna tale reperto, nè lo prese in considerazione la Commissione da lui presieduta. Non ha mai visto documenti d'identità del pilota nè carte geografiche del nostro territorio, così come non ha mai preso in consegna reperti dell'incidente. Di americani, che hanno di certo lavorato sul luogo prima dell'arrivo dei libici e quindi tra il 19 e il 24 luglio ne ha visti uno di sicuro, al massimo due. Quanto ai libici "avevano timore che noi potessimo arrivare o cercassimo di arrivare a delle conclusioni politicamente dannose per il regime di Gheddafi. Erano sospettosissimi e temevano che noi volessimo inquinare l'inchiesta per fini contrari ai loro interessi. Ricordo che il primo giorno ebbero ad irritarsi per il fatto che il relitto fosse stato manomesso prima del loro arrivo, e che mancasse il flight data recorder... . I libici, almeno alla nostra presenza, non fecero tentativi per accertare numeri di matricola del velivolo. Noi, dal canto nostro, non ne facemmo". Al tempo dei lavori della Commissione, continua Ferracuti, nessuno aveva sollevato dubbi o questioni sulla data di caduta nè sulla nazionalità del MiG. In seguito ha letto sulla stampa di ipotesi diverse, ma le ha sempre stimate inattendibili. È tuttora certo che quell'aereo cadde il 18 luglio 80 e che esso proveniva dalla Libia. "Minori certezze, all'epoca come oggi, sulla tesi del malore, anche perché sin dal tempo vi erano dei dubbi in favore della tesi della diserzione. Noi ci basavamo su elementi fornitici dai libici". Prendendo atto delle dichiarazioni del ministro Lagorio secondo cui il caso era stato chiuso per ragioni politiche, ha affermato di non aver mai saputo, tantomeno da alcuno dei suoi superiori, queste ragioni. Mostratigli lo schizzo tipografico e la carta geografica rinvenuti sul luogo ed acquisiti dal SIOS, ha dichiarato di non essere in grado di dire se si trattava della carta vista nelle mani dei Carabinieri. Ha negato di aver ordinato il segreto sulla vicenda, affermando che essendo sul posto un suo superiore, questo richiamo avrebbe dovuto esser compiuto dal colonnello Brancaleoni". (v. esame Ferracuti Sandro, GI 23.05.94).
Come ben si vede questa testimonianza riassume le caratteristiche delle deposizioni di questi dipendenti AM accorsi sul luogo. Non sono assolutamente chiare e danno minimi contributi alla ricostruzione dei fatti, quando non danno motivo di confusione con le loro ripetute discordanze.
Tra gli ufficiali in organico al 2° Reparto dello SMA vi era anche il maggiore Umberto Nobili. Questi già capo centro del distaccamento SIOS di Firenze dal 75 veniva assunto in forza a quel Reparto il 15.01.80 per essere poi trasferito alla Scuola di Guerra Aerea di Firenze dal giugno 81. Durante il periodo di servizio presso la sede centrale del 2° Reparto, il Nobili ha ricoperto l'incarico di addetto alla 2a Sezione del 2° ufficio svolgendo compiti nel settore informativo di carattere tecnico-militare (v. fascicolo Nobili acquisito al SIOS/AM in esecuzione decreto di esibizione del 15.09.95).
Nobili - sul conto del quale si dovrà ritornare nella parte relativa alle attività poste in essere dal capo centro CS del S.I.S.MI di Firenze, Mannucci Benincasa - è noto alle cronache soprattutto per un incontro avuto, in compagnia del giornalista dell'Ansa Marcello Coppetti, con Licio Gelli, il 2 dicembre 78, nel corso del quale quest'ultimo confidò loro che il generale Dalla Chiesa aveva un infiltrato nelle BR. Su questo incontro organizzato, come asserito dallo stesso Nobili, sotto la regia occulta di Mannucci Benincasa, entrambi - sia quest'ultimo che Nobili - tentarono, ma con scarso esito, di far prevalere la tesi che l'incontro era avvenuto per fini informativi e non per tornaconto personale del Nobili, come invece sia lo SMA che la sede centrale del S.I.S.MI affermarono - ma su queste vicende è sempre difficile accertare i reali motivi di un'associazione, la storia della P2 è piene di esempi del genere, a ben altra livello. E in effetti l'aggregarsi a una loggia, a una lobby, a un partito, spesso è determinato da un tale groviglio di interessi nel quale solo chi sta da una parte afferma che l'ideologia prevale sull'interesse e chi sta dall'altra il contrario. Tra l'altro va detto che la collaborazione di Nobili con il centro CS di Firenze, nei quali locali il Nobili disponeva di una stanza di lavoro, non era nota alle Organizzazioni centrali. La circostanza ha trovato conferma nella dichiarazione del colonnello Giorgio Morandi, capo centro del CS di Firenze dopo l'allontanamento di Mannucci Benincasa. Questi ha dichiarato "Il colonnello Nobili era a capo dell'ufficio SIOS/AM ubicato presso la Scuola di Guerra Aerea di Firenze ed ha frequentato assiduamente il centro di Firenze dalla metà degli anni 70 sino a quando non ho lasciato il centro (1984, nde). Negli ultimi tempi il Nobili era meno assiduo che in precedenza. Il colonnello Nobili aveva un rapporto personale ed esclusivo con il colonnello Mannucci e spesso si tratteneva con lui sino a notte inoltrata" (v. esame Morandi Giorgio, GI di Bologna, 04.01.93).
E' certo oramai che per Nobili l'incontro con Licio Gelli e l'appartenenza alla Massoneria influirà negativamente alla sua carriera militare. Cadute infine le speranze di transitare al S.I.S.MI, come promessogli da Mannucci Benincasa, decide nel dicembre dell'87 di rivolgersi alla magistratura fiorentina per riferire sia sulle attività svolte nel periodo di servizio al SIOS/A che su quelle attuate di concerto con il capo centro del S.I.S.MI di Firenze. Difatti il 21 dicembre 87 deposita presso la segreteria della Procura della Repubblica di Firenze un lungo memoriale in cui ricostruisce la propria carriera in seno alla Forza Armata. sottolineando la collaborazione intercorsa con Mannucci Benincasa. In questo documento l'ufficiale rileva, tra l'altro, di essere stato trasferito a gennaio dell'80 - dopo la nomina di Tascio a Capo del 2° Reparto - presso la sede centrale, venendo assegnato alla sezione Medio Orientale e Mediterraneo. E' bene riportare per intero le parti di interesse del memoriale: "1980 - Nobili è estromesso da qualsiasi attività di una certa consistenza. Apprende riservatamente che esiste la volontà del Tascio di rendergli la vita impossibile per stancarlo ed indurlo a dimettersi dal servizio. Mannucci, per il quale Nobili continua a lavorare, da Firenze invita questi alla calma perché presto tutto sarà chiarito definitivamente e positivamente.
Estate 1980: precipita il DC9 Itavia ad Ustica. Nobili apprende che il generale Tascio ha preparato (forse su disposizioni superiori) una lettera di smentita a notizie comparse sulla stampa che parlerebbero di attentato. Nello stesso periodo Nobili viene a conoscere l'esistenza di un fenomeno di esodo di piloti specialisti della F.A. che, assunti dalla società Siai Marchetti, finirebbero a lavorare per conto del governo libico in quel paese. Nobili apprende anche che il SIOS e lo Stato Maggiore della F.A. sono a conoscenza della cosa, ma non viene fatto nulla per arginarla o, quanto meno, per seguirla in senso informativo.
Estate 1980: precipita in Calabria il MiG21 libico. Tascio è sul posto e tutto il SIOS è mobilitato per l'avvenimento. Nobili che si è reso immediatamente disponibile per l'esigenza viene bruscamente invitato (tenente colonnello Bertocchini) a non occuparsi della cosa e viene per parecchi giorni estromesso da qualsiasi attività.
Autunno 1980: Nobili apprende che il Tascio, tale col. Bomprezzi e tal cap. Francesconi (ora al S.I.S.MI) incontrano segretamente emissari dello stato irakeno per intermediare l'acquisizione di sofisticate apparecchiature militari presso ditte nazionali (Meteor, forse Selenia, ecc.). Nobili apprende che il fatturato realizzato sarebbe enorme (v. relazione al GI 21.10.92)".
Nobili, al PM di Firenze, riferiva che "nell'estate precipitò ad Ustica un velivolo italiano, un DC9, e il fatto fu ricondotto ad un incidente. Ricordo che alcuni organi della stampa prospettarono l'ipotesi che l'abbattimento fosse dovuto ad un missile lanciato da un velivolo e che il generale Tascio fece delle smentite a queste ipotesi. dopo non molto tempo precipitò un MiG libico sulla Sila e ricordo che io essendo a Firenze per il fine settimana mi misi subito in contatto con l'ufficio per rendermi disponibile, ma mi fu detto che non vi era bisogno di me ed il lunedì mattina, mentre osservavo nella sala operativa taluni reperti del MiG precipitato, un ufficiale dopo avermi bruscamente interpellato, su cosa facessi lì, mi disse che dovevo stare in ufficio per ricevere telefonate concernenti questo episodio, telefonate che non pervennero perché, come seppi, venivano direttamente inoltrate alla segreteria del generale Tascio. In sostanza nonostante le mie offerte di disponibilità fui estromesso da ogni tipo di attività su questo episodio e il col. Battista disse che ciò avveniva per disposizione di Tascio" (v. relazione al GI di Roma del 21.10.92).
Va subito rilevato che il colonnello Battista - al tempo dei fatti responsabile della 2a sezione in cui era inserito il Nobili - non ha ricordato o voluto ricordare la circostanza ed ha negato che vi fosse una disposizione del generale Tascio che escludesse Nobili dalle indagini sul MiG libico.
Sarà accertato che Nobili aveva già reso testimonianza su questa vicenda il 12 giugno 84 al GI di Roma nell'ambito del procedimento penale relativo alla Loggia P2. In un memoriale depositato in quella circostanza, scriveva: "La sensazione di essere mal tollerato al 2° Reparto trovò conferma nella circostanza dell'incidente del velivolo libico che precipitò, dopo aver violato lo spazio aereo nazionale, in Calabria nell'estate del 1980. Apprendendo la notizia dalla televisione mentre mi trovavo nella mia abitazione di Firenze ed essendo io assegnato alla Sezione che annovera la Libia come Paese di interesse, ritenni in un primo tempo doveroso mettermi in contatto con il mio ufficio per sapere se c'era bisogno della mia presenza. Mi astenni da ciò trovando logico che se fosse stato necessario sul posto non avrebbe mancato di telefonarmi e risolsi in ogni caso di rientrare a Roma al più presto possibile per pormi a disposizione del Servizio. Giungendo al lavoro mi recai presso la Sala Situazione del SIOS dove erano stati fatti affluire i rottami del velivolo e cominciai a chiedere ragguagli ad un collega che si trovava presente e dal quale appresi che avevano trascorso la notte in servizio per l'esigenza. Un certo tenente colonnello Bertocchini, entrando nella stanza, mi affrontò con tono brusco domandandomi cosa stessi facendo in quel luogo. Dovette notare la mia espressione di stupore perché immediatamente si scusò per il tono e mi disse che era meglio che io stessi in ufficio a ricevere eventuali telefonate. Eseguii prontamente l'ordine anche se appresi, successivamente, che tutte le telefonate relative alla vicenda venivano smistate presso la segreteria del Reparto. Mi misi in ogni caso a disposizione e, sapendo che erano stati istituiti dei turni per coprire l'orario fuori servizio mi offrii di partecipare agli stessi. Mi fu cortesemente, ma senza spiegazioni alcuna, risposto che la mia presenza non era necessaria e che ove lo fosse stata sarei stato chiamato. A tale proposito lasciai il mio recapito di Roma" (v. esame Nobili Umberto, GI 12.06.84).
Nobili pertanto veniva escusso dall'Ufficio e dalla Commissione Parlamentare sulle stragi. E' bene riportare per intero la dichiarazione resa "Mi trovavo nella mia abitazione di Firenze, in via Chimenti nr.3 ed ero con la mia famiglia. Chiamai immediatamente Roma, il 2° Reparto, per mettermi a disposizione dell'ufficio, trattandosi di un velivolo di Paese nella mia competenza. Il sottufficiale che rispose alla chiamata mi disse che non era stato attivato ancora alcunché, che non c'era bisogno di nulla e che il capo reparto - io avevo chiesto se fosse in ufficio - non era in sede, senza specificare altro. Era una sera del fine settimana, non posso precisare se fosse venerdì o sabato. Il lunedì mattina presi un treno precedente a quello che normalmente prendevo e mi presentai nella sede dell'ufficio, che è distaccato dal palazzo aeronautica e si trova in via Pietro Gobetti 4, di buon'ora. Trovai un collega di altra sezione, di cui ora non ricordo il nome, ma che comunque era l'ufficiale che si occupava dell'area Centro e Sud americana. Raggiunsi la sala operativa e notai che vi erano già state fatte affluire delle parti del velivolo libico. Rilevai innanzi tutto che il numero dei pezzi non era elevato, che vi era una parte del compressore, il cruscotto o parte dello stesso, una parte di ala. Sono rimasto in sala operativa per brevissimo tempo e non ho potuto rilevare altre parti. Notai che questi relitti si presentavano molto poco anneriti, molto meno di quello che normalmente lo sono gli aerei colpiti anche da incendio. Notai che non c'erano macchie d'olio né sul tavolo né sul pavimento, come di solito avviene nella raccolta di parti d'aereo. Chiesi al collega sopra menzionato se il pilota fosse un arabo. Ricordo che feci la battuta: "il pilota era un beduino?" egli mi rispose di non saperlo e mi invitò a guardare delle fotografie ove sarebbe ritratto il pilota. Si trattava di polaroid in bianco e nero. Il viso non era assolutamente visibile. Si scorgeva soltanto una mano e dalle unghie di poco più chiare del resto dell'epidermide potei arguire che si trattava di una persona di etnia semitica-mediterranea, non di certo un nord-europeo o uno slavo. Dalle fotografie non si notavano assolutamente fenomeni di degenerazione post-mortem. Ricordo questo particolare in relazione al fatto che di lì a qualche giorno, mentre mi trovavo a casa di mio padre qui a Roma, in via Lattanzio 16, avevo appreso dal telegiornale il fatto che era stata disposta inumazione urgente stante l'avanzato stato della salma. A tal proposito rammento una battuta che feci con mio padre del seguente tenore: "Ci siamo. Ecco la mafia!". Dissi questo perché già era stata messa in circolazione la voce che il pilota era morto per infarto. Tale affermazione mi apparve immediatamente assurda, perché è incontroverso che un pilota di caccia a reazione, anche in un Paese del Terzo Mondo come la Libia, viene sottoposto a visite accuratissime e un cardiopatico non può essere assolutamente abilitato alla guida di caccia a reazione. In quel periodo si era già accertato - almeno a livello S.I.S.MI - che si stavano costituendo dei punti di saldatura tra i servizi segreti libici e ambienti mafiosi. Saldatura sponsorizzata dalla P2 e finalizzata precipuamente al traffico delle armi" (v. esame Nobili Umberto, GI 28.11.90).
In un ulteriore esame l'ufficiale ricorda di aver visto tra i reperti del MiG libico affluiti nella sala operativa del 2° Reparto il casco del pilota e di aver considerato "abbastanza strano" che all'interno vi fosse applicata una targhetta "daimo" con il nome del pilota in caratteri occidentali. Ricordava, inoltre, altro singolare rinvenimento tra gli effetti personali del pilota: un pacchetto di chewing-gum, tipico prodotto occidentale. Altro dettaglio che gli sembrò singolare era l'assenza di oli sui reperti. Nobili afferma di aver visto altri reperti di incidenti di volo e in questi casi i reperti erano intrisi di olio: "normalmente in un incidente di volo è tutto molto unto e molto sporco e lì mi sembrò tutto particolarmente pulito". (v.esame Nobili Umberto, GI 01.12.90).
Nobili riferiva anche una singolare e inquietante vicenda. Nel periodo in cui era responsabile del 4° Nucleo SIOS di Roma - primi anni 70 ( gli giunse una richiesta di accertamenti concernente un traffico di piattaforme inerziali per il velivolo F104 che, dopo essere state dichiarate in disuso dalla Forza Armata venivano vendute come rottami. Le stesse venivano rimesse in funzione e attraverso la società Litton Italia di Pomezia rivendute come nuove all'Aeronautica. Egli al fine di accertare la veridicità della vicenda si rivolse al Raggruppamento Centri CS del SID di Roma. Parlò prima con il tenente colonnello Giorgio Genovesi e poi con il Direttore del raggruppamento, colonnello Federico Marzollo. Costoro gli consigliarono di non occuparsi della vicenda e di mettere la "pratica agli atti". Nell'occasione i due ufficiali del SID gli suggerirono di leggere la rivista "OP" di Mino Pecorelli, da lui non conosciuta a quel tempo. Mannucci Benincasa, cui aveva raccontato negli anni a seguire l'accaduto commentò testualmente "vedi come si preparano i golpe!" (v. esame Nobili Umberto, GI 07.12.90).
Escusso nuovamente nel 96, Nobili ha ricordato che nel periodo precedente alla caduta del DC9 il SIOS aveva registrato un'intensa attività volativa libica di tipo militare che aveva preoccupato non poco le Autorità militari. Aggiungeva che dopo la caduta del DC9, ma prima che il MiG fosse rinvenuto, il S.I.S.MI con un fonogramma richiese al SIOS informazioni su un possibile attentato o di un coinvolgimento di velivoli militari nell'evento. Questa richiesta - al dire del Nobili - anziché essere inviata per le trattative al 3° ufficio Sicurezza, venne inviata al 2° ufficio che trattava invece i Paesi di interesse dell'area del Mediterraneo. Nobili rileva che fino a quel momento nessuno né tantomeno la stampa aveva fatto riferimento a eventuali responsabilità libiche nella vicenda (v. esame Nobili Umberto, GI 06.11.96).
Una conferma della esclusione del Nobili nelle vicende del MiG libico giungeva da altro ufficiale a quel tempo in servizio al 3° ufficio del 2° Reparto, tal Buscemi Paolo. Questi dichiarava che alcuni mesi dopo l'accaduto Nobili, in occasione di un colloquio presso la Casa dell'Aviatore, gli aveva riferito che "a suo avviso l'episodio del MiG libico potesse essere messo in relazione con la caduta dell'aereo Itavia... . Nella stessa occasione lo stesso Nobili lamentò di essere stato escluso dalla trattazione dell'argomento MiG"(v.esame Buscemi Paolo, GI 25.03.97).
Il generale Tascio dal canto suo ha tenuto ad escludere di aver estromesso il Nobili dalle indagini sul MiG a causa di risentimenti personali nei suoi confronti.. Egli ha sottolineato che il Nobili serbava risentimento nei suoi confronti a causa del trasferimento a Roma che aveva disposto. Non lo aveva ritenuto - aggiunge Tascio - idoneo alle mansioni del 3° ufficio e pertanto lo aveva richiamato a Roma e mettendolo alle dipendenze del colonnello Bomprezzi. Precisa che bastava controllare le note caratteristiche dell'ufficiale. Per quanto concerneva la smentita alla ipotesi apparse sulla stampa che esso Tascio avrebbe determinato, afferma che la vicenda potrebbe riferirsi alla lettera che il 2° Reparto a sua firma trasmise a dicembre dell'80 al giudice Santacroce (v. interrogatori Tascio Zeno, GI 29.05.92 e 18.03.97).
Non chiare comunque rimangono le ragioni per le quali Nobili viene trasferito da Firenze a Roma e quelle per le quali fu estromesso dalle indagini sul MiG libico. La risposta a tali quesiti però è data indirettamente dallo stesso generale Tascio nell'interrogatorio del 18.03.97 laddove afferma di aver conosciuto il Nobili a Firenze quando ancora non dirigeva il 2° Reparto. In quella occasione Nobili chiese di parlare con Tascio - la circostanza veniva fatta risalire al tempo dell'incidente sul Monte Serra ed delle gravi tensioni da esso suscitate in seno alla Forza Armata - e gli parlò di questioni di carattere politico, di vicende legate alla massoneria, del S.I.S.MI. Tascio - aggiunge - "si atteggiava sempre a grosso spione 007". Ciò detto non è da escludere che Tascio invece fosse al corrente della collaborazione che il Nobili forniva al centro CS di Firenze e che nel momento in cui assunse la carica di Capo Reparto volle riportare sul giusto binario la gestione del distaccamento SIOS di Firenze. E che in ragione degli stretti rapporti tra il Nobili ed il centro CS di Firenze abbia ritenuto poi di escludere il Nobili stesso dalle investigazioni sulla vicenda del MiG. Ciò per evitare che le notizie confluissero per quella via al Controspionaggio.
Come già s'è detto per la vicenda del DC9 Itavia, la parziale consegna del materiale, da parte del Capo di Stato Maggiore, generale Pisano, il 15 novembre 89 - per effetto dell'ordine di esibizione del precedente 20 ottobre, relativamente all'incidente del MiG23 libico, ha costituito senza alcun dubbio un forte ostacolo all'accertamento della verità su questo evento. Si ricordi che il provvedimento in questione concerneva ogni documentazione attinente alla vicenda cioè i documenti di qualsiasi specie, scritti, fotografie, registrazioni foniche e quanto altro in possesso e comunque acquisito dal SIOS. Invece sono consegnati solo i documenti scritti e fotografici, ma si omette la trasmissione del restante materiale richiesto.
La constatazione di questa carente esecuzione si riscontra a distanza di cinque anni, nel maggio 94, allorchè viene richiesto nuovamente, al 2° Reparto - SIOS, la consegna di tutto il carteggio sul MiG23 libico in originale. In questa occasione infatti si consegna la stessa documentazione cartacea del novembre 89, all'epoca trasmessa in fotocopia, alla quale però sono allegate le cosiddette cedole di smistamento pratiche tra gli uffici del Reparto e le determinazioni del capo Reparto; quindi appunti manoscritti e sviluppo della pratica, sicuramente di rilevante interesse per le indagini, che erano state "trascurate" nella prima consegna. Si consegna anche altra copiosa documentazione, non trasmessa nel 1989, ma di cui si era entrati già in possesso tramite l'acquisizione del dicembre 88 presso la Regione Aerea di Bari. E' stato accertato che il SIOS ne era venuto in possesso nell'ottobre 88, allorquando gli era stata trasmessa, per competenza, dal Sottocapo generale Meloni. La documentazione concerneva tutta l'attività svolta dai reparti dipendenti di quella Regione Aerea in merito all'incidente del MiG libico.
Altro materiale non consegnato, e di cui non viene fatto alcun cenno dal generale Pisano nella lettera di trasmissione del 15 novembre 89, è la relazione sull'incidente del MiG23 libico effettuata negli uffici del 2° Reparto SIOS tra il 14 e 15 ottobre 88 (sabato e domenica). Questa relazione è stata rinvenuta e sequestrata, solo a seguito di esecuzione del decreto con la costante presenza della polizia giudiziaria, nel febbraio 96 presso l'Itav. Dalla relazione non si desume il luogo presso il quale la Commissione ha svolto i propri lavori, ma solo il tempo di inizio, alle ore 08.30 del 14 ottobre, di termine, il giorno seguente; e si desume anche che è stata consultata tutta la documentazione messa a disposizione dal 2° Reparto. Solo attraverso gli esami testimoniali del settembre 96, in particolare quello maggiore Cipriani, s'è scoperto che i lavori della Commissione avevano avuto luogo nei locali del 2° Reparto, in modo continuo e senza interruzioni, fino al termine degli stessi. La Commissione, voluta dal Sottocapo dell'epoca, generale Meloni, era composta dai più esperti ufficiali dell'Aeronautica in servizio nel 1988 e cioè: il colonnello Gaudio Francesco, capo del 1° Reparto - Difesa Aerea - dell'ITAV; il colonnello Gioffrè Giuseppe, esperto di Difesa Aerea dell'ITAV; il tenente colonnello Montinaro Pasquale, capo del 3° SOC di Martina Franca; il maggiore Cipriani Antonio, esperto programmatore - Difesa Aerea - della Brigata Tecnica Addestrativa di Borgo Piave. Questa Commissione conclude i suoi lavori, si ricordi, affermando che: "pur essendoci una buona possibilità di correlazione tra la traccia LJ054 ed il velivolo MiG23, tuttavia essa non può essere determinata con sufficiente certezza".
Sempre nel novembre 89 non viene consegnata la cosiddetta relazione "Pollice" effettuata nel periodo novembre - dicembre 88, come già detto, rinvenuta e acquisita nel settembre 96, che analizza e critica l'operato della Commissione presieduta dal colonnello Ferracuti sull'incidente del velivolo libico.
Come non sottolineare poi il fatto che l'Aeronautica non riferirà mai di sua iniziativa del provvedimento disciplinare a carico del capo controllore, del TPO e dell'identificatore di Jacotenente in servizio la mattina del 18 luglio 80 nella sala operativa del 31° CRAM né trasmette la relativa documentazione. Appare evidente, come accertato attraverso l'esame testimoniale degli interessati, che quella sanzione disciplinare era connessa alla presunta penetrazione del velivolo libico nel territorio italiano, anche se nella motivazione del rimprovero non viene fatto alcun riferimento specifico al MiG, ma solo una generica responsabilità per lo scarso impegno durante il servizio di quel giorno.
L'analisi della documentazione ha posto in evidenza tutte le contraddizioni relative al nastro di registrazione di Otranto e al tabulato THR da esso ricavato dal 2° Reparto nell'agosto 80 presso il Centro di Borgo Piave. In particolare: 1. La 3a Regione Aerea di Bari e il 32° GRAM di Otranto, nel settembre 88, affermano che il nastro di registrazione di Otranto è stato inviato a Borgo Piave e mai restituito; si accerta nel 91 che il nastro è stato restituito dal 2° Reparto al CRAM di Otranto. La documentazione di restituzione del nastro, al sito di Otranto, si ferma presso la Segreteria speciale della Regione Aerea di Bari il 19 agosto 1980 quando il Nucleo SIOS di Bari consegna il plico contenente il nastro a quella Segreteria. Le ulteriori indagini ed escussioni testimoniali tra il 96 e il 97 hanno accertato l'inesistenza della documentazione attestante la restituzione del nastro di registrazione dalla Segreteria speciale di Bari al CRAM di Otranto né l'episodio è stato ricordato dai vari testi esaminati. Si ricordi che nella copiosa documentazione del settembre 88, inviata dalla Regione Aerea di Bari al Sottocapo, si indica l'utilità del nastro di registrazione di Otranto per l'approfondimento dell'analisi della traccia LJ054 meritevole di attenzione, di cui si aveva conoscenza solo dalla copia del plottaggio; e si precisa altresì che il nastro era reperibile al Centro di Borgo Piave come risultava dai documenti. 2. Il 2° Reparto nel settembre 88 rinviene nel suo archivio la riduzione dati della traccia LJ054 tratta dal nastro di registrazione di Otranto e, dovendo procedere alla declassifica del documento, non sa indicare la provenienza del documento. Circostanza alquanto singolare, se si tien conto che fu proprio il 2° Reparto a prelevare il nastro ad Otranto il 30 luglio 80 e lo consegnò l'indomani al Centro di Borgo Piave per ottenere la riduzione dati. Non è stata mai consegnata dall'AM né rinvenuta la documentazione relativa all'attività di riduzione dati di questo nastro a Borgo Piave nell'agosto 80. Come ben si può intravedere v'è una confusione documentale tra Reparti dovuta o a scarso impegno nella ricerca dei documenti in archivio o perché gli stessi sono stati occultati o distrutti.
Si deve anche porre in evidenza come nella documentazione consegnata, nel tempo dall'AM, non v'è traccia delle riunioni, effettuate nei giorni immediatamente successivi all'evento presso l'ufficio del capo di Stato Maggiore della Difesa e presso il Gabinetto della Difesa; riunioni di cui quest'ufficio è venuto a conoscenza solo attraverso il sequestro documentale delle agende del generale Tascio e Melillo, rispettivamente nel luglio e settembre 95.
Come non sottolineare d'altra parte la incomprensibile conservazione del nastro di registrazione presso il sito di Marsala attribuito all'incidente del MiG libico, per ben 15 anni, dal 21 luglio 80 al 27 giugno 95. Nastro che trasmesso a quest'ufficio, nel giugno 95, a seguito di riduzione dati presso la Brigata Tecnica di Borgo Piave si scoprirà contenere dati successivi all'ora ufficiale dell'evento, cioè dalle ore 09.40Z del 18 luglio 80. Una situazione questa che ha dell'incredibile e che mostra ancora una volta la superficialità del personale dell'AM direttamente responsabile. Infatti appare non credibile, che il 21 luglio 80 il nastro di registrazione dell'incidente del MiG venga conservato con altri nastri relativi ad altri incidenti aerei nella cassaforte del CRAM di Marsala; che il 22 seguente ne venga estrapolata la THR, trasmessa al 3° SOC di Martina Franca il giorno dopo; e questi dati riportati coprono l'asserito periodo dell'incidente - 06.29Z/09.24Z -. Ed invece si custodisca per 15 anni un altro nastro i cui dati registrati iniziano dopo l'evento, e tale nastro sia segnalato dall'AM a quest'ufficio come quello relativo all'incidente in questione.
Appare altresì evidente, come già detto, che la documentazione consegnata sia stata sempre incompleta, appare del fatto si sia stato sempre sostenuto che la vicenda era stata trattata esclusivamente dal 2° Reparto o comunque che tutto il materiale trattato da altri Reparti connesso alla vicenda fosse stato trasmesso al SIOS. Ed invece altra documentazione, anch'essa di rilievo, è stata rinvenuta al 3° Reparto da cui dipendevano sia il Centro Operativo di Pace ovvero il COP e il 4° ufficio Sicurezza al Volo. in cui era incardinata la sezione competente alla investigazione sugli incidenti aerei.
Infine si deve dire che appare verosimile che la documentazione consegnata non corrisponda a quella realmente vagliata dal 2° Reparto all'epoca dei fatti, perché sia attraverso esami testimoniali ed interrogatori che annotazioni manoscritte dei generali Tascio e Melillo risultano attività che sicuramente sono stati documentate, e di cui invece non è stata mai trovata traccia, documentazione occultata o distrutta.
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