Capitolo XIII

L'Ambasciata d'Italia a Tripoli.

1. Le informazioni.

Dagli atti acquisiti presso il S.I.S.MI è emersa una nota datata 21 luglio 80 ad oggetto velivolo libico precipitato in Italia, trasmessa da Navitalia Tripoli a più indirizzi dello stesso Servizio Militare, nota da cui risulta il primo interessamento della nostra rappresentanza diplomatica in Libia all'affare. In essa si legge che la sera del 20 l'Ambasciatore Quaroni era stato convocato dal Segretario dell'"Ufficio Rappresentanze" Shahati nella sede del Comando generale delle Forze Armate. Alla riunione sarebbero stati presenti il comandante delle Forze Aeree e il Segretario Abu Baker Younis.

Nella riunione era stata illustrata la dinamica dell'incidente, il velivolo, un MiG23, in coppia con altro, stava effettuando addestramento sul circuito Bengasi - Marsa Brega - Bengasi. Durante il volo era stato notato un anormale comportamento per frequenti variazioni di quota non previste dal profilo di volo. Una volta giunto su Bengasi il velivolo non compiva la procedura di atterraggio bensì proseguiva con rotta Nord-Ovest, velocità 0.95MK, a 36.000 piedi di quota, invano ripetutamente richiamato dalla torre di controllo. Sulla base della stima della riserva di carburante s'era previsto il punto di caduta a 450km da Bengasi.

I libici escludevano qualsiasi "fine particolare" di Tripoli nei confronti dell'Italia, ed attribuivano l'evento a un malore del pilota, dovuto probabilmente all'irregolare funzionamento dell'erogazione dell'ossigeno, e tale causa, ribadivano, era confortata dall'assenza di congegni informativi sul velivolo, dall'esaurimento del carburante al momento dell'impatto e dal mancato tentativo di salvataggio del pilota. I libici comunque si dichiaravano "disponibili per cooperare in inchieste italiane"

2. Le dichiarazioni dell'Ambasciatore Quaroni.

L'Ambasciatore d'Italia in carica in quel periodo Alessandro Quaroni ha confermato la vicenda della riunione, pur collocandola nella notte del 21. In effetti in quel periodo essendoci il Ramadan gli uffici in Libia lavoravano per brevissimo tempo nelle prime ore del mattino e nelle ore notturne, ed egli fu convocato alle 23.00, per cui quell'incontro può essersi protratto sino alle prime ore del giorno successivo. La convocazione proveniva dal Sottosegretario dell'ufficio Popolare per le Relazioni con l'Estero e da questo ufficio l'Ambasciatore fu quindi portato al Quartier generale della Difesa. Qui fu ricevuto dal Capo di Stato Maggiore dell'Aeronautica, che premise di parlare a nome del Capo di Stato Maggiore della Difesa, personalità di particolare rilievo nella scala del potere nella Jamahirija, essendo il numero tre del Comando del Consiglio della Rivoluzione, composto da cinque membri e presieduto dallo stesso colonnello Gheddafi. Al colloquio oltre al Sottosegretario agli Esteri, tal Abu Freua, e il Capo dello Stato Maggiore dell'Aeronautica, alcuni altri ufficiali di armi non specificate. La spiegazione dell'evento la stessa enunciata nella nota di Navitalia.

Il pilota, a causa di malore, avrebbe inserito il pilota automatico e così si sarebbe allontanato dalla rotta prestabilita. Del malore si sarebbero accorti gli altri piloti dell'esercitazione, giacchè il nostro non rispondeva più alle loro sollecitazioni. Per esaurimento del carburante sarebbe finito in Calabria. In esito al colloquio fu richiesto all'Ambasciatore di farsi portavoce presso il Governo di Roma della richiesta di restituzione della salma del pilota e dei resti dell'aereo. Il 23 immediatamente successivo Abu Freua rinnovava la richiesta di restituzione della salma, a causa a sua detta del pressante intervento dei parenti del defunto, dando per la prima volta il nome di costui e cioè Ezzedin Fhadal Khalil, e comunicava la composizione della delegazione libica nella Commissione mista. Quel giorno stesso pervenne all'Ambasciata italiana la richiesta dei visti per quei membri.

L'Ambasciatore confermava che il Governo italiano per quella violazione dello spazio aereo nazionale e per la caduta dell'aeromobile sul nostro territorio non aveva elevato nessuna nota di protesta, così come il Dicastero degli Affari Esteri non aveva dato alcuna istruzione in tal senso o in altri sensi. Confermava altresì che all'epoca non esisteva un centro del S.I.S.MI in Libia, anche se l'addetto militare navale trasmetteva informazioni a quel Servizio tramite il SIOS della Marina. Il Centro era stato istituito solo nell'82 a seguito di visita e contatti del generale Lugaresi, succeduto nell'81 a Santovito nella guida del Servizio militare. Aggiungeva che all'epoca esistevano relazioni dirette tra i Servizi italiani e quelli libici. Per costoro operava certo Moussa Salem, il quale raggiungeva l'Italia ogni due mesi ed aveva accesso diretto alle alte gerarchie del S.I.S.MI, tra cui lo stesso Direttore generale Santovito. Con l'avvento di Lugaresi le frequentazioni di Moussa Salem si restrinsero.

Anche il console generale a Bengasi, Michele Petrocelli, ha seguito la vicenda del MiG caduto sulle montagne di Calabria. Seppe del fatto l'indomani del ritrovamento dal marconista del Consolato, già sottufficiale sommergibilista passato poi nei ruoli del S.I.S.MI, che a sua volta ne era venuto a conoscenza nella notte via radio. Sempre in quei giorni il console aveva ricevuto commenti e confidenze di altri consoli, tra i quali il francese, il greco e forse lo jugoslavo. Venivano fatte le più disparate ipotesi, la diserzione, il guasto, il malore; sull'aeroporto di partenza: Tobruk, Bengasi, Sirte; sull'appartenenza di quell'aereo alla scorta del colonnello Gheddafi. Da una sua fonte all'interno dell'Aeronautica militare libica aveva saputo che gli aerei della sorveglianza costiera erano dotati di carico limitato di carburante, e che a Benina prestavano servizio circa dieci piloti siriani. Sul MiG23 aveva saputo sempre in quell'ambito consolare che quel velivolo doveva far parte della scorta dell'aereo presidenziale e che sarebbe dovuto atterrare a Belgrado. In quel periodo i rapporti tra la Libia e la Jugoslavia erano molto intensi a causa di commesse per l'ampliamento e l'ammodernamento di diversi porti della Jamahirija. Sempre in quel periodo i viaggi di Gheddafi non erano mai pubblicizzati o lo erano solo pochissimo tempo prima della effettuazione. Addirittura era stata abrogata la consuetudine di convocare il Corpo diplomatico e consolare per il saluto al Capo dello Stato ai rientri in patria dai viaggi all'estero.(v. esame Petrocelli Michele, GI 21.02.91).

3. Le testimonianze degli Addetti militari Ficarra e Biasin.

L'Addetto militare navale a Tripoli, ammiraglio Salvatore Ficarra, ha confermato di aver trasmesso messaggi sulla caduta del MiG23. Gli era stato richiesto dal S.I.S.MI di indagare sulla nazionalità effettiva del pilota, giacchè quel Servizio, secondo la sua stima, riteneva fosse di nazionalità siriana. Gli era stato richiesto con un successivo messaggio di indagare in quali basi fossero impiegati prevalentemente i piloti siriani. Ha riconosciuto come proveniente dal suo ufficio il contenuto del documento da 2a Divisione Ricerche del S.I.S.MI del 22 luglio in cui sono riportate le generalità del pilota. Ha riconosciuto altresì il documento di provenienza Navitalia Tripoli per la 3a Divisione del S.I.S.MI, nel quale si riferisce che il console Petrocelli ha tratto convinzione da colloqui con ufficiali dell'Aeronautica militare libica che il pilota era di nazionalità siriana; che i piloti siriani erano prevalentemente impiegati in Bengasi; che in un incontro con personale dell'ufficio Popolare delle Relazioni Estere non era stato mai evidenziato che la nazionalità del pilota fosse libica, e al contrario, in occasioni di manifestazioni di condoglianze, queste erano state sempre accolte con rilevante imbarazzo.

Confermava infine l'ammiraglio Ficarra che all'epoca c'erano state diserzioni di piloti libici in Grecia, tra l'altro a Creta, il territorio europeo più vicino alla Libia, così come ce n'erano state di appartenenti ad altre forze armate in Egitto.

Anche altro Addetto militare navale in Libia, l'ammiraglio Vittorio Biasin ha confermato che il colonnello Gheddafi si serviva di MiG per la scorta nei suoi viaggi aerei, per cui impiegava DC9 e un Boeing 747 delle Libyan Airlines e C130 e Ilyuscin dell'Aeronautica militare. D'interesse anche la documentazione acquisita presso gli archivi del Ministero degli Affari Esteri, documentazione che deve essere divisa in due parti, la prima relativa agli immediati rapporti intercorsi tra le Autorità italiane e quelle libiche, da esaminare in questa sede, e una seconda concernente le operazioni di recupero del relitto del caccia, da vagliare nel relativo paragrafo.

4. Le note dell'Ambasciata.

Come s'è già notato manca una qualsiasi nota di protesta delle nostre Autorità, quanto meno nel periodo tra la scoperta dell'aeromobile in territorio italiano e le prime giustificazioni libiche. Queste appaiono nella nota verbale del 20 luglio 80 che così recita: "L'ufficio Popolare della Gimahirya Araba Libica Popolare Socialista presenta i suoi complimenti all'on.le Ministero degli Affari Esteri ed ha l'onore d'informare che alle ore 10.30 circa del venerdì 18/7/1980, un aviogetto libico del tipo "MEG 23" n. 06950 mentre era in volo per addestramento, angolo 150°, che dista da Bengazi di 120km, all'altezza di volo 10.000m, furono interrotti i contatti, e all'angolo 340°, a 210 km da Bengazi e all'altezza di 12.000m, scomparve completamente. Però dai contatti con l'aereo si constatò che il pilota era in coma o colpito da collasso, nello spazio aereo di Bengasi, e perciò ha continuato nella stessa direzione di volo, finché non sono esaurite le scorte di carburante.

Abbiamo appreso dalla stampa italiana del ritrovamento dei rottami d'aereo precipitatosi nella zona di Calabria. La stampa informò, inoltre, che le autorità italiane trovarono anche scritture in lingua araba su alcuni elementi dell'aereo, cosa che indica che l'aereo in questione è l'aereo libico disperso.

L'ufficio Popolare prega, pertanto, codesto on.le Ministero di fargli pervenire tutti gli elementi e le notizie disponibili presso le autorità italiane e di adoperarsi affinché dei tecnici libici possano prendere visione del luogo e provvedere al recupero urgente della salma del pilota e il rottame dell'aereo per ricondurli in Libia.

L'ufficio Popolare si avvale dell'occasione per rinnovare all'on.le Ministero degli Affari Esteri d'Italia l'espressione della sua più alta stima e considerazione."

Nelle note italiane d'interesse la prima, quella datata Tripoli 21 luglio e firmata dall'Ambasciatore Quaroni, nella quale si riportano gli elementi già descritti nella deposizione del diplomatico. Quindi la nota datata Tripoli 23 luglio anch'essa a firma Quaroni, nella quale si riferisce che un vicino collaboratore del colonnello aveva fatto presente il personale interesse di Gheddafi a "facilitare richiesta familiari sollecita restituzione salma pilota libico". Secondo un'annotazione a penna sulla nota il generale Pugliese ha informato "che n.o. da parte del Ministero della Difesa per la traslazione e ufficiosamente n.o. dall'Autorità Giudiziaria". Infine il telegramma datato 24 settembre, sempre a firma Quaroni nel quale si fa riferimento alla questione dell'accordo tra l'Italia e Malta e alle tensioni tra La Valletta e Tripoli, su cui si dovrà tornare nell'apposito capitolo. (v. acquisizione n.80 del 20.02.91 presso il Ministero degli Affari Esteri).

Queste informazioni che provengono dall'interno della Libia sono di notevole valore. Innanzi tutto da esse si desume che in una prima fase le Autorità di Libia non reagirono assolutamente alla scomparsa di quel loro MiG. Dal 18 di luglio o meglio dalla data dell'effettiva caduta sino all'apparizione della notizia sui media italiani del rinvenimento del relitto, essi non fanno ricerche nè richieste all'Italia come a qualsiasi altro Paese. La prima nota appare il 20.07.80 a seguito appunto delle notizie di stampa.

In una seconda fase un interessamento massimo al punto tale da indire su convocazione del Sottosegretario per le Relazioni con l'Estero riunione con il nostro Capo missione presso il Comando generale delle Forze Armate alla presenza del comandante generale della Forza Aerea, che asserisce di parlare a nome del Capo di Stato Maggiore della Difesa, numero 3 della gerarchia della Jamahirija.

In una terza fase, sempre nell'ambito di pochissimi giorni, allorché fu reso noto il nome del morto e furono presentate le condoglianze, notevole imbarazzo nelle autorità come se quel pilota non fosse conosciuto e nemmeno di nazionalità libica.

Una conferma poi al fatto che i velivoli delle basi costiere venissero dotati di carichi limitati di carburante per il timore di fughe dei piloti in Occidente.

La constatazione infine che nessuna Autorità del nostro Paese, nemmeno nell'immediatezza, quando si poteva ben supporre che si trattasse di una vera e propria penetrazione nel nostro spazio aereo di un velivolo militare - e non si erano ancora reperite, con l'aiuto dei libici, tutte le giustificazioni del caso - mosse nota di protesta per il fatto ai governanti di Libia.

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