Capitolo XI

Le testimonianze su attività volativa in
Calabria la sera del 27 giugno 80.

1. La testimonianza di Brogneri.

La presenza di aerei la sera del 27 giugno 80 nel cielo sovrastante la zona di caduta del MiG23 risulta, oltre che dal messaggio S.I.S.MI già riportato anche da testimonianze su cui ci si deve soffermare.

La prima è quella di tal Brogneri Enrico, avvocato del foro di Catanzaro. Costui, che vive ed esercita la professione nel capoluogo calabrese, s'indusse nell'89 a riferire quanto a sua conoscenza a seguito di dichiarazioni rese in Parlamento dall'onorevole Martinazzoli, all'epoca Guardasigilli, in risposta ad interrogazioni sul caso Ustica. Il ministro, evidenziando l'esigenza per lo Stato di far chiarezza sulla vicenda, sia sul versante nazionale che su quello internazionale, in effetti, secondo l'interpretazione del teste, rivolgeva un invito a tutti coloro che avessero potuto dare un apporto alle indagini. In tal senso s'è sentito destinatario del messaggio per quanto a sua conoscenza e s'è rivolto alla stampa, riferendo le sue cognizioni, quanto cioè aveva visto quella sera del 27 giugno 80. La testimonianza di Brogneri concerne un tempo brevissimo. La sera della caduta del DC9, intorno alle 21.30, egli vide nitidamente un aereo, che stima essere il MiG23 di Castelsilano, sorvolare la città di Catanzaro, a "fari spenti e silenziosamente", quasi planando ad una quota molto bassa.

Ciò nella seconda decade dell'ottobre 89. Stampa, radio e televisione riportano nel successivo novembre la notizia. A seguito di sollecitazione telefonica - probabilmente in quel torno di tempo - ed epistolare del 31 maggio 90, dopo il deposito della prima perizia tecnico-scientifica, l'ufficio lo assume il 20 giugno 90. Il teste è sicuro della data per due ordini di ragioni. In primo luogo perché in quei giorni i suoi genitori erano impegnati nei preparativi per le vacanze ed egli assiste al fatto mentre lascia la casa paterna per quella dei suoceri. In secondo luogo perché il giorno successivo ricercando sulla stampa la notizia di quanto aveva visto, lesse invece della caduta del DC9 in zona completamente diversa da quella ove egli aveva previsto dovesse essersi abbattuto l'aereo militare notato. Questo velivolo volava a una quota, come detto, molto bassa, sui 70 metri dal suolo; "appariva in evidente difficoltà perché non aveva le luci accese e planava a bassa velocità", "senza che da esso provenisse rumore dei motori". Era, secondo il teste, sicuramente un aereo militare, per le dimensioni, la sagoma, l'attaccatura delle ali alla fusoliera di notevoli dimensioni; il colore della "pancia" e della parte inferiore delle ali era grigio chiaro. La direzione dell'aereo era Nord-Ovest verso Crotone.

Il teste voleva riferire il fatto ai Carabinieri, ma ne fu dissuaso dalla moglie che sdrammatizzò l'episodio. Che però tornò alla sua mente il giorno che fu rinvenuto il MiG sulla Sila, senza però che ne derivasse una relazione tra i fatti. Solo dopo una trasmissione televisiva, Telefono Giallo su Ustica, ebbe modo di riflettere e connetterli. Ne portò a conoscenza suo padre, che gli consigliò di non "intromettersi". (v. esame Brogneri Enrico, GI, 20.06.90).

Escusso nuovamente l'8 ottobre dello stesso anno il teste confermava la precedente dichiarazione, precisando alcune circostanze. Egli vide l'aereo mentre si trovava a bordo della sua Renault 5 in viaggio tra le due abitazioni sopra specificate, precisamente in via Jan Palach nel quartiere dello stadio, strada che in quel tratto è in discesa verso piazza dei Martiri di Ungheria. L'aereo è "passato quasi" sulla sua vettura e andava in direzione a Nord di Crotone. Non era ancora scuro, perché "ci si vedeva", anche se l'illuminazione pubblica era già accesa; "c'era ancora una luce diffusa". Il velivolo, almeno nella parte inferiore era di colore grigio chiaro; misurava circa 15 metri di lunghezza; le ali erano "molto aperte".

Spiega quindi i tempi delle sue riflessioni, dei consigli del padre, della trasmissione televisiva e della scelta del giornale, cui destinò per primo la lettera con le sue "rivelazioni". Specifica infine che nella prima testimonianza non disse, quanto alla direzione dell'aereo, nè Nord Ovest nè Nord Est, bensì più a sinistra di Crotone verso Nord, tracciando su una carta della Calabria quella direzione.

L'8 settembre 92 il teste invia una lettera all'Ufficio, per riferire di aver visionato un MiG23 S-Flogger e di aver ricordato che le caratteristiche della sagoma di questo aereo non corrispondono a quelle dell'aereo da lui visto. Sarebbe rimasto fuorviato dall'erroneo convincimento secondo cui gli aerei militari, nel ritrarre le ali cd. a geometria variabile, potessero assumere quella particolare forma triangolare e compatta che lo aveva colpito e che invece è caratteristica dei velivoli a delta. Chiede pertanto di essere nuovamente sentito al fine di contribuire ad accertare: se l'aereo avvistato fosse l'inseguito o l'inseguitore rispetto al MiG e se l'eventuale attività di depistaggio, volta a postdatare l'evento, sia stata preceduta dal preliminare recupero dell'aereo effettivamente caduto e della sua sostituzione con diverso tipo di velivolo.

Sentito nuovamente il 25 settembre 92 il teste ha confermato quanto già dichiarato e quanto scritto nella lettera dell'8 precedente. Ha riferito di aver continuato ricerche personali al fine di determinare il tipo di aereo da lui avvistato la sera del 27 giugno 80. Ha ribadito che in quella occasione egli vide un aereo dalla forma triangolare, compatta e di dimensioni non grandi, specificando che la forma era quella di un triangolo equilatero. Ha acquistato nel luglio 92 la video-cassetta con il film "Muro di gomma" e nell'intervista al giornalista del giornalista Giancarlo Mazzini al collega Andrea Purgatori ha notato sullo sfondo del filmato due aerei a delta durante l'atterraggio sulla portaerei Saratoga. Questi velivoli lo hanno particolarmente colpito per avere una sagoma molto simile a quella dell'aereo della sera del 27 giugno 80 - "ricordano tantissimo la sagoma dell'aereo avvistato la notte di Ustica". (v. esame Brogneri Enrico, GI 25.09.92).

2. La testimonianza di De Marco.

La seconda testimonianza è quella di De Marco Alfonso, medico ginecologo di Cosenza. In data 4 gennaio 91 costui ha inviato una lettera a questo Ufficio, nella quale affermava di voler fare alcune dichiarazioni sul caso dell'aereo libico. S'era indotto, dirà poi nel primo esame testimoniale, a scrivere quella lettera dopo aver letto un articolo pubblicato sulla Gazzetta del Sud del 13 dicembre 90, dal titolo "Il MiG libico sembra sforacchiato" nel quale si commentava il sopralluogo compiuto dalla Commissione Stragi il 12.12.90 all'hangar di Pratica di Mare per la visione del relitto del DC9 e dei resti del MiG23 ivi custoditi.

In sede di esame testimoniale De Marco ha depositato una memoria dal titolo "Note personali avvistamento aerei militari". In questo scritto riferisce delle circostanze più che sufficientemente precise. In un giorno lavorativo - era da poco ritornato dal suo studio medico - che egli colloca nel mese di luglio, all'imbrunire - di lì a poco sarebbe stata accesa l'illuminazione pubblica - mentre si trovava nel giardino che circonda la sua abitazione sita in via Rusoli di Castrolibero, un comune della provincia di Cosenza, nel punto A indicato nello schizzo planimetrico allegato alle note, e cioè sul lato approssimativamente occidentale del giardino, la sua attenzione è attirata da un "qualcosa che scivolava sui monti" di fronte a lui proveniente dalla direzione di Monte Cucuzzo e Mendicino, verso la sua abitazione; sulle prime stima che si tratti di un uccello ed essendo cacciatore la sua curiosità ne viene attratta. Guardando meglio si accorge che non è un uccello bensì un aereo militare, a bassa quota - alla stessa sua altezza; la sua abitazione è su un poggio al di sopra di una piccola valle - con motori a basso regime - produceva cioè pochissimo rumore - e a luci di posizioni spente. Il velivolo passa dinanzi a lui a una distanza tra i 120 e i 200 metri. Egli allora si sposta immediatamente in un altro punto, sull'altro lato della casa, per seguire la rotta, precisamente nel punto B collocato sul retro della villa verso il lato approssimativamente ad oriente del giardino, e di qui lo nota ancora. Il velivolo scivola in basso verso lo stadio di Cosenza, supera l'autostrada e prosegue nella direzione Rovito - antenna di Monte Scuro. Ha la parte terminale "rotonda". Riesce a seguirlo bene quasi fino all'abitato di Rovito, vola sempre a quota bassa. Subito dopo ritorna nel punto di prima, quello che definisce A. Qui nota altri due velivoli che provengono dalla stessa direzione del primo e cioè tra Domanico e Mendicino, come ben si vede nella planimetria allegata. Si tratta questa volta di due jet militari, tra loro identici anch'essi a bassa quota, ma con i motori più sostenuti del primo e luci lampeggianti. Procedono seguendo la stessa rotta del primo, passando leggermente più a valle, a circa 150 - 200 metri dal punto di osservazione. Ritorna perciò, di corsa al secondo punto di osservazione da cui può seguire l'ulteriore volo dei due aerei. Anche questi velivoli passano sullo stadio - le luci della città sono ora accese - superano l'autostrada e puntano sulla direttrice Rovito - Monte Scuro (v. nota allegata al verbale di esame testimoniale De Marco Alfonso, 13.02.91).

Il De Marco abita in quella villa dal 75 ed un fatto del genere non era mai accaduto nè prima nè dopo quel giorno. Passano nella zona aerei militari, ma a coppia e a quote di gran lunga più alte. Quando qualche tempo dopo ha saputo della caduta del MiG libico a Castelsilano, ha ritenuto senza alcun dubbio di essere stato "un fortunato casuale osservatore" ovviamente del fatto che aveva preceduto quell'evento. Tra il giorno in cui osservò quei tre aerei e il giorno in cui seppe della caduta del MiG sono intercorsi circa venti - trenta giorni. Ribadisce poi che i tre apparecchi erano velivoli militari; che il primo volava a luci spente, gli altri due con le luci accese; che tutti e tre volavano a quota molto bassa. Il fatto era avvenuto all'imbrunire; è sicuro che al secondo passaggio le luci pubbliche erano accese, mentre non aveva notato se lo fossero o meno al passaggio del primo aereo. Ha parlato del fatto solo con la moglie. Nell'80 non prese ferie e teneva ambulatorio tutti i pomeriggi feriali tranne il sabato, senza però un orario fisso di chiusura (v. esame De Marco Alfonso, GI 13.02.91).

Sentito di nuovo De Marco dà indicazioni più precise. Il primo velivolo era ad un'altezza di circa 150 metri dal suolo; proveniva da Sud-Sud-Ovest, attraversando i paesi di Domanico e Mendicino, che sono effettivamente in questa direzione rispetto a Castrolibero. All'altezza della sua abitazione aveva effettuato una virata verso destra mostrando all'osservatore il fianco sinistro della fusoliera ad una distanza tale da poter notare il pilota con casco giallo-verde. Il velivolo, ribadisce, non aveva le luci di navigazione accese, era di colore grigio scuro militare. Non ne aveva notato le insegne. Volava a velocità molto bassa; non aveva il carrello estroflesso. Non aveva visto sporgenze rispetto alla struttura, riferibili ad armamento o a serbatoi supplementari. Una volta compiuta la virata il velivolo, mantenendo la medesima quota e velocità, s'è diretto verso il comune di Rovito, sorvolando lo stadio di Cosenza e collimando a distanza con l'antenna di Monte Scuro. Il teste aveva notato l'aereo quando era già all'altezza del comune di Domanico, e cioè a circa 8 km di distanza in linea d'aria, e lo aveva seguito sino a Rovito, ovvero a circa 7 km di distanza sempre in linea d'aria. Il velivolo non sembrava in difficoltà di manovra; non provocava rumore, tanto meno di propulsione; non presentava posteriormente bagliori di combustione. Aveva una struttura di caccia militare con ali triangolari, la parte posteriore della fusoliera arrotondata, un unico ugello di scarico.

Dopo circa due minuti aveva notato l'avvicinarsi degli altri due velivoli anch'essi apparentemente militari. Questi due aerei avevano la stessa rotta e la stessa quota del primo e compivano la stessa manovra già da quello effettuata. A differenza di esso però tenevano una velocità superiore, vicina al triplo, producevano rumore di propulsione, mantenevano accese le luci di posizione lampeggianti. Volavano appaiati ad una distanza tra i 50 e i 70 metri. La loro struttura era diversa da quella del primo; erano più grandi e dotati di prese d'aria rettangolari posizionate su entrambi i lati della fusoliera, erano biposto, giacchè il teste aveva visto due persone per aereo "posizionate l'una davanti all'altra". Non aveva invece notato le insegne; il colore era sul grigio scuro, ma diverso da quello del primo. Anche questi due velivoli non presentavano i carrelli in posizione estroflessa né sporgenze riferibili ad armamenti o a serbatoi supplementari (v. esame De Marco Alfonso, GI 11.11.92). Anche con questo teste si sono compiute ricerche in loco e con il suo ausilio si sono redatte planimetrie in cui sono state ricostruite le rotte.

3. La testimonianza di Grandinetti.

Sempre interrogando le persone che avevano al tempo chiamato Telefono giallo sia nell'edizione dell'88 che in quella del 91 per rendere dichiarazioni sull'evento, tal Neri Costantino Claudio ha riferito di aver telefonato a quella rubrica per parlare di una sua ipotesi sul MiG23 contrastante con quella che all'epoca andava per la maggiore, e cioè quella che voleva il velivolo penetrato nel territorio italiano dal mar Jonio. Egli riteneva invece che fosse giunto dal mar Tirreno e ciò sulla base di dichiarazioni di tal Grandinetti Giulio padre della sua ex fidanzata. Costui, avvocato in Crotone, gli avrebbe narrato di un episodio accaduto con ogni probabilità in quel torno di tempo. Egli era proprietario di una tenuta denominata "Villa Paradiso" sita in agro di Bocca di Piazza; su questa tenuta era passato un velivolo a volo radente al punto tale che aveva abbattuto e bruciacchiato le cime degli alberi su una collinetta sita dietro la casa della "Villa Mafalda"; alcuni coloni in seguito gli avevano riferito che dei militari in borghese erano stati sul luogo per controllare quegli alberi, per vedere cioè se le cime fossero "bruciacchiate e falciate". Questo discorso fu fatto dal Grandinetti nell'80 in un pomeriggio, quando era già noto il fatto della caduta del MiG23. Di questo il teste è sicuro, perché in quella occasione egli e l'avvocato tentarono di ricostruire la rotta tenuta dal pilota per schiantarsi a Castelsilano (v. esami Neri Costantino Claudio, GI 02.12.93 e 20.01.94).

Grandinetti conferma sostanzialmente questa vicenda, aggiungendo anche circostanze che la rendono più completa. In effetti egli è stato testimone, secondo le sue dichiarazioni del passaggio di quel velivolo di cui ha parlato il Neri. Il fatto è avvenuto, come costui riferiva, nel fondo di Villa Paradiso, di sua proprietà. È avvenuto mentre questi con l'ausilio di alcuni suoi dipendenti stava provvedendo alla mungitura delle mucche nella stalla - lo "stallone" a causa delle sue dimensioni - costruita in cima ad una collina a monte di Villa Mafalda. Erano con lui tal Luigi "caporale", e tal Renato, bovaro handicappato mentale. All'improvviso udirono un fortissimo rumore di aereo, uscirono immediatamente dalla stalla e videro un aereo da caccia di piccole dimensioni, che volava a quota bassissima e a velocità non eccessiva, cosicché fu possibile, almeno al Grandinetti, che si trovava in un punto collocato ad una maggiore altezza rispetto alla quota tenuta dall'aereo, vedere il pilota alla cloche. Quel caccia sorvolò l'abitazione, con la parte inferiore della fusoliera urtò un albero di faggio spezzandogli la cima e proseguì in direzione di Bocca di Piazza. Il velivolo proveniva dalla destra di lui, che era uscito dalla stalla, e continuò sulla sua sinistra.

L'episodio avvenne di luglio intorno alle 7 del mattino, di sicuro dopo la caduta del DC9 Itavia, giacchè il teste ricorda di essere già venuto a conoscenza, dalla stampa e dalla televisione del disastro di Ustica. Avvenne, precisa anche qualche giorno prima del ritrovamento dell'aereo libico a Castelsilano. Ricorda con certezza questo evento, giacchè il giorno in cui si rinvenne il velivolo libico anche lui si recò sul posto per vedere i rottami e ciò accadeva cinque o sei giorni dopo che l'aereo era passato sopra la sua villa. D'altra parte, egli ricorda che anche la gente che era sul luogo asseriva che quell'aereo era caduto pochi giorni prima.

Del passaggio dell'aereo sulla sua tenuta aveva parlato con il capitano comandante della Compagnia Carabinieri di Crotone, con il quale era in rapporti di amicizia a ragione della sua professione di avvocato; ne parlarono informalmente senza redigere verbale; l'ufficiale che conduceva le indagini proprio su quell'evento, rimase sbalordito di quella narrazione e gli chiese tra l'altro se avesse potuto notare le insegne dell'aereo e la sua direzione. Quanto alle insegne l'avvocato riferì che aveva visto sulla coda una stella di colore rosso. Il capitano non era Inzolia, ma il suo predecessore, di cui al momento dell'esame non ricorda però il cognome. Della vicenda aveva parlato ai suoi familiari. Non sa di un intervento di militari a Villa Paradiso per constatare i danni prodotti dal passaggio dell'aereo (v. esame Grandinetti Giulio, GI 21.01 94).

La moglie di questo teste, Scotto Carmela, ricorda l'episodio riferito dal marito. Questi le aveva detto, in un periodo di tempo che non riesce a precisare, di aver "visto un aereo volare tanto basso su Villa Paradiso che sicuramente sarà caduto". In seguito venne a sapere dell'aereo caduto in Sila e ritenne che il marito avesse detto la verità (v. esame Scotto Carmela, PG 20.01.94).

Il primogenito dei figli dell'avvocato non è a conoscenza dell'episodio, perché all'epoca frequentava l'università di Firenze, città ove passava la maggior parte dell'anno ivi compresi i mesi estivi ad eccezione di agosto (v. esame Grandinetti Ugo, PG 20.01.94).

La secondogenita ricorda, anche se in modo vago, che il padre nell'80, quando ella aveva 17 anni le aveva parlato di un aereo che "passando sopra alla villa aveva bruciacchiato gli alberi", aggiungendo che della caduta di questo aereo ne avevano parlato anche i giornali (v. esame Grandinetti Paola, PG 20.01.94).

Anche l'ultimo dei figli, che all'epoca dei fatti aveva solo sei anni, ricorda di aver sentito parlare dell'episodio. Non sa precisare quando nè a chi il padre ne parlasse. Ricorda solo che si parlava di un aereo civile o militare non specificato che aveva sorvolato a bassa quota la loro tenuta (v. Grandinetti Francesco, PG 20.01.94).

Neri, colui che come s'è detto era stato fidanzato della figlia di Grandinetti, sentito nuovamente conferma la precedente dichiarazione, aggiungendo delle precisazioni di utilità ai fini della ricostruzione del fatto. Il colloquio con l'avvocato avvenne di certo nell'80 durante le sue ferie estive, con molta probabilità a metà o verso la fine dell'agosto. È sicuro dell'anno, perché in quell'anno avvenne la strage alla stazione di Bologna. Nel riferire la vicenda l'avvocato gli aveva indicato anche gli alberi abbattuti e bruciacchiati. Egli però non era stato in grado di vedere i danni di cui Grandinetti parlava. Secondo il racconto di costui egli non sarebbe stato presente al fatto, ma lo avrebbe appreso da un colono, la stessa persona che poi gli avrebbe riferito dalla ispezione di militari. Il pomeriggio del colloquio era sicuramente successivo al giorno in cui s'apprese della caduta del velivolo libico sulla Sila (v. esame Neri Costantino Claudio,GI 20.01.94).

4. La testimonianza di Medaglia.

Nel corso di un colloquio con il direttore del carcere di Fossombrone tenuto il 5 luglio 93, il detenuto Medaglia Francesco chiedeva di conferire con il giudice Francesco Di Maggio vicedirettore generale del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria. Questi, previa intesa con l'ufficio, visitava il detenuto il 25 luglio seguente a Fossombrone e ne raccoglieva le dichiarazioni concernenti il fatto di Ustica in appunto datato 26 luglio 93, trasmesso a questa AG lo stesso giorno.

Il Medaglia, perito elettrotecnico, era nel giugno 80 amministratore della S.r.l. SOGED (Società Gestioni Editoriali) proprietaria della emittente radiofonica Radio Brutia - Cosenza. La sera del 27 giugno, a seguito del blocco del ripetitore installato su Monte Cocuzzo alla quota di 1550 metri, si era recato, da solo, in quella località per riparare l'avaria. Era giunto alle 20.30 sul luogo ove si trovavano due vecchi rustici all'interno dei quali erano state montate le apparecchiature ed un generatore di riserva. Intorno alle 21 aveva percepito il rumore di due aerei; fattosi sulla porta aveva notato due aerei militari che provenienti da Sud-Ovest uno dietro l'altro procedevano con direzione Mar Tirreno - Monti della Sila. L'aereo che precedeva era poi scomparso oltre il massiccio della Sila e contemporaneamente era cessato il rumore dei suoi motori. Il secondo velivolo che dalle fattezze il Medaglia ritiene di aver identificato (senza esserne certo) in un F14, aveva compiuto una repentina inversione di rotta; perdendo rapidamente quota, era a sua volta scomparso oltre il massiccio, ricomparendo subito dopo in virata in direzione Sud-Sud-Ovest alla volta dell'arcipelago delle Eolie. L'attenzione del Medaglia era stata richiamata dalla circostanza che, giunto sul Tirreno, l'aereo aveva preso a volare a bassissima quota.

Nel mese di novembre 92, trovandosi il detenuto ristretto in Cosenza per presenziare al dibattimento di un processo a suo carico davanti a quel Tribunale, in occasione di una delle traduzioni a palazzo di giustizia, si era intrattenuto a conversare con il capo scorta dei Carabinieri, tale appuntato Carioti, all'epoca in servizio presso la stazione di Montalto Uffugo. Del tutto occasionalmente la discussione era caduta sui fatti di Ustica ed il Medaglia aveva appreso che il Carioti, nel giugno 80 carabiniere in servizio alla stazione di Sersale, la mattina del 28 era stato inviato sul luogo ove era precipitato un aereo militare straniero per sostituire i soldati di stanza a Cosenza, che sin dalla notte prima erano stati comandati di servizio di vigilanza. Gli aveva riferito il Carioti che, nella circostanza, la sua divisa era stata strappata dai rovi ed aveva aggiunto che, a differenza del caporale sentito come teste dal GI, nessuno aveva mai ritenuto opportuno interrogarlo.

Il Medaglia, richiestogli come avesse potuto conservare memoria tanto precisa sui fatti, spiegava che nella giornata del 28 giugno 80 aveva letto sul quotidiano locale, la Gazzetta del Sud, la notizia dell'aereo Itavia inabissatosi nelle acque di Ustica ed aveva legato proprio al grande clamore di tale evento il ricordo di quanto personalmente percepito, la sera precedente, sul Monte Cocuzzo.

Che tra i due episodi potesse stabilirsi un qualche nesso aveva cominciato a stimarlo all'epoca della lettura dei servizi giornalistici che davano notizia delle perplessità circa il tempo di effettiva caduta sui monti della Sila dell'aereo militare libico. Sostenendosi da parte di taluno che quest'ultimo incidente si sarebbe verificato in epoca successiva ai fatti di Ustica, Medaglia aveva ripescato nella memoria quanto percepito la sera del 27 giugno 80. Aggiungeva che i servizi giornalistici indicati sono stati da lui letti nel maggio 92 e che da allora aveva cominciato delle sue riflessioni ai suoi familiari ed al proprio avvocato, Franz Caruso del foro di Cosenza, oltre che al direttore della casa di reclusione di Fossombrone e, da ultimo, qualche giorno prima del colloquio, al magistrato di sorveglianza di Ancona. In ogni caso, una volta intervenuta conferma a seguito della conversazione con l'appuntato Carioti, aveva deciso di riferirne all'AG.

Questo appunto è stato integralmente e specificamente confermato dal Medaglia in esame testimoniale da parte di questa AG Oltre a riferire con chi aveva parlato di quella sua vicenda sul Monte Cocuzzo e a descrivere il sito del suo ripetitore, redigendone anche schizzo planimetrico, il teste ha confermato di trovarsi, quando ha percepito il rombo degli aerei, all'interno della sala apparati. È immediatamente uscito sullo spiazzo antistante la porta di quel vano. Questa porta dava di fronte a Cosenza. Gli aerei li ha visti sulla sua destra; provenivano dalla direzione di Amantea; procedevano cioè da Sud-Ovest verso Nord-Est; sono scomparsi dietro i monti della Sila. Erano sicuramente degli aerei militari, ovvero dei caccia. Il secondo aveva doppio impennaggio; ha stimato che avesse due motori, "perchè sembrava che avesse due "getti" di uscita", quando lo ha osservato dopo che aveva superato il Monte Cocuzzo. Proprio sulla verticale di questo monte il primo ha spento il motore. Il secondo è riapparso "da dietro la Sila" dopo brevissimo tempo, cioè nel giro di pochi minuti, tra i due e i quattro minuti, non di più perché egli è stato fuori della casamatta sui cinque minuti. È sicuro che si trattasse del secondo, perché era quello con i due impennaggi. Ritiene che il primo fosse di colore più scuro del secondo. Questo era di colore quasi chiaro. Quando ha visto i due aerei la prima volta erano leggermente più in alto del punto in cui egli si trovava e cioè a circa 1500 metri di altezza, giacchè la casamatta della radio è a venti-trenta metri al di sotto della cima del monte. Dopo che lo hanno superato i due velivoli "hanno continuato una virata sulla propria sinistra e la discesa in quota". Il secondo al ritorno allorché è riapparso ha dato l'impressione che stesse salendo; era più o meno all'altezza dell'osservatore. Subito dopo, quando s'è diretto verso il mare è sceso "di brutto". Al teste non è sembrato strano che fosse ritornato solo il secondo aereo, giacchè del primo ha stimato che fosse atterrato a Crotone, essendo la sua direzione proprio quella di Crotone. Di sicuro, conclude, non era un F104 cioè un aereo italiano (v. esame Medaglia Francesco, GI 21.09.93).

In un nuovo esame dedicato particolarmente a quanto da lui osservato da Monte Cocuzzo conferma le precedenti dichiarazioni, ma specifica sulla base delle sue conoscenze - è appassionato di aeronautica e legge libri e riviste specializzate - che il secondo velivolo era un F14 o Tomcat. Non notò se avesse o meno i serbatoi supplementari. Ricorda sul colore, che era più chiaro di quello del primo. Il primo, conferma, non era dell'AM, non era cioè un F104. Entrambi erano scomparsi dietro Monte Scuro passando alla sua destra. Quello che è riapparso è ritornato passando alla sinistra del monte, per lui che vedeva da Monte Cocuzzo. Il primo dei due ha avuto il "getto illuminato" per circa metà del tragitto osservato; poi il getto s'è "spento" tra Monte Cocuzzo e il Crati, cioè a metà della valle di Cosenza. Il secondo ha tenuto sempre i getti illuminati (v. esame Medaglia Francesco, GI 22.02.94).

Costui nel corso delle sue deposizioni ha riferito circostanze su Radio Brutia e sul funzionamento del suo ripetitore su Monte Cocuzzo, citando a sostegno altri soci e dipendenti. Costoro hanno sostanzialmente confermato quelle vicende, per cui il Medaglia su tali punti appare pienamente credibile.

Costui ha poi riferito di aver parlato di quello che vide la sera del 27 giugno con altre persone cioè, come s'è detto, alcuni suoi familiari, il suo legale, il capo scorta dei Carabinieri, che in occasione di un'udienza al Tribunale di Cosenza lo tradusse dalle locali carceri al palazzo di giustizia e quel caporale dell'Esercito, appartenente al partito repubblicano, che aveva montato la guardia ai resti del MiG23.

Tutti costoro hanno confermato le sue dichiarazioni, compreso il carabiniere identificato in Carioti Nicola, su diverse circostanze dette di lui da Medaglia, come l'aver fatto servizi di traduzione per il Tribunale di Cosenza e servizi di guardia ai rottami del MiG, nel corso del quale effettivamente s'era strappato la divisa, e al cimitero di Castelsilano, quando la salma del pilota fu prelevata per essere trasportata a Roma. Ha ammesso anche una circostanza che potrebbe essere di rilievo e cioè che quando fu mandato nel vallone ov'era caduto l'aereo tra giugno e luglio a un mese di distanza dall'inizio del servizio a S.Severino il 10 giugno, al momento in cui raggiunse il luogo intorno alle 14.30, aveva trovato nella parte superiore del vallone un vero e proprio accampamento, composto da almeno quattro tende di medie dimensioni, costruite da militari dell'Esercito. Ha negato le restanti circostanze. In confronto, queste le battute principali:

"Medaglia: Mi ricordo il suo viso. Era però in divisa. Ho fatto una sola traduzione con il qui presente militare.

Carioti: Non lo ricordo.

Medaglia: Confermo di aver sentito i discorsi sull'aereo caduto a Castelsilano dal qui presente. Parlava direttamente con me.

Carioti: Non ho parlato con lei. Non ricordo assolutamente di aver riferito circostanze sul fatto dell'aereo caduto a Castelsilano al qui presente.

Medaglia: Non ricorda di aver parlato della questione della divisa strappata?

Carioti: No, non ne ho mai parlato con il qui presente. Posso averne parlato durante altre traduzioni con altri detenuti, cioè tra colleghi in presenza di altri detenuti.

Medaglia: Il fatto è successo in questo palazzo nelle camere di sicurezza, che sono al pian terreno. Mi disse che rilevò dei militari. Mi disse che si ricordava che il fatto era avvenuto a fine giugno.

Carioti: Il fatto è avvenuto o a giugno o a luglio. Avevamo la divisa estiva, che si porta durante tutta la stagione.

Medaglia: Il qui presente appuntato mi disse solo che aveva dato il cambio a militari, senza specificare a quale Arma appartenessero. Ho saputo che si trattava di militari dell'Esercito di stanza a Cosenza, leggendolo sui giornali, nell'intervista rilasciata da un caporale dell'Esercito. Avevo saputo il nome del qui presente dallo stesso. L'ho poi ricordato perché cambiando una vocale viene fuori il nome di un grande paese della provincia di Cosenza, e cioè Cariati.

Carioti: Escludo di aver mai dato il mio nome a detenuti tradotti. Il nome emerge dai fogli che lasciamo alla matricola del carcere" (v. confronto tra Carioti Nicola e Medaglia Francesco, GI 30.09.93).

Medaglia esaminato subito dopo questo confronto dichiara di non essere mai stato nella matricola del carcere e di essere perciò venuto a sapere del cognome dell'appuntato personalmente da lui. Questi gli aveva anche riferito di non esser mai stato interrogato, ovviamente sul fatto della caduta del MiG. Aveva aggiunto che nella sua caserma c'era l'ordine di servizio con la data del giorno in cui era stato comandato sul luogo di caduta. Aveva anche precisato che si ricordava che era fine giugno, perché in quel periodo si verificava una sua ricorrenza personale. (v. esame Medaglia Francesco, GI 30.09.93).

5. La testimonianza di Cannizzaro Giovanni e Stranges Sebastiano.

Sempre dalla identificazione delle persone che si misero in contatto con la trasmissione Telefono Giallo di Corrado Augias nel maggio 88 e dall'esame di coloro che si proponevano di riferire notizie concrete, sono emerse altre dichiarazioni di interesse.

Come quelle rese da Cannizzaro Giovanni, funzionario del Ministero delle Finanze in servizio presso la Conservatoria dei Registri immobiliari di Cosenza. Costui a fine giugno 80, stando nella sua casa di villeggiatura nella frazione di Torremezzo del comune di Falconara Albanese con la propria famiglia, notò un episodio degno di rilievo e a dir poco inconsueto. Notò, mentre era sulla spiaggia antistante la sua abitazione, un aereo che inseguito da altri due si dirigeva a grandissima velocità verso le montagne di Paola. Testualmente così le sue dichiarazioni "io li ho visti "emergere" dal mare. Io ero sulla spiaggia e ho avuto l'impressione che mi venissero addosso... . L'aereo inseguito era più piccolo degli altri due, leggermente più piccolo. Il primo era di colore mimetico... tendente al marrone chiaro... . Gli altri due non ricordo, comunque di colore diverso dal primo... . Gli aerei erano jet. I due di dietro avevano il cupolino leggermente trasparente. Il rombo dei tre aerei era fortissimo e quei velivoli procedevano a una velocità molto forte... . Dopo che i tre aerei mi hanno superato... ho visto dei bagliori, una sorta di lampi in prossimità degli aerei di tutti e tre. Ho avuto una gran paura al punto tale da avere una scarica di diarrea e raggiungere immediatamente il bagno di casa. Tutto l'episodio mi aveva scosso. Sia perché gli aerei si erano alzati improvvisamente dal mare, sia perché erano a pelo d'acqua, sia perché ad un certo momento mi è sembrato che mi venissero addosso, sia perché ho visto quei bagliori. Io ho visto delle palle di fuoco, delle fiammate a breve distanza dinanzi al muso degli aerei. Queste fiammate le ho viste dinanzi a tutti e tre gli aerei... . Ricordo che dopo aver assistito all'episodio dei tre aerei... ed aver visto dei lampi, in rapida sequenza tra loro, provenire dalle immediate vicinanze dei due velivoli ho fatto rientro presso la mia abitazione di Torremezzo impaurito e turbato al punto di suscitare la curiosità di mia moglie".

Sull'essenza dell'episodio non v'è da aggiungere altro. Sul luogo ove si trovava costui che ne fu testimone, s'è detto; è la spiaggia di Torremezzo di Falconara Albanese sulla costa tirrenica della Calabria nel tratto tra Paola e Amantea, cioè a 39°10' circa e 39°20' circa di latitudine Nord (si ricordi che la latitudine del luogo di caduta del DC9 è 39°43'N). Sul tempo discorso meno breve, ma sempre lineare senza contraddizioni. Il teste è sicuro che fosse l'anno 80 e un periodo prossimo al disastro di Ustica. Quell'anno la moglie, che è un'insegnante, non lavorava, avendo due figli molto piccoli - di due anni e nove mesi rispettivamente - e pertanto costoro si erano trasferiti verso la seconda metà di giugno nella casa di villeggiatura al mare. Egli li raggiungeva dopo il lavoro, sicuramente ogni giorno, considerata la breve distanza tra Cosenza e Falconara degli Albanesi. Quindi certezza sull'anno e sul mese. Certezza altresì sul giorno, giacchè il teste l'indomani o due giorni dopo apprende dai giornali della caduta del DC9, leggendo dell'evento con ogni probabilità sulla Gazzetta del Sud, quotidiano che al tempo egli acquistava presso l'edicola dei giornali di Torremezzo. Ma certezza anche sull'orario, giacchè egli dapprima dice verso le 20.30-20.45, dopo precisa quando il sole che aveva di fronte, era "ad una canna" dall'orizzonte, cioè era quasi sul punto di tramontare. Quel 27 di giugno il sole tramontava alle 20.20L.

Quanto alla direzione del volo dei tre aerei il teste di certo non è persona adusa a punti cardinali e ai calcoli delle traiettorie. La visione degli aerei è peraltro durata brevissimi attimi. Non solo, la loro apparizione ha provocato poi nel Cannizzaro turbamenti psichici e fisici non indifferenti. Comunque la ricostruzione è più che sufficientemente precisa. Gli aerei sono "emersi" dal mare dalla sua sinistra nel momento in cui egli guarda verso il sole che tramonta, e quindi verso Nord-Ovest. Ha avuto l'impressione che si dirigessero verso le montagne cioè verso Est. Gli aerei hanno poi continuato seguendo il litorale in direzione di Paola. Si dirigevano a grandissima velocità in direzione Nord, verso le montagne di Paola. Il teste ha redatto schizzi planimetrici che si riveleranno di grande utilità per la ricostruzione della rotta ed ha preso parte a più ricerche sui luoghi al fine di indicare il suo punto di osservazione e le rotte da lui viste. Egli in effetti segue i tre aerei per breve tratto lungo la costa; all'altezza di S.Lucido, egli li perde di vista perché i velivoli hanno virato verso destra, hanno imboccato uno dei valloni sulla catena costiera, e una volta superata la quale sono scomparsi nella vallata di Cosenza (v. esame Cannizzaro Giovanni, GI 30.09.93). Il percorso è stato ricostruito dalla PG con ricognizioni di luoghi (v. rapporto DCPP, 21.11.93)

Quanto dichiarato dal Cannizzaro ha anche trovato puntuale conferma nelle deposizioni della moglie, Tarsitano Angela. Costei ricorda che nell'80 alla fine di giugno durante il periodo di ferie con il marito a Torremezzo di Falconara Albanese una sera questi rientrò in casa molto scosso ed agitato e le disse che nel tratto di mare davanti alla spiaggia aveva assistito ad un inseguimento tra aerei, vedendo delle luci al di sotto di quei velivoli. Non poté assisterlo perché presa dai due bambini; il marito dovette immediatamente correre al bagno. Ribadisce che si trattava dell'80, perché solo in quell'anno essi presero in affitto casa a Torremezzo di Falconara. Ribadisce che si trattava di giugno perché in quella casa ci sono stati due mesi abbondanti. A quel tempo non lavorava e risiedeva stabilmente in quell'abitazione. Il marito la raggiungeva dopo il lavoro. Il fine settimana restavano a Torremezzo (v. esame Tarsitano Angela, GI 12.11.93).

Le deposizioni dei cinque testi di cui s'è scritto appaiono di immediato rilievo nella ricostruzione dei fatti di Calabria. Non è emersa alcuna ragione per ritenerli inattendibili. Non sono stati portati da alcuno nè sono frutto di inchieste particolari. Si sono presentati d'iniziativa per riferire le loro cognizioni. Sono professionisti, piccoli imprenditori, funzionari. Non v'è alcun legame o rapporto tra di loro.

Due riferiscono eventi diversi da quello riferito dai restanti tre. In effetti si può affermare che questi ultimi e cioè De Marco, Medaglia e Cannizzaro parlino di uno stesso fatto e cioè che ciascuno di loro abbia visto un tratto della rotta degli aerei descritti. Le loro descrizioni sostanzialmente coincidono - anche se quella del Medaglia riferisce di due aerei e non di tre, ma l'emozione di quei momenti, peraltro di minima durata, può aver determinato qualche errore nella percezione. Gli orari coincidono, i tratti si congiungono, il fatto di inseguimento è identico. Si può quasi dire che questi tre testimoni abbiano seguito a staffetta quell'unico fatto durato l'ambito di breve tempo ma esteso per decine e decine di miglia. Cannizzaro vede emergere i velivoli dal mare antistante la spiaggia di Falconara su cui si trova quando il sole era sulla linea dell'orizzonte di un giorno prima o al massimo due di quando viene a conoscenza dai giornali del disastro di Ustica. I velivoli seguono poi le montagne della costa per virare improvvisamente sulla loro destra, e superare la catena immettendosi conseguentemente nella valle di Cosenza. Anche se egli parla di virata all'altezza di S.Lucido, può benissimo, essendo persona inesperta di calcoli di rotte e distanze, collocare questa manovra più a nord del punto in cui essa realmente avvenne.

Giacchè in effetti Medaglia vede gli aerei su Monte Cocuzzo che è di qualche chilometro più a Sud. I velivoli provenivano da Amantea, hanno tagliato la valle di Cosenza, sono scomparsi dietro i monti della Sila. Egli aveva raggiunto la sommità del predetto monte intorno alle 20.30 e il fatto è successo qualche tempo dopo mentre era intento alla riparazione di apparati della sua radio. Era il 27 giugno, perché l'indomani 28 aveva letto del disastro di Ustica sulla Gazzetta del Sud.

De Marco segue il tratto nella valle di Cosenza verso i monti della Sila. Il suo posto di osservazione in Castrolibero è eccezionale. Ha di fronte quei monti tra cui monte Cucuzzo; dalla direzione di monte Cucuzzo e Mendicino vede arrivare i velivoli coinvolti nell'inseguimento. Superata la sua abitazione e l'autostrada li vede proseguire nella direzione Rovito - antenna di monte Scuro. Così come Medaglia. Egli colloca il fatto a luglio in un orario vicino a quello di inizio della illuminazione notturna. L'orario coincide con quello degli altri due testi; il giorno invece differisce, ma di certo si tratta di errore tra fine giugno e il successivo mese. Non è assolutamente credibile che si verifichino a distanza di pochi giorni altri inseguimenti di velivoli sulle medesime rotte e agli stessi orari. Tanto più che lo stesso De Marco afferma che quello fu un episodio unico della sua vita.

Queste discordanze anzi sono una riprova della buona fede del teste, che ricorda con precisione le circostanze del fatto straordinario che si sono fortemente impresse nella sua memoria, ma non rammenta il particolare della data, particolare che può facilmente sfuggire. Queste discordanze confermano altresì, che, contrariamente a quanto sostenuto da maligne voci, non v'è stato alcun contatto o accordo tra questi testi.

Le dichiarazioni degli altri due testi concernono fatti diversi. Di certo quanto riferito da Brogneri si riferisce ad altro velivolo anch'esso levatosi per ricercare un qualcosa. Non si fanno esercitazioni a quell'ora, tanto meno in formazione isolata. Così come il velivolo visto da Grandinetti a breve distanza di tempo dal rinvenimento ufficiale del MiG23. Questo velivolo che volava a quota particolarmente bassa, di certo era in volo di perlustrazione del territorio, anch'esso alla ricerca di un qualcosa. Qualcosa che si tenterà di determinare alla luce di tutte le evidenze raccolte in esito a questo capitolo.

Altra persona che riferisce circostanze che possono avere una relazione con la vicenda del MiG è Sebastiano Stranges. Questi il 6 maggio 1988 aveva chiamato nel corso della trasmissione televisiva Telefono giallo ed aveva riferito una circostanza di cui era stato testimone tra la fine di giugno e l'inizio di luglio del 1980. Sentito a testmone riferiva che proprio in quel periodo, durante la sua permanenza a Bovalino Marina, ove collaborava con lo zio alla gestione del ristorante "Jol San Nicola", tra le ore 19.30 e le 20.00, di una sera che non sapeva meglio indicare, mentre si trovava sul terrazzino del ristorante, aveva notato un velivolo militare di colore grigio-verde scuro, proveniente a suo dire dalla Libia con direzione verso Napoli. Il velivolo viaggiava a bassissima quota e a velocità ridotta, effettuando continue virate sia a destra che a sinistra; sorvolò lo spiazzo adiacente il ristorante circa 6 o 7 volte, dopodichè virò bruscamente verso le montagne, seguendo a bassissima quota la dorsale che sale da Bovalino verso Monte Zomaro fino a scomparire. Dal momento che volava a bassissima quota Stranges notava che i suoi contrassegni erano cancellati da una pittura di colore grigio chiara. Riuscì a vedere anche il volto del pilota, privo della maschera di ossigenoe con gli occhiali da pilota sollevati. Il velivolo aveva un foro davanti e un altro di forma tronco - conica nella parte posteriore.

Immediatamente dopo vede altri due velivoli- identificati dallo Stranges come dei velivoli caccia perché somiglianti a quelli della base di Sigonella che spesso pattugliavano la zona - all'inseguimento del primo; tutti e tre scomparivano poi oltre le montagne. Dopo circa un'ora i due "caccia" ripassarono sul ristorante dirigendosi verso la Sicilia; dato che volavano ad alta quota, non riuscì a notarne i contrassegni (v. esame Stranges Sebastiano, GI 15.09.93).

6. Le testimonianze del personale del campeggio di Cirò Marina.

A questo punto occorre ritornare alle vicende del campeggio di Cirò Marina, frequentato dal Masci. Costui, probabilmente perché preso dall'urgente incombente di reperire testimoni o di testimoniare che tra le 10.30 e le 11.00 era stato visto un velivolo volare sulla spiaggia, dimentica di riferire su quanto si sapeva e si diceva nel campeggio ove egli si recava.In effetti in quel campeggio, il "Torrenova" di Cirò Marina ove egli dal tempo in cui era stato comandante della locale compagnia di Carabinieri, solitamente era ospitato - e vi era stato, a sua detta, anche l'anno di Ustica - circolavano notizie di rilevante interesse e ben diverse da quelle che si sarebbe apprestato a propinare - sul punto, lo si ricordi, sarà smentito dallo stesso imputato generale Tascio, che più volte ha dichiarato che quel velivolo avvistato altro non era che un G91 in esercitazione.

Giordano Iolanda, vedova di colui che ne era titolare all'epoca, ovvero tal Ballestra Bruno, pur persona anziana, ben rammenta il fatto della caduta di un aereo sulla Sila, e riferisce di averlo appreso da un ragazzo o dai campeggiatori. E anche se non sa precisare dei particolari, ben rammenta un dato di non poco interesse e cioè che tra i commentatori alcuno rilevava che: "la data della caduta dell'aereo riportata dalla stampa differiva da quella in cui l'aereo era invece effettivamente caduto", aggiungendo, ovviamente, che quel velivolo era invece caduto precedentemente a quella data. (v. esame Giordano Iolanda, PG 25.01.97).

Anche il figlio della signora Giordano, quello dei due che la aiutava al tempo nella gestione del campeggio nel mese di luglio, conforta con chiarezza e sicurezza tali dichiarazioni, aggiungendo anche preziose circostanze, utilissime alla ricostruzione delle conoscenze dei campeggiatori. È costui Ballestra Aldo, cittadino svizzero sentito con giuramento per rogatoria dal magistrato del Ministero Pubblico della Repubblica e del Canton Ticino. Egli che è docente nella Scuola Cantonale per il commercio a Bellinzona, ogni estate raggiungeva la Calabria per aiutare gli anziani genitori, originari di Cassano d'Adda, nella conduzione di quel campeggio. Partiva in macchina con la propria famiglia da Lugano ove risiede, al termine degli impegni suoi e della moglie, impegni scolastici che si determinavano alla fine delle lezioni l'ultimo venerdì prima del 15 giugno e consistenti in esami e conferenze per le classi intermedie e quelle finali per altre due settimane e cioè sino al secondo venerdì dopo la fine delle lezioni. Pertanto, afferma il teste preso atto che in quel giugno dell'80 l'ultimo venerdì era il 27, la sua trasferta in Calabria quell'anno avvenne "verso il 29 o al massimo il 30 giugno 80, quindi la domenica o il lunedì immediatamente successivo al venerdì 27 giugno". Quella era la terza trasferta, aggiunge, da quando egli aveva preso residenza nella vicina Confederazione e generalmente questo viaggio di trasferimento durava una giornata.

Ciò premesso, il teste, invitato a far mente locale sugli eventi di quell'estate, dichiara che ben rammenta la vicenda del MiG23 di nazionalità libica precipitato in agro di Castelsilano come quella del DC9. Rammenta in particolare di aver ascoltato discussioni e commenti tra gli ospiti del campeggio su entrambi gli eventi, discorsi di stupore e di dispiacere per le vittime dell'aereo civile, ed anche di timore, giacchè, essendo a quel tempo l'aeroporto di Crotone funzionante, tra gli ospiti del campeggio che prendevano alloggio nei bungalows, non pochi si servivano delle linee che facevano scalo in quella aerostazione.

Sulle date il ricordo del teste è preciso, cosicché vale riportare integralmente le sue parole: "Quando io sono arrivato al campeggio, per quanto riesco a ricordare, si parlava già di entrambi gli aerei. Devo precisare che questi discorsi non è che li abbia sentiti appena sono arrivato, ma è probabile che li abbia ascoltati nei giorni immediatamente successivi. Di uno si diceva che era caduto intorno al 28 giugno anche perché tutti i giornali avevano riportato la notizia della caduta del DC9. Dell'altro invece si diceva che non si riusciva a capire la data esatta della caduta. Il discorso del MiG libico era quasi concomitante a quello del DC9 civile. C'è stato un periodo in cui si parlava della caduta del velivolo militare, ma la notizia non era ancora apparsa sui giornali per quel che ricordo."

Aggiunge poi - e si noti lo scrupolo di questo testimone - che egli tendeva a non leggere i giornali e a non vedere la televisione, ma che gli ospiti del campeggio seguivano tutti i mezzi d'informazione.

Invitato nuovamente a soffermare i suoi ricordi sui discorsi intorno alla caduta del MiG libico, egli ben rammenta che i commenti degli ospiti del campeggio "erano in generale di collegare la caduta del velivolo militare con quello civile. Le ipotesi che si facevano erano quelle di un coinvolgimento diretto del velivolo libico nella caduta del velivolo italiano. Si diceva che quello libico si era accodato sulla scia di quello italiano e che nel tentativo di abbatterlo era stato per errore colpito quello civile. Sottolineo che era un'ipotesi che si faceva tra gli ospiti del campeggio ed anche in paese, cioè a Cirò Marina ove io mi recavo per prendere la posta, in banca e per altre commissioni".

Rammenta quindi - altre circostanze di valore - che quando la notizia della caduta del MiG apparve sulla stampa, molti tra i campeggiatori commentarono sottolineando che la data di caduta riportata non corrispondeva assolutamente con la data effettiva dell'evento. E aggiungevano "che si trattava della solita storia e cioè che la verità non doveva venir fuori e che quindi si erano falsate le date. Si diceva che la data di caduta del MiG era stata posticipata, perché si voleva impedire un collegamento diretto tra i due fatti, e cioè la concomitanza temporale dei due eventi".

Il teste infine conferma le dichiarazioni della madre, indicando anche quella che potrebbe essere la persona fonte delle notizie riferite dalla signora. Costui dovrebbe essere tal Mele Emilio, residente in Pallagorio comune della Sila relativamente vicino al luogo di caduta del MiG. Questo Mele era socio del padre del Ballestra in un'impresa produttrice di tubi di plastica con sede in Pallagorio, paese in effetti a pochissimi chilometri di distanza da quella Timpa delle Magare ove cadde il caccia libico. E dà, da ultimo, utili informazioni per individuare questo Mele e altri testi a conoscenza di fatti relativi al campeggio Torrenova. (v. esame Ballestra Aldo PP. Bellinzona 24.02.97 in esecuzione di Commissione rogatoria 31.01.97).

Altro teste d'interesse Gallazzi Podavini Cecilia, che presso il campeggio svolgeva funzioni di amministrazione. Costei non solo conferma le dichiarazioni di Ballestra, ma aggiunge circostanze di rilievo per la ricostruzione del fatto. Ella ricorda di aver aiutato, negli anni scorsi, il padre del Ballestra, Bruno, nella amministrazione del campeggio per lungo periodo di tempo, come segretaria, in cambio dell'ospitalità per sè e i figli, durante i mesi estivi. Ricorda con la massima precisione che partiva da Olgiate per Cirò ogni anno il 24 di giugno, perchè in quel giorno cade la festa del Patrono di Busto Arsizio, cioè S.Giovanni, e il marito, che aveva un'officina in detto comune, fruendo del giorno di festa, la accompagnava alla stazione di Milano al treno per la Calabria. Ricorda in particolare le sue mansioni: l'accettazione degli ospiti, la corrispondenza, i pagamenti e i conti in genere, le telefonate.

Conferma che al campeggio lavoravano certo Ferraro Antonio, operaio fisso per lavori di manutenzione, giardinaggio e pulizia; il figlio del Ballestra e cioè Aldo di cui sopra, che faceva l'elettricista, l'accompagnatore e il guardiano notturno; certo Emilio, da Pallagorio, due o tre volte a settimana, per lavori di manutenzione del sistema elettrico ed idraulico.

Anche sulla caduta dei velivoli dell'80 la teste è chiara: "Non ricordo con esattezza l'anno in cui cadde l'aereo di Ustica. Ovviamente ricordo bene il fatto e mi sembra che ciò avvenne nel 1980. Di esso sapemmo dai giornali e dalla televisione; se ne parlò a lungo tra tutti.

"Ricordo bene che questo aereo era caduto in mare; Era un apparecchio civile e nel disastro morirono molte persone, circa un'ottantina. Ricordo pure che in quello stesso periodo cadde anche un altro aereo, ma sulle montagne, nella Sila, nella piccola Sila. Ricordo bene che era lo stesso anno e lo stesso periodo. Di questo sono sicura. Questo secondo aereo era piccolo, militare, e, per quello che ricordo, libico. Subito fu collegato con quello di Ustica." (v. esame Gallazzi Podavini Cecilia, GI 18.04.97).

Sempre secondo un ricordo chiaro riferisce di non aver sentito parlare di questo evento prima del 27 o 28 giugno, perchè in quei primi giorni fu molto occupata nella sistemazione dei figli e nell'evasione del lavoro già accumulatosi, principalmente la corrispondenza. Sicuramente ne sentì parlare nei primi giorni di luglio. Altrettanto sicuramente esclude che possa averne sentito parlare una ventina di giorni dopo e cioè intorno al 20 di luglio. Precisa anche che nei commenti di quei primi giorni si parlava solo di un apparecchio militare, e che fosse libico lo hanno saputo, lei e gli altri, solo dai giornali e qualche tempo dopo. Nei primi commenti si credeva che si trattasse di uno di quegli F104 che spesso facevano esercitazione sul cielo della Calabria invece provenienti dalla Puglia.

Coloro che ne parlavano erano i Ballestra, quelli che lavoravano al campeggio, essa Gallazzi, più i campeggiatori che in quel periodo erano pochi. Colui che ne parlò per primo fu quell'Emilio da Pallagorio che un mattino della fine di giugno - la teste ricorda che era arrivata da pochi giorni - disse: "E' caduto un aereo vicino al mio paese, è caduto in Sila, è caduto questa notte, è stata una gran botta forte". Al che il Ballestra, proprietario del campeggio esclamò: "Anch'io ho sentito un botto. Credevo che fosse una mina". La teste non parla più di quest'argomento con l'Emilio, ne parla invece e probabilmente più volte con i Ballestra. A quell'epoca, anche ciò rammenta, non si faceva alcun collegamento tra la caduta di questo aereo militare e quello di Ustica.

A proposito del discorso di Emilio, la Gallazzi precisa di averlo sentito direttamente. Esso avvenne di fronte alla scrivania dell'amministrazione alla quale ella sedeva. L'Emilio era in piedi, dinanzi alla scrivania e parlava al Ballestra, anch'egli in piedi a pochi passi dalla scrivania. Era mattina presto e non c'erano altre persone.

Dà infine, pur non ricordandone il cognome, una descrizione di questo Emilio che perfettamente coincide con il Mele di cui aveva parlato il Ballestra di Bellinzona. Ribadisce che abitava a Pallagorio; riferisce che era divenuto socio del Ballestra nella fabbricazione di tubi di plastica per la corrente elettrica; ripete che quel mattino egli ebbe a dire: "Questa notte è caduto un aereo vicino al mio paese, e ho sentito una gran botta".

Non ricorda, pur essendo addetta alla compilazione, per ciascun campeggiatore, della schedina PS e di quello d'ingresso, la presenza di ufficiali dei Carabinieri tra gli ospiti, tanto meno di un capitano Masci Claudio, già comandante della Compagnia CC. di Cirò. Se tale persona, aggiunge, è stata nel campeggio, vi è stata come ospite non pagante. (v. esame Gallazzi Podavini Cecilia, GI 18.04.97).

Di fronte alla linearità di questa testimonianza, le deposizioni dei due testi calabresi, il Mele, che altri non è che l'Emilio della Gallazzi e il Ferraro, che per esemplare reticenza - specie il Mele, giacchè il Ferraro appare persona anziana e semplice - è bene riportare in tutti i passi essenziali: "In effetti tra la fine degli anni 70 ed i primi degli anni 80, costituii una società con tal Ballestra Bruno di Busto Arsizio per la costruzione di tubi di plastica, con sede a Pallagorio. Questo Ballestra gestiva un campeggio chiamato Torrenova.

Io frequentavo di tanto in tanto questo campeggio, sia perchè ero socio del Ballestra sia perchè in precedenza vi avevo fatto dei lavori di impiantistica. Ricordo della caduta dell'aereo libico che avvenne diversi anni fa.

Ne sono venuto a conoscenza dalla televisione; non ne ho sentito parlare in paese; io in paese non parlo con nessuno, nè mi metto a parlare di queste cose con altre persone; non posso nemmeno dire se se ne parlava; io non ho sentito niente. Io ho sempre lavorato, non mi sono mai interessato di altro.

Io non ho mai parlato di questo fatto con il Ballestra. Dopo che si è sciolta la società non ho più visto il Ballestra, anzi l'ho incontrato una volta tra Pallagorio e Verzino, ma non ricordo nè l'anno, nè il giorno. Non ricordo quando si è sciolta la società.

Non so dove è caduto l'aereo di cui si parla. Non so niente." (v. esame Mele Emilio, GI 15.04.97).

Quindi l'altro teste del luogo. "Attualmente sono pensionato. Ho lavorato per vent'anni presso un villaggio turistico che si chiamava Torrenova, di cui era proprietario una persona dell'Alta Italia. Io facevo lavori di agricoltura, come curare le piante, coltivare il terreno.

Io ho sentito parlare di un aereo caduto in Sila, ma solo poco tempo fa dalla televisione; non ricordo però il giorno. Al campeggio non ho sentito parlare dell'aereo caduto. Non so queste cose.

Non conosco i Carabinieri di Cirò; non sono mai stato in questi impicci. So solo che a Cirò c'è una caserma, che prima era più piccola ed ora è più grande.

Non ho mai visto Carabinieri al campeggio, nemmeno in divisa; forse qualche volta sono venuti per controlli all'accettazione, ove c'era una donna che si portavano dall'Alta Italia e che si chiamava Lia. Questa donna faceva da segretaria e dopo la morte del vecchio proprietario, anche lei non è più venuta. Il marito di questa signora, per quello che ho sentito dire, aveva un'officina, mi sembra, di materiali aeronautici in Alta Italia. Questa signora Lia, che veniva solo nel periodo estivo, si portava con sè i figli piccoli.

Non ricordo di una persona che veniva a vendere il pesce al campeggio; quando io prendevo servizio non vedevo nessuno.

Non ho mai conosciuto capitani dei Carabinieri, non ho mai avuto a che fare con queste cose. Certo ho visto passare dei CC. in divisa, ma non ci ho mai avuto a che fare." (v. esame Ferraro Antonio, GI 15.04.97).

Ogni commento sul valore di queste deposizioni, da un lato quelle ticinese e lombarda, dall'altro le due calabresi, appare superfluo. Esse mostrano a pieno il segno di due culture diverse e le due ultime recano il marchio della reticenza massima. Solo l'innegabile è ammesso, del resto nulla si dice nè si può dire per paure ataviche di qualsiasi compromissione o rapporto con le istituzioni.

Solo da rilevare che la distanza in linea d'aria tra Pallagorio e il luogo di caduta del MiG23 è di circa dieci chilometri; e ben può essere stato percepito il rumore della caduta di un velivolo nel silenzio di ora notturna, anche per effetto di echi tra valli e monti.

A margine v'è da dire che al campeggio nessuno, e principalmente la Gallazzi che vi svolgeva funzioni di amministrazione, si ricorda del Masci, quanto meno come ospite pagante.

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