La vicenda del MiG23 precipitato in agro di Castelsilano è, tra le tante ad oggetto del presente procedimento, quella che ha sollevato più questioni, contrasti e soluzioni discordi, sul tempo di caduta dell'aeromobile e le ragioni del volo verso l'Italia, sulla sua nazionalità e su quella del pilota, sulla specie del velivolo, sulla descrizione e autopsia del cadavere, sulla presenza di stranieri nelle ricognizioni del relitto, sui rapporti con i libici.
In primo luogo il rinvenimento del velivolo. Esso - quello ufficiale, perché quel velivolo per certo non cadde quel giorno bensì in data precedente e dopo un più che probabile periodo di ricerche, fu di fatto rinvenuto e vigilato prima della data ufficiale, come emergerà nel corso della esposizione delle risultanze - avvenne il venerdì 18 luglio 80, a tre settimane dal disastro di Ustica in agro di Castelsilano come detto, nella località Colimiti, sulla Timpa delle Magare. Ed avvenne a causa di quanto visto e sentito da due testimoni del luogo, Carchidi Addolorata e Marano Francesco, entrambi escussi da PG nell'immediatezza, oltre che da ufficiali dell'Aeronautica Militare e dall'AG di Crotone e di Roma.
La prima, intenta a lavori domestici tra le 10.30 e le 11.00 sull'aia della propria fattoria, scorge un aereo che, provenendo dalla parte di Belvedere di Spinello - Cerenzia Vecchia, alla destra del luogo ove ella si trova, tiene una quota di volo molto bassa. Lo perde di vista nel tratto di fronte all'aia, giacchè proprio in quella direzione v'è un'altura e della vegetazione. Si aspetta di rivederlo dall'altro lato e cioè alla sua sinistra, e alla sinistra dell'altura - questa descrizione, come quelle successive, meglio si comprenderà se s'avrà presente la planimetria in atti - ma invece sente uno scoppio o boato e vede levarsi delle fiamme che si propagano con rapidità. Decide di conseguenza di raggiungere Castelsilano, che è a qualche chilometro di distanza per avvisare del fatto, e vi si avvia a piedi. Durante il percorso incontra Marano Francesco, che possedendo delle terre nel luogo dell'incidente, stava raggiungendo la zona. Gli riferisce quanto ha visto e sentito e questi ritorna sui suoi passi per dare notizia del fatto. Secondo la Carchidi l'aereo era "normale", cioè non faceva nè fumo nè fiamme. Dopo circa tre quarti d'ora aveva notato un secondo aereo, che volava in senso contrario a quello notato dianzi. Il primo aereo prima di scomparire "faceva poco rumore" ovvero meno rumore di quello che notava di solito al passaggio di altri aerei (v. esame Carchidi Addolorata, PG 19.07.80).
La donna è stata sentita in seguito altre volte. Ha sostanzialmente confermato la sua narrazione. Ella non vede - questo particolare deve essere tenuto ben presente - cadere il velivolo da lei notato. Lo vede solo sparire e non riapparire oltre l'altura e quasi contemporaneamente ode una sorta di scoppio. Dell'ora è sicura, perché usa un orologio da cucina collocato in questo vano che dà sull'aia. Quindi tra le 10.30 e le 11.00.
La testimonianza della Carchidi coincide con quella di Marano. Costui intorno alle 11.00, mentre è intento a dei lavori di muratura ad una costruzione di Castelsilano da cui si vede la contrada Colimiti, nota che in quella località si sta sviluppando un incendio. Poiché in essa vi possiede un fondo, con la sua autovettura vi si dirige e durante il percorso incontra la Carchidi, che gli dice che stava andando a Castelsilano per avvertire dell'incendio e della caduta dell'aereo. Prima di ritornare al paese, ha raggiunto il suo fondo, ha tentato di spengere l'incendio che aveva attaccato alcuni alberi, ma non è riuscito a causa del fuoco a vedere i resti d'aereo (v. esami Marano Francesco, PG 19.07.80 e 27.07.80).
Anche Marano appare sufficientemente certo sull'orario. Anche perché quando egli scorge l'incendio da Castelsilano deve essere passato qualche tempo dallo scoppio.
Altro teste nota un aereo, quasi in coincidenza o poco dopo l'avvistamento della Carchidi. Si tratta di Piccolo Giuseppe, pastore, anch'esso escusso più volte, dall'AM, da PG e da AG. Costui, mentre si trova con il suo gregge sul greto di un torrente, vede un velivolo che vola a bassa quota, tanto da sfiorare la collina posta a monte di un fondo denominato Ritri in agro di Cerenzia. L'aereo ha volato normalmente sino a quando per evitare un costone ha virato di colpo. Sulla base di queste informazioni i Carabinieri di Crotone redigevano schizzo planimetrico, da cui risulta la direzione dell'aereo durante il volo "normale" e quella presa dopo la improvvisa virata. (v. esame Piccolo Giuseppe, PG 19.07.80). Precisava, questo teste, in ulteriori deposizioni che l'aereo dopo la virata era "ritornato indietro" verso Castelsilano. Dopo questa repentina manovra l'aereo era sparito alla vista del pastore. L'aereo era di piccole dimensioni ed "aveva il motore in funzione". Dopo la scomparsa il teste non aveva udito alcun boato nè visto fumo. Solo a distanza di tempo, quando è risalito a monte, aveva visto del fumo in zona Colimiti. L'aereo, specifica nell'ultima testimonianza, volava seguendo il corso del fiume Lesi, più precisamente costeggiandolo sulla sinistra, sino quasi ad urtare un costone chiamato Trippitiu che sta sulla sinistra del fiume; aveva virato sulla destra, girando attorno all'altura su cui si trova Cerenzia Vecchia ed era ritornato in direzione di Castelsilano - sulla base di questi ulteriori dettagli è stata redatta dai Carabinieri nuova planimetria -; precisa anche che l'aereo, dopo la brevissima scomparsa dietro l'altura, era poi riapparso a quota più alta.
Il fatto era successo intorno alle 11.00, perché a quell'ora egli era solito portare il suo gregge all'abbeverata al torrente.(v. esami Piccolo Giuseppe, GI 27.07.80, 01.04.87 e 08.10.90).
Pure Piccolo sembra sicuro dell'orario, che coincide con quello di Marano e con quello, al massimo, della Carchidi. Ci si sofferma su tale questione, perché nel tempo l'ora del fatto, ma più precisamente si deve dire dello scoppio, dell'incendio e delle evoluzioni dell'aereo che scompare, secondo i primi, ed unici individuati testimoni oculari, appare fissarsi al massimo alle 11.00 se non nei minuti precedenti. Al contrario di quello che vorrebbe accreditarsi, in seguito si vedrà come, quale orario ufficiale, ad un quarto d'ora dopo, tra 11.14 e 11.16.
La notizia corre attraverso i diversi abitanti di Castelsilano: Amantea Pietro, Spina Giovanni, Durante Francesco, Brisinda Francesco sindaco del paese, (che peraltro aveva udito un boato intorno alle 11.00, ma non vi aveva dato peso, giacchè rumori simili si sentivano spesso al passaggio di aerei), e dal sindaco ai Carabinieri. Ed in effetti la notizia perviene all'Arma, secondo quanto risulta dal rapporto del Nucleo Operativo del Reparto Operativo di Catanzaro, alle 14.15. È il sindaco di Castelsilano, Brisinda Francesco, che informa telefonicamente l'appuntato Consalvo Giuseppe - comandante interinale della Stazione di Caccuri, territorialmente competente sul luogo dell'evento - che poco prima in una località prossima al centro abitato di Castelsilano si era sviluppato un incendio cagionato dalla caduta di un aereo.
L'appuntato, dopo aver immediatamente informato il suo superiore diretto, il maresciallo Cottone Gaetano, comandante interinale della Compagnia di Cirò Marina, s'è recato sul luogo con il Carabiniere Ferrara Gennaro ed ha accertato che in località Colimiti era precipitato un aereo e che il relitto si trovava in un profondo burrone. Ha altresì accertato che sul luogo si era sviluppato un incendio che aveva bruciato sterpaglie e qualche albero. Ha appreso da alcuni che avevano domato le fiamme ed erano discesi nel burrone, che nei pressi dell'aereo giaceva un cadavere sfigurato e mutilato.
Poco dopo erano sopraggiunti il vice pretore onorario della Pretura di Savelli, competente per territorio, l'avvocato Ruggiero Michele, e l'ufficiale sanitario di Castelsilano, il dottor Scalise Francesco, che con il maresciallo Raimondi Salvatore, comandante della Squadra di PG di Crotone, che li aveva preceduti, riuscivano a raggiungere, superando le difficoltà poste dalla pendenza del burrone, il luogo ove si trovavano il cadavere ed alcuni resti del velivolo.
Qui deve notarsi una prima stranezza. Sul luogo come AG si reca un vice Pretore onorario. Nessuno si premura di avvisare la Procura competente. In effetti anche a prima vista si poteva notare che si trattava di incidente a velivolo militare e se, come si poteva e doveva, si fosse accertato - erano passate diverse ore dalla prima notizia e l'ispezione del cadavere ha inizio alle 17.00 - o si fosse semplicemente presunto sulla base del fatto che non v'erano notizie di scomparse di velivoli italiani o alleati, se ne sarebbe potuto dedurre che si trattava di un militare ostile e quindi di una penetrazione nel nostro spazio aereo. Fatto del genere avrebbe certo imposto la presenza della Procura, che a sua volta sarebbe stata assistita da un medico legale, e non come il vice pretore dal medico condotto. Le indagini avrebbero di certo preso altro avvio.
In successione erano poi arrivati sul luogo il capitano Inzolia Vincenzo, comandante della Compagnia di Crotone, il maresciallo Cottone già detto, il maggiore Di Monte Rocco, comandante interinale del Gruppo di Catanzaro, oltre che squadre di militari dell'Arma, i Vigili del Fuoco di Crotone ed alcuni ufficiali dell'Aeronautica Militare.
Altra stranezza la presenza del capitano Inzolia. Costui non aveva alcuna competenza territoriale sul luogo del fatto, che cadeva in quello della Compagnia di Cirò Marina. Il suo superiore, il colonnello Livi, comandante della Legione - che poi transiterà al S.I.S.MI - s'è giustificato asserendo di aver inviato Inzolia, perché il comandante della Compagnia competente impedito per ferie o altra ragione.
Inzolia è l'ufficiale che la notte del 27 giugno precedente - com'è scritto in altra parte - si informa del DC9 Itavia. Senza alcuna ragione apparente. A bordo non c'erano persone provenienti da Crotone o dal suo territorio o comunque ad esso legate. L'incidente era avvenuto in pieno Tirreno e solo poche ore prima. Nessuno era a conoscenza delle sue circostanze. Lo stesso Inzolia infatti non sa addurre alcuna giustificazione al suo interessamento.
Con il sopralluogo s'accertava che la zona di caduta dell'aereo era ricompresa tra la Timpa delle Magare e il margine destro della fiumara detta di S.Marco; il margine della fiumara ed il costone della Timpa erano disseminati di rottami; il cadavere, di sesso maschile dall'apparente età di 25-30 anni, era a mezza costa; a circa 60 metri verso la fiumara vi erano tre grossi tronconi di aereo; questo velivolo, secondo ufficiali dell'Aeronautica, era un MiG23 monoposto delle Forze Armate libiche.
Nel verbale di sopralluogo - allegato al successivo rapporto del 25 luglio - si specificava che i tre tronconi erano costituiti rispettivamente dal motore, dalla coda e dal reattore; che sui resti dell'aereo era possibile rilevare la mimetizzazione nei colori verde, marrone e giallo paglierino; che sull'impennaggio di coda era dipinto un rettangolo pieno di colore verde, mentre sull'ala, nella parte medio superiore, v'era un cerchio pieno anch'esso di colore verde; che sulla coda v'era scritto il nr.6950. Quanto al cadavere esso giaceva supino - ma nel verbale d'ispezione si dirà bocconi - su una pietraia in forte pendenza con la testa a monte, con le cinghie del paracadute legate al corpo. A circa un metro i resti di un apparente seggiolino. Poco più in alto un sasso intriso di sangue misto a materia cerebrale. Non si notavano rilevanti quantità o rigagnoli di sostanze ematiche. Il cadavere, oltre a quanto già descritto in rapporto, appariva di colorito scuro, corporatura robusta, di lunghezza su 1,75, con capelli ondulati e baffi neri; l'iride era di colore castano scuro; il bulbo dell'occhio sinistro era fuori dell'orbita; la testa aveva subito la completa asportazione traumatica della calotta cranica e la frantumazione delle ossa facciali. Indosso aveva una tuta da pilota di colore grigio scuro, lacerata in più parti; non calzava scarpe; non portava distintivi ne altri segni di identificazione. Poco distante da esso sul lato destro in alto v'era uno zainetto di tela rigida di colore grigio, rassomigliante ad una cassetta di pronto soccorso; a valle, sempre poco distante dal cadavere, un casco per pilota di colore nero, intriso di sangue.
Alle 17.00 di quello stesso 18 luglio, il vice pretore di Savelli procede con l'ufficiale sanitario alla descrizione e ricognizione del cadavere, ponendo al perito i quesiti sulla causa e l'epoca della morte. Nel relativo verbale si legge che il cadavere (di sesso maschile e dell'apparente età di 25 anni) giace bocconi con le braccia aperte e le gambe divaricate - e quindi mosso rispetto al rapporto CC. ove si diceva supino e rispetto alle fotografie ove le braccia non appaiono aperte - è di colore scuro ma di razza bianca, ha i capelli ondulati neri crespati - probabilmente s'intendeva crespi; nde - corti. Indossa una tuta color avion... scarponi a gambaletto... nonché parte di tela da paracadute... . Si legge altresì che vi sono un elmetto da aviatore con scritta in lingua straniera ed un "vetrino" anch'esso con scritta in lingua straniera. Dopo aver descritto lo stato del cadavere - che presenta lo schiacciamento di tutte le ossa craniche con fuoriuscita di materiale cerebrale, e fratture varie ed esposte con brandelli di carne in tutte le parti del corpo - il perito afferma che esso si trova "in incipiente stato di decomposizione, tanto da consigliare l'immediato seppellimento per spappolamento delle visceri addominali". Quindi risponde ai quesiti, dichiarando che "la morte è da attribuire a frattura cranica conseguente ad urto violento contro corpo contundente duro" e "la stessa è avvenuta presumibilmente verso le ore 11.30 circa di oggi 18.07.80".
Come si vede, anche il medico aderisce all'orario delle 11.30, che sinora non era mai apparso.
Il seguente 19 il vice pretore rilascia nulla osta al seppellimento di quella salma, allo stato non identificata.
Il 22 luglio il capo di Gabinetto del Ministro della Difesa, il già noto generale di Squadra Aerea Mario De Paolis, chiede alla Legione Carabinieri di Catanzaro di "interessare la locale Procura competente al fine di considerare la possibilità di sottoporre ad autopsia la salma del pilota".
Si vedrà poi, dopo il sequestro di documentazione presso i generali che vi presero parte, come si giunse in sede di riunioni al Ministero della Difesa a queste determinazioni, in particolare sull'autopsia della salma del pilota.
La richiesta è trasmessa il giorno stesso al procuratore di Crotone e quell'ufficio, sempre il 22, dispone l'autopsia del cadavere, nominando periti i professori Erasmo Rondanelli primario patologo, e Anselmo Zurlo primario di medicina legale e cardiologo, entrambi dell'ospedale civile di Crotone, e fissando per le operazioni peritali l'indomani 23 luglio nella camera mortuaria del cimitero di Castelsilano.
In effetti appare del tutto inconsueto che un atto di tale rilievo sia stato compiuto su sollecitazione della Forza Armata e non d'iniziativa, specie se si considera che a quel giorno si sapeva con certezza che quel velivolo era libico e quindi incontroversa la penetrazione nei nostri cieli. Come inconsueta appare la celerità nell'adesione alla "richiesta" e nell'esecuzione della autopsia. Sui motivi dell'AM alla formulazione di tale "richiesta" più oltre quando si sarà accertato come si mosse in quel tempo lo SMA. Certo è, comunque siano andate le cose, che lo Stato Maggiore aveva bisogno di dati sicuri su quella salma, a partire dalla sua razza e dalla causa di morte, o che comunque apparissero ufficiali. E queste esigenze di certo non potevano essere soddisfatte dalla striminzita ispezione di quella vice Pretura.
Quel medesimo giorno la Procura della Repubblica di Roma chiede, nell'ambito dell'inchiesta concernente il disastro aviatorio del DC9 del 27 giugno precedente, alla stessa Procura di Crotone ogni utile notizia sulla caduta del MiG23, le conclusioni dei periti in merito all'esame autoptico del pilota, con specifico riferimento alle cause delle lesioni riportate, ed un rapporto dettagliato sulla vicenda.
Qui non appare il tramite della notizia dell'autopsia; non si riesce a capire come la Procura di Roma sia venuta a conoscenza in tempo reale della disposta autopsia. Di rilievo invece appare l'interesse a un fatto avvenuto a tre settimane dal disastro del DC9 e in zona distante dall'area d'inabissamento del velivolo civile, senza che emergesse in atti alcun dato di collegamento tra i due eventi.
La perizia viene compiuta come disposto il 23 luglio 80. Si accerta che il cadavere presenta ampie mutilazioni traumatiche; sfondamento e distruzione del capo e del massiccio facciale; amputazione e distruzione degli arti superiore ed inferiore di sinistra, numerose fratture a carico della colonna vertebrale, delle prime otto coste bilateralmente, del bacino e degli arti inferiori. Si accerta anche che l'encefalo è pressoché totalmente assente e che il prepuzio è circonciso. I due periti poi scrivono che il cadavere si trova in avanzato stato di decomposizione con necrosi gassosa e presenza di numerosi nidi di vermi.
In un momento successivo, probabilmente coincidente che con la rilettura e la sottoscrizione di quel verbale - identici appaiono gli inchiostri - sono apposte al dattiloscritto diverse correzioni a mano. Oltre quelle concernenti errori di dattiloscrittura, due sono significative: l'"avanzato" attribuito allo stato di decomposizione viene corretto in "avanzatissimo"; "vermi" viene corretto in "larve".
Queste correzioni sono significative. I periti sono rimasti colpiti dallo stato di decomposizione. Essi non dovrebbero essere nuovi ad esami di questi stati. Se, come si vedrà, sono periti di fiducia della Procura, spesso saranno stati chiamati ad autopsie di uccisi rinvenuti nelle campagne o di riesumati. Non dovrebbero perciò essere impreparati sul fenomeno della decomposizione. Essi a un primo giudizio già scrivono avanzato, cioè più progredito che nella norma per un corpo a cinque giorni dalla morte - d'altra parte anche il medico condotto dell'ispezione, ad appena sei ore dall'asserito decesso aveva notato, e s'era ritenuto in dovere di scriverlo, un incipiente stato di decomposizione.
La particolare decomposizione cioè, particolare è ovvio rispetto alle ore o ai giorni dalla morte, colpisce e viene verbalizzata. Ma nei due periti della Procura avviene addirittura che essi correggano la prima verbalizzazione. La prima stesura, "avanzato", viene modificata in "avanzatissimo". I due sono immediatamente ritornati sul loro primo giudizio, perché presi dai dubbi derivanti dalle loro osservazioni e particolarmente impressionati da quello stato di decomposizione. Proprio quell'immediato giudizio e quell'altrettanta immediata correzione - di sicuro prima della firma, perché l'inchiostro è sempre lo stesso - fa giustizia di quelle voci, certamente calunniose che hanno attribuito il ripensamento a legami di amicizia tra il prof.Zurlo e l'ing.Davanzali dell'Itavia. E proprio quello scrupolo e la volontà di adempiere all'incarico della Procura li indurrà a redigere il supplemento di perizia di cui si dirà più oltre.
La sezione del cadavere quindi accerta cuore e reni di volume inferiore alla norma, e miocardio assottigliato specie a carico della parete ventricolare sinistra.
Infine così i periti rispondono ai quattro quesiti loro posti dal magistrato inquirente: "1. Anamnesticamente la morte si può far risalire a cinque giorni prima e cioè al venerdì 18 luglio 80 e la causa della morte è verosimilmente da attribuirsi alle gravi lesioni traumatiche riportate; 2. Non esistono elementi che possono indurre ad ipotizzare una morte precedente alla caduta dell'aereo; 3. Pur non osservandosi a carico del cuore lesioni di tipo infartuale è da sottolineare le ridotte dimensioni del cuore stesso e il diminuito spessore del miocardio. Per l'assenza dell'encefalo e per le condizioni generali del cadavere non è possibile indagare su lesioni tipo ictus cerebrale, anossia o altra patologia non traumatica; 4. Il cadavere appartiene a soggetto di sesso maschile dell'apparente età di circa 30 anni dell'altezza di circa mt.1,80 di razza bianca con caratteristiche indo-europee, che per caratteri peculiari possono essere riferibili a razza araba mediterranea. Le condizioni generali del cadavere non permettono di dare una valutazione sulle condizioni psico-fisiche generali prima della morte".
Questa autopsia darà luogo a innumerevoli questioni, e non di rado la si criticherà come se fosse stata scritta da incompetenti - a dir il vero le critiche maggiori saranno rivolte a quel supplemento non ritrovato con il quale si retrodatava la morte. Qui si deve dire che essa non fu compiuta da medici generici ma da due primari, l'uno patologo l'altro medico legale cardiologo, particolarmente esperti perché periti di quella Procura, che per essere in area ad alta presenza di criminalità organizzata e non, sarà dovuta ricorrere sovente ai loro servizi.
A questa autopsia partecipano, oltre ovviamente il Pubblico Ministero che l'ha disposta ed i due periti, il già menzionato dottor Scalise quale ufficiale sanitario, l'assistente dei periti Scerra Ercole, il maresciallo dei Carabinieri Lo Giacco Giuseppe, altri militari dell'Arma ed altri ancora non identificati. Non tutti sono rimasti per l'intera durata dell'atto nella saletta, di anguste dimensioni e già invasa dai miasmi del cadavere; la maggior parte entrava, restava per brevissimo tempo ed usciva, alcuni partecipavano sostando all'ingresso o nei pressi.
Al proposito si deve dire che di tutte queste presenze e andirivieni non v'è traccia nel verbale dell'atto. Indipendentemente dalle omissioni che possono essersi verificate in una situazione di confusione e quasi di calca in un locale angusto, di certo vi erano dei fotografi di cui nulla si sa; ovvero si sa che non erano dei Carabinieri. Ma di questo oltre. Qui bisogna rilevare che c'erano "altri non identificati". In effetti rilevanti erano gli interessi su quella autopsia. E non può assolutamente escludersi - ma più approfonditamente oltre - che vi fossero militari, diversi da quelli di PG, dei Carabinieri, dell'AM, dei Servizi.
L'ufficiale sanitario Scalise ricorda che dovettero usare le maschere a causa dell'eccessivo fetore, che il cadavere era gonfio, alterato nell'aspetto, in stato di colliquazione, che presentava larve di decomposizione visibili ad occhio nudo e raggruppate nella zona degli organi genitali. Ricorda, in particolare sull'autopsia, che la pelle delle mani, quando i periti provvidero al prelievo, si sfilò "come un guanto".
Questo teste ricorda anche le vicende relative alla preparazione della salma, cui egli dovette provvedere come ufficiale sanitario. Il giorno precedente l'autopsia era stato abbattuto alla sua presenza il muretto del loculo. In quella occasione tutti i presenti dovettero allontanarsi per il cattivo odore. Solo dopo qualche tempo era stato possibile trasportare la cassa alla camera mortuaria del cimitero, e dopo che era stata scoperchiata dallo stesso Scalise s'era notato che la salma era in stato di colliquazione. Sempre Scalise precisa che la cassa era in semplice legno giacchè in quel paese, essendo consueta l'inumazione, non vi era disponibilità di casse di zinco - ma tale affermazione è contraddetta dalla presenza della costruzione per loculi fuori terra. Ricorda infine anche che qualcuno, dopo la ricognizione la sera del 18, aveva proposto di congelare la salma ove fosse stato necessario portarla a Crotone, ma quel suggerimento era stato superato da una disposizione, non si sa data da chi, di seppellire la salma a Castelsilano.
Di somma importanza questa testimonianza dello Scalise il quale sempre rileva la anormalità del cadavere. In sede di ispezione, lo si è visto, ne aveva già notato l'incipiente stato di decomposizione, al punto tale da temere che divenisse intrasportabile e da consigliare l'AG per l'immediato seppellimento. Ma contemporaneamente attesta che si presentava "fresco" e che nei pressi vi erano altre parti, come un bulbo oculare e un piede anch'essi "freschi". (v. esame Scalise Francesco, GI 12.12.86 e segg.).
Anche i due periti hanno reso dichiarazioni sulle modalità di svolgimento della perizia. Il prof.Rondanelli conferma che la cute delle mani si sfilava a mo' di guanto per la colliquazione quasi totale dei tessuti sottocutanei, cosicché era stato possibile consegnare la cute di più dita di entrambe le mani per gli esami dattiloscopici. Ricorda anche che i vari organi via via che venivano esaminati, erano fotografati da un sottufficiale dei Carabinieri presente all'autopsia. Precisa che egli stesso provvedeva a sollevare con le pinze quegli organi di volta in volta per consentirne la ripresa fotografica. Il carabiniere che compiva queste operazioni non era, secondo le sue conoscenze, del Reparto di Crotone. Era aiutato da un collega. Il professore non è sicuro se fossero o meno militari dell'Arma; li ritiene tali perché ad ogni sua autopsia erano sempre presenti sottufficiali dei Carabinieri. I due scattarono una ventina di fotografie con una macchina professionale che conservavano in una sorta di custodia con obiettivi ed altro materiale fotografico. Nella sala non v'era illuminazione elettrica, ma durante il tempo dell'autopsia vi era stata forte illuminazione solare. Colui che scattava le fotografie appariva particolarmente esperto di documentazione anatomica, giacché usava una terminologia appropriata sulle varie parti del cadavere (v. esami Rondanelli Erasmo, GI 06.11.86, 02.08.88, 01.03.91).
Sostanzialmente concorde su questi punti l'altro perito, che in merito è stato a lungo escusso dinanzi alla Commissione Stragi. (v. audizione Commissione Stragi Zurlo Anselmo, 26.07.89).
Anche l'assistente Scerra conferma le fasi dell'autopsia, in particolare quella delle fotografie; anzi su alcuni punti appare più preciso dei due periti. Fu usato anche il flash, riferisce; anche lui ha mostrato le varie parti del corpo che dovevano essere fotografate, tenendole a seconda della necessità con le pinze o con le mani ed usando un foglio di garza per evitare che al contatto con i guanti di plastica potessero scivolare. Ritiene che siano state fatte anche fotografie dell'intera salma. Non ricorda chi fossero i fotografi, ma afferma che in genere quando quei professori facevano con lui delle autopsie, erano sempre assistiti dai Carabinieri. Ricorda che non si poté iniziare l'autopsia sino a quando non giunse, con un elicottero "un pezzo grosso" in divisa, probabilmente un generale o un colonnello (v. esame Scerra Ercole, GI 15.03.91).
Da queste testimonianze emerge una circostanza di rilievo. Durante l'autopsia furono scattate numerose fotografie. Dell'intera salma come di singoli organi. Con il flash e l'ausilio di attrezzatura tecnica. Queste fotografie non sono state mai più rinvenute. Di certo non sono state scattate dai Carabinieri, nè di Crotone nè di Catanzaro, come emergerà dalle loro testimonianze. Gli operatori fotografici non sono stati riconosciuti dai periti, i quali ben conoscevano i Carabinieri che in genere li seguivano nelle ispezioni e nelle autopsie. Nessuno dei partecipi all'autopsia, almeno quelli di cui si è a conoscenza, ha saputo dire chi fossero i fotografi. La presenza del S.I.S.MI non è provata; è perciò probabile che si trattasse di uomini del Servizio dell'AM. Sta di fatto che l'occultamento o la distruzione di queste riprese fotografiche ha sottratto all'inchiesta una prova preziosa, se non l'unica, del reale stato di quel cadavere, che avrebbe impedito le polemiche e le incertezze che sono seguite a quell'autopsia. Si sarebbe potuto rilevare la situazione di decomposizione dell'intera salma, come dei singoli organi che venivano prelevati con pinze e garze e fotografati al flash. Ma una mano tempestiva ha impedito queste verifiche.
Dalle dichiarazioni suddette anche un altro atto di rilievo: che le operazioni peritali subirono ritardo a causa dell'attesa di un "pezzo grosso" senza il quale non si poteva iniziare. "Pezzo grosso" che ovviamente non compare nel verbale, ma che sicuramente avrà visto, presenziato ed osservato; altrimenti non ci sarebbe stata ragione di attenderlo. "Pezzo grosso" che sicuramente era un militare; un colonnello se non addirittura un generale. "Pezzo grosso" che con sicurezza non è del luogo - se così fosse stato, forse non sarebbe stato nemmeno definito "grosso" - perché si muove in elicottero, prelevato con tale mezzo da Crotone o Lamezia, ove era giunto da Roma. Più in là si tenterà di dare un nome a questa persona, il cui potere, e l'interesse all'atto, è tale da ritardare persino l'attività dell'AG.
Il maresciallo Lo Giacco, già menzionato sopra, che pure prese parte all'autopsia, afferma di non avere scattato fotografie. Il sottufficiale ricorda anche di aver portato l'occorrente per il rilievo delle impronte, giacchè s'era sparsa la notizia che il velivolo fosse stato pilotato dal terrorista Carlos, e di averle rilevate appoggiando la pelle asportata sui propri polpastrelli. Dopo quella operazione aveva gettato la pelle usata di nuovo nella bara (v. esame Lo Giacco Domenico, GI 18.03.91).
L'altro sottufficiale, all'epoca presso il Nucleo Operativo del Gruppo di Catanzaro con mansioni di addetto ai rilievi tecnici, il brigadiere Cisaria Gaetano, che pure ammette di avere compiuto le riprese fotografiche del giorno del rinvenimento del velivolo e del cadavere - ma nessuna a colori - afferma di non aver partecipato alle operazioni autoptiche (v. esame Cisaria Gaetano, GI 18.03.91).
L'altro sottufficiale comandante interinale all'epoca del detto Nucleo, il maresciallo Casalino Salvatore, afferma di essere stato in ferie quell'anno dal 2 luglio al 3 agosto (v. esame Casalino Salvatore, GI 18.03.91).
Ai periti fu detto dall'Ufficio di non prelevare organi e non procedere ad esami istologici, e di concludere velocemente le operazioni perché per le 13.30 presso l'ospedale di Crotone, era previsto un appuntamento telefonico con "Roma", al fine di comunicare immediatamente i risultati dell'atto. Fu detto anche, subito dopo il compimento dell'autopsia, che era necessario procedere immediatamente alla stesura della relazione scritta.
Per questa ragione e per il collegamento telefonico con Roma i due furono subito accompagnati all'ospedale civile di Crotone. Qui mentre si trovavano nel reparto di Medicina Patologica con il procuratore della Repubblica, il suo segretario, e la segretaria del prof. Rondanelli, il magistrato specificò che la telefonata sarebbe stata fatta da un ufficiale di un Ministero, interessato "con una certa urgenza" alle risultanze dell'esame autoptico.
Di lì a poco, tra le 13.00 e le 13.30, infatti giunse una telefonata da Roma, e all'ufficiale all'altro capo rispose personalmente il Rondanelli. L'ufficiale pose una serie di quesiti in modo quasi automatico, apparentemente "su di una falsariga di schema già prefissato", diversi dei quali non coincidenti con quelli del Giudice. Rondanelli rispose dettando le osservazioni del collegio; ad alcuni come quelli relativi al ritrovamento del cadavere, non poté però rispondere, perché non afferenti al caso.
Subito dopo questa telefonata, verso le 13.30 i due periti compilarono le risposte ai quesiti giudiziari, dettandole al segretario del magistrato, che ne curò la dattiloscrittura con la macchina dell'ospedale. All'esito sottoscrissero la relazione e la consegnarono all'ufficio del Pubblico Ministero che era rimasto nel reparto dell'ospedale.
Quindi ai periti furono date delle precise indicazioni: di non prelevare organi, di non procedere ad esami istologici, di concludere entro le 13.30 di quello stesso giorno. Poiché non vi sono verbalizzazione in tal senso e poiché tra i tanti difetti dell'amministrazione della giustizia non vi è quello della fretta, si deve presumere che queste indicazioni - vere e proprie direttive - venissero da persone diverse dall'AG. D'altra parte l'appuntamento per le 13.30 era con un ufficiale al Ministero. L'interesse palesemente era dell'AM. A tal punto interessata, che sottopone attraverso l'interlocutore a Roma i periti a un questionario molto più vasto e dettagliato di quello peritale.
Subito dopo la consegna i due professori ebbero delle perplessità sull'epoca della morte e discussero della questione anche nel pomeriggio. Appariva ai periti che alcuni segni tanatologici non consentissero di far risalire la morte a soli cinque giorni prima, ma imponessero di retrodatarla ad epoca più remota. In particolare la massa cerebrale, la milza, i polmoni, il fegato, che erano stati trovati in stato di colliquazione; i polmoni che si erano sfilacciati; il fegato collassato, e la milza ridotta a sacchetto contenente liquame, come liquame era la massa cerebrale; le surrenali ed il pancreas che erano scomparsi per necrosi colliquativa. La presenza poi di numerose larve non solo nella zona inguinale, ma anche nella zona sottocutanea del torace in coincidenza dell'area delle ferite. La distruzione infine dei tessuti sottocutanei della cute delle mani, che aveva consentito lo "sfilacciamento a mo' di guanto" della pelle.
I due dopo aver consultato anche dei testi specialistici decisero di redigere un supplemento alla perizia già consegnata nella tarda mattinata. La sera stessa Rondanelli subito dopo la discussione con Zurlo e dopo che questi aveva lasciato il reparto, scrisse la bozza del supplemento, riservandosi di farla battere a macchina dalla sua segretaria l'indomani mattina e consegnarla alla Procura dopo la firma di Zurlo.
La dattilografia fu compiuta con ogni probabilità dalla Brasacchio, che ricorda di aver sempre battuto a macchina tutte le relazioni di Rondanelli per la Procura, anche se egli non ricorda in particolare questo supplemento. Questo documento fu letto e firmato da Zurlo nella prima mattinata del 24 e consegnato intorno alle 11.00 da Rondanelli alla segreteria della Procura, anche se questi non ricorda con esattezza in quale stanza e a quale impiegato. Essa era composta da due fogli e lo scritto occupava una pagina e mezza; aveva come titolo "Memoria aggiuntiva alla perizia autoptica eseguita in data 23 luglio 1980". Vi veniva puntualizzato che il processo di decomposizione del cadavere segue tappe precise, per cui dapprima sono aggrediti gli organi a più alto contenuto di enzimi - pancreas e milza - e successivamente gli altri, quali i polmoni e i tessuti molli sottocutanei. In conclusione vi si affermava che la morte doveva essere retrodatata ad almeno quindici giorni prima dell'autopsia.
Molto s'è dibattuto su questa memoria. E non pochi hanno sostenuto che si trattasse di una mera invenzione dei periti. Una volta escluso il sospetto basato sul rapporto tra Zurlo e Davanzali, ci si è chiesti quali potessero essere le ragioni che avrebbero dovuto indurre i due periti a porre in essere tale simulazione e non se ne sono trovate di consistenti. Ma v'è un fatto che deve invece indurre a ritenere che non mentano. Il supplemento è stato redatto e depositato nell'immediatezza. Altrettanto celermente deve essersi diffuso il suo contenuto. Al punto tale da determinare l'altrettanto immediata missione del maggiore Simini a Crotone, giacchè i periti, affermano, furono convocati a ventiquattr'ore dal deposito del supplemento. Non può esservi altra ragione a questa missione. Il "Ministero", con ogni probabilità lo stesso Simini o personale del suo ufficio avevano interrogato e dettagliatamente i periti. Ad appena due giorni di distanza una missione speciale, in aereo, di poche ore, per interrogare le stesse persone, d'urgenza di pomeriggio con poco tempo a disposizione, per la chiusura al tramonto dell'aeroporto. L'urgenza doveva essere massima. E proprio per queste ragioni non poteva essersi determinata, se non vi fossero state novità rispetto al colloquio del 23. Non solo: novità di rilievo, perché se ve ne fossero state di poco conto, non vi sarebbe stato motivo di organizzare una missione a tamburo battente, e con mezzo aereo. Novità di rilievo poteva essere solo il supplemento con le nuove conclusioni e cioè che la morte di quel pilota dovesse essere retrodatata di quindici - venti giorni. E che la novità fosse questa è validamente confermata dalle nuove domande di Simini, come si vedrà, che verteranno essenzialmente sulle caratteristiche del sangue riprodotto in fotografie e cioè sulla data della morte.
A distanza di poco più di ventiquattro ore dal deposito di quella memoria aggiuntiva nella segreteria della Procura i due periti furono convocati dal capitano Inzolia nella sede della Compagnia dei Carabinieri di Crotone. Rondanelli ritiene che la telefonata sia avvenuta di pomeriggio, perché rispose che avrebbe raggiunto la caserma subito dopo aver sbrigato degli impegni urgenti in ospedale prima di ritirarsi a casa la sera. Così come fece. In caserma si incontrò con una persona in abito chiaro. Zurlo ricorda di essere stato convocato da Inzolia e di essere andato alla caserma dietro le pressioni di costui che aveva fatto presente, alla sua risposta di non poter andare, che l'ufficiale che voleva vederlo era giunto appositamente in aereo da Roma e che sempre in aereo quella stessa sera doveva ritornare a Roma. Anche lui ricorda che l'uomo indossava un abito bianco, forse una divisa estiva. I due periti incontrarono separatamente questa persona, giacché raggiunsero la caserma in orari differenti. La persona giunta da Roma, che appariva un ufficiale medico dell'Aeronautica, chiese chiarimenti sullo stato di conservazione della salma, come se avesse avuto conoscenza del supplemento di perizia presentato dopo il primo verbale e quindi come se fosse a conoscenza dei dubbi che erano sopraggiunti dopo il deposito della prima perizia. Di fronte alle perplessità di Zurlo gli esibì una foto a colori tipo polaroid del cadavere, nella quale si notava il colore vermiglio del sangue fuoriuscito dalla salma che bagnava il terreno sottostante. Il particolare del colore avrebbe deposto secondo l'ufficiale a favore della tesi della morte recentissima del pilota. Sempre secondo l'ufficiale quella fotografia era stata scattata al momento del ritrovamento del cadavere. Zurlo obiettò, affermando che anche se la fotografia era stata scattata di certo all'atto del ritrovamento del corpo, nulla provava che il rinvenimento era avvenuto cinque giorni prima dell'esecuzione della perizia necroscopica, cioè nulla provava la data in cui la fotografia era stata eseguita. L'ufficiale sorrise a tale osservazione e l'incontro ebbe termine.
Inzolia non ricorda assolutamente l'episodio; non ricorda la convocazione in caserma dei due periti, non ricorda ufficiali venuti appositamente da Roma in aereo, che sarebbero ripartiti subito dopo l'incontro con i due professori; non ricorda esibizioni di polaroid nel suo ufficio; non ricorda alcun signore vestito di bianco; non ritiene che esistano divise bianche nelle forze di Polizia.
Questo atteggiamento dell'Inzolia è particolarmente grave. Egli palesemente intende cancellare il ricordo del fatto, di cui è l'unico testimone. In effetti mai si sarebbe potuti arrivare alla identificazione dell'ufficiale, se non si fosse trovata quasi casualmente documentazione su quella missione. E ne sarebbe derivato un ulteriore motivo di aggressione alla credibilità dei periti, sostenitori di una convocazione e di un incontro, assolutamente non provati.
Nella documentazione trasmessa a questa AG dallo Stato Maggiore dell'Aeronautica in data 15 novembre 89 sono stati ritrovati invece gli atti della missione in questione. Si trattava in una missione nazionale di un giorno, per il maggiore CSA Giuseppe Simini, il 25 luglio 80, a mezzo di velivolo militare e con finalità di acquisizione di dati tecnici. La missione a Crotone durò dalle 18.30 alle 20.45 di quel 25 luglio, e di essa il predetto maggiore redasse dettagliata ed accurata relazione, di gran lunga più precisa e ricca di dati degli atti giudiziari.
Il maggiore vi elencava dapprima le persone contattate e cioè il maresciallo De Giosa, un sottufficiale dei Carabinieri, - e che sicuramente è Lo Giacco - e quindi il professore che aveva effettuato la necroscopia - non ne indicava il nome, perché probabilmente si riprometteva di aggiungerlo nel momento in cui lo avesse ricordato, ma è incontroverso che si tratta di Zurlo - specificando in nota che il sottufficiale di Carabinieri che aveva seguito di persona le fasi della necroscopia, gli aveva fornito un gran numero di informazioni utili, dimostrando un'ottima conoscenza di problemi e di aspetti medico-legali relativi alle autopsie in genere. Simini poi indicava lo scopo della missione e cioè l'accertamento della validità e dell'attendibilità dei rilievi anatomici già in suo possesso; l'accertamento della presenza di ulteriori elementi di informazione sulla nazionalità del pilota; l'accertamento della presenza di patologie pregresse a carico del pilota per meglio chiarire la causa della morte.
Relativamente al primo accertamento precisava che le notizie contenute nel foglio "referto necroscopico" erano state desunte dalla lettura dell'autentico referto necroscopico compilato dai medici dell'autopsia. Il testo originale era stato ricopiato da una persona che non si menzionava e quindi trasmesso telefonicamente a Roma da altra persona che pure non si menzionava; entrambe però non appartenenti a personale medico. Oltre al referto necroscopico egli era in possesso di altro documento definito "appunto" che aveva accompagnato il contenitore dei prelievi autoptici. Questo "appunto" era stato redatto e trasmesso dal sottufficiale dei Carabinieri già detto, che aveva provveduto al prelievo delle impronte digitali e alla trascrizione sull'"appunto" dei commenti uditi dai medici necroscopi e sue osservazioni personali. Descriveva poi con precisione i caratteri somatici ed antropologici del cadavere - sesso, altezza, apparente età, carnagione, capelli, baffi, occhi, naso, denti, mani, piedi, tatuaggi e cicatrici, apparato muscolare, circoncisione. Concludeva questo paragrafo della relazione asserendo che la salma era in avanzato stato di decomposizione, dovuto a) alla permanenza della stessa all'aperto per parecchie ore prima del primo seppellimento; b) alla tumulazione effettuata non in cassa di zinco; c) alla elevata temperatura ambientale della zona per tutti i giorni intercorsi tra la morte e il riscontro autoptico. Alla fine di questa conclusione elencava le lesioni sul corpo coincidenti con quelle rilevate nella ricognizione e nella autopsia. Quindi passava a un dettagliato esame degli organi e degli apparati - cardiocircolatorio, respiratorio, digerente, urogenitale, nervoso centrale.
Traeva poi le conclusioni generali di risposta allo scopo della missione, tra cui quella relativa alla causa della morte. Pur ammettendo che le lesioni traumatiche subite dal soggetto erano di per se stesse, singolarmente, dotate di letalità potenziale (rottura del cuore, asportazione dell'encefalo, fratture multiple del rachide, fratture da schiacciamento della gabbia toracica), affermava che non potevano essere del tutto escluse come causa di malore durante il volo o come cause di morte vere e proprie alcune lesioni o momenti funzionali critici che potevano essere occorsi al pilota, come infarto del miocardio, rottura di un aneurisma congenito dei vasi cerebrali, scompenso acuto di circolo, insufficienza respiratoria acuta. Al proposito rilevava un elemento che avrebbe dovuto esser preso in considerazione quale momento causale dell'incidente, elemento che si deduceva dai fotogrammi in suo possesso. In essi infatti si notava una cianosi subunguale del 1° e 3° dito della mano destra e del 1° dito della mano sinistra, cianosi che avrebbe potuto essere interpretata, per la posizione delle mani, non come fenomeno ipostatico post-mortem, bensì come fenomeno di una insufficienza cardiorespiratoria acuta o sub-acuta, legata o meno ad una presunta cardiopatia congenita cianogena. Da ultimo suggerimenti di maggiore approfondimento ad opera di specialisti antropologo, tanatologo e cardiologo (v. relazione del maggiore Simini Giuseppe, datata 25.07.80 - atti inviati dallo Stato maggiore Aeronautica a seguito decreto di sequestro emesso in data 20.10.89 e 03.11.89).
Simini, ascoltato come teste, ha confermato di essere stato mandato dal 2° Reparto dello Stato Maggiore Aeronautica dopo il ritrovamento del MiG e della salma del pilota - non ricorda con esattezza il giorno - a Crotone presso il comando della locale Compagnia dei Carabinieri per interrogare i periti dell'autopsia. Al tempo era maggiore presso la Scuola Militare di Sanità Aeronautica.
Aveva incontrato uno solo dei due periti, non Rondanelli, che conosceva e di cui ricorda il nome, bensì l'altro, il cui nome al momento gli sfuggiva. Gli aveva posto una serie di domande tecniche al fine di accertare se erano stati riscontrati precedenti patologici o malattie congenite, formulando quesiti apparato per apparato. Alle questioni il perito aveva risposto che non era possibile essere precisi nelle affermazioni, giacché il cadavere era in avanzatissima putrefazione.
Sempre nel corso dell'incontro, aveva mostrato alcune fotografie, consegnategli dal 2° Reparto dello SMA, raffiguranti il corpo del pilota sul luogo dell'incidente, "fresco" cioè ripreso nell'immediatezza della caduta. Le fotografie erano a colori di formato circa 18 x 24. Non aveva avuto intenzione di disorientare il perito, anche se questi aveva mostrato di non essere convinto che la data della morte corrispondesse a quella del rinvenimento e ripetesse "era colliquato, era in avanzato stato di putrefazione". Non ricordava se l'altro avesse fatto una battuta sulla certezza della data delle fotografie; comunque egli non aveva risposto nulla perché non aveva elementi per ribattere su quel punto.
La missione durò poche ore; egli arrivò nel pomeriggio e ripartì in serata; l'incontro avvenne, come s'è detto, nella sede della Compagnia dei Carabinieri; fu presentato al professore da una persona in borghese sui trentacinque anni, che gli sembrò un ufficiale dei Carabinieri. Nel percorso tra l'aeroporto e la caserma fu accompagnato da due sottufficiali, il maresciallo De Giosa, che egli già conosceva, ed un secondo, mai visto prima, che aveva assistito all'autopsia. Costui gli riferì diversi particolari osservati durante le operazioni settorie, che nemmeno i periti avevano riscontrato.
In quel torno di tempo - ha ricordato sempre Simini - il giorno prima della missione o quello immediatamente successivo, un sottufficiale gli portò presso il Laboratorio del Centro Studi e Ricerche di Medicina Aeronautica e Spaziale un contenitore con formalina entro il quale era conservata la cute di una o entrambe le mani del pilota. Infilando le proprie dita in quei brandelli di cute egli riuscì, seppure in modo incompleto, a imprimere le impronte digitali del morto. Il reperto fu restituito al sottufficiale e il maggiore non seppe più nulla nè di esso nè delle impronte. Il sottufficiale di cui sopra, era, riteneva, tale Zecchini, maresciallo dei Carabinieri del 2° Reparto.
Questi, che è stato in servizio presso il Nucleo dei Carabinieri del 2° Reparto dal 76 all'89 e che tra l'altro è il sottufficiale che aveva accompagnato i colonnelli Bomprezzi e Argiolas all'aeroporto di Boccadifalco per la visione di alcuni reperti recuperati subito dopo la caduta del DC9 Itavia, ha negato però di avere mai avuto in consegna o visto reperti attinenti al corpo del pilota, aggiungendo di essere già stato interrogato dal generale Tascio cui aveva dato le medesime risposte.
Sempre Simini ha concluso la sua testimonianza, affermando di non aver mai visto alcuna foto relativa alle operazioni autoptiche, e di non aver saputo che ve ne fossero. Aveva redatto una relazione l'indomani della missione e sempre quel giorno aveva restituito le fotografie della salma consegnategli dal 2° Reparto.
Queste dichiarazioni hanno trovato piena conferma in quelle del maresciallo De Giosa, di cui infra.
Di questa "memoria aggiuntiva" non s'è trovata alcuna traccia agli atti. Solo a distanza di anni nel 1984, notizia di tale documento emerge nell'ambito di una inchiesta dell'AG romana a carico di tal Pelaja Francesco. Era costui un ex agente S.I.S.MI, che aveva lavorato per questo Servizio dall'80 ai primi mesi dell'82 con incarico di addetto culturale presso l'Ambasciata d'Italia nel Granducato di Lussemburgo e funzioni informative anche presso il Parlamento europeo a Strasburgo.
Nel corso della perquisizione domiciliare a suo carico erano stati rinvenuti diversi documenti con classifica di "segreto" e di "segretissimo". Tali documenti, a sua detta, li aveva trovati in una borsa regalatagli da Santovito, il Direttore del Servizio militare, dopo il suo arresto. Costui, avendo precisato al Pelaja che erano le ultime carte pervenutegli, gli aveva suggerito di esaminarle e se del caso distruggerle. Pelaja le stava riportando al generale, quando era venuto a conoscenza che costui era stato trasferito al Careggi di Firenze in condizioni gravissime, gravi al punto tale che di lì a poco sarebbe morto.
Tra le carte sequestrate v'erano documenti relativi allo IOR, a Calvi, agli Armeni, all'attentato al Papa, con i nomi di Marcinkus, Piccoli, Craxi ed altri. Per la esecuzione di questa perquisizione e sequestro - decreto del 2 aprile 84 - la Procura della Repubblica aveva delegato ufficiali di PG del Reparto Operativo dei Carabinieri di Roma che la compirono lo stesso giorno redigendo relativo verbale.
Il 24 novembre 88 i legali di parte civile hanno inviato a questo Giudice Istruttore i documenti di seguito elencati, loro spediti da un mittente anonimo: 1. Una lettera in data 4 agosto 84 su carta intestata "Legione Carabinieri, Reparto Operativo, 1° Sezione" indirizzata al generale Pietro Musumeci, con firma indecifrabile nella quale chi scriveva dichiarava di inviare, con altra certificazione, un documento classificato "Riservatissimo" in merito all'incidente dell'aereo civile Itavia abbattuto da un missile delle Forze Aeree USA il 27 giugno 80; 2. Il processo verbale della detta perquisizione; 3. Il processo verbale di interrogatorio reso dal Pelaja al PM di Roma il 6 aprile 84; 4., le buste contenenti i predetti documenti.
Nella lettera in particolare il mittente assicurava il destinatario, cioè il generale Musumeci chiamato Eccellenza, di non aver incluso nel processo verbale di perquisizione: 1.- il documento classificato "Riservatissimo" inerente all'incidente aereo dell'aereo civile Itavia abbattuto da un missile delle Forze Aeree USA il 27 giugno 80 nella zona di Ustica; 2.- la fotocopia del promemoria in allegato alla perizia autoptica del corpo del pilota libico eseguita il 23 luglio 80 dal professor Rondanelli Erasmo e dal cardiologo Zurlo Anselmo. In allegato alla lettera asseritamente una fotocopia del processo verbale di perquisizione nell'abitazione del Pelaja del 3 agosto 84. La lettera portava la data del 4 immediatamente seguente.
Il giorno successivo alla data della lettera dei procuratori e difensori di parte civile, il 25 novembre 88, si presentava spontaneamente a questo Giudice il tenente colonnello Domenico Di Petrillo, il quale dichiarava di aver appreso che i familiari delle vittime del disastro di Ustica, tramite i loro legali, avevano diffuso una lettera intestata alla 1( Sezione del Reparto Operativo di cui era responsabile, datata 4 agosto 84 e diretta al generale Musumeci, verosimilmente sottoscritta da un sottufficiale. Esibitagli la lettera l'ufficiale riconosceva per propria la sottoscrizione in calce, ma contestava di aver mai inviato quello scritto o qualsiasi scritto al generale Musumeci, riconoscendo peraltro di aver effettivamente eseguito la perquisizione in casa Pelaja su delega del PM Sica.
Il 26 luglio l'Ambasciata di Libia presso il Governo italiano richiese, tramite un'impresa funebre romana, alla Prefettura di Catanzaro "passaporto mortuario per espatrio di salma" del cittadino libico Fadal Al Din. La Prefettura, a sua volta, richiese alla Procura della Repubblica il nulla osta a fini di giustizia, che quell'ufficio concesse il giorno stesso.
Dopo il provvedimento della Prefettura il rappresentante dell'impresa di pompe funebri, Petrocchi Romano, prelevò in Castelsilano la bara del libico per il trasporto a Roma, da dove sarebbe dovuta partire per la Libia in aereo; avendo però constatato che il contenitore non era idoneo, dovette travasare il cadavere in altra cassa. Il cadavere si presentava in avanzatissimo stato di putrefazione; era "pieno di vermi dappertutto", vermi di oltre cinque centimetri; era ancora vestito e nella cassa c'erano anche una sorta di telo, corde e diversi stracci. Al momento della chiusura, nel timore di scoppio, il Petrocchi aveva lasciato un foro nella testata della bara.
La salma fu portata direttamente a Ciampino, ove era in attesa un velivolo dell'Aeronautica libica. Petrocchi parlò con il pilota, che conosceva alcune parole di italiano. Questi rilevò immediatamente il terribile fetore emanato da quella bara e l'impiegato delle pompe funebri gli consigliò di acquistare dei deodoranti, che avrebbero potuto attenuare quel fetore almeno nelle due ore del viaggio da Roma a Tripoli. Le bombolette furono poi acquistate dal principale dello stesso Petrocchi e consegnate ai libici.
Queste dichiarazioni sono confermate dal titolare della ditta, il quale ha ricordato che l'autista gli aveva riferito che durante il travaso della salma dalla cassa metallica in cui era stata rinchiusa dopo l'autopsia a quella regolamentare per il trasporto, aveva notato un tale stato di decomposizione da far presumere una morte risalente a parecchi giorni prima, e che tale percezione visiva e tattile era convalidata anche olfattivamente "a causa dell'abbondante cattivo odore". Gli aveva riferito che all'arrivo a Roma la salma era stata lasciata nei giardini dell'Ambasciata di Libia e che solo il giorno dopo era stata imbarcata, dopo gli onori militari, resi dai militari dell'AM, su un aereo diretto in Libia (v. esame Caruso Erminio, GI 03.01.91).
A Ciampino erano presenti diversi ufficiali dell'Aeronautica Militare e dei Carabinieri oltre a funzionari dell'Ambasciata della Jamahirija. Un capitano dei Carabinieri chiamò in disparte il Petrocchi per chiedergli se i paracadute fossero stati uno o due. Questi non fu in grado di precisarlo, perché nella cassa c'era un telo e tanti stracci, al punto tale che fu costretto a comprimere con forza questo ammasso sul cadavere per chiudere il coperchio della bara.
Alla salma furono resi persino gli onori militari. Una preghiera, quella del Carabiniere, fu recitata anche, dal noto capitano Inzolia, all'atto dell'estrazione della bara dal fornetto del cimitero di Castelsilano. Petrocchi ricorda che fu schierato un drappello di "militari dall'Aeronautica con una sorta di ghette bianche sugli stivaletti". Probabilmente dei VAM La cassa era adorna, come si vede nelle fotografie trasmesse dall'Aeronautica Militare, di cuscini floreali poggiati su una coperta verde; sulla scritta dei cuscini "capitano Pilota Ezzedin Fadhel Khalil".
Il costo del trasporto fu inserito in un conto di altri trasporti effettuati da quella stessa impresa per l'Ambasciata della Jamahirija, ammontante a ben 36.000.000 di lire. Quel conto non fu mai pagato dalla Jamahirija. L'impresa riuscì a recuperare solo la metà della somma dal nostro Ministero degli Affari Esteri.
Il quesito posto dal capitano dei Carabinieri al Petrocchi a Ciampino concerneva una questione ancora irrisolta in quel momento e su cui i Carabinieri ancora indagavano. In effetti i Carabinieri in Calabria, quando il Petrocchi si recò per il prelievo della salma, stavano cercando un "secondo pilota, perché avevano visto due paracaduti".
Queste le vicende del cadavere sino alla sua consegna alle Autorità libiche. Sulle ulteriori vicende di questa salma l'Ufficio ha formulato Commissione Rogatoria Internazionale alle Autorità della Jamahirija Araba Popolare e Socialista di Libia in data 7 marzo 91 per ottenere copia dell'autopsia compiuta da quelle Autorità. A tutt'oggi nessuna risposta è pervenuta.
Sul relitto dell'aereo si dirà in seguito, rilevando però che su di esso non fu mai posto alcun vincolo di sequestro da parte dell'AG di Crotone. Il PM richiese l'archiviazione il 29 luglio di quell'anno ed il 31 successivo il GI emise decreto ex art.74 c.p.p. 30, non essendo emerse responsabilità, a titolo di dolo o colpa, a carico di alcuno. A tale data cessa l'interesse della giustizia al caso.
Solo nell'agosto successivo, il 19, l'AG di Crotone rilascia nulla osta, dietro richiesta del Gabinetto della Difesa, datata 7 agosto, alla rimozione dei resti dell'aereo.
Ma altri organi dello Stato ed anche di altri Paesi seguirono il fatto e non persero mai interesse ad esso. L'Arma dei Carabinieri, l'Arma Aeronautica e la Commissione mista costituita per effetto di accordo tra il suo Stato Maggiore e l'Ambasciata libica in Italia, il S.I.S.MI, il Ministero degli Affari Esteri e l'Ambasciata d'Italia in Libia, le Autorità libiche, i Servizi di Paesi alleati ed amici.
I Carabinieri, la cui documentazione principale è stata acquisita il 1° novembre 90 presso la Legione di Catanzaro, producono il primo atto immediatamente dopo l'avviso del sindaco di Castelsilano trasmesso da Caccuri a Cirò Marina. Dal Comando di questa compagnia infatti partono le informative di rito per la scala gerarchica a cominciare dalle ore 15.20: Legione e Gruppo di Catanzaro, Divisione e Brigata di Napoli, Comando Operazioni di Roma. Il messaggio successivo sempre da Cirò Marina, informa, oltre i Comandi della scala gerarchica, i ministeri degli Affari Esteri e dell'Interno, lo Stato Maggiore dell'Aeronautica, il Comiliter, il Comando della Regione Aerea e la Prefettura.
V'è poi d'interesse la relazione di servizio del comandante della Compagnia di Crotone, il già nominato capitano Vincenzo Inzolia, che riferisce del sopralluogo della Commissione dell'Aeronautica Militare compiuto il 22 luglio 80. La Commissione è comandata dal generale Tascio ed in essa oltre ad ufficiali e sottufficiali dell'AM, v'è il maggiore Warren Walters dell'Aeronautica degli Stati Uniti. Nel corso di questa missione viene ascoltato di nuovo il pastore Piccolo, il quale puntualizza che l'aereo volava con direzione Nord-Sud e cioè da terra verso il mare, a bassissima quota; ha virato sulla sua destra aggirando così l'altipiano su cui si trovano i ruderi di Cerenzia Vecchia; quindi è scomparso alla vista. Questa ricostruzione è stata compiuta alla presenza del generale Tascio, del capitano Inzolia e del maresciallo Raimondi sul luogo ove si trovava il pastore, raggiunto con elicottero dei Carabinieri. Sempre in elicottero il generale Tascio ha raggiunto la masseria ove si trovava l'altro teste oculare, cioè la Carchidi per "puntualizzare la sua testimonianza" in apparenza contrastante - secondo la donna il velivolo proveniva dal mare verso l'entroterra. In effetti, conclude Inzolia, il contrasto si spiega con la manovra descritta dal pastore e cioè con la virata di 360°, secondo lo schizzo planimetrico di cui s'è detto sopra.
Di rilievo un appunto manoscritto e non firmato ma redatto dal maresciallo Vaccaro della torre di controllo di Crotone, deceduto, datato 18 giugno 80 (sic!), nel quale sono riportati gli elementi più importanti dell'episodio e degli oggetti rinvenuti, tra cui "sulla valigetta sigle arabe", "il pilota è stato trovato fuori dell'aereo col paracadute parzialmente aperto".
Di rilievo anche altro appunto manoscritto, con aggiunta in calce "Commissione sul posto il 22.07.80", che riporta un elenco delle persone presenti, riempito con nominativi sino all'11°, il maggiore Warren Walters, ma lasciato in bianco nei nominativi dalla dodicesima alla quattordicesima persona.
Sempre Cirò Marina, che lo si ricorda è la Compagnia territorialmente competente, informa i Comandi superiori ed altri Enti, sulla vigilanza ai rottami, sulla presenza degli ufficiali libici e dei rappresentanti che concorrono per il recupero del relitto, sui sopralluoghi misti libici-fratelli Argento di Gizzeria Lido aggiudicatari dei lavori.
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