Un reticolo di trame che non ha risparmiato neppure l’Italia. Come non pensare alla strage di Ustica con il Dc 9 Itavia distrutto dopo una battaglia aerea (era il 1980, 81 le vittime). Si è sempre sospettato che il vero obiettivo fosse il jet del Colonnello. Lui sicuramente sapeva molto, anche se la sua parola sarebbe stata accolta con sospetto. Diciamo che non era un teste affidabile. Ma forse, se catturato, avrebbe potuto aiutare a ristabilire una parte di verità. Così come era in grado di mettere la parola fine al giallo dell’imam Mussa Sadr, guida spirituale degli sciiti svanito dopo un viaggio in Libia nel 1978. I suoi seguaci hanno conservato in questi anni la speranza che fosse ancora in vita. Un ex giudice militare ha invece affermato, alla metà di settembre, che il religioso è stato assassinato dopo una furiosa lite con il Raìs. Il suo corpo è stato sepolto prima a Sirte, quindi a Sebha. Brutta fine anche per il giornalista che lo accompagnava. Poi il regime ha fatto partire alla volta di Roma un sosia dell’imam. Una brutta vicenda per la quale l’Italia è stata considerata – a torto o a ragione – complice del piano. L’inchiesta è comunque ancora aperta.
Dall’imam al «Serpente». Dal 1983 all’85 Roma è teatro di attentati devastanti del gruppo di Abu Nidal. I fedayn colpiscono diplomatici, l’aeroporto, il celebre Café de Paris. A coordinare gran parte degli attacchi è un professionista del terrore, Samir Kadr o Kadar, detto «il Serpente». Ex elettricista, diventato «ufficiale» di Abu Nidal, si trasferisce nella capitale italiana che diventa la sua base operativa. Ha un ufficio vicino a via Veneto e gestisce una società di copertura. Furbo, spietato, fa credere di essere morto in un attacco ma il trucco non funziona e le polizie europee lo cercano ovunque. Dopo la strage di Fiumicino (1985) si rifugia in Svezia con la moglie finlandese conosciuta proprio al Café de Paris. Dalla Scandinavia organizza il dirottamento di un jet americano a Karachi, azione che si conclude con un massacro. Il «Serpente», però, striscia via usando un’altra società – la Al Alamia – come paravento. Vende scarpe e auto, intanto aiuta il suo gruppo. E viaggia moltissimo. L’intelligence lo segnala in Bolivia, quindi in Sudan, infine a Tripoli. È lì l’ultimo indirizzo – si fa per dire – conosciuto. Un criminale protagonista di una campagna di sangue finanziata dai dollari del Colonnello.
Guido Olimpio – Corriere della Sera del 22 ottobre 2011 [link originale]
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