Non è un caso che, nel corso di due incontri riservati coi presidenti Obama e Hollande, Napolitano si sia speso per sollecitare maggiore collaborazione nella ricerca della verità. Peccato che l’ultimo contributo americano consegnato ai magistrati italiani sia stata una scatola piena di ritagli di giornale e che da parte francese non si sia andati oltre l’organizzazione di una serie di interrogatori di ex militari della base aerea di Solenzara in Corsica, da cui però è emerso almeno un dato importante: il 27 giugno 1980 i caccia dell’Armée de l’air decollarono e atterrarono fino a notte inoltrata, al contrario di quanto Parigi aveva affermato per oltre trent’anni. E va ricordato che era stato un altro presidente italiano a puntare l’indice contro la Francia: Francesco Cossiga. Che senza mezzi termini aveva attribuito proprio ai caccia francesi la responsabilità dell’abbattimento.
L’inchiesta della Procura di Roma darà parecchie sorprese a chi ancora cerca di insinuare una verità alternativa, puntando su una bomba esplosa nella toilette non si sa messa da chi né per quale motivo, innescata per deflagrare su un volo di 50 minuti partito con 120 minuti di ritardo. Una bomba che, in un impossibile gioco di prestigio, avrebbe spaccato la carlinga lasciando intatti la tavoletta del water e il lavabo. Tutto questo mentre, documenti della Nato alla mano, intorno all’aereo volavano almeno una dozzina di caccia militari di varie nazionalità, di cui quattro con il trasponder che li avrebbe identificati accuratamente spento.
Centrali e cruciali, nella minuziosa ricostruzione del volo del DC9, gli incroci con l’attività della base aerea di Grosseto e, a pochi chilometri di distanza, del radar di Poggio Ballone che aveva una perfetta visuale sul mare Tirreno e la Corsica.
Da Grosseto decollò l’F104S con a bordo i due capitani istruttori Ivo Nutarelli e Mario Naldini (morti nel 1988 a Ramstein nell’incidente delle Frecce Tricolori), che sull’appennino tosco-emiliano incrociò il DC9 rilevando visivamente uno o due intrusi nascosti nel cono radar dell’aereo civile (probabilmente Mig libici) che fecero scattare l’emergenza massima (sempre carte della Nato) segnalata prima del rientro alla base. E a Poggio Ballone, gli operatori videro sui radar i caccia decollati da Solenzara che si dirigevano verso il cielo di Ustica in un orario compatibile con la successiva esplosione del DC9. Anche qui, almeno due morti: il maresciallo Alberto Dettori, che il giorno dopo la strage aveva confessato alla sorella che si era arrivati “a un passo dalla guerra”, trovato impiccato a un albero e il tenente Maurizio Gari, un trentenne in ottima salute, stroncato da un infarto.
Un capitolo a parte potrebbe riguardare il perito inglese Frank Taylor, teorico della bomba, che dopo avere incassato i complimenti per avere incastrato gli uomini dei servizi segreti libici nella responsabilità per l’attentato al Boeing PanAm precipitato a Lockerbie nel 1988, deve vedersela da qualche mese con alcuni pentiti messi sotto protezione da Scotland Yard i quali hanno rivelato che la bomba destinata al 747 non si trovava nel container imbarcato a Malta su cui Taylor aveva basato la sua ricostruzione che incolpava Gheddafi, ma in un altro imbarcato a Francoforte dove l’ordigno era stato piazzato dai siriani. Si era alla vigilia della prima Guerra del Golfo e, nonostante la Siria fosse in cima alla lista degli “stati canaglia”, la coalizione occidentale aveva bisogno che Damasco non facesse problemi di sorvolo del proprio spazio aereo. Questo per dire che non è stata solo la strage di Ustica al centro di manipolazioni e che la verità, per quanto inconfessabile, non sempre rimane chiusa nelle stanze segrete. Custodita anche grazie alla disponibilità o all’omertà di chi si presta al gioco delle forze oscure.
(Andrea Purgatori / Huffington Post.it)