Le ombre francesi sul cielo di Ustica: la strage 44 anni fa / Il Manifesto

di | 27 Giugno 2024

E’ il 12 luglio del 1980. Due settimane prima, un Dc9 Itavia da Bologna a Palermo, con ottantun civili a bordo, è stato abbattuto nel  cielo di Ustica. Pochi giorni più tardi, a metà luglio, un Mig-23 libico precipiterà sui monti della Sila. Tre settimane dopo, il 2 agosto, una bomba abbatterà l’intera ala sinistra della stazione di Bologna, causando ottantacinque morti e oltre duecento feriti.

Ma è ancora il 12 luglio 1980 e Sandro Pertini, presidente della Repubblica italiana è in vacanza sui monti di Entreves, in Val d’Aosta. Va a mangiare a un ristorante frequentato anche, tre volte l’anno, dal presidente francese Valéry Giscard D’Estaing. Pertini è attorniato dalla gente del posto, che ha paura e chiede se la minaccia di terrore e guerra finirà. “Non sono qui per predire il futuro”, risponde il Presidente, ma prosegue: “Noi abbiamo il terrorismo e certi governanti stranieri che guardano con disdegno all’Italia… dovrebbero chiedersi perché mai sia stata scelta l’Italia come bersaglio… l’Italia è un ponte democratico che unisce l’Europa all’Africa e al Medio Oriente. Se, per dannata ipotesi, questo ponte democratico saltasse, ci sarebbero gravi conseguenze: lo sconvolgimento degli equilibri nel bacino del Mediterraneo e un pericolo per la pace mondiale”. Una donna lo incalza: “Vai avanti”. E Pertini sbotta: “Se salta il ponte democratico rappresentato dall’Italia non se ne potranno rallegrare né la Francia, né la Germania, né l’Inghilterra. Parliamoci chiaro. E ditelo al signor Giscard D’Estaing”.

Cosa rimprovera Pertini a Giscard? Solo l’ospitalità offerta ai terroristi rossi italiani fuggiti in Francia? Oppure anche qualcosa di storto successo, per colpa francese, sul cielo di Ustica, due settimane prima? Difficile saperlo.

La prima volta che la Francia viene tirata in ballo per la strage di Ustica è nell’immediatezza della strage. Una telefonata alla sede romana del  Corriere della sera accredita Marco Affatigato come esponente dei Nar, i neofascisti dei Nuclei armati rivoluzionari, e lo racconta imbarcato sul volo Bologna – Palermo. «Lo riconoscerete per il Baume & Mercier», l’orologio di marca francese. Ma il terrorista stesso si affretta, tramite la madre, a smentire. Lui è vivo e vegeto in Francia. E’ un depistaggio, non conta. Ma intanto l’attenzione immediata è diretta verso una bomba, i Nar sono accreditati come bombaroli e la prua geopolitica è diretta a nord ovest.

La seconda volta, la cosa è più seria. Il 17 dicembre 1980, il quotidiano britannico Evening Standard pubblica la notizia di «fonte romana» secondo cui il Dc9 Itavia è stato abbattuto per errore durante un’esercitazione, da un missile lanciato da un aereo militare decollato da una portaerei francese: «Si pensa che il missile abbia agganciato per errore i motori del Dc9, che erano più potenti di quelli del radiobersaglio, il vero obiettivo.»

In realtà, la Francia era comparsa nella vicenda fin dalla sera stessa della strage, solo che magistrati e opinione pubblica dovranno attendere anni per venirlo a sapere. La stessa notte dell’incidente, il capitano Giancarlo Trinca, secondo pilota del primo elicottero di soccorso aereo decollato da Ciampino, sente chiamare a più riprese in lingua inglese la Clemenceau, portaerei dei bleus, sulla frequenza di emergenza aerea internazionale, la 6715 della rete SiprNet. Un torrente di comunicazioni che viene ascoltato anche al sottocentro soccorso di Ciampino, prima e dopo l’abbattimento del Dc9, dal sottufficiale Massimiliano Bozicevich. Parlavano così tanto che non riuscivamo a  comunicare col nostro elicottero, testimonierà anni dopo Bozicevich ai magistrati.

Degli otto registratori audio del centro di controllo del traffico aereo di Ciampino, uno è dedicato proprio alle comunicazioni terra-bordo-terra del soccorso. Ma il nastro del soccorso, assieme ad altri nastri registrati quella sera a Ciampino, non sono mai arrivati a periti e magistrati.  

 Quando i giudici scoprono, durante l’istruttoria, l’esistenza di comunicazioni riguardanti la Clemenceau, chiedono riscontri a Parigi, che nega: le loro porte-avions, Foch e Clemenceau il 27 giugno erano in porto a Tolone. Tuttavia, i dati non coincidono alla perfezione. Ad esempio, su Cols Bleu, rivista ufficiale della marina d’oltralpe, la Foch non compare in alcuna collocazione, in porto o in mare, per la giornata del 27.

Paradossalmente, mentre gli Usa si preoccupano di smentire subito ogni coinvolgimento della Navy (ma, attenzione, la smentita non comprende l’Usaf che in quei giorni ha in corso un imponente trasferimento di uomini e aerei dagli Stati Uniti verso l’Egitto), la Francia non apre bocca. Bisognerà arrivare al 1986, il 4 settembre, perché il direttore del Sismi chieda ufficialmente conto all’omologo francese. Due settimane dopo, lo Sdece risponde che la caduta del Dc9 non costituisce “affaire de terrorisme” e pertanto non hanno informazioni. Non è terrorismo. E’ forse un affare di stato?

Il direttore del Sismi in quel momento è l’ammiraglio Fulvio Martini. Ascoltato in Commissione stragi, nel giugno 1990, l’ammiraglio dirà, rispondendo a una domanda, che, in quell’area, un missile può «essere solo americano o francese». A quel punto, i commissari chiedono se abbia svolto attività specifica su Stati Uniti e Francia e Martini dichiara: «Per farlo avrei dovuto essere attivato dai politici», intendendo che non lo fu.

Parigi torna prepotentemente in ballo quando il giudice Priore mette assieme i tracciati radar di Ciampino e Poggio Ballone, che guardano ambedue sul Tirreno centrale. E allora si scoprono un gran numero di tracce in movimento, decollo e atterraggio, dalla prospiciente base di Solenzara, in Corsica. Decolli confermati dal generale dei carabinieri Nicolò Bozzo, in vacanza, quella sera, con suo fratello, proprio nel paese di Solenzara. E a questo va aggiunto  l’andamento circolare di un aereo radar Awacs sulle bocche di Bonifacio o sull’Appennino centrale. Movimenti aerei che erano stati ufficialmente negati in precedenza (“La base chiude alle 17”) e che non saranno mai spiegati dalle autorità d’oltralpe.

Così come non sarà risposto alla rogatoria per sapere di più su un volo di cui parlano i radaristi a ridosso dell’incidente. Si tratta di 5ADDY, un Beechcraft 200 adibito ufficialmente ad  Air Ambulance, il cui nome direbbe molto se non fosse il contrario, perché in effetti è una piccola compagnia con base in Svizzera in uso all’intelligence libica e segue una rotta da Ajaccio a Tripoli. Perché occuparsi di un piccolo aereo? L’ipotesi della responsabilità francese nella strage si basa anche sull’ipotesi che quella sera Gheddafi fosse in volo e fosse l’obiettivo reale. È quindi importante cercare l’eventuale aereo su cui il leader libico avrebbe potuto viaggiare.

Che i cugini francesi non avessero all’epoca scrupoli ad agire sul territorio italiano è provato da una serie di fatti. Il 14 agosto una serie di candelotti fanno saltare i ponti radio di una società all’Elba che serve anche Radio Corsica International. Si sospetta sia opera dei servizi di Parigi. Sempre nel 1980, a Genova la nave libica Dat Assawari subisce un attentato, rivendicato da un fantomatico Fronte di Liberazione Maltese. Sigla dietro a cui sembrano muoversi i servizi francesi e inglesi.

Ma torniamo a Pertini. Subito dopo la strage alla stazione di Bologna del 2 agosto, Gheddafi gli invia un messaggio di cordoglio che il presidente italiano decide di non rendere pubblico, con “particolare rammarico” del Colonnello. Così l’ambasciatore italiano a Tripoli, Alessandro Quaroni, descrive l’umore di Gheddafi, in un telegramma cifrato del 14 settembre 1980 inviato alla Farnesina: il “colonnello – cui stampa italiana viene abbondantemente tradotta – era rimasto colpito da mancata menzione del messaggio di cordoglio at Presidente Pertini”. Anche questo è contenuto del dossier Ustica desecretato da Renzi.

Come disse Rino Formica a La Stampa nel 1990,  «questo incidente copre qualcosa di più importante dell’incidente stesso… Non voglio dire che il Dc9 sia stato abbattuto intenzionalmente, ma se si è trattato di un incidente non lo si è voluto dire subito perché, evidentemente, la causa è ancora più drammatica della tragedia». Formica era il ministro dei trasporti a cui il direttore del Registro aeronautico italiano, Saverio Rana, nell’immediatezza degli eventi, aveva mostrato il tracciato del radar di Ciampino che mostra la manovra d’attacco di un caccia e un secondo aereo che fugge.

Passano i decenni e il dito socialista sui francesi, alzato per primo da Pertini, viene di nuovo puntato da Giuliano Amato che, nel settembre dell’anno scorso, chiede al presidente francese Emmanuel Macron di riconoscere il pasticcio che sarebbe stato combinato dal suo predecessore Giscard.

di Daria Lucca, Paolo Miggiano per Il Manifesto – 3 Fine