Dall’analisi dei documenti riguardanti il caso Ustica, appena declassificati dal Governo, emerge un lavoro diplomatico molto intenso da parte dell’ambasciata d’Italia in Libia. Decine, negli anni, i messaggi in partenza o in arrivo a Tripoli e molte le vicende, prima fra tutte la caduta del Mig libico sulla Sila avvenuta ufficialmente il 18 luglio 1980, che vedono impegnato il nostro corpo diplomatico.
Il 21 luglio ’80 alla Farnesina arriva un cable della nostra ambasciata a Tripoli, a firma Quaroni, il quale comunica di essere stato convocato, il giorno prima, cioè il 20, due giorni dopo la caduta dell’aereo, presso lo Stato Maggiore delle Forze Armate libiche. I libici danno spiegazioni dettagliatissime sulle modalità e le cause dell’incidente, spiegando che si trattava di una normale missione di addestramento, e non di un’azione ostile. Aggiungono che il pilota, sentendosi male, ha attivato l’autopilota, e l’aereo si è diretto in linea retta verso l’Italia dove, esaurito il carburante, è precipitato. La mancata esplosione, secondo i libici, e la mancata eiezione del pilota, confermerebbero la tesi esposta. I libici, inoltre, si dicono disponibili a fornire ulteriori elementi.
Due giorni dopo, il 23, la risposta della Farnesina. Si danno informazioni sulla caduta dell’aereo e si acconsente alla costituzione di una commissione mista di inchiesta. Una delegazione libica viene anche autorizzata al sorvolo in elicottero. Segue un fitto scambio di telegrammi da cui si evince la fretta della Libia di chiudere l’incidente, col recupero sia della salma sia del relitto. Al nostro funzionario a Tripoli viene rappresentato il personale interesse del colonnello Gheddafi nel rientro della salma del pilota che, come da comunicazione libica, si chiamerebbe Ezzedine Fadel Khalil, ed avrebbe il grado di capitano. Il 23 luglio viene comunicata la composizione della parte libica della commissione mista di indagine. Il 24 luglio la Farnesina comunica che è stata autorizzata la traslazione della salma. Il 16 settembre un telegramma, sempre a firma Quaroni, comunica una nuova convocazione da parte delle autorità libiche che sollecitano “definitiva chiusura” della vicenda Mig. La vicenda si chiude definitivamente nei primi giorni di ottobre, quando un C-130 libico riporta a casa i resti del Mig.
In quel momento tre nostri connazionali sono detenuti in Libia, accusati di cospirazione ai danni del colonnello Gheddafi. Nei telegrammi i nostri funzionari comunicano di aver fatto pressione, con le dovute forme, per ottenerne la liberazione, approfittando delle richieste di Tripoli relative all’incidente del Mig. Si fa anche cenno all’irritazione, da parte di Tripoli, per l’assistenza, vista in funzione anti libica, che l’Italia sta offrendo a Malta, il cui governo ha rotto con quello libico, espellendo dall’isola molti funzionari e consiglieri di Tripoli [leggi il documento].
Il leader libico per anni ha continuato a ripetere di essere stato, il 27 giugno 1980, vittima designata di un piano, organizzato dagli USA, che mirava ad eliminarlo fisicamente. Il 5 gennaio 1990 il colonnello tiene un discorso a Tripoli dove, senza giri di parole, afferma che il DC-9 Itavia fu abbattuto dagli USA che, in realtà, volevano abbattere il suo aereo personale, in volo verso l’Italia [leggi il documento]. Nello scontro venne abbattuto, sempre secondo il leader della Jamahiriyya, anche un altro aereo libico. Ma già nel novembre del 1988 il maggiore Abdessalem Jalloud aveva dichiarato che la Libia disponeva delle prove che dimostravano il coinvolgimento americano nell’abbattimento del DC-9. Dopo queste dichiarazioni sia la magistratura sia la diplomazia italiana si mettono all’opera. L’Italia inoltra alle autorità libiche molte rogatorie, tutte rimaste inevase. Ma anche il nostro corpo diplomatico è molto attivo, ma con risultati molto scarsi. In un telegramma del 16 febbraio 1989, inviato dalla nostra ambasciata a Tripoli, destinato al Consigliere diplomatico del Presidente del Consiglio, a firma Reitano, si ribadisce il perdurare del silenzio libico sulla vicenda Ustica, e si conferma che tutte le risposte libiche sono state evasive o dilatorie. La spiegazione più semplice dell’atteggiamento assunto dalle autorità libiche – scrive l’addetto diplomatico – è che Jalloud, e prima di lui Gheddafi, abbiano voluto sfruttare propagandisticamente una questione, quale quella di Ustica, sulla quale non dispongono in realtà di elementi specifici, nel quadro della ormai tradizionale polemica contro gli Stati Uniti e più in generale contro i rischi connessi con la presenza militare delle superpotenze nel Mediterrano” [leggi il documento].
L’impressione del nostro addetto diplomatico si rivela esatta. La commissione libica, appositamente costituita, arriva in Italia alla fine di gennaio del ’90, presieduta dal giudice libico Khaled Kadiki. Ma di prove del complotto ordito dagli USA nemmeno l’ombra. I giornali italiani danno ampio risalto a questa avvenimento [leggi il documento]. Non solo, ma danno esito negativo anche le verifiche fatte dai magistrati italiani con la collaborazione delle nostre sedi diplomatiche. Il colonnello ha affermato che quella sera era in volo, ma dove si stava recando esattamente? Non si sa, non lo ha mai precisato. Voci insistenti lo davano in volo verso la Polonia. Nel marzo del 1991 [leggi il documento] il Ministero degli Esteri chiede alla nostra ambasciata di Varsavia di accertare se risulti o meno la visita programmata del leader Libico in Polonia. La risposta dell’Ambasciata arriva dopo un paio di settimane, con un telegramma in cui si legge: Dopo minuziose ricerche compiute in questi giorni non (dico NON) esiste la minima traccia, neanche la più labile, circa una progettata visita in Polonia del Presidente Gheddafi il 27 giugno 1980 aut giorni contigui.
Ed ancora, come avrebbe fatto a salvarsi dall’attacco americano il colonnello Gheddafi? Secondo l’opinione di molti sarebbe atterrato a Malta, magari avvisato dai nostri servizi segreti. Il 28 settembre 1989, però, il Dipartimento dell’Aviazione Civile Maltese comunica alla nostra ambasciata che, da ricerche effettuate, l’unico aereo libico atterrato sull’isola il 27 giugno 1980, è stato un Boeing 727, atterrato alle 15.52 e ripartito alle 16.59. Un normale volo di linea Malta-Tripoli. Le autorità maltesi escludono con assoluta certezza che a bordo potesse trovarsi il leader libico [leggi il documento].
Vittima o carnefice? A complicare ulteriormente il quadro, ci sono le dichiarazioni dell’ex primo ministro Libico Abdel Hamid Mokhtar El Baccouche, rifugiato in Egitto, il quale, invece, ha più volte dichiarato, anche alla stampa italiana, che ad abbattere il DC9 sarebbero stati i Libici. Il giudice Rosario Priore, lo incontra personalmente in Egitto, nel maggio del ’92. Questi conferma le proprie affermazioni che si baserebbero su dichiarazioni a lui fatte da due alti ufficiali libici, venuti in Egitto durante gli anni successivi al disastro aereo, e successivamente rientrati in Libia, nonché su una serie di testimonianze e di contatti intercorsi con oppositori al regime. Questo è ciò che si legge in un telegramma inviato dalla nostra ambasciata de Il Cairo nel maggio del ’92 [leggi il documento]. El Baccouche, inoltre, racconta a Priore che il motivo dell’abbattimento sarebbe l’atteggiamento italiano teso a garantire la neutralità di Malta, sottraendola al controllo libico.
[prima parte] – [terza parte]
Purtroppo siamo alle solite, tante parole da parte dei libici, ma nessuna prova, verba volant……anche se, come disse Spadolini, scoprite la verità sul caccia libico e scoprirete cosa è successo a I-TIGI.