Chissà ai piani alti dello Stato maggiore dell’Aeronautica militare come avranno preso la notizia che qualcuno, Oltralpe, trentaquattro anni dopo la notte di Ustica, ha deciso di iniziare a scrivere una nuova pagina di questa brutta storia. La verità è ancora lontana, è vero. E lo è anche perché i francesi non è detto che stavolta faranno sul serio. Potrebbero dire e non dire, o, nella peggiore delle ipotesi, potrebbero raccontare qualcosa che, pur aggiungendo nuovi tasselli a questo rompicapo, non porterà da nessuna parte, anzi.
I familiari delle vittime hanno ragioni da vendere quando affermano che in questa storia, per fare davvero un passo in avanti, serve il pugno duro del governo e della diplomazia internazionale. La magistratura è arrivata fin dove poteva arrivare: a Parigi. Le rogatorie hanno fatto capire ai francesi che in Italia c’è ancora qualcuno che vuole la verità. Oltre deve andare il governo, perché senza l’avallo della politica difficilmente una dozzina di militari francesi, quelli che la Procura di Roma ha già sentito in qualità di testimoni, riusciranno a condurci verso il punto di svolta.
Il punto da non perdere di vista, tuttavia, è anche un altro. E il governo, in questo caso, potrebbe giocare un ruolo decisivo non solo desecretando veline che nella migliore delle ipotesi confermeranno quello che già sappiamo. Perché quella notte, oltre i francesi, gli americani, i libici e la Nato, ebbe un ruolo – e non di certo secondario – anche la nostra Aeronautica. Lo ha ripetuto, per tre volte consecutive, la Cassazione, in sede civile, tornando a ricordare che qualunque cosa sia accaduta nel cielo di Ustica le nostre istituzioni avevano il dovere di proteggere quel volo, e questo non avvenne.
Ai piani alti dello Stato maggiore dell’Ami ancora oggi si fa fatica a trovare una divisa disposta a parlare di Ustica. Perché Ustica, là dentro, ha lasciato una cicatrice indelebile. Ha piegato le ali all’aquila che capeggia sul palazzo di via dell’Università. Ha sporcato decine di carriere e ne ha decise altre. Ma c’erano anche loro quella notte. In volo e a terra davanti ai radar di diverse stazioni che videro cosa stava accadendo attorno al Dc9 Itavia.
Non una parola. Non un commento. I vertici dell’Aeronautica, quelli di oggi, restano in silenzio, come sempre, come quelli di ieri. Dicono che la nuova generazione di ufficiali, quelli che negli anni Ottanta sognavano di entrare nell’Arma azzurra o vi erano appena entrati, la pensino diversamente dai loro predecessori. Ci sono ufficiali di alto rango che considerano Ustica un incidente di percorso, come le vittime che si perdono in guerra. Altri sono offesi e insofferenti verso quell’atteggiamento di chiusura e negazione che ha sempre contraddistinto i vertici della nostra aviazione militare.
Sperare in un cambio di rotta è difficile, ma la politica, per esempio, potrebbe sollecitare l’attuale Capo di Stato maggiore dell’Aeronautica, il generale Pasquale Preziosa, ad aprire i cassetti dei suoi archivi e a collaborare con la magistratura. Sarebbe una mossa coraggiosa e opportuna. Non cancellerebbe le omissioni, le manipolazioni documentali, i depistaggi e i silenzi narrati nelle pagine di Ustica, ma permetterebbero di scrivere la parola fine. Il generale Preziosa è un pilota, si è arruolato nel 1971 e nove anni dopo era già ai comandi degli F-104, gli stessi caccia che la notte di Ustica ebbero un ruolo in uno dei punti chiave di questa vicenda, i cieli della Toscana.
Dunque chi sa parli, e lo faccia presto perché se il vento è davvero cambiato c’è il rischio che i pesanti sospetti, che non hanno mai abbandonato l’Aeronautica, tornino a velare l’immagine di un corpo che è cambiato, ma non abbastanza da permettersi ancora il lusso di voltare le spalle a chi non ha mai smesso di credere che un giorno qualcuno risponderà alla più elementare delle domande: perché?
Fabrizio Colarieti